Ne è trascorso di tempo da quando Edmund Wilson sferrò un micidiale uppercut a Howard Phillips Lovecraft sul New Yorker, bollando come mediocre la sua prosa. Lo mise nero su bianco nell’articolo che sin dal titolo lasciava intendere i suoi propositi: Tales of the Marvellous and the Ridiculous (cfr. Wilson, 1999). Era il 24 novembre 1945, ma oggi più che ottant’anni paiono trascorsi eoni, per dirla proprio con Lovecraft. Lui se ne era già andato da otto anni, risparmiandosi così il disappunto per la feroce disamina (più feroce che disamina vera e propria per la verità) rivoltagli da quella autorità indiscussa della critica letteraria, senz’ombra di dubbio il più importante, originale e autorevole critico di lingua inglese del Novecento, che però nell’occasione fece un bel ruzzolone. Lovecraft se ne andò soprattutto assai prima del riconoscimento mondiale della sua opera, o meglio del suo radicarsi nell’immaginario collettivo contemporaneo, tale da farci davvero ritrovare i suoi mostri all’angolo della strada ricordando così quella che fu la prima raccolta ragionata delle sue storie apparsa in Italia nel 1966 grazie a Carlo Fruttero e Franco Lucentini, impreziosita da un’illustrazione di copertina disegnata da Karel Thole con tanto di creature e architetture figlie del caos e totalmente altre (per inciso, I mostri all’angolo della strada venne pubblicato da Mondadori). Fu allora che Giorgio Manganelli gli dedicò un’analisi approfondita in La città blasfema, definendolo “un inventore di miti” (Manganelli, 2004).

Lovecraft iniziava a varcare i confini in Italia e altrove, evadendo dall’editoria di genere e dal mondo circoscritto al fandom e al mondo dei pulp oltre che a fuoriuscire dalla sola letteratura. Il suo mostruoso pantheon oggi si incontra all’angolo di tutte le strade della narrazione contemporanea, frutto di una lunga marcia che lo ha condotto a invadere i mondi del fumetto, del cinema d’animazione, in seguito dei videogame e dei giochi da tavolo, oltre che della musica e del cinema, nonché a divenire materia di riflessione per filosofi e studiosi tout court. Non si pensi soltanto al celebre saggio di Michel Houellebecq (H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita) scritto nel 1991. Più indietro nel tempo, oramai quasi mezzo secolo fa, Gilles Deleuze e Félix Guattari, per esempio, nel loro Millepiani elogiavano l’impiego lovecraftiano di concetti quali la molteplicità e l’anomalo prendendo in esame le storie del ciclo di Randolph Carter (cfr. Deleuze, Guattari, 2017).

Una diffusione virale corrosiva nei confronti della nostra realtà, che richiama alla mente l’agire di Sutter Cane, il coprotagonista del film Il seme della follia (In the Mouth of Madness) diretto da John Carpenter nel 1994, che legami ne ha eccome con Lovecraft, legami di sangue, diremmo. Cane è lo scrittore maledetto, l’antidemiurgo che disordina il mondo ricreandolo via via che procede nella scrittura delle sue storie. Qualcosa del genere l’aveva già congetturato Erik Davis quando prese in esame trent’anni fa il fenomeno Lovecraft, che allora già montava inesorabile: “la magia lovecraftiana non è un’allucinazione pop, ma un’interpretazione immaginifica e coerente messa in moto dalle dinamiche degli stessi scritti di Lovecraft” (Davis, 2013). Proprio Sutter Cane funge da guida ideale prescelta da Claudio Gargano nel suo Il cinema di Cthulhu. L’influenza di H.P. Lovecraft sull’immaginario filmico per accompagnarlo e ben orientarsi nella conduzione della sistematica indagine che ha condotto riguardante le produzioni cinematografiche e televisive direttamente e soprattutto indirettamente ispiratesi alle storie lovecraftiane, disegnando la miglior mappa disponibile oggi su questi territori. Di fatto il personaggio carpenteriano funge da stella polare (nera, ovviamente) per imboccare subito la diritta via e in effetti pare un maleficoVirgilio assunto a guida ideale per addentrarsi in una selva che più oscura non si può.
