MALESSERE DELL'ARTE E INTERVENTI D'URGENZA

a cura di Antonello Tolve e Eugenio Viola

05. LA CULTURA VERDE,
UNA PRATICA
DA COLTIVARE

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di Claudio Cravero

 

Il contesto ecologico italiano, contrariamente anche solo alle recenti posizioni politiche nei confronti del nucleare emerse durante il periodo referendario, sta attraversando un momento di particolare sensibilizzazione. Al di là, però, di iniziative legate a eventuali “buone pratiche” di amministrazioni locali, l’attenzione ecologica è ben lontana dall’essere considerata responsabile. E, in ogni caso, è decisamente al di sotto della media europea. Dall’altro lato, tuttavia, lo scenario artistico italiano – sensibile come altre aree – sembra essersi avvicinato nuovamente alle problematiche ecologiche all’inizio del nuovo millennio, e in un certo senso, parallelamente alla legittimazione delle pratiche relazionali che ha messo in campo, a vero e proprio medium più che fine. E non solo in modo passivo, dunque con esposizioni e mostre tematiche (tra queste Greenwashing, 2008, presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino e Green Platform, 2009, al CCCS di Firenze), ma anche in modo attivo attraverso progetti che, per certi versi, rientrano nell’ordine di una sorta di militanza ambientalista.
Le pratiche dell’arte ambientale che si svilupparono a partire dagli anni Settanta negli Stati Uniti, intese come esperienza creativa nell’ambito dell’arte concettuale, hanno sempre rivendicato il rinnovato rapporto uomo-natura fondendosi spesso con i grandi movimenti ecologisti. L’Arte ambientale, dai segni o land marks nel paesaggio (Robert Smithson, Walter De Maria, Richard Long, Hamish Fulton, Christo), diventa militante interrogandosi sul destino del pianeta e facendosi portavoce di istanze ecologiste. Tra le pratiche messe in opera dagli esponenti di quest’area, l’urgenza relazionale del poliedrico e messianico Joseph Beuys costituisce senza dubbio l’eredità di numerosi artisti impegnati oggi nell’arte del vivente (considerata un’evoluzione naturale della Land Art), con una forte presa di coscienza sull’influenza della scienza nella società e con tutti i timori e le ansie che queste stesse pratiche sollevano per la salvaguardia, ad esempio, delle biodiversità.

 

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Negli ultimi anni si sta assistendo a un ritorno sempre più forte a prassi, in un certo senso elementari, del tradizionale saper fare “agricolo”. Gli artisti recuperano usi e credenze che spesso sono caratterizzati dall’essere local, trasformandole in operazioni relazionali dove l’estetica è nel processo e nell’esperienza, più che nel risultato formale. Il rapporto arte-ambiente sembra così aver ritrovato un suo equilibrio attraverso l’antropologia e la riscoperta della cultura materiale aggiornata con mezzi tecnologici. Si tratta dunque di un equilibro in qualche modo filtrato che, nel bene e nel male, ha generato nel suo affermarsi una positiva attitudine a livello sociale e comportamentale: ad esempio nella creazione prolifica di aree verdi nei centri urbani destinate a “prato fiorito” o al cosiddetto incolto (con il conseguente risparmio nella manutenzione del verde orizzontale), o che ha portato alla creazione di sezioni di verde pensile dietro ai cartelloni pubblicitari stradali al fine di ridurre i danni ingenerati dalle emissioni di carbonio provocate dal traffico, segnando inoltre il trend dei giardini verticali di cui il francese Patrick Blanc è maestro; oppure i giardini clandestini che, secondo lo slogan Libera il giardiniere che è in te del movimento americano Guerrilla Gardening, nascono con lo scopo di abbellire il mondo attraverso una sorta di riforestazione urbana. La nuova visione ecologica urbana – che sull’onda del generale green thinking ha diffuso capillarmente l’idea dei community gardens, jardins partagés e orti urbani in una tendenza per certi versi radical-chic – è però significativa nello sviluppo di alcune pratiche artistiche, poiché per molti artisti ripartire dalla terra vuol dire individuare le basi, semplici e antiche, per una comprensione più profonda dei fenomeni naturali: un ritorno a ciò che è essenziale per una coscienza ecologica autentica.

