Il futuro delle Relazioni?
È questione di connettività

Sheila Williams (a cura di)
Relazioni.
Amanti, amici e famiglie del futuro
Traduzioni di Antonio David Alberto,

Francesco Alfonsetti,
Micol Arianna Beltramini,

Laura Bernaschi, Emanuela Burigo,
Stefano Andrea Cresti,
Giuseppe De Pascale,

Elisa Finocchiaro, Laura Locatelli,
Paolo Manieri, Silvia Rollet,
Valerio Stivè

451 / Edizioni BD, Milano, 2021
pp. 298, € 16,00

Sheila Williams (a cura di)
Relazioni.
Amanti, amici e famiglie del futuro
Traduzioni di Antonio David Alberto,

Francesco Alfonsetti,
Micol Arianna Beltramini,

Laura Bernaschi, Emanuela Burigo,
Stefano Andrea Cresti,
Giuseppe De Pascale,

Elisa Finocchiaro, Laura Locatelli,
Paolo Manieri, Silvia Rollet,
Valerio Stivè

451 / Edizioni BD, Milano, 2021
pp. 298, € 16,00


Viventi che condividono il medesimo contesto sociale non possono avere percorsi esistenziali che corrono come rette parallele. Forze invisibili ma potenti come il desiderio e le reti digitali influenzano le traiettorie degli umani e adulterano la neutralità dello spazio-tempo tra una persona e l’altra o tra una persona e il ricordo di un’altra o tra una persona e l’idea di un’altra. Tutti cercano una connessione più o meno profonda con l’altro oppure scappano da connessioni vecchie. Questi campi di forze sospesi tra i corpi (e tra le relative pertinenze digitali) costituiscono la premessa a tutti i racconti contenuti in Relazioni. Amanti, amici e famiglie del futuro, antologia curata da Sheila Williams, che inaugura assieme ad altri due titoli, intestati ad Alan Moore e Al Ewing, un nuovo progetto editoriale chiamato 451 dell’editore BD – specializzato in fumetti – dedicato alla letteratura di fantascienza. Il titolo inglese originale della raccolta è Entanglements, un termine ricorrente nella meccanica quantistica, che sposta l’accento del progetto sul groviglio, sulla natura problematica degli incroci, facendo passare discretamente in sottofondo una metafora: lo stato quantico implica che per ogni particella esista una sovrapposizione di strati determinati da relazioni a distanza con tutte le altre particelle. Un valore misurato per una determinata particella influenza (in base a regole quantistiche di probabilità) il valore di un’altra, indipendentemente dal tempo e da quanto spazio separi le particelle. I racconti dell’antologia curata dalla scrittrice americana Sheila Williams mettono mano a quel groviglio esistenziale e bio-tecnologico recentemente affrontato da celebri serial audiovisivi quali Black Mirror e Soulmates che hanno spinto il pubblico mainstream verso importanti riflessioni sulla sfera comportamentale umana in relazione alla tecnologia.

Si comincia con Gli invisibili di Nancy Kress. Dopo le prime perplessità rispetto a un uso spregiudicato della tecnologia (si parla di ingegnerizzazione genetica di feti umani) si finisce col catalogare persino un progetto politico basato sull’eugenetica come variante di una legittima traiettoria evoluzionistica. La manipolazione del gene dell’altruismo in bambini programmati per perseguire il bene collettivo è una tecnologia invisibile che ricorda la pillola dell’altruismo concepita da Elvia Wilk nel suo recente romanzo Oval. Idee per stordire il capitalismo e smuovere l’attuale insoddisfacente status quo. Che funzionino o meno queste strategie, la raccolta Relazioni ci mostra ancora una volta come la speculative fiction di questi anni sia quasi sempre intenta a sottolineare l’invisibilità del cambiamento sociale, un vortice che non sempre si vede arrivare.

Pozioni d’amore e sexbot terapeutici
Il terreno delle relazioni amorose sembra un punto d’incontro privilegiato per osservare le criticità psicologiche della civilizzazione occidentale di matrice capitalistica. Il racconto di Annalee Newitz, L’ormone della monogamia, svela un mondo che comincia gradualmente a imboccare la via del puritanesimo e del sessismo. Prendono piede leggi per incentivare le famiglie tradizionali. Il canale di video-streaming della Disney compie salti mortali per “perfezionare il suo algoritmo di geolocalizzazione, in modo che nessun abitante della Carolina del Nord fosse esposto a video di matrimoni gay o supereroi transgender”. Edwina frequenta due persone, Augie e Chester, e si sente spinta a creare una famiglia e a dover scegliere con quale dei due partner proseguire il cammino. Un farmaco chiamato Eternalove promette di gestire un ormone che incentiva la monogamia.

