Immersione nell’ignoto
cyberspazio profondo


Werner Herzog
Lo and Behold
Internet: il futuro è oggi
Produzione:
Mustang Entertainment, 2017

Distribuzione: CG Entertainment
(home video)


Werner Herzog
Lo and Behold
Internet: il futuro è oggi
Produzione:
Mustang Entertainment, 2017

Distribuzione: CG Entertainment
(home video)


Chi è cresciuto all’alba di quell’epocale rivoluzione rappresentata dall’avvento di Internet, e raccontata da Werner Herzog in Lo and Behold, ricorderà con un misto di nostalgia, venerazione e misticismo i primi contatti con quell’universo sconosciuto di cui, all’epoca, non esistevano mappe, se non quelle tracciate a mano dai navigatori più scafati (Google sarebbe arrivato solo più tardi). Il collegamento avveniva con tecnologie oggi vetuste che compivano strani, incomprensibili rituali; giravano notizie di potenti virus in grado di far scoppiare la Terza guerra mondiale; nascevano leggende su siti esoterici dalle motivazioni insondabili. La cosa più curiosa è che, oggi che la Rete è diventata un’esperienza quotidiana per miliardi di persone, non ha perso quel carattere di mistero ed esotismo: il cyberspazio resta, per la maggior parte degli utenti, qualcosa di sconosciuto, che pervade l’etere attraverso l’informazione che viaggia su reti wireless penetrando i muri e le cellule umane, diffondendo conoscenza e virus, spiando i suoi utenti per conto di potenti agenzie segrete e offrendo riparo a gruppi che vivono nell’ombra tra i recessi impenetrabili del famigerato “Deep Web”. Herzog, che nei suoi documentari ha sempre cercato la componente mistica di una società desacralizzata solo in superficie, ha afferrato pienamente questo concetto in Lo and Behold, trasformando la storia di Internet nella storia di una sorta di nuova Genesi, con i suoi racconti mitologici, i suoi adepti e i suoi dannati. La Rete come nuovo Albero del Bene e del Male: quando uno dei padri dell’ipertesto mostra al documentarista le sue teorie, usa non a caso come esempio dei brani dalla Bibbia di re Giacomo; i genitori di Nikki Catsouras, la sventurata ragazza morta in un incidente d’auto e il cui cadavere decapitato per metà è stato fotografato e diffuso in tutto il mondo grazie al web, paragonano Internet all’Anticristo, “lo spirito del male”; e quando Herzog entra in un locale dell’Università della California a Los Angeles dove è custodita come una reliquia la macchina che permise la prima comunicazione di Arpanet, antesignano di Internet, lo definisce “un santuario”, “un luogo sacro”.

Etere luminifero (e luciferino)
Su Internet ci troviamo oggi le ricette per i piatti che cuciniamo quando vogliamo fare bella figura con qualche ospite, le guide per risolvere i nostri quotidiani problemi con la tecnologia, le diagnosi fai-da-te all’insorgere del primo sintomo di quella che crediamo una malattia mortale, il post della zia che ancora non ha imparato (e forse mai imparerà) a stare su Facebook e ci chiede di condividere fake news, la foto dei nostri amici al mare che vogliono farci crepare d’invidia mentre siamo ancora barricati negli uffici. Cosa c’entra tutto questo con la Bibbia o l’Anticristo? Il fatto è che, diversamente da quanto sosteneva Marshall McLuhan, qui il medium non è il messaggio. Usiamo Internet quotidianamente, è vero; ma per la stragrande maggioranza di noi è ancora un’entità astratta, misteriosa ed esoterica, dove una densa patina di gergo tecnico (protocolli TCP/IP, porte seriali, server proxy) ne nasconde l’essenza.

Leonard Kleinrock, che con ARPANET realizzò nel 1969 la prima comunicazione tra due computer.

