“Spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano”
(Foucault, 2016).
Un confinamento per crisi biologica consente a chiunque di sperimentare l’eterotopia come intesa da Michel Foucault. Si è isolati in casa ma resta la contiguità con l’esterno. Le notizie sull’epidemia affluiscono da giornali, tv, web. Tempi e spazi vissuti fino a ieri come la normalità ora vengono contestati, ridefiniti, rivissuti come in una simulazione videoludica. Tra i media elettronici è forse proprio il videogioco quello che offre la finestra cognitiva sul mondo esterno più complessa e più affine a una tale cesura eterotopica. Specie nei gestionali e negli strategici, il giocatore dispone di formidabili strumenti di controllo del flusso spazio-temporale. Mossa e contromossa fermano tutto e a seconda della contiguità percepita dallo spettatore-giocatore rispetto al proprio reale possiamo avere tanti portali per l’accesso all’eterotopia foucaultiana.
Simulazioni che rovesciano la soggettività antropomorfa
I luoghi virtuali possono essere interessanti interstizi eterotopici che scombussolano il quotidiano e permettono di esperire l’alterità e la trasgressione dalla norma. Così è nato il simulatore di pandemia Plague Inc.: un giochino per cellulari tramite il quale distruggere e ri-distruggere l’umanità durante le lunghe attese per un affollatissimo mezzo di trasporto pubblico. L’umorismo nero concepito dal game designer James Vaughan si spinge fino a capovolgere radicalmente la soggettiva antropocentrica: il giocatore deve spazzare via la scomoda e inquinante presenza umana configurando un patogeno dalla nascita fino alle mutazioni più sofisticate. Facendo attenzione alla gestione di un certo budget in punti DNA.
Dal 2012 Plague Inc. sta dimostrando (le vendite si sono rianimate parallelamente all’emergenza Covid-19) che il pubblico videoludico (ormai mainstream in quanto a popolosità e fatturati) usa i videogiochi per formarsi e informarsi. Successo sorprendente visto che non ci sono concessioni all’estetica o allo storytelling: c’è una rappresentazione puntiforme dei focolai di contagio sul planisfero e poi un florilegio di grafici e tabelle che raccontano con i numeri ciò che accade.
In effetti per solleticare la fantasia del pubblico, nel corso degli anni, la Ndemic Creations ha dovuto elaborare diverse varianti che introducono pezzi di immaginario per puntellare un gameplay a dir poco banale. Il virus Necroa trasforma gli umani in zombie aumentando di moltissimo il parametro “contagiosità” e stravolgendo il concetto di cura che viene sostituito dalla produzione di milizie armate per lo sterminio dei morti viventi.
Il “virus delle scimmie” viene dalla partnership con la 20th Century Fox e rilancia il plot del film Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie (Matt Reeves, 2014) in cui il virus ALZ-113, progettato per curare l’Alzheimer, si rivela mortale per l’uomo e amplificatore d’intelligenza per le scimmie. Il giocatore deve ovviamente aiutare le scimmie a consolidare la loro civilizzazione sterminando gli umani. Cambiano le etichette ma non la semplicità del gioco. Forse è proprio questa la chiave del successo. Curioso il confronto tra le vite parallele di Plague Inc. e del saggio Spillover di David Quammen (2017): se il primo si è rivelato un valido strumento di didattica scientifica travestito da videogioco di successo, il secondo è un libro di successo che mimetizza in una scrittura non accademica e molto discorsiva saperi epidemiologici complessi.
Voglia di war room
La semplicità di una plancia dalla quale è possibile tenere in un colpo d’occhio tutta la situazione globale deve molto a film come Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick, in cui la war room riveste un ruolo fondamentale. Per la sua satira dark sulla fine del mondo, Kubrick sceglie una scenografia grandiosa per comunicare l’idea di un vero e proprio cerimoniale in cui le varie facce dell’essere umano (quasi tutte interpretate da Peter Sellers) fanno un ultimo giro di giostra prima della giusta Apocalisse termonucleare. Al centro un gigantesco tavolo da poker su cui i vertici delle potenze militari giocano al gioco della deterrenza: un azzardo, una lucida follia calcolata per far finire la partita sempre in pareggio. E poi le scacchiere: mappe alte dieci metri, piene di luci, con i perimetri continentali ma senza dettagliare frontiere o città. Il gioco di mosse e contromosse ruota intorno alla suspense delle freccine luminose: ognuna è un bombardiere atomico che segue la sua traiettoria da oriente verso i puntini atlantici. Proprio come le linee aeree che in Plague Inc. che mostrano il contagio spostarsi da un continente all’altro a bordo di aerei inconsapevolmente infetti. Il ritmo dell’occhio kubrickiano tra il solenne anfiteatro e le gag demenziali di cui sono protagonisti i potenti definisce un surreale bilico tra terrore e comicità che ha fatto la storia del cinema. Ritroviamo le stesse lucine in movimento in quasi tutte le successive narrazioni audiovisive sugli attimi che preludono una terza guerra mondiale.
Tra queste vale la pena di ricordare Wargames (John Badham, 1983) che riesce ad essere drammatico ed esilarante pur essendo ambientato quasi per intero in una claustrofobica stazione militare. Anche se lontano dal sublime bilico kubrickiano, il film di Badham fa il suo sporco lavoro nel proporre un’incalzante altalena dramma/commedia tramite la quale rilanciare quella paradossale consonanza gioco/guerra intuita da Kubrick e urlata al mondo dal folle Stranamore, reperto nazifascista.
