Acchiappa i fantasmi,
o almeno fagli una foto

Péter Bergendy
Post Mortem
Cast principale: Viktor Klem,

Fruzsina Hais, Judit Schell,
Andrea Ladányi, Kristóf Mucsi,
Tamás Miklós Hajdu,
Zsolt Anger, Gabriella Hámori
Produzione: Szupermodern Studio
Distribuzione: Film Institute Hungary, 2020.


Péter Bergendy
Post Mortem
Cast principale: Viktor Klem,

Fruzsina Hais, Judit Schell,
Andrea Ladányi, Kristóf Mucsi,
Tamás Miklós Hajdu,
Zsolt Anger, Gabriella Hámori
Produzione: Szupermodern Studio
Distribuzione: Film Institute Hungary, 2020.



Se al mondo ci siano più case o sale cinematografiche infestate dai fantasmi è arduo da stimare. Un tempo, prima della diffusione dell’energia elettrica, i cari estinti si mutavano in oscuri inquilini di inclite magioni e nobili residenze. A partire dallo scorso secolo, le sale più buie sono diventate quelle dedicate alla settima arte ed ecco che dal grande lenzuolo bianco dello schermo sono riapparsi spettri d’ogni genere. Se ne manifestano molti anche al Trieste Science+Fiction Festival conquistando pubblico e critica, al punto che lo scorso anno fece incetta di premi lo spassoso e irriverente Extra Ordinary firmato a quattro mani da Mike Ahern ed Enda Loughman. Ortodosso per diversi aspetti, invece, un lungometraggio presentato all’edizione 2020 (quest’anno esclusivamente in streaming su MYmovies.it), una ghost story genuina sin dal titolo eloquente, Post Mortem, del regista ungherese Péter Bergendy, che si è aggiudicato il premio RAI4 e la Menzione speciale Premio Méliès d’argent. Genuina perché non rinuncia ad alcun cliché del genere a iniziare dallo schema generale: il protagonista si reca in una località colpita da un’oscura maledizione, dove si verificano una serie di eventi inspiegabili sui quali prende a indagare, ritrovandosi inevitabilmente faccia a faccia (più o meno) con una o più entità, riesce a venirne a capo, a comprendere che cosa si cela dietro i misteriosi fatti, e si appresta allo scontro finale in genere, ma non sempre, con esiti positivi.

A rendere interessante il film di Bergendy, sorretto da ottimi effetti speciali, ammirevoli soprattutto nella scena finale, è proprio la figura del protagonista, in virtù di singolari peculiarità: è un fotografo, è stato a un passo dalla morte, è un fotografo di morti. La storia in breve. Siamo in Ungheria sul finire della Grande Guerra. Stanno per tacere le bocche di fuoco ma a mietere ulteriori vittime ci penserà presto la pandemia influenzale nota come spagnola. Siamo su un campo di battaglia, gli uomini cadono a grappoli. L’esplosione di una granata o di una mina lascia sul terreno anche il soldato Tomás (interpretato da Viktor Klem). Ritenuto morto, viene gettato in una fossa comune di caduti al fronte, ma un uomo anziano, sorta di fotografo al fronte, si avvede che in mezzo a quella catasta di cadaveri Tomás è soltanto svenuto. Respira ancora. L’uomo lo trae in salvo. Il soldato ha avuto una strana visione mentre era privo di sensi: gli era apparsa una ragazzina che lo richiamava in vita. Questo l’antefatto.

Professione reporter… dell’aldilà
Sei mesi dopo il giovanotto è tornato in abiti civili e ha iniziato a lavorare come fotografo in società con il suo salvatore. Se ne vanno in giro nei paesi realizzando dei servizi decisamente particolari: ritratti di famiglia con familiari scomparsi, adeguatamente truccati e messi in posa, pose molto realistiche, come se fossero vivi tra i vivi; infatti la loro società si chiama Post Mortem Photo. Per la verità il compito di realizzare i macabri ritratti se lo è assunto Tomás, mentre il suo compare intrattiene il pubblico dei possibili clienti, narrando l’episodio della resurrezione del suo giovane socio come se fosse capitato a lui, arricchendo l’episodio con non pochi dettagli del tutto inventati.
In quello che è il loro stand alla fiera di paese, appare una bambina, Anna (intepretata da Fruzsina Hais), incarnazione di quella apparsa durante la morte apparente di Tomás. A questi chiede di recarsi nel suo di villaggio dove la spagnola ha già portato infiniti lutti e dunque altrettanti soggetti da fotografare, perché il terreno gelato ne impedisce al momento adeguata sepoltura. Tomás accetta, si congeda temporaneamente dal partner e giunto al villaggio viene ospitato dalla maestra Marcsa (l’inteprete è Judit Schell). Lo scenario non è dei più allegri, la spagnola imperversa ma il peggio deve ancora venire e arriva dall’aldilà, perché un nugolo di spiriti malvagi terrorizzerà progressivamente tutti gli abitanti del villaggio. Da qui in avanti (non è il caso di aggiungere altro sull’epilogo), la storia ricorre all’intero repertorio di genere, anche prendendosi il rischio di qualche scivolone per eccesso o per incongruenza.

