L’organismo perfetto?
Cresce “Raised by Aliens”

Aaron Guzikowski (ideatore)
Raised by Wolves
Prima stagione

Dieci episodi
Cast principale: Amanda Collin,
Abubakar Salim, Travis Fimmel,
Niamh Algar
Produzione: Film Afrika,
Lit Entertainment,
Shadycat Productions,
Scott Free Productions
Distribuzione: HBO Max, 2020
Distribuzione in Italia:
Sky Atlantic, 2021

Aaron Guzikowski (ideatore)
Raised by Wolves
Prima stagione

Dieci episodi
Cast principale: Amanda Collin,
Abubakar Salim, Travis Fimmel,
Niamh Algar
Produzione: Film Afrika,
Lit Entertainment,
Shadycat Productions,
Scott Free Productions
Distribuzione: HBO Max, 2020
Distribuzione in Italia:
Sky Atlantic, 2021


Ideata da Aaron Guzikowski, Raised by Wolves è una serie televisiva HBO fortemente segnata dal tocco di Ridley Scott, che produce e si concede anche la regia dei primi due episodi. Gli umani cercano una via tra le stelle, abbandonando la Terra ormai consumata dalle guerre. I mitraici, fazione politica ferventemente religiosa e guerrafondaia, costruiscono una gigantesca astronave chiamata Arca. Anche la fazione degli eretici ateisti, sconfitta e allo sbando, non rinuncia alla possibilità di far sopravvivere la loro visione. La piccola astronave atea sembra un semino quando entra nell’atmosfera e atterra su Kepler-22b.

Il vascello è un vero e proprio kit per la propagazione della specie umana e comprende due robot tuttofare e un set di embrioni congelati da far nascere e allevare una volta a destinazione. La ginoide Madre e l’androide Padre si dividono i compiti per far funzionare il piccolo accampamento isolato in una landa ostile. La colonia atea deve ben presto fronteggiare l’arrivo dei mitraici.

L’organismo perfetto
Solo in parte un racconto sui robot e sulla civilizzazione delle intelligenze artificiali che ci aspetta. È soprattutto una ricerca di quello che l’androide Ash  in Alien chiama “organismo perfetto”.

“Ash: – Ancora non hai capito con che cosa hai a che fare, vero? Un organismo perfetto. La sua perfezione strutturale è pari solo alla sua ostilità.
Lambert: – Tu lo ammiri.
Ash: – Ammiro la sua purezza. Un superstite… non offuscato da coscienza, rimorsi, o illusioni di moralità”.

Lo xenomorfo è una sintesi plastica delle più letali caratteristiche messe in produzione dalla natura nei corpi dei viventi biologici. Scott ci ha provato a lasciarlo andare ma alla fine si torna sempre tra quelle fauci bavose e pericolosissime. In Raised by Wolves lo spirito dello xenomorfo aleggia in quelle forze di una natura insensibile alle istanze di qualunque soggettività. Non più “equipaggi sacrificabili” ma ultime propaggini della specie umana gettate in un bioma ostile.

Nel corso della saga di Alien si era già evidenziato lo speciale legame tra preda e predatore ovvero tra Ellen Ripley e lo xenomorfo. A causa della lotta per la sopravvivenza i due personaggi si scambiano di posto, condividono sentimenti materni, si prestano persino sequenze di dna. Un fruttuoso sodalizio narrativo in cui i sintetici come Ash, Bishop e David 8 rivestono un ruolo defilato ma non certo marginale nella fecondazione del mito. Lo xenomorfo diventa mito quando si fa intrinsecamente polisemico e rimanda a dimensioni simboliche che si autoalimentano prendendo poi rotte spesso imprevedibili a distanza di decenni. Tutte le suggestioni del fenomeno vengono raccolte e in qualche modo spiegate nella ricerca del robot David 8, violentemente interessato al miracolo della creazione e alla fase dell’imprinting.

