MALESSERE DELL'ARTE E INTERVENTI D'URGENZA

a cura di Antonello Tolve e Eugenio Viola

03. BIENNALIZZATO,
DUNQUE GLOBALIZZATO,
QUINDI OMOLOGATO

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di Eugenia Battisti

 

Secondo alcuni esperti, le recenti esposizioni periodiche d’arte contemporanea presentano molti caratteri in comune. La ricorrente presenza, in esse, degli stessi artisti, che in gruppo si spostano seguendo il curatore di spicco, è l’aspetto principale di un fenomeno che, oggi più che mai, sta portando verso una ragguardevole omologazione di tali eventi. Le cause di questo fenomeno sono da ascriversi alla ripetuta nomina di alcuni curatori che appaiono nelle diverse Biennali o Triennali, fatte ultimamente a livello mondiale. Le esposizioni periodiche costituiscono, di fatto, il trampolino per una carriera da curatore di fama internazionale. Aspre critiche si sono scagliate contro questa nuova figura. Si va constatando come sia più incisivo il suo ruolo sul giudizio di una mostra, piuttosto che l’apprezzamento generale del valore contenutistico ed estetico delle opere in essa presenti. In questo meccanismo, vediamo il ruolo della critica sopperire alla prassi curatoriale.

 

Yang MaoyuanYang Maoyuan

 

Sarà bene quindi passare ad un’analisi storica delle metodologie curatoriali applicate nelle esposizioni periodiche dell’ultimo decennio. Cominciamo da Harald Szeemann. Il curatore svizzero raggiunge il culmine della sua carriera negli anni Settanta. Dopo il successo di When Attitudes Become Form (1969), è al lavoro per Documenta cinque (1972). Le novità del criterio szeemanniano che hanno contribuito alla definizione di una nuova figura di curatore, possono essere sinteticamente elencate come segue: 

1. allontanare l’esposizione dall’essere un contenitore di stampo museale, quindi puntare su un allestimento a-storico, col fine di accentuare le affinità estetiche tra i lavori esposti; 

2. dare all’esposizione un carattere dinamico e non statico: lo spazio è concepito come un susseguirsi di avvenimenti; 

3. favorire gli artisti a contribuire con lavori site-specific, lasciando loro la possibilità di ridefinire lo spazio, con una buona dose d’imprevedibilità nei risultati finali dell’esposizione; 

4. optare per un’esposizione incentrata su una tematica centrale.

In sostanza Szeemann ha avuto la capacità di dare una risposta all’incessante ricerca di tipologie spaziali alternative a quelle museali. In seguito egli diffonderà la sua prassi curatoriale a livello internazionale. Nel 1997 curerà la Biennale di Lione, nel 1999 e nel 2001 due Biennali veneziane e nel 2004 la Biennale di Siviglia. Lasciato un segno indelebile, scomparso dalla scena, vediamo succedere, alla carica di curatore mondiale, un’altra figura chiave: Hans Ulrich Obrist. Un raffronto tra i due curatori sarà utile a comprendere le analogie e le differenze tra due metodologie ed a meglio definire gli sviluppi verificatisi, negli ultimi anni, nella realizzazione di esposizioni periodiche. Dal 1991 al 2009, Obrist cura otto esposizioni periodiche e collabora in progetti collaterali di altre, arrivando a totalizzare undici esposizioni periodiche. Per la sua omni-presenza, è stato battezzato curatore “globe-trotter”. Gli eventi trattati, accogliendo un numero elevato di artisti in una vastità spaziale da strutturare in tempi ristretti, impossibilitano una cura personale. Obrist ha realizzato un numero elevato di esposizioni periodiche grazie al lavoro collettivo tra più curatori. Il suo trionfo ci porta a comprendere come la figura di “curatore solista”, incarnata da Szeemann, sia inadeguata a soddisfare le esigenti richieste del pubblico dell’arte contemporanea. L’esposizione periodica che, avvenuta poco dopo la morte di Szeemann, ha voluto mettere in questione il ruolo del “curatore solista” è la Biennale di Lione del 2007, curata da Hans Ulrich Obrist e Stéphanie Moisdon. I due decidono di basare il progetto curatoriale su una strategia di gioco che coinvolge sessanta curatori, provenienti da tutto il mondo, e un gruppo di artisti.

Non ignaro dello svilupparsi di un dibattito mondiale relativo alle dinamiche che coinvolgono le esposizioni periodiche, Obrist, in questa biennale, ha inteso porre i curatori sullo stesso piano degli artisti. Rispetto alle esposizioni precedenti, la struttura del “caso Lione”, risulta innovativa e singolare per la capacità di superare l’imposizione di un unico punto di vista, dettato dalla presenza di un solo curatore. La volontà di allargare il singolo sguardo ad un’equipe e di creare dei margini d’indefinibilità del progetto, può considerarsi la soluzione alla questione, legata all’egemonia curatoriale?