Emergono dal nulla ombre maligne, sussurri e gemiti, Doppelgänger, malvagi naturalmente, scricchiolii e altri segnali di passi e passaggi convulsi di presenze sinistre, muri che trasudano, all’esterno i cani abbaiano all’invisibile. Ovunque aleggia il male, annidato tra solai e fienili. Quando si verificano, le aggressioni si lasciano dietro morti violente. Le case di questo misterioso villaggio sono tutte tinteggiate di bianco e di grandi dimensioni (cosicché le presenze hanno l’agio di scorrazzare a più non posso), i campi sono innevati, insomma tutto pare avvolto in un unico enorme sudario/lenzuolo bianco. Atmosfera che si addice ai fantasmi, tant’è che qui si manifestano anche di giorno. Negli interni, l’illuminazione a olio alimenta l’inquietudine.

La relazione con i defunti
A dire il vero, la dimensione più perturbante si rivela non tanto la successione di apparizioni e di aggressioni anche mortali degli spettri, quanto il rapporto che i protagonisti intrattengono con i cadaveri. La messa in scena che ogni volta Tomás allestisce per le suo foto, truccando, abbellendo, mettendo in posa il defunto di turno, i quadretti che compone con i familiari (una mamma tiene sulle ginocchia il figlioletto, per esempio), raccontano di un altro tempo dove il morto non era un semplice prodotto per agenzie funebri. Ancora più eloquente in tal senso è una scena nel fienile dove tutti i non sepolti sono stati parcheggiati; qui Anna indica a Tomás i morti presenti come se stesse facendo delle presentazioni in un salotto.
In questo contesto, Tomás in collaborazione con la giovane e coraggiosa Anna, prova a risolvere il mistero dapprima accertando la presenza degli spettri nel villaggio e successivamente cercando anche di liberare la popolazione terrorizzata dall’incubo crescente, risalendo alle cause dell’invasione, ma qui il film pasticcia un po’ e la faccenda non viene del tutto chiarita. Si trasforma quindi da fotografo in eroe e soprattutto in indagatore dell’occulto. Notevole è come Tomás si ingegni una notte nell’approntare stratagemmi per accertare la presenza dei fantasmi tendendo corde collegate a campanelli e spargendo farina per terra all’interno del fienile dove sono raccolti i cadaveri che aveva fotografato appena giunto in paese. Gli spettri si faranno beffe di lui, realizzando una sorta di tableaux vivant (si fa per dire), con tutti i cadaveri fotografati all’arrivo nel villaggio.

Per coglierli sul fatto, però, sono i mezzi tecnologici dell’epoca a dare la mano più consistente ed è qui che il film, aldilà di qualche sfilacciamento nella trama, mostra il meglio di sé. Armato di stetoscopio, fonografo e macchina fotografica, Tomás fissa su lastra le oscure presenze e ne cattura la voce resa ascoltabile rallentando la velocità del rullo. La loro presenza è una costante nella storia, quasi un suo doppio, facendo di Post Mortem non solo una ghost story ma anche una storia sulla spettralità dei media. È così sin dall’inizio: quando Tomás lavora c’è un grammofono in funzione, oltre alla macchina fotografica. Quando si muove a piedi o a cavallo come un eroe, è armato dei suoi strumenti (autentico acchiappafantasmi di un secolo fa), mezzi che dovevano catturare e/o duplicare un essere umano privo ormai (perché defunto) di un sostrato materiale, o meglio in assenza della consistenza ontologica del referente. Senza di essi la storia stessa del film non potrebbe esistere, e se consideriamo che tutto questo a sua volta è amplificato dall’arte fantasmatica per eccellenza, il cinema, il metaracconto si palesa del tutto.
Niente di tutto ciò, beninteso, inficia il gioco narrativo e tantomeno l’intrattenimento offerto da Post Mortem, che in fondo altro non è, come sostiene lo stesso regista, che una storia dove “i morti hanno la pessima abitudine di non restare nelle fotografie”.