Madre, animale e robot insieme
Nella ricerca dell’organismo perfetto, Madre si candida a essere la regina assoluta, grazie anche alla straordinaria interpretazione dell’attrice danese Amanda Collin, il robot chiamato Madre che è al tempo stesso preda e predatore, Ripley e xenomorfo, feroce nel difendere la vita arrivando a procurarsi ciò che serve a qualsiasi costo, ma anche efficiente nel valutare la strategia più produttiva. Potente macchina da guerra ma anche genitore dotato di un certo raggio d’azione empatico da utilizzare in tempo di pace. Madre ha qualcosa in più rispetto alla letalità dello xenomorfo, in particolare la capacità di dare la vita.
Kepler-22b è il luogo della metamorfosi dell’umano, dei corpi posseduti e ibridati tra elementi sintetici e organici, del miscuglio tra sangue rosso e latte bianco che pulsa nelle vene dei sintetici. Kepler è il teatro di un processo di rinegoziazione dell’umano che ingloba sia l’alterità animale che quella macchinica. In particolare nel legame affettivo che si crea nella relazione tra i bambini e i robot si rinnova la questione filosofica e psicosociale di una relazione tra l’uomo e i suoi artefatti, ma anche tra l’uomo e le altre creature biologiche con cui divide l’ecosistema.

Secoli di repertorio favolistico hanno dimostrato come le presenze animali siano funzionali a un’espressività co-senziente, in un percorso di reciproca mimesi. Questa narrativa della biodiversità rimanda al concetto di “operatore epistemologico” ovvero alla proposizione di “modelli, variazioni tematiche, possibilità esistenziali” tramite l’alterità animale (cfr. Marchesini, 2002).
Il rapporto millenario con il cane come specchio (cfr. Haraway, Marchesini, 2003) e migliore amico dell’uomo viene rievocato in migliaia di classici della narrativa infantile. La sponda animale ha funzionato e continua a funzionare. Ma con lo xenomorfo di Alien, irrompono anche sul piano audiovisivo (e quindi in un immaginario più immersivo e pervasivo) quegli inquietanti operatori epistemologici di cui parla Marchesini. La bestia di Ridley Scott, metà macchina da guerra e metà animale, ideologicamente ed emotivamente neutrale, rilancia la fascinazione per l’eterospecifico contaminando il discorso sulle macchine con numerosi riferimenti al versante animale.

Si veda l’immagine del volto di Madre coperto di sangue: una macchina che è anche lupo reso feroce dalla fame. Lo slittamento verso il postumano è rilevabile non solo nella relazione tra l’uomo e la tecnica, ma anche nelle connessioni tra la tecnica e l’animalità culminante nel sorprendente parto di Madre nel finale della prima stagione.

Ma gli androidi possono dare di matto?
A distanza di decenni i semi piantati nell’immaginario dalla micidiale creatura di Alien producono ancora urgenze narrative post-umane che travalicano i confini hollywoodiani. Film come il recente Sputnik (2020) di Egor Abramenko in cui l’equipaggio di una navicella spaziale torna sulla Terra ospitando un misterioso parassita che si rivela un predatore famelico e spietato. Come lo xenomorfo di Scott, anche nel film russo si vede la necessità biologica di un corpo caldo che funga da incubatore.
Il corpo dell’astronauta incarna l’interfaccia comunicativa ma anche il polo di una dialettica tra uomo e alterità. Con Alien e Raised by Wolves, Sputnik ha in comune un dna orrorifico che non serve solo a coltivare la suspense ma anche a ricordarci che l’universo degli elementi fisici è sempre lì fuori, freddo e insensibile nel far valere le leggi della termodinamica e delle catene alimentari. Le traiettorie di questo universo possono essere molteplici e non necessariamente limitate alla sopraffazione fisica: si procede anche per via telepatica.