Sutter Cane spiega Lovecraft come nessun altro perché, spiega Gargano:
“Lovecraft è ormai per noi adesso ciò che Sutter Cane era per gli esseri umani in quel film. Le sue mostruose entità extra-dimensionali che premono per rientrare nel nostro mondo, i suoi rituali blasfemi, gli abomini nati da incroci indicibili tra umani ed extra umani, i suoi sconvolgenti e improvvisi squarci su mondi che sfuggono totalmente alle categorie umane, nonché la sua concezione dell’universo secondo cui l’uomo svolge un ruolo insignificante rispetto agli orrori cosmici che ci attendono celati dietro il pietoso velo del visibile, sono traslate in un certo senso, pericolosamente nella nostra realtà”.
Saggista, critico cinematografico, docente, film-maker napoletano, Gargano ha il merito non solo di aver azzardato un censimento di questa invasione, ma anche di esserci riuscito senza rinunciare alla passione di una vita (“fui folgorato dalla narrativa di HPL in età adolescenziale”), ma evitando la banalizzazione del fandom, dei facili entusiasmi che intravedono Lovecraft ovunque (“non basta un tentacolo o una creatura sbavante «a fare Lovecraft»”, avverte Gargano nell’Introduzione), ricorrendo, invece, a una rete concettuale di sostegno che intreccia implicazioni esoteriche, mistiche, misteriche, magiche e in particolare facendo riferimento alle strutture archetipiche di matrice junghiana (Gargano è uno studioso dei Carl Gustav Jung). È questo il motore che genera di continuo nuove forme di orrore tutte imparentate con l’universo lovecraftiano. Gargano si esprime con chiarezza al proposito:
“Si può affermare che Lovecraft abbia trasfigurato il suo disagio esistenziale in dei simboli molto potenti, come Cthulhu, Yog-Sothot, Azatoth, che nel corso di quasi un secolo hanno acquisito una notevole carica psichica. Se pensiamo, come affermava Jung, che il simbolo è un ponte tra il mondo della coscienza e il regno oscuro e sommerso dell’inconscio, i simboli lovecraftiani sono ancora terribilmente attivi, perché il disagio da cui nascono è lo stesso in cui l’essere umano ancora annaspa agli inizi di questo ventunesimo secolo”.
Un armamentario concettuale siffatto si è mostrato assolutamente idoneo per avventurarsi tra incubi, orrori, esseri mostruosi, divinità immonde e la loro prole degenere, resti di civiltà ignote, le cui rovine incutono tuttora terrore e disgusto, blasfemità assortite, abomini d’ogni genere e così via che hanno infestato negli anni chilometri di pellicole. Il principio ordinatore di Gargano, la sua personale tassonomia, lo conduce a suddividere le opere inseminate da Lovecraft in nove capitoli, dei quali soltanto l’ultimo dedicato alle trasposizioni ufficiali, proprio perché non è tanto interessante la versione cinematografica diretta delle storie quanto la trasposizione di una nostra presunta realtà in quella lovecraftiana. Il risultato è una cavalcata tra classici del secolo scorso e serie del Duemila (dal Sottosopra di Stranger Things ai racconti antologizzati in Cabinet of Curiosities), a testimonianza della diffusione capillare, à la Cane, del repertorio firmato HPL. Pur nella vastità enciclopedica dell’opera di Gargano non v’è pretesa di esaustività e difatti si potrebbero annotare alcune assenze, ma poco importa ai fini del discorso sotteso alla panoramica delle opere qui indicizzate, costruita con meticolosità e scrupolosità, risultando sempre convincente, film dopo film, serie dopo serie, episodio, dopo episodio.

