Incontri ravvicinati 2021:
riecco il pubblico al Ts+FF

Trieste Science+Fiction Festival 2021
21° edizione
27 ottobre – 3 novembre
L’evento avrà luogo con modalità
di partecipazione ibrida
sia online che dal vivo
in tre diverse sale:
il Politeama Rossetti,
il Cinema Ariston di Trieste
e la Sala Web di SciFiClub,
la piattaforma streaming
permanente curata
dal TS+FF su MYmovies.

Trieste Science+Fiction Festival 2021
21° edizione
27 ottobre – 3 novembre
L’evento avrà luogo con modalità
di partecipazione ibrida
sia online che dal vivo
in tre diverse sale:
il Politeama Rossetti,
il Cinema Ariston di Trieste
e la Sala Web di SciFiClub,
la piattaforma streaming
permanente curata
dal TS+FF su MYmovies.


“Vivi con noi le meraviglie del possibile!” si legge a chiare lettere sulla home page del sito dedicato al Trieste Science+Fiction Festival, la manifestazione giuliana organizzata dal centro ricerche e sperimentazioni cinematografiche e audiovisive La Cappella Underground. Un rimando schietto e intenzionale alle storiche antologie einaudiane dedicate alla fantascienza curate da Carlo Fruttero e Carlo Lucentini. Il futuro è però imprevedibile – con buona pace di Isaac Asimov e del suo Hari Seldon –, cosicché tra le meraviglie del possibile che quest’anno ci ha riservato paradossalmente tocca annoverare un’ordinaria abitudine all’improvviso sparita, poi riapparsa, nuovamente sparita e infine, ricomparsa, ovvero quella di andare al cinema.
Un’altalena dovuta a cause nefaste e arcinote, fatto sta che a beneficiare appieno della riapertura delle sale cinematografiche al 100% è proprio il TS+FF, che torna con una formula già varata lo scorso anno ma subito archiviata per via del secondo lockdown: un classico programma visibile dal vivo e uno parallelo in streaming, riconfermando la piattaforma MyMovies, dove venne alloggiata per intero l’edizione dello scorso anno. In parte le due offerte coincidono, o meglio l’intero programma virtuale sarà visibile in sala con un’ulteriore aggiunta di film in esclusiva per la visione live, oltre naturalmente al pacchetto di incontri con registi e autori (inclusa la presentazione del romanzo fantascientifico di Sabina Guzzanti intitolato 2199. La disfatta dei sapiens) ed eventi collaterali per i quali si rimanda al programma pubblicato online sul sito del festival.
Del tutto condivise sono le opere in concorso. Vi competono come da tradizione per il Premio Asteroide e per i Méliès d’argent (uno per i lungometraggi e due per i corti). A questi si aggiungono diversi film fuori concorso tra cui The Last Journey di Romain Quirot con Jean Reno, cui tocca di aprire la rassegna partendo subito con un tema scivolato repentinamente dallo status di apocalisse collocata in un futuro lontano a quello di catastrofe di oggi: l’emergenza climatica e ambientale.

Alessandro Pautasso, in arte Kaneda, è l’autore del poster 2021 di Trieste Science+Fiction Festival.

Nel pacchetto dei film fuori concorso sono inclusi altri sei lungometraggi per metà disponibili anche online. Si tratta dell’horror di matrice vampirica Jakob’s Wife dello statunitense Travis Stevens, che vede nei panni della moglie di Jakob (pastore di chiesa in un paesucolo piuttosto in disarmo) Barbara Crampton, divenuta un’autentica icona del cinema di genere dopo il favoloso esordio con Brian De Palma in Omicidio a luci rosse nel 1984, interpretando ruoli di primo piano in pellicole cult, da Re-Animator (1985) di Stuart Gordon a Le streghe di Salem di Red Zombie nel 2013. Qui è una signora di mezza età che dopo un certo morso sul collo vede risvegliarsi appetiti insospettabili.
Segue Mad God, di un autentico genio dell’animazione e degli effetti visivi: Phil Tippett, già premio Asteroide alla carriera nel 2019 quando partecipò di persona al TS+FF. Un premio dovuto, considerata la sua carriera nel corso della quale ha ottenuto due Oscar, sei candidature, un BAFTA, due Emmy e i premi Winsor McCay e George Méliès, grazie al suo lavoro per Star Wars, Robocop, Jurassic Park e Starship Troopers. Il film in calendario è il suo primo lungometraggio, opera, ovviamente, di animazione, girata a passo uno, che ci trasporta in un mondo teatro di lotta tra folli scienziati, mostri e maiali belligeranti in una cornice cupa e allucinata. È d’animazione anche l’altro film condiviso dai due programmi, ovvero Junk Head di Takahide Hori, distopico quanto basta con protagoniste creature che risultano un inquietante ibrido tra l’immaginario di HR Giger e Hyeronimus Bosch.

