Benvenuti nell’era seriale
delle Streaming Wars

La maturazione delle reti digitali potrebbe aprire a nuove opportunità economiche. Lo streaming Netflix si presenta sempre impeccabile, ma quanto resisterà la sua leadership rispetto alla concorrenza di Amazon, Disney e Apple?

La maturazione delle reti digitali potrebbe aprire a nuove opportunità economiche. Lo streaming Netflix si presenta sempre impeccabile, ma quanto resisterà la sua leadership rispetto alla concorrenza di Amazon, Disney e Apple?


La televisione è cambiata di più negli ultimi dieci anni che nei precedenti cinquanta. Il mediascape mondiale diventa più complesso al crescere delle reti digitali ultra broadband. La FTTH (fibra ottica fino a casa e non solo fino al cabinet stradale) non è più un sogno per molti italiani. Ma anche le connessioni mobile 5G sembrano ormai a portata di mano. La pandemia Covid-19 sta portando tanta sofferenza ma anche una rinnovata consapevolezza delle possibili conseguenze di un’antropizzazione spinta e di un’alterazione ecosistemica per certi versi irreversibile. Di fronte alla distruzione della biodiversità, agli spillover e alle pandemie, la digitalizzazione di ogni cosa è forse la forma di compensazione tecnologica più efficiente che l’umanità sia oggi in grado di proporre rispetto a quanto distrugge. Soprattutto sul fronte dell’intrattenimento domestico, la crescita del web significa ricerca di nuovi modelli di business e di nuovi canali di distribuzione. Forse addirittura maggior pluralismo.

Nuovi canali, nuovo mediascape
L’interessamento di importanti player della tecnologia digitale come Apple e Amazon dimostra quanto sia significativa la partita della distribuzione via streaming di contenuti audio-video. Mentre nuovi feudi si instaurano, parallelamente i tradizionali colossi della pay-tv come Sky-Comcast propongono le proprie piattaforme streaming o diventano provider di connettività. La broadband tv sta gradualmente assorbendo la televisione tradizionale. Anche in Italia, che è agli ultimi posti in Europa in quanto a penetrazione delle piattaforme SVOD (video-on-demand basato su abbonamento), si comincia a percepire un cambiamento. La televisione a pagamento è ancora dominata da Sky che però, già da tempo, con uno dei suoi tanti e imprescindibili set-top box, sta tentando di modernizzare la sua offerta con alternative alla fruizione lineare. Ma alle nostre latitudini non è ancora finita l’era dei padelloni satellitari e delle scatolette di cui sopra destinate a finire nelle isole ecologiche nel giro di due o tre anni. In Italia vince ancora una pay-tv tradizionale ancorata a ingombri fastidiosi e anacronistici. Per non parlare della pesantezza di abbonamenti pieni di scritte in piccolo, asterischi, clausole e vincoli contrattuali. Soprattutto i più giovani, anche a casa, preferiscono consumare audiovisivi nella privatezza del proprio tablet o smartphone, divenuto ormai una estensione irrinunciabile della propria vita mentale. Ma dal 2020, con una crescente quota di abbonati che scelgono il cavo, la stessa Sky (che si propone anche come fornitore di connettività) potrebbe aiutare l’Italia a tenere un piede nella porta del futuro incentivando le architetture FTTH.

L’ascesa del modello SVOD
Oggi in Italia Netflix e Prime Video di Amazon continuano a dominare il mercato SVOD. Ma negli ultimi due anni la competizione internazionale si sta animando con il lancio planetario delle piattaforme di Apple e Disney. La corsa all’oro dello streaming si gioca soprattutto a colpi di accordi commerciali e di contenuti originali esclusivi. Distributori digitali come Netflix, dopo aver inventato un mercato che prima non esisteva, diventano anche produttori. Nel 2013 Netflix sorprende il mondo con la straordinaria House of cards, serie tv che ha dimostrato come sia possibile dirottare le migliori energie produttive del cinema verso il piccolo schermo. A colpi di binge-watching, comincia la scalata di Netflix per diventare leader mondiale dello streaming a pagamento. Netflix ha costruito la sua leadership anche investendo cifre esorbitanti in marketing, coraggiosamente puntate su piccole produzioni acclamate dalla critica come per esempio Roma (2018) di Alfonso Cuarón.
Altro importante punto di forza della piattaforma è la consistenza di un servizio fruibile attraverso codici software progettati a regola d’arte, un servizio digitale semplice ed efficiente in un panorama tecnologico che non era affatto maturo e uniforme nel 2013 e che non lo è nemmeno oggi. Non sempre le altre piattaforme riescono a garantire un’esperienza comparabile soprattutto sul piano dell’usabilità e dell’attenzione nei confronti delle abitudini di fruizione. Basti pensare che una piattaforma come Now Tv di Sky, nonostante in Italia proponga prezzi decisamente superiori rispetto alla media di tutte le altre piattaforme citate, non consente la visione in HD da PC e dispositivi mobile. Una strategia che punta forse a punire un pubblico che si spera di convogliare un giorno verso prodotti più tradizionali (e remunerativi) offerti dalla stessa Sky. Ma la crescita dell’audiovisione in streaming, che sia con abbonamento oppure gratis con pubblicità, dimostra che il pubblico va in una direzione molto diversa.

