Fallimento dell’utopia
e distopia alfine realizzata


Arkadij e Boris Strugackij

L’isola abitata
Traduzione di Valentina Parisi

Carbonio Editore, Milano, 2021
pp. 360, € 17,50


Arkadij e Boris Strugackij

L’isola abitata
Traduzione di Valentina Parisi

Carbonio Editore, Milano, 2021
pp. 360, € 17,50


Prosegue, grazie a Carbonio Editore, la pubblicazione in italiano delle opere dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij. Recentemente difatti è stato presentato ai lettori L’isola abitata (Obitaemyj ostrov), nella traduzione dal russo di Valentina Parisi, autrice anche di un denso e fondamentale saggio a commento del testo. Il romanzo è stato dato alle stampe nel 1969, ma anch’esso, come molte altre opere dei fratelli, fu sottoposto al lungo travaglio provocato dalle continue modifiche imposte dagli uffici della Molodaja Gvardja, la censura sovietica.
Nella ricostruzione intrapresa in concomitanza con la pubblicazione delle opere complete sono state contate ben 896 varianti tra il manoscritto originale e quello che era stato pubblicato dopo il visto della censura. Per la giovane casa editrice milanese si tratta del terzo titolo in catalogo dedicato ai fratelli Strugackij, dopo La chiocciola sul pendio (2019) e La città condannata (2020), entrambi tradotti da Daniela Liberti. Le due pubblicazioni più recenti erano inedite in Italia, mentre il primo, seppur già edito, è stato necessario tradurlo ex novo, visto che la precedente edizione era stata condotta sulla versione inglese, e non sull’originale russo. Alla luce della serietà e del rigore con cui l’editore ha affrontato la pubblicazione dei fratelli Strugackij, autori certamente non commerciali, non possiamo che augurarci un fertile futuro, che ci regali la pubblicazione di altri titoli dei due autori russofoni.

Il mondo del mezzogiorno
L’isola abitata si inserisce nel ciclo del cosiddetto Mondo del mezzogiorno (Mir Poludnja), che comprende diversi romanzi e racconti, scritti però in modo abbastanza disorganico e senza un apparente piano di coerenza interno, ovvero senza quella continuità a cui siamo abituati oggi grazie alla diffusione del prodotto seriale. Si tratta di narrazioni che avvengono in un mondo condiviso, un orizzonte comune, una sorta di universo parallelo in cui il comunismo è realizzato a livello mondiale e oltre, e si è avverato in tutto il suo potenziale utopico e liberatorio.

Illustrano l’articolo alcuni frame tratti dal film di Fëdor Sergeevič Bondarčuk tratto dal romanzo L’isola abbandonata.

Il mondo descritto è ambientato nel XXII secolo, e racconta eventi e avventure che accadono nelle situazioni più disparate, a personaggi spesso ricorrenti e appartenenti a categorie proprie di diversi romanzi. Tra i titoli tradotti in Italia sono collocati in questo mondo anche La chiocciola sopra il pendio e il più conosciuto È difficile essere un dio (Trudno byt’ bogom). Probabilmente la costruzione di questo universo immaginario non è stata progettata a tavolino dagli autori; più semplicemente hanno utilizzato tempo per tempo i personaggi e gli ambienti che creavano per i loro racconti e romanzi, sino al momento in cui si sono resi conto che vi era una sorta di coesione interna al mondo che avevano costruito. Le trame sono piuttosto complesse e spesso hanno in comune tra loro solo il richiamo nostalgico a un pianeta Terra originario e lontano, se non perduto per sempre. Di fatto la maggior parte delle storie si svolge in mondi dove gli esseri umani sono giunti a volte casualmente e dove incrociano specie aliene o sviluppi alternativi della storia umana. Tra l’altro è doveroso ricordare che uno dei pianeti di questo universo è chiamato Pandora, è ricoperto di un’unica folta foresta, ed è stato probabilmente la fonte di ispirazione per l’omonimo pianeta in cui James Cameron ha ambientato Avatar (sebbene lui abbia smentito).

I progressori
Una delle costanti di questo ciclo è la presenza della categoria dei progressori. Si tratta di individui che raggiungono altri pianeti, a volte per scelta, a volte fortunosamente, come è nel caso de L’isola abitata, e grazie alla loro particolare condizione sia fisica sia tecnologica, oltre che morale e politica, trattandosi degli emissari del comunismo realizzato, appaiono agli indigeni come fossero dotati di superpoteri, e in ogni caso capaci di influenzare il corso della Storia. In questo romanzo appare uno dei nomi più noti di questa tipologia di personaggi, ovvero Maksim Kammerer. Il personaggio è presente in diversi romanzi. In italiano lo si può rintracciare solamente ne Lo scarabeo nel formicaio (Žuk v muravejnike,1980), a suo tempo pubblicato da Editori Riuniti e oggi fuori catalogo: in pratica il secondo volume di questa trilogia che si completa con Passi nel tempo (Volny gasiat veter, 1986), tradotto in italiano per Urania ma dall’edizione inglese. Il cognome originario di Maksim era russo (si chiamava Maxim Rostislavsky) ma la trasformazione in un tedesco faceva parte delle modifiche richieste dalla censura, per allontanare qualsiasi tipo di identificazione con il regime sovietico. Come scrive Valentina Parisi:

“Potenziale istigatrice di ucronie apocalittiche che a chi aveva vissuto la guerra erano apparse fin troppo verosimili, la Germania nazista a metà degli anni Sessanta diventa per gli Strugackij l’anti eutopos per eccellenza, un repertorio preziosissimo di storture ed efferatezze cui attingere a piene mani per creare mondi immaginari che intrattengono con il nostro dei rapporti di contiguità spazio-temporale sempre mutevoli”
(Parisi in Strugackij, 2021).

