Hellbound, o se i media
scendono a patti infernali

Yeon Sang-ho (ideatore)
Hellbound
Prima stagione

Sei episodi
Cast principale: Yoo Ah-in,
Kim Hyun-joo, Park Jeong-min,
Won Jin-ah, Yang Ik-june
Produzione: Netflix
Distribuzione: Netflix, 2021

Yeon Sang-ho (ideatore)
Hellbound
Prima stagione

Sei episodi
Cast principale: Yoo Ah-in,
Kim Hyun-joo, Park Jeong-min,
Won Jin-ah, Yang Ik-june
Produzione: Netflix
Distribuzione: Netflix, 2021


Dopo la raffinata critica sociale del regista Bong Joon-ho che con Parasite è arrivato a vincere la Palma d’oro e l’Oscar 2020 come miglior film, dopo il divertente festival delle morti violente andato in scena con Squid Game, riscopriamo tutta la forza della narrativa coreana (potenziata dal motore produttivo e distributivo di Netflix) e la sua capacità di raccontare la contemporaneità nelle pieghe più minute dei suoi conflitti sociali e delle sue derive culturali. Hellbound è una serie televisiva ideata dal regista e sceneggiatore Yeon Sang-ho e dal disegnatore Choi Gyu-seok, che portano sullo schermo le idee inizialmente contenute nel diabolico plot dell’omonimo fumetto web realizzato nel biennio 2019-2020 e poi confluito in una graphic novel (Yeon, Choi, 2022) a puntate. Seul è tratteggiata come la tipica metropoli occidentale: frenesia urbana, automobili imbottigliate nel traffico, utilizzo parossistico degli smartphone ovunque. In una caffetteria alcuni ragazzi guardano su un portatile filmati in cui mostruose creature antropomorfe massacrano individui inermi. I giovani non prendono sul serio quelli che giudicano effetti speciali approssimativi.

Nel frattempo, in un angolo del caffè, c’è un cliente dedito a un tipo di attività diversa: aspetta con lo sguardo perso nel vuoto, la fronte imperlata di sudore. Poi irrompono nel caffè tre gigantesche sagome nere identiche a quelle viste nel video dai ragazzi. I tre mostri lovecraftiani fanno a pezzi il locale. L’uomo sudato sa che sono lì per lui e comincia una fuga disperata quanto inutile. Viene fatto a pezzi in pieno giorno, in strada, spruzzando fiotti di sangue sul traffico automobilistico e sulla folla impotente. Infine inceneriscono la carcassa per poi scomparire in una nuvoletta di fumo interdimensionale.

Il grande carnevale mediatico e il ritorno del sacro
Hellbound cerca l’inquietudine non solo con l’orrore ma anche attraverso la quasi totale mancanza di riferimenti soggettivi. Chiunque può essere colpito dalla profezia con la quale un angelo annuncia (specificando nome, cognome e data) l’inizio di un viaggio verso l’inferno partendo con il massacro eseguito velocemente dai mostri. Manca quasi del tutto un centro di gravità psicologico o etico come ad esempio il classico dualismo eroe/villain. L’ineluttabile trapasso dell’individuo specifico è anche uno stratagemma per far partire il conto alla rovescia dell’evento mediatico, il big carnival di tv e siti web. Una lezione hollywoodiana pronta all’uso sin dai tempi di L’asso nella manica, capolavoro di cinismo mediatico diretto da Billy Wilder nel 1951. L’intervento dei mostri può essere una metafora della malattia che colpisce improvvisamente l’individuo o anche di una gogna mediatica scatenata dall’improvvisa esplosione di una bolla nei social media.
Hellbound fantastica sulle conseguenze psicosociali a partire dal momento in cui il divino squarcia il velo della realtà (e della verosimiglianza narrativa) sbattendoci in faccia prove inoppugnabili (e audiovisive) dell’esistenza di un’entità superiore che pare onnipotente e che ha un disegno.