Gargano passa al setaccio, le singole trame, radiografa i personaggi, mette in chiaro i rimandi più oscuri, ben nascosti, celati dietro un simbolo o magari un nome, rinviene gli spunti e rintraccia i temi sparsi tanto nelle singole opere prese in esame, quanto nelle porzioni abbondanti di cinematografie, come quelle di John Carpenter, Guillermo Del Toro, Lucio Fulci, Pupi Avati e Dario Argento, non tralasciando autori come anche David Lynch e Robert Eggers, e finanche lavori autoriali come l’allucinato Possession (1981) di Andrzej Żuławski che esibiva un essere (o un incubo?) squisitamente cthulhuiano, oppure esamninando interi cicli come quelli di Alien, di Quatermass ed Hellraiser, o ancora affrontando gli specialisti della materia come Stuart Gordon, che vanta un bel catalogo di lavori ripresi da Lovecraft, riportando alla luce lavori da cineteca per fini conoscitori come Caltiki. Il mostro immortale di Riccardo Freda, che in quegli anni andò a comporre assieme a Fluido mortale (il celeberrimo The Blob, Irvin Yeaworth, 1958) i Vampiri dello spazio (ovvero Quatermass 2, Val Guest, 1957) un’ideale trilogia ispirata “ai micidiali shoggoth, ovvero una delle creature più nefaste e orribili alla vista, che popolano l’universo lovecraftiano e che vengono diffusamente descritte in Alle montagne della follia”. Il tutto puntualmente sorretto da citazioni tratte dall’intero corpus letterario dell’uomo di Providence, per individuare riscontri oggettivi anche laddove le connessioni sono meno evidenti e possono apparire conditi da qualche pizzico di suggestione e dal troppo amore di Gargano per il suo autore prediletto.

Esemplare è il caso dell’opera prima di Fabio D’Orta, The Complex Form (2023). Un cenno alla vicenda per cominciare. In una villa, antica, lussuosa, enorme e inquietante, del tutto isolata, è in corso una sorta di esperimento che coinvolge persone in gravi difficoltà economica disposte per denaro a cedere per alcuni giorni il proprio corpo a misteriose creature che ne potranno così prendere possesso. Il protagonista e le persone con cui stringe amicizia ci ripensano e tentano di fuggire dopo che le creature, gigantesche, hanno fatto la loro comparsa: esseri biomeccanici, di forma vagamente insettoide e rivestiti di oggetti, cianfrusaglie, specchietti, monili. Creature che paiono generate da una copula tra horror e steampunk. Tutto girato in un impeccabile “livido” bianco e nero. Dov’è Lovecraft? Gargano non ha dubbi, è tutta l’atmosfera del film a calarci in:
“una dimensione in cui le leggi fisiche vanno a farsi benedire, pur all’interno di un’ambientazione assolutamente realistica […] è proprio in questo che il film diventa genuinamente lovecraftiano: nel rompere il setting di una realtà quotidiana fin troppo desolante con l’improvviso irrompere di uno o più elementi che ne sconquassano le fondamenta esistenziali o, per dirla in altro modo, ontologiche. Se pensiamo a racconti fondamentali di HPL, come Oltre le mura del sonno e Dall’ignoto, in cui la natura stessa del Reale viene posta in discussione, The Complex Forms ne è una trasfigurazione cinematografica di prim’ordine”.
Meritorio anche lo spazio dedicato a un altro regista italiano di ultima generazione, un autentico specialista della materia, Ivan Zuccon, che di Lovecraft ha trasposto diverse storie. Partito con L’altrove, un corto indipendente nel 1998, in seguito grazie a dei finanziamenti americani esteso a lungometraggio, che prendeva spunto da elementi narrativi contenuti in Storia del Necronomicon (1927) e in La dichiarazione di Randolph Carter (1919) per narrare una vicenda originale, ha alzato il tiro con il successivo La casa sfuggita (2003) che riprende il titolo del racconto The Shunned House (1924), ma in realtà combina assieme a questo altre due storie, La musica di Erich Zann (1925 e La casa stregata (1933) tenendo tutto assieme nell’unica cornice di un casolare del Polesine al cui interno con continui salti temporali si intrecciano le tre storie. Nel 2008 il cineasta piemontese ha poi fornita la sua versione del pluriadattato Il colore venuto dallo spazio, dando anche in questo caso un’ambientazione italiana, un mezzo passo falso secondo Gargano, riscattato però dalla più recente fatica di Zuccon, Herbert West Re-Animator (2017). È un altro dei racconti tra i più ripresi e/o citati di Lovecraft, nel quale Zuccon mostra di aver “interiorizzato sapientemente l’essenza della narrativa di Lovecraft e l’ha restituita in modo originale e inedito senza citare banalmente e superficialmente Cthulhu e colleghi vari, ma cogliendone invece la loro valenza archetipica”, scrive Gargano.

