Ritratto del poeta: l’amore,
la vita quotidiana, l’esilio

Pupi Avati
Dante
Cast principale: Sergio Castellitto,

Alessandro Sperduti, Giulio Pizzirani,
Enrico Lo Verso, Alessandro Haber,
Gianni Cavina, Milena Vukotic,
Leopoldo Mastelloni, Cesare Cremonini,
Valeria d’Obici, Morena Gentile,
Ludovica Pedetta.
Produzione: Duea Fil, Rai Cinema
Distribuzione: 01 distribution, 2022

Pupi Avati
Dante
Cast principale: Sergio Castellitto,

Alessandro Sperduti, Giulio Pizzirani,
Enrico Lo Verso, Alessandro Haber,
Gianni Cavina, Milena Vukotic,
Leopoldo Mastelloni, Cesare Cremonini,
Valeria d’Obici, Morena Gentile,
Ludovica Pedetta.
Produzione: Duea Fil, Rai Cinema
Distribuzione: 01 distribution, 2022


Un nuovo capitolo arricchisce la già nutrita filmografia dedicata all’Alighieri: Dante, il film di Pupi Avati dedicato alla sua vita, che corona un’ambizione nutrita e accarezzata dal regista bolognese per oltre vent’anni. Il Dante di Pupi Avati si distingue perché non è una biografia diretta e cronologicamente lineare, ma una rievocazione, non del tutto completa, della vita di Dante Alighieri attraverso il ricordo di Giovanni Boccaccio, interpretato da un magistrale e commovente Sergio Castellitto. Non a caso il film si basa sul Trattatello in laude di Dante di Giovanni Boccaccio, l’autore del Decamerone, che fu tra l’altro, con le sue lezioni pubbliche nella Chiesa di Santo Stefano di Badia a Firenze a partire dal 23 ottobre 1373, uno dei principali diffusori del culto dell’Alighieri.
La trama del film supportata da un’ottima ricostruzione dei luoghi e degli ambienti dell’epoca, si sviluppa intorno alla missione del Boccaccio a Ravenna, incaricato dai capitani di Or San Michele, di portare dieci fiorini d’oro, a titolo di risarcimento tardivo, a suor Beatrice, figlia di Dante, monaca nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi. È un fatto storico accertato da un documento del 1350 (cfr. Pellegrini, 2021) e immortalato, fra l’altro, nel dipinto di un artista preraffaellita, lo scozzese William Bell Scott. Durante questo faticoso viaggio da Firenze a Ravenna, Boccaccio incontra personaggi che hanno conosciuto l’Alighieri o hanno assistito alla sua morte, ripercorrendo in una sorta di flashback la vita del Poeta da quando, bimbo, perse la madre, fino all’incontro-rivelazione di Beatrice (interpretata da Carlotta Gamba), alla morte prematura di lei, all’impegno politico, all’ambasceria presso il papa Bonifacio VIII (interpretato da Leopoldo Mastelloni), al bando da Firenze per colpa di quel funesto “priorato” che lo stesso Dante considerò il principio di tutti i suoi guai successivi.