La figura di Jeong Jin-soo emerge perché offre una semplice spiegazione: i mostri sono angeli che eseguono materialmente le sentenze di morte volute da un Dio spazientito e pronto a punire uno a uno ogni singolo peccatore. La psicosi collettiva trasforma Jeong in un profeta e le sue opinioni in un culto religioso: La Nuova Verità. Con il rito della “dimostrazione” e con la setta profondamente radicate nel sistema mediatico, l’ordine divino torna sul palcoscenico della storia con il superpotere del contributo audiovisivo e della diffusione via internet.
Nuove istanze religiose possono affiorare negando la modernità e la fuoriuscita dal sacro, potendo contare sul desiderio di stabilità della gente che, sotto sotto, ambisce da sempre all’immortalità. La Nuova Verità consente agli umani di allontanare l’attacco degli angeli sterminatori e di dimenticare la propria finitudine fintanto che si riesca a non peccare e a seguire i precetti codificati dall’autorità religiosa. Chi segue la via del peccato deve invece affrontare il dramma dell’annunciazione che mette in evidenza la mortalità dell’individuo indicando con precisione quanto tempo rimane da vivere prima di ruzzolare all’inferno.
La sigla iniziale (ideata dallo stesso Yeon) introduce il tema dell’indifferenza del divino rispetto alle sorti degli umani. Questi, ripresi al rallentatore, appaiono come marionette lattiginose, radiografie in movimento. Lamiere di automobili e mucchi di ossa: futile materia pronta a essere spezzata dai mostruosi segugi infernali che possono apparire ovunque. Il cinismo fluoroscopico dell’occhio di Dio ci attraversa e tira dritto verso un punto collocato in un altrove per noi imperscrutabile. Una plausibile metafora dell’ordine sociale vigente che, accreditandosi l’intervento divino operato dai mostri, si oggettivizza nella sua chiesa, schiacciando qualsiasi pluralismo e qualsiasi individualità.

Il sacro teorizzato da La Nuova Verità propone un ritorno a quella potenza divina premoderna che era sempre, misteriosamente, superiore a ogni aspirazione umana. Con Hellbound lo sguardo critico di Yeon parte dalle stratificazioni sociali e dai paradossi culturali per poi allargarsi ai meccanismi profondi che portano all’affabulazione, in particolare nel caso di narrazioni audiovisive. Il fatto che in Hellbound gli angeli annunciatori si presentino come volti sospesi nell’etere disegnati con una CGI a dir poco dozzinale non è banalmente una scelta dettata dal budget. Si sceglie di mostrare l’annunciazione e gli ambasciatori di Dio con effettacci di computer grafica (talmente brutti da lasciare sgomento il pubblico del 2021 generando un certo chiacchiericcio social) per un motivo molto specifico: è una trovata proveniente dal webtoon che serve proprio a introdurre il tema della credibilità dei materiali audiovisivi. Per il regista coreano Yeon Sang-ho c’è qualcosa nella sostanza del vedere che va scomposto e radiografato per capire meglio i meccanismi dell’autorevolezza mediatica. La discussione che parte da quegli effetti visivi grezzi visti in Hellbound rimanda a una non banale critica massmediologica.

Le porte dell’Inferno e l’inizio di un regime
Hellbound si colloca in un filone di speculative fiction che parte da Il racconto dell’ancella (romanzo della canadese Margaret Atwood da cui è stata tratta la serie tv The Handmaid’s Tale) dove una crisi biologica definisce il corso degli eventi e lo strutturarsi di un determinato tipo di società. Il tratto comune ai due universi narrativi è l’instaurazione di un totalitarismo teocratico. Un altro esempio del genere è Sottomissione, romanzo fantapolitico di Michel Houellebecq in cui si immagina una collettività ormai stanca di dover scegliere e quindi sollevata dal fatto di potersi abbandonare a un autoritarismo rassicurante. Quando La Nuova Verità acquisisce il controllo pressoché totale dell’opinione pubblica e della coscienza collettiva, trasforma in un santuario l’umile appartamento della prima donna incenerita in diretta dai mostri. Nel serial coreano l’instaurarsi di nuovi regimi si lega inestricabilmente alle sorti dei mass media. Viene cioè presentato come atto fondativo una trasmissione in diretta televisiva. Non interessa a nessuno il luogo della prima effettiva rivelazione.

Hellbound giunge alla fine dell’anno 2021, quando il pubblico ha vissuto quasi due anni di pandemia planetaria, ovvero qualcosa di totalmente inedito nella storia contemporanea. Gli eventi rendono particolarmente interessanti questi esercizi di immaginazione sociologica in cui un unico colpo secco mette contemporaneamente in crisi la democrazia parlamentare, l’autorevolezza degli scienziati, il giornalismo tradizionale, la tenuta morale delle persone comuni.
La crisi pandemica ha evidenziato l’incontenibile credulità di un’opinione pubblica disposta a dare credito a chiunque sia in grado di fornire risposte facili a problemi complessi, meglio se con l’aiuto di una macchina da presa. Prende quota anche una certa diffidenza verso i propri pari, che si immaginano sempre come insensibili alle norme sanitarie, potenziali concorrenti in coda al supermercato per l’ultimo rotolo di carta igienica. Istituzioni e conoscenti: quelli che in passato erano due fondamentali canali di formazione e informazione, sono oggi in competizione con le opinioni di fragolina75 su Instagram o con le idee del tiktoker del momento. Ma in Hellbound il regime non è poi così monolitico. Per le religioni tradizionali era più facile falsificare o manipolare un tempo primordiale collocato nel passato remoto, mentre per i nuovi culti è scomoda la collocazione di eventi fondativi in tempi recentissimi, specie se documentati e messi agli atti da occhi e memorie elettroniche. In effetti man mano che si sviluppa la trama, le riunioni del consiglio ristretto della setta dominante risultano sempre più grottesche e simili a caotiche riunioni per decidere strategie aziendali o tappare buchi nella comunicazione.