Streaming Wars per la conquista del budget mensile
Il pubblico vuole sentirsi libero di scegliere di mese in mese a quale servizio abbonarsi oppure di gestire con più attenzione il proprio budget sospendendo le sottoscrizioni all’istante. In effetti proprio sul prezzo la competizione tra gli SVOD più moderni comincia a farsi incandescente e per il 2021 la leadership di Netflix e Amazon non sembra affatto scontata. Con il suo lancio in Europa, Disney Plus ha messo insieme ben cinquanta milioni di sottoscrizioni in pochi mesi. Molti se paragonati ai circa 190 milioni di abbonati a livello globale dichiarati da Netflix durante lo stesso periodo e faticosamente guadagnati nell’arco di diversi anni.

In Italia l’esistenza di piattaforme come quelle di Sky (Now TV e Sky Go) e TIM (TIMVision) dimostrano quanto sia ancora prematuro parlare di un mercato unico planetario vista la evidente delimitazione delle aree geografiche e linguistiche tramite accordi commerciali. Almeno per quanto riguarda le piattaforme di streaming legale e la mappa geografica del copyright il decoupling di internet (cfr. Italian Institute for the Future, 2020) è una realtà de facto, in particolare la pratica di bloccare determinati contenuti in un determinato paese. Da notare che le leggi europee (che impongono una quota di produzioni legate al territorio di consumo) hanno finora tenuto lontano piattaforme USA molto forti quali Hulu (al 60% Disney), Peacock (NBCUniversal/Comcast) e HBO Max (WarnerMedia).
Un altro elemento che potrebbe rivelarsi decisivo sul piano della competizione è costituito dai diritti sullo sport. Soggetti come DAZN, Eurosport e ESPN si stanno facendo conoscere sulla scena internazionale. Amazon sta acquistando i diritti di porzioni importanti del calcio europeo e degli sport professionistici americani. La stessa Amazon offre l’abbonamento Prime Video a chi è già abbonato al servizio di consegne veloci della casa: un modo irresistibile per entrare nelle case.

Coda lunga e opportunità di sviluppo
La crescita parossistica dell’offerta, almeno per il momento, mostra che potrebbe esserci posto per molti se il mercato continua a frammentarsi. Se, come da tradizione, gli eventi nel mercato USA prefigurano ciò che avverrà in Europa, si consoliderà un mercato tanto variegato da saturare praticamente tutte le nicchie di attenzione possibili. La presenza di tanti altri soggetti che hanno alle spalle grandi o piccoli capitali lascia presagire che il concetto di “coda lunga” (cfr. Anderson, 2016) sia destinato a plasmare anche lo sviluppo economico del settore audio-video in digitale. The Criterion Channel, MUBI e Fandor sono in prima linea per offrire classici hollywoodiani e film d’autore, distinguendosi con una mission indirizzata a preservare la memoria storica del cinema.
Altrettanto interessanti sono poi i modelli PVOD (Premium Video On Demand), ovvero contenuti quali anteprime cinematografiche o trasmissione di eventi speciali in contemporanea con sale o teatri come propone ad esempio Curzon Cinemas (una catena inglese di sale cinematografiche specializzata in film d’autore). In Italia, complice anche la pandemia, il 2020 ha visto protagonista la piattaforma streaming di MYmovies con una vasta offerta di titoli legati ai numerosi film festival che non hanno potuto avere una regolare programmazione con un pubblico in presenza. L’edizione 2020 del Trieste Science+Fiction Festival è stata, per esempio, disponibile sulla piattaforma menzionata. Nella sala web prescelta dagli organizzatori sono passate circa 26.000 persone da tutta l’Italia, molte delle quali probabilmente non avevano mai partecipato al festival in presenza. In futuro molte di queste manifestazioni, una volta fiutato il valore aggiunto della rete, non vorranno rinunciare a questo prezioso canale. Ci sono nuove opportunità di crescita per community locali che intendono far leva sulla tecnologia per espandersi oltre i limiti fisici.