Fra gli episodi segnaletici del film l’amicizia con Guido Cavalcanti, filosofo e poeta (ma nel film si evidenzia più la sua baldanza militare), il “primo de li miei amici” (Dante, 2009), al quale Dante inviò il sonetto A ciascun’alma presa e gentil core, che scrisse dopo il secondo folgorante incontro visivo con Beatrice. Guido gli rispose con il sonetto Vedeste, al mio parere, onne valore. Nell’esercizio del suo priorato, Dante si troverà nell’infausta situazione di votare per l’esilio dell’amico Guido, pur essendo, i due, della stessa parte politica, quella dei “bianchi”. Un esilio che toccherà pure a Dante, e durante il quale, nonostante i continui spostamenti, riuscirà a scrivere le opere più importanti, Divina Commedia in primis.
Il film di Avati rievoca, in un miscuglio di realtà storica e fantasia cinematografica, diversi ricordi e momenti di quelle peregrinazioni: fra i più toccanti, l’incontro di Boccaccio con Messer Agnolo che ricorda Dante, e in particolare la lettera che questi scrisse (è l’Epistola II, quella dove Dante si definisce exul inmeritus) indirizzata ai conti Oberto e Guido per la morte dello zio Alessandro da Romena: Boccaccio ne legge un frammento nel quale Dante si scusa per l’assenza alle esequie del conte Alessandro, causata non da negligenza o ingratitudine, ma dall’improvvisa povertà dell’esilio che lo ha privato sia d’armi sia di cavallo. Prima di congedarsi da Boccaccio, il discendente dei conti da Romena lascia un ricordo del poeta: “Sapeva il nome vero delle stelle… di tutte”. Una frase (invenzione di Avati) che ritornerà alla fine, nel bellissimo dialogo conclusivo del film tra Boccaccio e Suor Beatrice a Ravenna: la figlia di Dante dirà “Sapeva il vero nome di tutte le stelle”.

Invenzioni più o meno avatiane sono anche la co-militanza bellica di Dante e Guido Cavalcanti a Campaldino, la spaventosa battaglia-strage (1289) che vide l’un contro l’altro armati i guelfi (per lo più fiorentini) e i ghibellini in prevalenza aretini; e l’inquietante bambolotto di cera regalato a Beatrice qual dono nuziale passato poi di mano di mano per arrivare a Boccaccio che lo acquista da una rigattiera come presente da portare alla figlioletta Violante; la quale, con la tipica e presaga intuizione dei bambini, lo rifiuta istintivamente “perché fa paura”. Lo stesso regista, nel suo libro (L’alta fantasia, il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante), che funge quasi da sceneggiatura al film, ammette, alla fine, oltre al prezioso contributo di alcuni grandi dantisti come Emilio Pasquini e Marco Santagata, anche non poche libertà che si è concesso, la più palese delle quali è appunto il bambolotto di cera:

“Molto di ciò che avete letto è vero, molto è verosimile e molto è frutto della mia immaginazione. Il Bambino Gesù, donato nel Medioevo come bambola nuziale, lo debbo a un saggio di Franco Cardini nel suo Le mura di Firenze inargentate
(Avati, 2021).

Fra le licenze poetiche va aggiunta una terza: l’Albero di mele selvatiche nel chiostro del convento, di cui Suor Beatrice parla alla fine del toccante dialogo con Boccaccio: dopo la morte di Dante, racconta la Sorella, quell’albero ha smesso di dare frutti:

“Là, dentro quel buio c’è un albero… qui lo chiamiamo l’albero del Paradiso […] È un albero di mele selvatiche, piccole e aspre… mio padre diceva che avevano il sapore delle mele rusticane di una pianta sotto la Torre della Castagna a Firenze, davanti a casa sua… alla casa dove anche io sono nata […] Dalla notte della sua morte l’albero del Paradiso non le fa più. Come sapesse che non c’è più quel bambino che le aspetta…”
(Avati, 2021).

Il “Trattatello” di Boccaccio, prima biografia di Dante
Il film dunque segue un canovaccio che coincide in larga parte con il libro di Pupi Avati pubblicato nel 2021, L’alta fantasia, il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante, a sua volta basato sul Trattatello in laude di Dante, di Boccaccio, un misto di fiction, biografia vera, divagazione onirico-mitologica. Il Trattatello di Boccaccio, considerato la prima e principale vita dantesca, in realtà è più vicino all’agiografia che alla biografia come la intendiamo oggi. Boccaccio narra, fra l’altro, che la madre di Dante, poco prima di partorire, sognò di dare alla luce un essere prodigioso che si cibava delle bacche di alloro trasformandosi poi in un pavone: un’immagine suggestiva sotto il profilo cinematografico, che ci chiediamo come mai Avati non ha voluto sfruttare. Fra l’altro questa visione è quasi uguale all’analogo Zaubertraum contenuto nella vita di Virgilio di Elio Donato. Nel film si cita, invece, il sogno rivelatore che Jacopo, uno dei figli di Dante, ebbe a Ravenna: Dante, racconta Jacopo, gli apparve, ombra luminosissima e candida, a indicargli dov’erano celati gli ultimi tredici canti del Paradiso, ritenuti persi. Un aneddoto che Boccaccio afferma riferito dal notaio ravennate Piero Giardino, interpretato da Gianni Cavina, attore prediletto da Pupi Avati. Ma torniamo un attimo al suo libro per citarne parte della breve nota introduttiva:

“Mi sono chiesto quale possa essere stato il rapporto di Dante con la propria creatività. Creatività che si appalesa in lui in modo inesplicabile, non trovandosi nei suoi avi, fino dai Fontana di Val Pado, traccia alcuna di talentuosità letteraria, ma solo ingegno per battagliare, negoziare denaro o trafficare poderi”
(Avati, 2021).

Questo è un punto nodale: Dante non era figlio di intellettuali. E qui sta l’affinità con Boccaccio. Avati cita un brano della Genealogia degli dei pagani che ci sembra molto attuale:

“Ma poi a qualsiasi azione la natura abbia generato altri, io sono stato da essa disposto (e ne è testimone l’esperienza) fin dal grembo della madre alle meditazioni poetiche e, a mio giudizio, sono nato a questo. Ben ricordo, infatti, che mio padre fece ogni tentativo, fin dalla mia fanciullezza, perché diventassi mercante; e quando ancora non ero per entrare nella adolescenza, dopo avermi istruito nell’aritmetica, mi affidò come discepolo a un grande mercante, presso il quale per sei anni null’altro feci che consumare invano tempo irrecuperabile. Di qui, poiché da alcuni indizi apparve chiaro, che ero più adatto allo studio delle lettere, mio padre ordinò che andassi a scuola di diritto canonico per diventare ricco; e sotto un maestro molto illustre invano faticai ancora per altrettanto tempo”
(Boccaccio in Avati, 2021)

Stiamo parlando di tre scrittori e intellettuali (Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, il primo grande tridente della nostra letteratura) che dovettero lottare-soffrire per affermare la loro vocazione letteraria, con e in famiglie intese solo alla moneta, al commercio, alla mercatura, lontane dalla poesia e dalle stelle. Questa lotta tra vocazione umanistica, letteraria e spirituale dei figli e angusta praticità dei genitori, è attualissima e già ben chiara ai primi biografi dei tre poeti. Il Trattatello in laude di Dante di Giovanni Boccaccio è la principale delle antiche biografie dantesche che includono quella di Giovanni e Filippo Villani (che però parlano di Dante all’interno delle loro opere storiche), di Leonardo Bruni Aretino e di Giannozzo Manetti (Vite di Dante, Petrarca e Boccaccio).

Un mix di sublime e down-to-earth
Tornando al film, bisogna apprezzare il tentativo di alternare a una narrazione realistica e storica, baleni di horror e magia come nel caso dell’immagine (derivata dalla Vita Nuova di Dante) di una Beatrice che, fra le braccia di un misterioso Signore (Amore), si nutre letteralmente del cuore del poeta innamorato. Un impasto abbastanza equilibrato di realismo e misticismo, di tragedia quotidiana (in primis le guerre, le discordie intestine, e le malattie) e suggestione/magia: attimi ineffabili come lo sguardo e il saluto di Beatrice a Dante (da non perdere il lungo e misterioso primo piano sullo sguardo di lei che fissa il poeta), seguito da un altro momento lirico apicale che avviene quando lei, già sposata con il banchiere Folco Portinari, sale i gradini della casa e ripete quasi per telepatia il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare.
La narrazione indulge però, anche su dettagli prosaici, down-to-earth, come il Dante che si accovaccia ai bordi di un fiume per liberare le viscere insieme ad alcuni compagni di battaglia (quella di Campaldino), o il Dante che va a mignotte con l’amico Guido il quale, più esperto, si becca pure quella più brava. Francamente si potevano risparmiare, anche se lo scopo è quello di mostrare un Dante normalizzato, una sua versione off-the-peg (nel senso di prêt-à-porter), off-the-statue.