Gli autori, quando, in seguito, dopo la glasnost, avrebbero potuto ripristinare il testo originario hanno deciso in ogni caso di mantenere quello imposto, dato che nel frattempo era stato integrato in altri momenti del Mondo del mezzogiorno, e, come dice lo stesso Boris Strugackij nella postfazione al presente volume, avrebbe voluto dire rieditare l’intero ciclo. Analogo discorso vale per il grande antagonista di Maksim, ovvero Viandante. Anche lui originariamente aveva un cognome russo, che poi fu mutato in uno di stampo tedesco. Nella postfazione sopra indicata Boris è dettagliato nell’indicare i termini che è stato costretto a mutare in tedesco per costruire una ambientazione più consona alla situazione politica, e di fatto, oggi come oggi, “appare davvero arduo capire quale fosse l’intenzione iniziale degli autori, al netto delle stratificazioni testuali accumulatesi” (ibidem).

La visione del futuro
Anche questo romanzo ha visto una trasposizione cinematografica, sebbene non autoriale come le opere di Tarkovskij e di Aleksej Jur’evič German, ma certamente si tratta di un film dotato di un certo interesse. Fu girato dal regista e attore Fëdor Sergeevič Bondarčuk, figlio del più conosciuto, almeno in occidente, Sergej, e si intitolava Dark Planet. Del film esistono diverse versioni, difatti fu distribuito originariamente sul mercato russo diviso in due parti, e poi venne riunito per il mercato europeo. La prima parte è del 2008 e dura 115 minuti, mentre la seconda è dell’anno seguente e dura ulteriori 100 minuti. La storia, molto fedele al romanzo, racconta di come il protagonista Maksim, per un incidente, si ritrova bloccato su un pianeta sconosciuto, di nome Sarakš.

Il naufrago spaziale si sente in una posizione analoga a quella di Robinson Crusoe, ed è convinto di doversi confrontare con degli indigeni innocui, tra l’altro convinti di vivere all’interno di una sfera cava, analogamente a molti miti terrestri. È questa condizione che offre lo spunto per il titolo del romanzo, essendo il pianeta abitato, contrariamente all’isola del naufrago di Defoe. Maksim purtroppo è rapidamente costretto a prendere atto della situazione sociale di cui si ritrova a essere testimone (e vittima). Sul pianeta è presente un sistema di controllo sociale integrale di una potenza mai vista prima sulla Terra. Questo meccanismo funziona grazie alla presenza di una rete di torri che emettono particolari segnali radio, il cui scopo è garantire che la popolazione venga tenuta sotto il più rigido regime. Ne rimane immune una piccola parte dei cittadini che non è sensibile alle emanazioni delle torri. Questi ultimi vengono chiamati “i degenerati”, e vengono imprigionati e trattati come i peggiori nemici possibili della nazione. Nel processo attraverso cui gli viene a poco a poco rivelato quanto sta realmente accadendo, e nel conflitto che ne segue, si delinea anche in questo romanzo un tema che è costante nel lavoro dei fratelli Strugackij in questi anni, ovvero la relazione tra utopia e distopia, o meglio il processo per cui la ricerca della prima si rivela implacabilmente come una forma della seconda.

I due scrittori, probabilmente ossessionati da questo scontro continuo con la censura del regime, vittime ogni giorno del fallimento di una idea in cui entrambi avevano creduto e per cui avevano combattuto, vivono in un meccanismo che paradossalmente si rivela incredibilmente moderno e capitalista, ovvero l’idea per cui non ci sarebbe una alternativa, ciò che noi oggi indichiamo con la formula There is no alternative, nella logica con cui è stata utilizzata da Mark Fischer.
L’idea marxiana per cui tutti i regimi conterrebbero in sé i germi per la propria distruzione si rivela come una illusione, e la ricerca dell’utopia, dopo essersi in un primo momento trasformata nell’ironia, affonda nella disperazione distopica, in un gorgo politico, psicologico e storico da cui non si apre alcuno spazio di liberazione. Così ne L’isola abitata, così ne La città condannata, così ne È difficile essere un dio. Quest’ultimo in particolare, in sintonia con la visione particolarmente cinica e violenta che ne ha dato Aleksej Jur’evič German nel film omonimo, incarna la visione dei fratelli Strugackij secondo cui “occorre cercare l’utopia tenendo a bada quanto d’incomprensibile e distruttivo vi è nella psiche umana” (Parisi, ibidem).

Don Rumata, il progressore di questo mondo medioevale e feroce, vive una profonda crisi riguardo i valori del suo operato, così come Maksim Kammerer ne L’isola abitata. Per entrambi la scoperta del totale fallimento a cui sono andati incontro i molteplici tentativi di favorire la rivoluzione e la liberazione delle classi oppresse, è fonte di una profonda crisi personale e politica, la stessa crisi che colpiva l’intera classe intellettuale sovietica che aveva creduto nel disgelo chruščeviano, e che ora non poteva esimersi dal riconoscerne il fallimento.

Letture
  • Arkadij e Boris Strugackij, La chiocciola sul pendio, Carbonio Editore, Milano, 2019.
  • Arkadij e Boris Strugackij, La città condannata, Carbonio Editore, Milano, 2020.
  • Arkadij e Boris Strugackij, È difficile essere un dio, Mondadori Urania 232, luglio 1996.
  • Arkadij e Boris Strugackij, Passi nel tempo, Urania n. 1082, Mondadori, Milano 1988.
Visioni
  • Fëdor Sergeevič Bondarčuk, Dark Planet, Russia, 2008.
  • Aleksej Jur’evič German, Hard to Be a God, Russia, 2013.