Tra natura mutante, virus e temi immutabili
I restanti quattro film fuori concorso saranno proiettati in sala e spicca l’ultimo lavoro di Ben Wheatley, visionario autore di opere come A Field in England (2013), storia di alcuni disertori nel corso della guerra civile inglese che si ritrovano a mangiare funghi con proprietà allucinogene, e soprattutto High-Rise (2015), trasposizione del visionario romanzo di James Ballard. La sua ultima fatica che ora arriva a Trieste si intitola In The Earth, pensato e girato in pieno lockdown nel 2020. Racconta, guarda un po’, di un orribile virus che infetta il mondo. La cura andrebbe ricercata in natura, almeno di questo è convinto uno scienziato che si avventura in un bosco in compagnia di uno scout e di una guida forestale. La natura però non si rivela proprio ospitale e benigna…
Natura poco amichevole che si ritrova anche in Lamb di Valdimar Jóhannsson che si avvale della presenza di Noomi Rapace, mentre Spiritwalker del coreano Yoon Jae-keun è un thriller sci-fi costruito intorno a uno spunto non del tutto originale: un uomo perde la memoria, si sveglia in un corpo diverso ogni dodici ore e ogni volta è costretto a indagare sulla sua identità.
Ultima delle pellicole fuori concorso riservate alla proiezione in sala è Zero and Ones di Abel Ferrara, presentato in concorso al 74° Locarno Film Festival, dove ha vinto il premio per la regia. Opera fortemente segnata anch’essa dal Covid-19, girata a Roma durante il lockdown. Qui sullo sfondo di una metropoli molto dark e parecchio deserta, è in azione il soldato statunitense JJ fra trame oscure di diversi servizi segreti e la minaccia di un attacco al Vaticano per raderlo al suolo.

Absolute Denial di Ryan Braund.

Anche i film in concorso spaziano per generi, temi e figure dell’immaginario oramai consolidate. Il rapporto tra uomo e intelligenza artificiale, per esempio, è affrontato nello stupefacente Absolute Denial di Ryan Braund, film d’animazione a passo uno composto da oltre 30.000 fotogrammi disegnati a mano. Opera pandemica, in un certo senso, è anche The Pink Cloud che segna l’esordio cinematografico della regista brasiliana Iuli Gerbase: sullo sfondo c’è una misteriosa invasione pandemica che rimanda assai alla nuvola di Matthew P. Shiel, al centro della storia una coppia costretta in casa che offre il destro per indagare sulla vita quotidiana e sulle emozioni delle persone. Infezione e isolamento fanno da sfondo anche alla storia raccontata da Mattia Tempoini in El nido, mentre più trasversale è il film sempre di genere survival a tinte horror, Gaia, esordio nel lungometraggio di Jaco Bouwer.
Sul tema della distopia si pronuncia una coppia di film proponendo nuove variazioni. Il primo è Night Raiders di Danis Goulet ed è ambientato nel Nord America. Siamo nell’anno 2043 e da un conflitto bellico è sorto uno stato dispotico proprietario di tutto, anche dei bambini. L’altro si intitola Strawberry Mansion ed è firmato a quattro mani da Kentucker Audley e Albert Birney. Qui si tende a incrociare stato orwelliano e contesti da Black Mirror, in un mondo dove si riscuotono tasse anche sui sogni.

Quei morsi che lasciano sempre il segno nell’immaginario
Oltre al citato Jakob’s Wife, invece, in concorso si presentano ben tre film sulle creature delle tenebre. Vi torna esplicitamente Vampire di Branko Tomovic. Siamo a Londra, meta prediletta dai tempi del conte Dracula, ma il pericolo non arriva dalla Transilvania bensì dalla Serbia e lo script prende spunto proprio da casi di vampirismo serbo risalenti al diciottesimo secolo. Sberleffo e paura invece in un altro film a tema vampirico, Let the Wrong One In, dell’irlandese Conor McMahon. Qui siamo appena più a nord, a Dublino, e il vampiro di turno è fonte per così dire di un conflitto familiare: il buono e il cattivo (il vampiro) sono fratelli. A chiudere con le variazioni sul tema arriva infine Rose: A Love Story di Jennifer Sheridan, che dietro un titolo che più romantico non si può cela la classica sete di sangue, frutto di una misteriosa malattia nella solitudine dei boschi dove vive la coppia protagonista (ancora isolamento, ancora un virus?).
Altra figura classica dei mondi oscuri è quella della strega di scena in Witch Hunt di Elle Callahan, ambientata in un’America alternativa dove la stregoneria è tanto praticata quanto illegale e per farla franca occorre fuggire clandestinamente in Messico.

Settlers di Wyatt Rockfeller.