La war room del NORAD in Wargames divora tutto lo spazio della percezione. Qui la suspense ha un’origine semplice ma irresistibile: i bombardamenti termonucleari mostrati sul display sono veri o simulati? Di colpo vengono presentate al pubblico del 1983 due scomode verità ancora oggi non del tutto accettate: 1) le sfide di un mondo sempre più complesso non sono più gestibili senza i computer; 2) in un mondo visto dal computer non c’è una grossa differenza tra una simulazione bellica e un videogioco. I monitor a fosforo verde di Wargames sono dunque il presagio di una rivoluzione informatica che rende sempre più problematica agli occhi degli umani la distinzione tra diversi piani del reale.
La geolocalizzazione e il tracciamento positivista
Con la sua Actor-Network Theory, Bruno Latour propone di inquadrare ogni fatto sociale e ogni oggetto scientifico come il prodotto di un’intricata rete di relazioni che non riguarda solo gli umani (cfr. Latour. 2005). Un lavoro di assemblaggio di tracce più facile dopo una catastrofe: relazioni e modalità scontate fino a ieri vengono evidenziate per poterle ricostruire o eventualmente modificare (cfr. Latour, 1991). Ma il progresso tecnologico e le fluttuazioni nella mobilità sociale potrebbero rendere sfocato il contorno delle cose da tracciare. Le reti digitali tendono a conservare una traccia di tutto ciò che è “visibile”. Ma cosa è davvero significativo? Sulle prime il tracciamento digitale sembra esaltare un tipo di osservazione positivista e newtoniana. La crescente facilità dei viaggi intercontinentali amplifica la sensazione di controllo sullo spazio-tempo. Ma l’attraversamento elettronico delle località definisce un nuovo tipo di situazione sociale che non è più esclusivamente fisica e presenziale (cfr. Meyrowitz, 1995). Per capire le relazioni che uniscono due punti lontani sulla cartina non bastano le scienze fisiche (e in parte nemmeno quelle sociali) che catturano solo una parte della complessità dell’esistente.
Cosa non si vede con la geolocalizzazione
Per Massimo Di Felice le reti digitali hanno un ruolo fondamentale nel co-creare la realtà (e con essa le tracce da conservare). I computer definiscono una nuova materialità che, invece di essere tangibile solo fisicamente, si presenta come connettiva, nel senso che è capace di entrare in rapporti di influenze reciproche con tutte le altre materialità. Scrive Di Felice:
“Il passaggio ad una materialità informativa che sostituisce l’oggetto e il mondo proponendo il passaggio dalla cosa-materia all’evento informativo, ci conduce ad una prospettiva non più ontologica, naturale o puramente materiale, dell’ecologia propria, come visto, della tradizione filosofica occidentale”
(Di Felice, 2017).
Le soggettività non umane entrano nel convivio sociale e sono capaci di influenzare scelte e politiche di governi, imprese e cittadini. Le istanze del patogeno protagonista di Plague Inc. fanno allargare la visuale a una società che non è più un mero insieme di individui riuniti da contratti. Il videogioco ci mostra all’opera attanti umani e non umani: ci sono i batteri e i virus ma anche gli animali (possibili vettori di salto interspecie del contagio) e le macchine che registrano dati e spostamenti. Solo non si vede come cambia la mentalità degli umani di fronte a tutto ciò. Si impone un pensiero più complesso sull’idea di società. In Plague Inc. ogni macchiolina rosso-sangue sulla mappa è un nascente focolaio. Puntini figli di quella cultura della simulazione in cui gli strumenti dell’informatica esigono l’annullamento del corpo, la sua sparizione, erodendo la significatività dei classici riferimenti di spazio e tempo.
Così come una quarantena (o una prigionia) spezza il rapporto con il continuum convenzionale, una simulazione-narrazione arriva a iconizzare eventi complessi o stadi evolutivi. Processi decennali o addirittura secolari compressi in una manciata di ore. L’umanità sta completando quella conversione integrale da cellule a bit, da atomi a informazioni, cominciata da tempo. Ma la digitalizzazione di ogni cosa significa anche produrre nuovi modi di esperire e comunicare il tempo e la sua relazione con lo spazio fisico e sociale. Simulazioni, narrazioni e tracciamenti digitali: un carosello di reali empirici o futuribili, più o meno plausibili. Tutti colti tramite un’inquadratura cronologica dall’apertura variabile. E il tempo della macchina che sta assumendo i comandi dell’umano risulta sempre fuori sincrono rispetto a quello tradizionalmente percepito dagli umani
- Massimo Di Felice, Net-attivismo, Edizioni Estemporanee, Roma, 2017.
- Michel Foucault, Utopie Eterotopie, Cronopio, Napoli, 2016.
- Bruno Latour, I microbi, Editori riuniti, Roma, 1991.
- Bruno Latour, Reassembling the Social: An Introduction to Actor-Network Theory, Oxford University Press, New York, 2005.
- Joshua Meyrowitz, Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale, Baskerville, Bologna, 1995.
- David Quammen, Spillover. L’evoluzione delle pandemie, Adelphi, Milano, 2017.
- John Badham, Wargames – Giochi di guerra, 20th Century Fox – Disney, 2000 (home video).
- Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore, Universal, 2009 (home video).
- Matt Reeves, Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie, 20th Century Fox – Disney, 2014 (home video).
- James Vaughan, Plague Inc., Sviluppo e Distribuzione: Ndemic Creations (Regno Unito), 2012.