Per quasi tutto il film lo spettatore vede dipanarsi, in modo non sempre lineare, la vita di un Dante giovane, dall’età di bimbo decenne ai circa 35 anni, età che il poeta aveva quando fu esiliato da Firenze, il Dante stilnovista e della Vita Nuova, l’innamorato di Beatrice. La scelta di un attore giovane e non conosciutissimo per impersonare il poeta della Divina Commedia fa risaltare ancora di più la presenza e l’interpretazione di Boccaccio-Castellitto. Con tutto il rispetto per il giovane e bravo attore che lo interpreta, il Dante di Avati ha ben poco del ritratto fisico-caratteriale lasciatoci dal Boccaccio in quello stesso Trattatello in Laude che Avati ha preso come punto di riferimento e ispirazione. La tradizione iconografica prevalente ci ha abituati a un Dante ben diverso dal giovane romantico e un po’ sulle nuvole interpretato da Alessandro Sperduti. Ciò non vuol dire che si debba rappresentare il Sommo Poeta sempre in quella postura severa e tetragona, l’espressione pensosa e corrucciata, con la quale ce l’ha consegnato la tradizione pittorica e statuaria. È vero che il ritratto di Giotto al Bargello ci ridona un’immagine ben più delicata e quasi efebica del poeta e i pittori preraffaelliti raffigurano un Dante giovane e dai lineamenti del volto più morbidi, come nel quadro di Dante Gabriel Rossetti, Giotto dipinge Dante (1859). In ogni caso, il Dante dopo l’esilio e soprattutto il Dante all’altezza della Divina Commedia è un uomo ben diverso dal giovane tremebondo, svenevole e sempre-piangente, che nella Vita Nova torna nella sua cameretta a pascersi/nutricarsi di lacrime dopo aver contemplato la platonica bellezza di Beatrice.

Nonostante nel film si citino alcuni fra i versi più celebri del Dante stilnovistico, sono pochi i momenti in cui l’immagine si confronta esplicitamente con l’opera dantesca. Questi riguardano esclusivamente la giovinezza di Dante e il suo rapporto poetico, spirituale con Beatrice. Fanno eccezione il dialogo con la donna Gozzuta dove Dante spiega – quasi fra le lacrime – che sta attendendo a un lavoro sovrumano, al quale spera di porre fine se Dio lo consentirà; e il verso del Paradiso (“alla fine di tutti i disii”) che Dante esala prima di morire. D’altronde, il Boccaccio nel film di Avati dichiara commosso, durante l’incontro con Suor Beatrice, di riuscire a immaginare Dante “solo da ragazzo”. Il Boccaccio di Avati vede nell’Alighieri non soltanto un grande poeta, ma riconosce in lui la figura paterna, l’unico uomo che gli ha insegnato ad amare. “L’unica vera gioia della mia vita”, dice Boccaccio a Suor Beatrice nel bellissimo dialogo finale.

Letture
  • Dante Alighieri, Vita Nova, Rizzoli, Milano, 2009.
  • Giuseppe Antonelli, il Dante di tutti (un’icona pop), Einaudi, Torino, 2022.
  • Pupi Avati, L’alta fantasia, il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante, Solferino, Milano, 2021.
  • Gianluca Barbera, Atlante Dantesco, i luoghi di Dante e della Divina Commedia, Rizzoli, 2022.
  • Giovanni Boccaccio, Trattatello in laude di Dante, Garzanti, Milano, 2013.
  • Alberto Casadei, Dante Storia avventurosa della Divina Commedia dalla selva oscura alla realtà aumentata, il Saggiatore, Milano, 2020.
  • Giannozzo Manetti, Le vite di Dante, Petrarca e Boccaccio, Sellerio, Palermo, 2003.
  • Paolo Pellegrini, Dante Alighieri, Una vita, Einaudi, Torino, 2021.