 

Pino PascaliMonika Sosnowska

 

Una riflessione sulle problematiche nate con la recente biennalizzazione (Sigolo, 2005) fa intravedere la risposta. Il binomio biennalizzazione e globalizzazione indica una congiunzione tra la crescita del numero delle esposizioni periodiche, nate prima nelle capitali occidentali e moltiplicatesi, in seguito, nei paesi in via di sviluppo, e l’espansione economica legata alla globalizzazione. L’asse di riferimento, in entrambi i casi, si sposta dall’area geografica nord occidentale per espandersi in quella orientale e meridionale del globo. Il curatore deve lavorare a livello globale spostandosi da un’esposizione all’altra nel giro di poco. Non avendo sufficiente tempo da dedicare all’approfondimento della cultura locale, rischia di non essere all’altezza del compito di rappresentare il territorio, che quella data esposizione, in quel luogo preciso, ospita. Come l’antropologo nella ricerca etnografica, egli si fa “osservatore partecipante”, così il curatore di esposizioni periodiche deve avvicinarsi alla nazione che, nominandolo, gli ha conferito l’onore di rappresentarla. Se non si raggiunge un’intesa con l’idea del contesto in cui si agisce, si verrà a creare un’esposizione che incarna il Non-luogo. Per questo, come l’antropologo, deve impegnarsi ad assumere uno sguardo anti-etnocentrico. Questo è il nodo cruciale che congiunge la Biennalizzazione al dibattito sulla dittatura curatoriale (Beatrice, 2010). La prassi curatoriale di Obrist è, a tale riguardo, indicativa. La frequente cadenza con cui realizza esposizioni periodiche in tutto il mondo lo spinge a collaborare con una cerchia di colleghi quali: Rosa Martínez, Hou Hanru, Daniel Birnbaum, Hubert Martin e Nicola Bourriaud. Dando uno sguardo alle esposizioni periodiche mondiali, ci accorgiamo che quasi la metà di esse, in particolare quelle di punta, sono curate da questi cinque-sei curatori occidentali, alimentando, in maniera palese, il prevalere di un’oligarchia di nomi. Ad eccezione di Hou Hanru, curatore cinese trapiantato in giovine età in Occidente, gli altri citati sono tutti europei. Il rischio maggiore risiede nel perpetrare, in queste occasioni, l’imposizione di uno sguardo occidentale e occidentalizzante. La presenza degli stessi nomi su scala mondiale esercita, come abbiamo visto, ripercussioni sulle esposizioni periodiche. La presa di coscienza, da parte della critica, della diffusione capillare di un modello di stampo occidentale, su cui eventi d’arte contemporanea di tutto il mondo vengono a formarsi (o meglio uniformarsi), indica la necessità di riflettere su alcuni provvedimenti al fine di non trasformare l’esposizione periodica in un dispositivo di produzione per lo più turistico o in un evento estemporaneo, che contribuisce poco alla scena artistica locale. Le grandi esposizioni periodiche si stanno configurando, sempre più, sotto l’influenza delle reti di relazioni, come fasi di una partita che si gioca tra curatori occidentali. Tale sistema ha creato un consenso pericoloso attorno ad una rosa di artisti diventati esempi per quei paesi, in via di sviluppo, che aspirano ad allinearsi ai paesi più evoluti. Si pensi al caso dell’arte contemporanea cinese. La fortuna di Obrist, nell’ambito delle esposizioni mondiali, spiega il motivo per cui altri curatori, che si trovano per la prima volta a gestire un’esposizione periodica, lo prendono come punto di riferimento. Individuati gli artisti prescelti da Obrist, focalizzata la loro presenza nelle varie esposizioni, si è andata delineando la loro massiccia presenza nella 54a Biennale di Venezia  curata da Bice Curiger. Nella sua mostra: ILLUMI/nazioni - ILLUMI/nations, composta da circa ottanta artisti, quattordici artisti sono gli stessi promossi da Obrist nelle esposizioni citate, dieci sono gli stessi artisti ospitati nell’edizione di Lione del 2009, ed otto è il numero degli artisti già presenti nelle ultime due edizioni della Biennale veneziana (Battisti, 2007; 2009; 2011).

Dall’analisi trasversale offerta, abbiamo avuto non solo l’opportunità di portare a visibilità le affinità tra alcuni dei curatori più quotati del momento, ma anche di individuare la propagazione, non tanto del modello curatoriale di Obrist, quanto della sua rosa di artisti. Comprendere quando e in quali casi nasca il rischio di sovrapposizione e d’omologazione, impone una presa di coscienza e implica l’adozione di un occhio maggiormente critico nei confronti delle esposizioni periodiche che, come la biennale di Curiger, tendono ad imitare quelle dei curatori più in voga del momento, invitando e premiando gli stessi artisti protagonisti delle altre edizioni mondiali.

 


 

LETTURE

× Battisti Eugenia, Il Libro nero della Biennale di Venezia, Lulu press, 2007; 2009; 2011.

× Beatrice Luca, Da che arte stai?, Rizzoli, Milano, 2010.

× Sigolo Alfredo, Biennali invisibili, obiettivi sensibili, in “Exibart.onpaper”, n. 25, ottobre 2005.