L’ambientazione italiana delle storie di Lovecraft compiuta da Zuccon non è un caso isolato, e vale la pena fare un cenno anche a Road to Lovecraft, un mockumentary del 2005 girato da Roberto Leggio e Federico Grieco, che prende spunto dal ritrovamento di un manoscritto autografo di Lovecraft provante la sua presenza in Italia nel 1926. A fornire consistenza alla veridicità dei fatti narrati vengono chiamati a testimoniare Carlo Lucarelli e Sebastiano Fusco, quest’ultimo storico cultore della materia lovecraftiana e autore del saggio introduttivo al libro di Gargano, Lovecraft: il cinema come specchio dell’anima. Una volta autenticato il documento proprio da Fusco, una troupe si avventura tra i paesini del delta del Po, alla ricerca di ulteriori conferme, venendo a conoscenza di strane storie chiamate “Racconti del Filò”, di una setta che ne coltiva il racconto orale e di un ragazzo scomparso anni prima mentre indagava su tutto ciò. Un omaggio riuscito che riesce senza particolari sforzi a intrecciarsi con un altro celeberrimo racconto, La maschera di Innsmouth.
Intanto l’invasione continua. Non solo nelle sale cinematografiche o sulle piattaforme di streaming audiovisivo. Non soltanto con la pubblicazione di un enciclopedico tomo dedicato al cinema ispirato a e da Lovecraft… La musica è un altro territorio dove lo scrittore di Providence letteralmente impazza. L’ultima uscita discografica che lo vede protagonista si intitola Nyarlathotep and other tales of cosmic dread by H. P. Lovecraft e ne sono autori David Thrussell (voce), Flint Glass (musica) e HPL (testi). Lavoro ibrido, non un audiolibro e nemmeno un dark ambient, una tenebrosa mescolanza, per nulla rassicurante, sussurrato nel buio più o meno. Inutile dire che però la copertina raffigura Cthulhu e non Nyarlathotep, essendo il primo divenuto oramai il brand di punta del catalogo lovecraftiano. Fatto sta che l’orda oscura ha da tempo sbriciolato i confini entro i quali la cerchia degli amici dei seguaci e dei corrispondenti del maestro di Providence si trastullavano in un circuito chiuso e autoriferito.

Decenni, pardon, eoni dopo Wilson siamo di fronte a un vero assedio. Nessuna via di fuga pare concessa, forse soltanto una chance, se così si può chiamare, analoga a quella concessa da Sutter Cane all’altro protagonista del film, John Trent: andare al cinema, mangiare popcorn e iniziare a guardare. Prima poi, come capita a lui, ci (ri)vedremo proiettati sullo schermo, ingoiati dal quel buco nero chiamato Howard Phillips Lovecraft.
- David Thrussell, Flint Glass, Nyarlathotep and other tales of cosmic dread by H. P. Lovecraft, Anti-Zen, 2025.
- Erik Davis, Richiamare Cthulhu. Il realismo magico di Lovecraft in Codici nomadi. Volume 1. Avventure nell’esoteria moderna, Ipermedium Libri, S. Maria C.V, 2013.
- Gilles Deleuze, Félix Guattari, Millepiani. Capitalismo e schizofrenia, Orthotes, Napoli, 2017.
- Michel Houellebecq, H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita, Wudz, Milano, 2024.
- Howard Phillips Lovecraft, Tutti i racconti, Mondadori, Milano, 2017.
- Giorgio Manganelli, La città blasfema in La letteratura come menzogna, Adelphi, Milano, 2004.
- Edmund Wilson, Classics and Commercials: A Literary Chronicle of the Forties, Farrar, Straus and Giroux, NY, USA, 1999.