A proposito di vocazione localistica, i dati esposti dallo European Audiovisual Observatory (cfr. Fontaine, 2019) dimostrano la puntigliosa attenzione dell’Unione Europea nel monitorare la provenienza geografica dei contenuti trasmessi. Netflix sta provando a intercettare questa sensibilità acquistando serie tv o documentari fortemente legati a specifiche competenze regionali. Recentemente il network ha lanciato nel Regno Unito un fondo per supportare nuovi filmmaker emergenti nel campo dei documentari (cfr. Ramachandran, 2020). Solo una delle tante mosse nella complessiva strategia di diversificazione messa in atto dal colosso fondato da Reed Hastings: attenzione ai fenomeni sociali, qualità della scrittura, documentari, scelte anticonformiste e in controtendenza rispetto all’omologazione di un flusso mainstream spesso rappresentato dal colosso Disney.
Quello che forse manca finora alla competizione sono le innovazioni tecnologiche nella fruizione visto che la fruizione in streaming è rimasta sostanzialmente invariata nell’ultimo decennio. Degna di nota la funzione GroupWatch di Disney Plus che è la risposta su scala planetaria a funzioni analoghe offerte da Netflix e da Amazon in USA per consentire la visione di gruppo. In pratica i player video di ciascuno dei partecipanti (gruppi da massimo sei utenti) possono essere sincronizzati sullo stesso flusso streaming indipendentemente dal dispositivo prescelto. Per ora gli utenti possono solo condividere emoji in tempo reale. Vedremo se in futuro si riuscirà a perfezionare e a riportare su schermi più grandi l’essenza delle esperienze di social tv finora veicolate esclusivamente in modalità second screen. Si tratta di una sfida di rilevante impatto sociale in quanto le audience organizzate in gruppi si ricollegano alle vicende storiche del cinema e testimoniano un persistente desiderio di condivisione e di sentirsi parte di una comunità nonostante la spinta verso l’autonomia e la rottura dei palinsesti.

Il modello AVOD e la resistenza delle antenne sui tetti
Accanto all’effervescente sviluppo del modello SVOD bisogna tenere in debita considerazione il fatto che un’importante fetta del consumo audiovisivo globale (digitale o analogico) resta allergica ai pagamenti (digitali o analogici) o semplicemente giudica troppo frammentata l’offerta. L’audiovideo gratuito basato su pubblicità costituisce uno schema che difficilmente si estinguerà nei prossimi decenni. Per giunta la televisione tradizionale continua a resistere anche e soprattutto in virtù di un rapporto simbiotico con l’ambiente digitale. In un’ottica strategica di media mix, i social media in particolare offrono una fondamentale sponda pubblicitaria per prodotti tipici della tv tradizionale.

Tornando al web, la gratuità gioca un ruolo fondamentale e Google (con la sua piattaforma YouTube) risulta protagonista assoluto del modello AVOD (Advertising Video on Demand). Degno di nota il ruolo giocato dalla pornografia nello sviluppo dello streaming: tra i siti dedicati alla trasmissione di audiovisioni, dopo YouTube, il sito Pornhub è puntualmente in tutte le classifiche dei siti più visitati. In quasi tutti i paesi sviluppati c’è anche un margine significativo di attenzione riservato alle offerte in streaming delle emittenti di stato. Margine significativo soprattutto in virtù del pluralismo e della conservazione della memoria storica. In Italia abbiamo la RAI con RaiPlay. Si aggiungono numerose altre piattaforme streaming e web tv di nicchia che potrebbero crescere (o sparire) nel giro di pochi anni. Infinity/Mediaset Play rappresenta le vestigia di un antico impero ormai decaduto e incapace di innovare. Vi sono poi piccoli progetti molto interessanti come VVVVID che ruota intorno agli anime giapponesi.
Nonostante la flessibilità dei servizi SVOD più moderni, diventa sempre più complicato comporre il paniere dell’intrattenimento con scelte consapevoli e budget limitati. Una buona fetta di pubblico non riesce a rinunciare alla traccia fornita dal palinsesto e rinnova la propria fiducia alla televisione generalista. Inoltre giovani e giovanissimi guadagnano autonomia soprattutto tramite la mobilità dei dispositivi e scelgono produzioni tanto amatoriali (fondamentalmente tizi qualsiasi che fanno tutorial, unboxing, fabbricazione di slime e giochi da villaggio turistico) quanto irresistibili perché solleticano il sogno di diventare youtuber di successo non importa facendo cosa davanti alla telecamera.