Il coro greco e il palcoscenico mediatico
Spesso in Hellbound si affaccia sulla scena quello che un tempo si sarebbe identificato come il coro greco, ovvero un gruppo di personaggi collocati sullo sfondo come osservatori che non influiscono sull’azione ma che partecipano emotivamente. La scena più emozionante della prima stagione di Hellbound è ambientata nel cortile di una grigia e anonima palazzina di periferia.

Un movimento di macchina circolare tiene in primo piano una giovane madre pronta ad affrontare gli inferi e, sullo sfondo, i vicini curiosi attirati dalle grida e chiamati ad affacciarsi. I ballatoi di svariati piani, impronta tipica dell’edilizia popolare ovunque nel mondo, diventano palchi riservati non più ai vip mascherati ma alla gente comune. Così come La Nuova Verità era riuscita a imporsi tramite piattaforme di video streaming scardinando l’informazione filtrata dai media tradizionali, allo stesso modo nuovi streaming video non autorizzati possono partire da qualunque luogo e attirare l’attenzione morbosa della folla, con i nuovi poteri a rincorrere.
La sacra riattualizzazione passa per l’imprescindibile meccanismo della trasmissione mediatica, una modalità comunicativa alquanto difficile da domare anche per La Nuova Verità (invecchiata rapidamente). Al termine della scena di matrice teatrale ambientata nello stabile di periferia ci sarà uno dei rari momenti in cui finalmente emerge una qualche voce dallo sfondo. Soprattutto quella di un anonimo tassista che afferma:

“Io non so molto di Dio e nemmeno mi interessa. Ma una cosa la so, e cioè che questo mondo appartiene a noi. Spetta a noi risolvere i nostri problemi”.

Hellbound sembra tenere il conto di parecchie delle inquietudini psicosociali che la pandemia ha tenuto in caldo nel 2020, in particolare una certa diffidenza nei confronti delle istituzioni inquadrate nella loro inadeguatezza rispetto all’affacciarsi dell’ignoto e all’approssimarsi dell’era della post-verità. Diffidenza e credulità sono diventate le colonne portanti degli assetti cognitivi odierni plasmati da codici binari e da dispositivi per comunicare fortemente polarizzanti.
A proposito di dittatura dell’immagine è paradigmatica la scena di Hellbound in cui l’investigatore Jin deve salvarsi da una folla di devoti a La Nuova Verità, pronta a tutto per bloccarlo, forse addirittura linciarlo. Per tirarsi fuori dalla situazione, il tutore della legge è costretto a mostrare a tutti il suo smartphone in comunicazione con il capo della setta. Il detective di polizia comincia ad agitare in aria il dispositivo recante il primo piano del leader religioso in video chiamata. Il santino audiovisivo chiede alla folla di calmarsi e di lasciar passare l’uomo. Jin dovrà recarsi ad un appuntamento con la storia, l’inizio di una nuova fase della civiltà dell’immagine in cui non basta più mostrare l’evidenza: bisognerà anche saper trovare la giusta didascalia a quanto mostrato.

Ancora una volta una nuova umanità in bozza sembra voler tornare sulla via dell’individualizzazione, strada battuta da una vecchia umanità risalente all’epoca dell’uscita antropologica dal dominio religioso (cfr. Gauchet, 1992). Hellbound ci trascina dal disincanto al re-incanto, per poi farci intravedere verso la fine la possibilità di un nuovo disincanto: soli e senza più divinità da temere, senza più padri-padroni. Come all’alba della modernità, gli uomini possono riscoprire la libertà di costruire il proprio destino ma solo rinunciando a quel tetto dove l’umanità si era riparata per lungo tempo. Il finale della prima stagione sembra alludere alla possibilità di un nuovo inizio: forse il distacco lovecraftiano rappresentato dagli angeli massacratori è stato troppo severo, forse non vale la pena gettare via l’umanità lasciandola proseguire nel suo cammino verso l’autodistruzione. Forse sarà proprio il figlio del produttore televisivo Bae Young-jae e Song So-hyun a ridare dignità all’umano trovando nuove risposte da contrapporre all’oscurità dell’ignoto audiovisivo, all’ignoranza dei social media, alla cieca devozione per il santino di turno.

Letture
  • Marcel Gauchet, Il disincanto del mondo, Einaudi, Torino, 1992.
  • Michel Houellebecq, Sottomissione, Bompiani, Milano, 2015.
Visioni
  • Yeon Sang-Ho, Choi Gyu-Seok, The Hellbound Volume 1, Dark Horse Books, Milwaukie, Oregon, USA, 2022.
  • Billy Wilder, L’asso nella manica, A&R Productions, 2012 (home video).