Nel corso della vicenda emerge gradualmente la serena proposta di un’identità di genere slegata da dinamiche familistiche, conducendo a un finale soddisfacente per tutti. Il contesto vissuto da Edwina sembra la quiete prima di quella tempesta che è il tempo narrato da Margaret Atwood nel romanzo Il Racconto dell’ancella (Atwood, 2017), ormai considerato un classico della speculative fiction anche grazie alla popolare serie tv. Con la crisi della funzione riproduttiva umana, i governi non esitano a sacrificare i diritti delle donne requisendone i corpi per adattarli a disegni di controllo biopolitico rinforzati da schemi religiosi ad hoc.
Un incubo di fondamentalismo, autoritarismo e misoginia molto simile a quello raccontato in La soluzione della mosca di James Tiptree Jr. (pseudonimo di Alice Bradley Sheldon), presente in un’altra recente recente antologia di speculative fiction curata da Ann e Jeff VanderMeer. I costrutti religiosi in materia di sessualità e riproduzione appaiono sempre più vuoti così come l’incontro fisico lascia spazio a nuove e più complesse modalità di relazione.
Nel racconto di James Patrick Kelly, La tua esperienza romantica, è molto diffuso il commercio di robot (chiamati “playbot”) destinati al sesso. L’automa Tate diventa parte integrante della relazione tra Jin e Dakarai. Non si tratta più semplicemente di macchine per fare sesso: l’azienda produttrice ha trovato proprio nelle coppie stabili un nuovo mercato per i propri androidi e ginoidi. Tate è progettato “per soddisfare coppie, per aiutarle ad andare d’accordo, per riempire eventuali mancanze nella loro relazione”. Ben presto Dakarai intuisce quanto possa diventare invasiva la dipendenza da una simile macchina.

“Tate sarebbe potuto essere tutto ciò che Jin non era, non riusciva a essere, o non aveva tempo di essere per me. […] Poteva anche pensare che Tate fosse un giocattolo meccanico pieno di algoritmi, ma più Tate fosse restato con noi e migliore sarebbe stato nell’adattarsi ai nostri bisogni, sia individuali che di coppia, e più dolorosa sarebbe stata un’eventuale separazione”
(James Patrick Kelly).

Madri e altri filtri per affrontare la realtà
Charlie è un bambino come tanti: affascinato dai videogiochi e dai computer, si isola sempre più spesso e finisce con l’introdurre una specie di virus nella rete domotica di casa. Ma Digisprazzo (come lo chiama Charlie) è un software che si rivela essere una vera e propria intelligenza artificiale auto-cosciente. Intelligenza che cresce e apprende insieme a Charlie. Grazie a Digisprazzo, Charlie impara a navigare attraverso l’internet delle cose, dove tutto è interconnesso. Ma dal punto di vista degli adulti il Digisprazzo non è altro che una casa invasa dai fantasmi che va disinfestata. E gli adulti in questione sono costituiti non da uno o due madri o padri ansiosi ma da una vera e propria cooperativa di madri, ciascuna alle prese con il terrore di rendere pubblici i propri fallimenti genitoriali. Questi futuribili matriarcati a cui è affidata l’educazione basilare dei figli finiscono col diventare un vero e proprio parlamento in cui si discutono strategie e indirizzi politici. Tra equilibrismi diplomatici e l’aiuto di un pirata informatico, la scelta di Jo, una delle madri, sarà quella di violare la volontà del parlamentino matriarcale e del buon senso comune per uscire da quella situazione cercando di non traumatizzare troppo il bambino. Charlie e il suo computer costituiscono uno dei mattoncini con cui si va edificando l’umanità del futuro. Un’umanità che comincia con il proiettare intelligenza emotiva sulle proprie macchine e finisce con il capirne il linguaggio.