In più punti di Raised by Wolves ritroviamo la necessità di istituire una dialettica con l’invisibile. Nelle voci di Sol che guidano i mitraici ma anche nei viaggi di Madre nel simulatore. La ginoide si apre alle possibilità e all’invisibile quando segue una misteriosa creatura incappucciata che la conduce ai rottami dell’arca mitraica. In particolare il richiamo conduce a un dispositivo tramite il quale il robot si collega ad una realtà virtuale che consente di “sognare” parti considerate inaccessibili della sua stessa memoria. Processo di autodiagnostica lucidamente previsto dal creatore o sofisticato sistema per manipolare la coscienza? Le tecnologie per comunicare sono in grado di giocare con il desiderio di tutti i viventi, sintetici o organici. Nel vivente artificiale si intravede dunque uno slancio a trascendere i propri limiti. Così la narrativa sui robot si apre alla complessità del contemporaneo e a proficui twist in una sceneggiatura che si mantiene sempre imprevedibile. In effetti Madre si presenta spesso come il classico robot che dà di matto. Il recente I am REN (2019), film diretto dal polacco Piotr Ryczko, ha investigato sulle dinamiche psicosociali di una madre robot che presenta malfunzionamenti. Lo spettatore è invitato ad apprezzare se e dove esistono differenze filosofiche tra bug ed errore umano. Bisogna reinstallare l’intero sistema operativo? La questione è aperta dai tempi del kubrickiano Hal 9000.

Nel caso di I Am REN, la protagonista Renata potrebbe essere una donna in carne e ossa che, travolta dalla schizofrenia, si rifugia in una realtà allucinatoria in cui si convince di essere un robot dopo aver introiettato uno spot pubblicitario visto in tv. Analogamente Madre sembra scossa quando vengono a galla le memorie innestate dal creatore, cosa che risulta dal suo comportamento insolito notato da Padre. Non è dato sapere quanto ci possa essere di allucinatorio nei viaggi con il simulatore. Il rapporto con la memoria si conferma comunque uno snodo cruciale in qualsiasi discorso sull’identità.
La presenza di memorie latenti nei cervelli sintetici è un’eredità della letteratura di Philip K. Dick, passata per il potenziale polisemico di Blade Runner e del suo angelo-demone Roy Batty, giunta fino al discorso identitario proposto dalla serie tv Westworld.
Le proposte della fantascienza nel definire la coscienza dei robot sembrano rimandare alla teorizzazione di un “inconscio artificiale” (cfr. Piga Bruni, Presutti, 2019). La macchina che va fuori di testa o il computer che mostra interesse nel ricostruire la propria memoria implicano l’idea che la tecnologia stia cercando di riprodurre caratteristiche proprie di una mente biologica. Sarà dunque questo il destino delle intelligenze artificiali? Replicare gli umani in tutto?

Genesi, destino e spinta ideologica
Nella fantascienza il destino degli umani è spesso la fuga dalla Terra per colonizzare le stelle. Qualcosa del genere lo si vede in The Expanse con la gigantesca astronave costruita dai mormoni, per portare la parola di Dio su Proxima Centauri. L’impronta religiosa serve a rimarcare un paradosso: la nostra civilizzazione non produce più grandi narrazioni e non sembra più in grado di affrontare progetti multigenerazionali (come per esempio ridurre le emissioni inquinanti) bloccata com’è dal respiro corto delle logiche capitaliste.

Ma Raised by Wolves introduce una variazione interessante allo slancio para-religioso: i robot Madre e Padre sono programmati per essere atei e per trasmettere i valori dell’ateismo e dell’inclusività universale. Una possibile via di sopravvivenza dei sogni e delle aspirazioni umane grazie ai robot e a tutti gli altri badanti della nostra specie nel solco della scimmia Kala che alleva Tarzan o della lupa che allatta Romolo e Remo. L’ateismo cosmonautico di Madre è uno slancio verso la vita che accoglie l’invisibile senza pregiudizi, sia come pericolo sia come opportunità.

Letture
  • Donna J. Haraway, Roberto Marchesini, Compagni di specie. Affinità e diversità tra esseri umani e cani, Sansoni, Firenze, 2003.
  • Roberto Marchesini, Post-human. Verso  nuovi  modelli  di  esistenza,  Bollati  Boringhieri, Torino, 2002.
  • Emanuela Piga Bruni, Cristiano Presutti, L’umano nell’epoca della riproducibilità tecnica: l’inconscio artificiale nella fantascienza, in Between, Vol. 10, n. 17, Maggio 2019.
Visioni
  • Egor Abramenko, Sputnik, Shout factory, 2020 (home video).
  • Piotr Ryczko, I am REN, MYmovies.it, 2019 (streaming).
  • Ridley Scott, Alien, 20th Century Fox/Disney, 2011 (home video).
  • Ridley Scott, Blade Runner, Warner, 2011 (home video).