Quando Herzog inizia a tracciare su una lavagna le equazioni matematiche che reggono l’infrastruttura della trasmissione d’informazione, ci sembra già di entrare nel mondo ovattato e mitizzato della fisica quantistica, sebbene ci troviamo ancora nel regno piuttosto comprensibile dell’ingegneria informatica e della teoria dell’informazione. Ma proprio quest’ultima, la teoria dell’informazione, ha gradualmente trasformato la rivoluzione informatica in un’esperienza mistica: i bit, le unità di base dell’informazione, sorta di eterei contraltari agli atomi che costituiscono la nostra realtà, suggeriscono una distinzione manichea, diremmo quasi gnostica, tra software e hardware, tra corpo e anima. Ogni cosa, sostengono oggi i fisici e i technology evangelist, è in realtà composta di bit, di atomi d’informazione. Il fisico teorico John Wheeler, nel 1989, si azzardò a coniare la famosa espressione “It from Bit”: la cosa, la realtà, è espressione del bit, della sua informazione. Alla base della realtà tangibile c’è una realtà astratta e misteriosa composta di quella cosa ancora più misteriosa che è l’informazione.
Se cerchiamo una prova del permanere di questa dimensione mistica del web, la troveremmo in quella parte di Lo and Behold focalizzata sugli “intossicati da Internet”. Ci sono, naturalmente, i dipendenti dalla realtà virtuale, in particolare dai videogame: quelli che in Giappone chiamano gli hikikomori, auto-reclusi in casa e decisi a comunicare col resto del mondo solo attraverso il filtro del web. Ma ci sono anche quelli che hanno deciso di lasciare le proprie case, il proprio lavoro e le proprie famiglie per cercare un posto dove non arrivano le invisibili, mortifere linee del campo elettromagnetico su cui viaggiano le connessioni Wifi. La cosiddetta “elettrosensibilità”, cioè la sensibilità ai campi elettromagnetici e in particolare alle reti dei cellulari e dei router, non è una patologia riconosciuta. Mancano evidenze scientifiche sul fatto che i sintomi descritti dalle persone che vi si dicono affette siano davvero riconducibili a una sensibilità dell’organismo alle radiazioni elettromagnetiche. Per chi ne soffre, invece, si tratta di una versione moderna di quella “malattia da radiazioni” che provocò immani timori nei mesi e negli anni successivi al disastro di Chernobyl: quelle erano davvero radiazioni letali, potenzialmente in grado di uccidere o produrre malattie letali in milioni di persone.
Herzog non mette in dubbio che queste persone soffrano veramente; del resto la parola “radiazioni” da loro usata fa subito venire in mente quelle prodotte dai materiali radioattivi, la cui pericolosità è ben nota. Ma siamo forse di fronte a uno dei fenomeni più interessanti, dal punto di vista della psicologia sociale, dell’era moderna: l’elettrosensibilità di cui soffrono gli intervistati di Lo and Behold, che hanno dovuto addirittura lasciare le loro famiglie per diventare “rifugiati” (il termine è di Herzog) in zone prive di copertura Internet, sembra una di quelle malattie psicologiche di cui soffre l’uomo moderno, sottoposto a stress tali da somatizzare la sua insofferenza a ritmi che non regge, finendo per dare la colpa a fattori esterni, tanto più convincenti quanto più intangibili; e le reti Wifi che reggono l’odierna infrastruttura di Internet sembrano davvero le candidate ideali a “untori” moderni, analogamente ai vaccini (anch’essi innovazioni della civilizzazione), considerati responsabili di malattie la cui eziologia resta ancora controversa.

Il quinto elemento
Internet è oggi il quinto elemento. Mark Zuckerberg, fondatore e CEO di Facebook, lavora per diffonderlo in Africa e in tutte le parti del mondo ancora non coperte da rete Wifi, perché lo ritiene essenziale come l’acqua, l’aria, il cibo. Oggi nel continente africano è più facile avere uno smartphone low-cost connesso a Internet che un accesso diretto e continuativo all’acqua potabile. Per Elon Musk, fondatore e CEO di SpaceX, che ha fatto fortuna in precedenza con PayPal, non si può pensare di andare su Marte, la sua massima ambizione, l’obiettivo ultimo della sua carriera, senza prima connettere a Internet il Pianeta Rosso, esattamente come oggi nessuno pensa di mandare un astronauta sulla Stazione Spaziale Internazionale se la connessione Internet è assente. Prima di colonizzare lo spazio, dobbiamo collegarlo al cyberspazio.


Kevin Mitnick: da hacker a consulente sicurezza informatica (a sinistra). Elon Musk, CEO di SpaceX e Tesla.

Senza Internet, d’altronde, la nostra civiltà è destinata a morte certa. Lo credono gli intervistati del capitolo di Lo and Behold dedicato alla possibilità che la Rete subisca un black-out permanente a causa di un evento estremo, un brillamento solare in grado di interferire così violentemente con il campo magnetico terrestre da danneggiare irreversibilmente tutti i collegamenti elettromagnetici (“l’evento di Carrington”). Un simile evento è già accaduto in passato, producendo danni minimi in una civiltà all’epoca agli albori dell’era elettrica (e ancora lontana dall’era elettronica). Oggi sarebbe equiparabile a un fenomeno di livello estintivo, come la collisione con un grande asteroide. Non possiamo immaginare la nostra civiltà senza Internet.
Quando la complessità della Rete provoca ogni tanto temporanei black-out di social network come Twitter o servizi di messaggeria istantanea come WhatsApp, c’è chi ironizza e chi minimizza, ma ciascuno in cuor suo teme che possa essere l’inizio della fine di Internet. Accadrà? Forse no, perché nel frattempo lo sviluppo tecnologico avrà reso Internet invulnerabile da eventi astronomici imprevedibili; ma nel frattempo dobbiamo affidarci alle osservazioni del Sole, come gli astrologi del passato, per cercare di prevedere con anticipo gli eventi più funesti. L’astrofisico Lawrence Krauss, intervistato da Herzog, alla fine è ottimista: è già accaduto, nel remoto passato della storia umana, che la civiltà si riducesse a pochi migliaia di individui, raccolti nelle caverne sulle scogliere dell’Africa meridionale, nel corso di un misterioso evento estintivo che avrebbe potuto cancellare la nostra specie dalla faccia della Terra.
Paragonare la fine di Internet a una simile catastrofe potrebbe suonare un po’ eccessivo. Ma se c’è una cosa che Lo and Behold ci insegna, è che la rivoluzione di Internet è destinata ad ampliare quel divario tra “apocalittici” e “integrati” su cui ragionava Umberto Eco in tempi non sospetti, agli albori dell’era informatica.