Un linguaggio che non ha niente di umano pur condividendo con l’umano la necessità continua di relazionarsi. Tra l’altro da questa necessità di relazione discende l’ineludibile componente ansiogena nel ruolo genitoriale. L’apprensione è data fondamentalmente proprio da quell’invisibilità così determinante nel relazionarsi contemporaneo. Ansia ben visualizzata nell’episodio Arkangel nella quarta stagione di Black Mirror, dove l’apprensiva Marie Sambrell sceglie di dotare la figlia Sara di un dispositivo che, impiantato nel cervello, consenta ai genitori di programmare una sistematica censura di percezioni e di esperienze ritenute inappropriate. Dispositivo che funge anche da geolocalizzatore e da videocamera in tempo reale. In pratica Sara è una sorta di automa che si appresta ad affrontare il proprio percorso esistenziale in maniera del tutto eterodiretta. Inevitabile il punto di rottura e la fuga. Stessa sorte per i giovani protagonisti del racconto Penso con la mia testa di Suzanne Palmer. Una piccola fitta alla tempia e il mondo barcolla scattando in avanti di qualche secondo. Così vengono rimossi i segmenti scomodi di realtà tramite il “mentore”, un dispositivo praticamente identico a quelli visti in Black Mirror. Le lezioni scolastiche si fanno grottesche e paradossali man mano che il mentore rimuove parti delle spiegazioni offerte dai docenti in aula perché considerate inappropriate in base a chissà quale impostazione definita dai genitori.

“Jake odiava la sensazione di aver perso quasi mezz’ora del suo tempo e di sapere che tutti i suoi compagni di classe con il libro nell’Edizione Redatta secondo il Codice dei Bravi Genitori dalla copertina arancione erano stati derubati e si sentivano confusi tanto quanto lui”
(Suzanne Palmer).

La conseguente nebulosità degli insegnamenti e le prevedibilmente mediocri pagelle scolastiche non sembrano in grado di distogliere i Bravi Genitori dal loro Codice. La società del controllo di cui ha scritto Gilles Deleuze rappresenta uno scatto rispetto al panopticon di Jeremy Bentham: il controllo viene delegato ai singoli e non più allo Stato (cfr. Deleuze, 2000). Sorveglianza rinforzata man mano che la tecnologia scende alla portata di tutti.

“Vieni giudicato in base a verifiche sul programma di tutto il corso, anche sulle parti che non puoi sentire se la tua mammina e il tuo paparino non vogliono che tu sappia qualcosa su comunismo, atei e tette artistiche. […] E i mentori non vengono usati solo per censurare scienze, o le cose in contrasto con la religione… be’, una religione qualunque, o anche tutte quante. Sapete che ce ne sono alcuni con cui non si può sentire nulla di quello che dicono persone di un determinato genere? O etnia?”
(ibidem).

Qui siamo al banopticon, come lo chiama David Lyon: un modello di controllo sociale teso a stabilire specifici percorsi per specifici gruppi sociali, di fatto distogliendoli da un determinato nucleo di diritti civili e politici (cfr. Lyon, Bauman, 2015). Il tutto è reso ancora più paradossale se si pensa che, grazie al controllo tecnologico, determinati gruppi sociali (il fondamentalismo religioso contemporaneo ne è un chiaro esempio) possano autoinfliggersi questo supplizio dell’intelletto. Un modo come un altro per fuggire da una realtà che non piace.

Memorie, croce e delizia delle relazioni umane
In Mediazione di Cadwell Turnbull scopriamo le funzioni di Ally, un “programma di mediazione” che assiste nella gestione dell’agenda e non solo. Una sorta di segretariato digitale ubiquo che all’occorrenza può diventare anche un cuscino emotivo. Ne avrebbe molto bisogno la dottoressa Lyons che ha da poco perso il marito Isaac e che si tuffa senza risparmiarsi nel suo lavoro di scienziata anche per superare il trauma della perdita. I suoi figli, con l’aiuto del programma di mediazione Ally, insistono con la proposta di sfruttare le potenzialità dell’intelligenza artificiale per ricreare una presenza simulata del defunto padre e marito. Un supporto psicologico transitorio per aiutare tutti nell’elaborazione del lutto. Ma la protagonista ha molte esitazioni prima di abbandonarsi all’idea di far entrare un Isaac-bot nella sua vita. Il dispositivo elettronico come territorio di delicati investimenti emotivi. Qui la cosa interessante da notare è che il congegno sembra diabolicamente progettato per aggrovigliare sfera lavorativa e sfera personale.

Eliminare i computer dalle proprie vite non è poi così semplice. Ancora più difficile se l’idea di lasciare agli altri quanto più possibile di sé stessi trova una colonna portante proprio nei computer e nei sistemi di registrazione digitale. Forse non tutti hanno la forza d’animo di Martha Powell, protagonista dell’episodio Torna da me (seconda stagione di Black Mirror), la quale decide di mettere in soffitta l’androide che emula alla perfezione il suo amato Ash defunto in un incidente stradale. Martha rispolvera l’essere artificiale solo nei weekend, più che altro per consentire a sua figlia di interagire con il padre mai conosciuto. Nel bellissimo racconto L’eco di un eco, l’autore, Rich Larson, immagina un dispositivo chiamato “ragnatela”, una sorta di caschetto in grado di catturare le onde cerebrali di una persona distillandone la coscienza in un fascio di memorie e saperi da tramandare.