 

Nel 2006 il cremonese Ettore Favini, nell’ambito della seconda edizione del Premio Artegiovane, presso la Cascina Falchera (Centro per l’Educazione all’Agricoltura di Torino) ha realizzato Verdecuratoda. Il titolo è già in sé tautologico rispetto alla cura, perché “prendersi cura di qualcosa” – come un giardino di specie da frutto autoctone del Piemonte – rappresenta il primo gesto d’amore verso l’Altro. Verdecuratoda è in ogni caso un progetto pensato per rotatorie, giardini rionali e inutilizzati, spazi per i quali la riqualificazione consiste nella semplice messa a dimora di piante secondo principi d’indipendenza e autosostenibilità.
Nella cornice del PAV, il Parco Arte Vivente di Torino ideato da Piero Gilardi, nel 2009 prendono invece forma due diverse tipologie di orto. Nell’ambito del progetto Village Green si è palesata la volontà di creare una sorta di République verte per gli artisti, dove il francese Michel Blazy e la coppia torinese Andrea Caretto e Raffaella Spagna hanno esplorato le particolarità e le caratteristiche del suolo. Blazy ha costruito una sorta di “cimitero” di abeti dismessi dal Natale che, spogli e senza radici, sono diventati i tutori per la crescita di piante di pomodoro. Piantati nel mese di marzo con un’azione collettiva di workshop nell’ambito delle Attività Educative e Formative del PAV (Le Jour de Yule), i pomodori si sono arrampicati lungo gli alberi nudi decorandoli nei mesi estivi. Ad agosto (il titolo dell’intervento era infatti Noël en août), una cerimonia collettiva, o meglio una “bruschettata”, ha chiuso il progetto riflettendo sulla rigenerazione della natura e i suoi cicli vitali, anche lontani dal Natale consumistico. Caretto e Spagna hanno invece realizzato Pedogenesis (dal greco “origine e formazione del suolo”), un progetto che consiste in un lembo di terra ricavato dalla sezione di una serra agricola rovesciata e destinato a coltivazione orticola. In una dimensione a metà tra pubblico e privato, l’orto è stato assegnato attraverso un bando a un gruppo di cittadini che attualmente lo ha in gestione. Accanto all’Orto-Arca, è il Trasmutatore di Sostanza Organica, un contenitore per la raccolta dei rifiuti organici che, settimanalmente, un gruppo di abitanti del quartiere consegna ritirando in cambio un sacchetto di cereali e legumi; materiale organico che ritornerà alla terra.

 

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In una sorta di ecologia della mente – per citare il pensiero di Félix Guattari (1991) – sembra infine collocarsi Jardin Mandala, intervento realizzato nel 2010 dal teorico-paesaggista francese Gilles Clément. Si tratta di un giardino di circa 500 metri quadri sul tetto verde del PAV che trae origine dalla forma circolare dei mandala buddisti e induisti. Però, al posto della sabbia e dei pigmenti colorati – lasciati alla trasformazione casuale operata dal vento – Clément ha disegnato il giardino attraverso la messa a dimora di piante succulente (Sedum, Euphorbia, Stipa e Crocosmia). Sono specie che resistono normalmente ai climi secchi e che, riflettendo su uno dei problemi globali come la scarsità delle risorse idriche, rappresentano la sintesi della perfezione e transitorietà della bellezza della natura secondo il principio del Jardin en mouvement.
L’orto e il giardino, ognuno portatore di un proprio messaggio all’interno di una precisa forma, sembrano in un certo senso rappresentare l’estensione contemporanea della dicotomia Natura e Cultura, rispettivamente immaginate come spazio selvaggio e luogo coltivato. Quando si affronta il rapporto tra natura e cultura, infatti, si presuppone in generale uno schema più o meno esplicitamente antitetico, due poli opposti tra i quali stabilire un’esclusione o anche un rapporto. In realtà, alle radici della nostra cultura vi è proprio la figura originaria dell’orto di Eden a presentare le due entità inscindibilmente unite ab origine. La figura dell’orto, che compare all’inizio del Libro della Genesi nella Bibbia, riporta all’immagine tipica del paradiso, ma è un giardino coltivato fin dall’origine e in un duplice senso: esso è seminato da Dio per essere coltivato dall’uomo (Il Signore prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse; Genesi 2,15). Cosa può però significare l’espressione coltivarlo e custodirlo se non che, oltre al cielo, dunque all’acqua, sia anche necessario l’uomo coltivatore, ossia l’uomo della cultura?
Ecco allora gli artisti che, lontani dall’etichetta eco-art, ma solo attraverso i loro interventi, costituiscono la continuità per l’uomo tra coltura della natura ambientale e cultura della propria natura. Interiore.

 


 

LETTURE

× AA.VV., Dalla Land Art alla Bioarte, Hopefulmonster, Torino, 2007.

× Bonito Oliva Rossella e Cantillo Giuseppe (a cura di), Natura e cultura, Guida Editore, Napoli, 2000.

× Guattari Félix, Le tre ecologie, Sonda, Casale Monferrato (Al) , 1991.