Mal di pancia digitali in Italia
L’Italia ha urgente bisogno di una connettività al passo coi tempi e di un terziario realmente avanzato. Avere una rete efficiente non significa automaticamente avere un pubblico in grado di capire cosa è possibile fare con essa. Mentre siamo inondati da onde elettromagnetiche di tutti i tipi, le esitazioni riguardo al 5G e le argomentazioni di chi non vede la necessità di migliorare la connettività nazionale si pongono ai confini col terrapiattismo e sembrano ignorare la storia della tecnologia. La stessa Internet, per esempio, è in buona parte figlia delle reti satellitari e delle missioni verso la Luna, nel secolo scorso bollate da molti come uno spreco di risorse. Dall’apparente futilità dei computer per videogiocare in casa durante gli anni Ottanta e Novanta è discesa la diffusione dei personal computer, del coding di massa e del desktop publishing che, grazie anche alla spinta dei primi siti web e dei forum, ha poi portato allo sviluppo di abilità e professionalità (cfr. Pellegrini, 2019) che costituiscono la spina dorsale del terziario avanzato odierno.

L’attuale fotografia dell’Italia digitale è un chiaroscuro: se da una parte IDATE ha raccolto per FTTH Council i dati relativi alla crescita della fibra nelle case (cfr. Montagne, 2020) ponendo l’Italia addirittura tra i primi in Europa per crescita percentuale delle connessioni ultrabroadband nell’arco del 2020; per un altro verso questi miglioramenti rischiano di essere un teatro di vanità di fronte alle impietose statistiche che vedono l’Italia puntualmente agli ultimi posti in quanto ad attivazioni effettive e a diffusione di competenze digitali. Sembra esserci dunque un problema culturale come dimostrerebbero diversi report commissionati da istituzioni europee. Il DESI 2020 per esempio (cfr. European Commission, 2020) inchioda il Bel paese agli ultimi posti in Europa in quanto a competenze digitali.
Stiamo entrando in un’era dell’intrattenimento che, con ogni probabilità, premierà i videogiochi, ormai da tempo prima industria culturale mondiale per fatturato (cfr. Cella, 2018). Già oggi i videogiochi più popolari necessitano di una buona connettività per funzionare e con ogni probabilità il cloud gaming (l’equivalente dello streaming audiovisivo in ambito videoludico) diventerà una modalità di fruizione importante. Più in là si comincia a intravedere la rivoluzione dei qubit e delle reti quantistiche.

Eppure persiste una vasta fetta di pubblico indifferente allo sviluppo della fibra ottica e che preferisce sperperare i propri soldi in scelte di connettività strampalate e disinformate. Tipicamente consumatori che non conoscono la differenza tra architetture FTTC e FTTH e sono quindi il bersaglio preferito del marketing ingannevole delle compagnie di telecomunicazioni, le cosidette telco (per questo periodicamente sanzionate; cfr AGCM 2018). Su questo deficit culturale non c’è “Piano nazionale Banda Larga” che tenga (cfr. Infratel).
L’utilizzo forzato di streaming audio-video per videoconferenze, per telemedicina e per didattica a distanza ha provocato forti mal di pancia in una (evidentemente larga, viste le statistiche europee) parte di popolazione costretta a confrontarsi per la prima volta con i propri ritardi cognitivi e con lo stato delle infrastrutture. Mal di pancia simile a quello di molti italiani all’avvento di DAZN, la piattaforma streaming che, dalla stagione 2018/2019, trasmette live e in esclusiva tre partite per turno della Serie A. Il calcio è un prodotto molto popolare in Italia e all’esordio si registrarono clamorosi disagi nella visione imputabili a una poco accorta pianificazione dell’architettura CDN (cfr. Vatalaro, 2018). In quel caso i mal di pancia vennero curati velocemente con un’iniezione di tecnologia e adeguate risorse economiche. Resta da vedere nel tempo quali saranno gli effetti di tutti questi mal di pancia tipicamente italiani sui delicati equilibri tra economia, infrastrutture e alfabetizzazione digitale. Vedremo presto, con la nuova normalità post-pandemica, se l’Italia preferirà ascoltare la pancia o il cervello. Un cervello si spera un po’ più elettronico e molto meglio connesso.

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