“Lasciarsi l’eco alle spalle. Ho deciso. Non è giusto. Il Signore ci dà un tempo e poi basta. Sono pronta ad andare”
(Rich Larson).

La nonna del protagonista non si decide a utilizzare il dispositivo. A quanto pare figli e nipoti dovranno rinunciare a poter frequentare a piacimento l’avatar della nonna quando questa sarà defunta. La vita del nipote prosegue come al solito. Poi l’incontro con una donna conosciuta tramite una piattaforma di dating online. Una notte e via. Scopriamo quanto siano centrali gli avatar: sofisticate intelligenze artificiali in grado di ritagliarsi intorno all’individuo e quindi in grado di simulare coscienze ed eventuali sviluppi di relazioni tra coscienze. Gli avatar entrano in gioco persino nel soppesare e negoziare l’eventualità di un incontro fisico a scopo di piacere sessuale e psicologico.

“Si chiama Ana e i nostri avatar hanno lavorato sodo da quando sono arrivato in città, qualche giorno fa, valutando la compatibilità e sfornando una conversazione fittizia. La sfoglio. Abbiamo parlato della Colombia, da dove viene suo padre e di dove ho passato le vacanze l’estate scorsa, e ci siamo lamentati del tempo a Ottawa. Ma abbiamo anche fatto dirty talking in spagnolo, che è uno sviluppo interessante”
(ibidem).

Durante l’incontro con Ana il giovane protagonista troverà una “ragnatela” in un luogo inaspettato e uno struggente plot twist gli farà capire quanto saper dimenticare possa essere importante.

Tutto è collegato
Per Timothy Morton i nostri percorsi esistenziali scivolano su un piano dove agiscono anche le imprevedibili turbolenze che caratterizzano l’interno degli “iperoggetti” (cfr. Morton, 2018), sistemi di relazioni la cui complessità discende dal fatto che tutti i componenti (persone ma anche oggetti inanimati e persino i corpi celesti) possono irradiare implicazioni sullo spazio-tempo e quindi sul tessuto sociale. Ciascun umano tenderà a ritagliarsi un piccolo spazio nel mondo cercando di abitarlo e di tracciarne, in qualche modo, i confini. Ma l’esperienza del singolo sarà sempre in interazione con tutti gli altri viventi e con tutti gli oggetti della sua vita. Le reti digitali intensificano la complessità di questo rapporto uno/tutto. Una visione degli orizzonti esistenziali dal sapore orientale ben sintetizzata dal racconto Il monaco del tempio Lingyin, ambientato proprio in un monastero buddista. La scrittrice cinese Xia Jia immagina in particolare una tecnologia di comunicazione online in grado di stimolare la comprensione reciproca in maniera un po’ brusca.

“Si chiama LINGpain. È in grado di registrare e sostituire la nocipercezione, cioè le reazioni del sistema nervoso agli stimoli del dolore negli organismi. Permette a una persona di condividere il dolore con gli altri e di provare il dolore degli altri. Spero che quel bambino d’ora in poi possa tenere a mente che ogni vita è sacra. Tutti provano dolore”
(Xia Jia).

Probabilmente influenzati da una certa disciplina scientifica (in effetti il MIT di Boston è l’editore originario della raccolta), tutti i narratori hanno cercato di plasmare e confezionare laicamente universi paralleli senza indugiare in giudizi di valore e proponendo un originale focus quantistico. Non interessa capire cosa è “sano” o “naturale” o “giusto”: alcune cose avverranno comunque e si dirameranno in sviluppi certamente non prevedibili. Sarebbe meglio accettare la tecnologia come parte dell’inestricabile groviglio che chiamiamo “essere umano”, pena la perenne incomprensione reciproca tra umani e macchine, tra consumatori e dispositivi, tra decisori politici e piattaforme digitali.
A questo punto anche tra persone e persone, visto che ognuno sarà più o meno accompagnato dalle proprie macchine.

Letture
  • Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella, Ponte alle Grazie, Milano, 2017.
  • Gilles Deleuze, Pourparler, Quodlibet, Macerata, 2000. 
  • David Lyon e Zygmunt Bauman, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2015.
  • Timothy Morton, Iperoggetti, NERO, Roma, 2018.
Visioni
  • Charlie Brooker, Black Mirror, Netflix, 2011-2018 (streaming).
  • William Bridges e Brett Goldstein, Soulmates, Prime video, 2021 (streaming).