Sempre vivo nell’immaginario, anzi rivitalizzatosi negli anni Duemila, è il pianeta rosso, e su Marte è ambientato Settlers di Wyatt Rockfeller; storia di sopravvivenza, di frontiera, un cocktail a base di western e fantascienza. In fondo anche John Carter arrivava dal vecchio West. Classica sci-fi anche in Warning di Agata Alexander, storia di un astronauta fluttuante nello spazio a seguito di incidente durante un’operazione di controllo e di una serie di storie che si svolgono in contemporanea sulla Terra, nel segno della frustrazione, del malessere, della solitudine, mentre sul pianeta incombe la catastrofe. Altro tòpos sci-fi non eludibile è il viaggio nel tempo e al filone appartiene la storia di Christopher MacBride, Flashback, sulle prime un classico thriller fantascientifico che il viaggio conduce a esiti imprevedibili.

Anteprime, classici e una retrospettiva
A essere riservati alla sola visione in sala sono le opere della sezione Classix e la retrospettiva di quest’anno dedicata al cinema fantastico svizzero e l’anteprima con l’ultimo lavoro di Leos Carax, Annette, presentato in apertura al Festival di Cannes 2021 e in uscita nelle sale italiane il prossimo 18 novembre. I classici si presentano da soli, essendo un poker d’assi che il tempo ha consacrato. Si tratta di 1997 – Fuga da New York (1981) di John Carpenter, riproposto in occasione dei suoi quarant’anni, il coevo Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis, L’uomo che fuggì dal futuro – THX 1138 (1971) di George Lucas, che festeggia il mezzo secolo di vita. Infine, La morte in diretta (1980) di Bertrand Tavernier, omaggio al regista francese scomparso quest’anno e vincitore dell’Asteroide d’oro nel 1980 in occasione del diciottesimo TS+FF. Interpreti magnifici (Romy Schneider, Harvey Keitel, Harry Dean Stanton e Max von Sydow) e notevole il racconto di David G. Compton da cui venne tratto e che Tavernier rilesse da par suo.
Di particolare interesse la rassegna sulla cinematografia elvetica di genere, che rispolvera due storici lungometraggi davvero fuori dagli schemi. Il primo è L’inconnu de Shandigor (1967) di Jean Louis Roy da noi apparso con il titolo La vergine di Shandigor, film grottesco, a tratti sconclusionato, metafisico, surreale e altro ancora come si può già evincere da un accenno di trama: si racconta di uno scienziato paraplegico decisamente matto, il quale per nascondere la sua incredibile invenzione, chiamata “Annullatore Nucleare”, marchingegno in grado di neutralizzare qualsiasi bomba atomica, si nasconde in una villa-castello-bunker assieme a un fido assistente e la bellissima figlia. Krantz, questo il nome dell’inventore folle, è braccato da KGB, CIA ma anche da bislacche organizzazioni criminali segrete come “Il Sole Nero d’Oriente” e le “Teste Calve”, quest’ultime capeggiate nientepopodimeno che da Serge Gainsbourg.

L’inconnu de Shandigor di Jean Louis Roy.

La scena in cui questi esegue un suo brano (l’unico da lui firmato della colonna sonora) Bye Bye My Spy, cantando e suonando all’organo mentre uno dei membri della gang viene imbalsamato vale da sola l’intera visione del film dove c’è dentro di tutto, dagli omaggi a James Bond a quelli ad Antoni Gaudí.
L’altro cult è Grauzone, un mockumentary girato in un bianco e nero onirico dallo zurighese Fedi M. Murer nel 1979. Vi si documenta di una misteriosa epidemia che il governo cerca di insabbiare e che una radio pirata, Radio Eisberg, segnala: un’epidemia, una malattia emotiva che induce alla malinconia, altera la sensibilità, crea un bisogno impellente di uscire. È il mondo della zona grigia che si ammala, quello della maggioranza silenziosa. Recupero importante di un’opera visionaria. Si balza ai nostri tempi con le altre cinque opere selezionate, dando modo di conoscere le varie declinazioni operate nel corso degli anni Duemila dalla cinematografia elvetica nei vari filoni del fantastico, in primis nella fantascienza.
È il caso dell’inquietante TiereAnimals (2017) di Greg Zglinski, gioco calibrato di alternanza tra realtà parallele durante il quale il confine tra realtà, sogno, sanità e follia si fa via via più labile. La mutazione all’ombra del vampiro è invece il focus di Chimères (2013) di Olivier Beguin, nel quale il protagonista si infetta e inizia a cambiare a seguito di una trasfusione di sangue. Scenario post-apocalittico e horror quanto basta invece per Hell (2011) di Tim Fehlbaum, che dice la sua in materia di sopravvivenza in un mondo sul punto di finire. Appartiene al mondo dell’oscuro e del fantastico invece The Innocent di Simon Jaquemet, che racconta l’inesorabile precipitare di una scienziata, nonché madre in una felice famigliola svizzera, a partire dell’improvviso ritorno di un suo vecchio amante. Infine il teen movie Particles (2019) di Blaise Harrison con protagonisti dei liceali è alle prese con uno strano fenomeno legato a un acceleratore di particelle.

Alien on Stage di Danielle Kummer e Lucy Harvey.

Un cenno allo sciame di cortometraggi in programma, distribuiti in varie sezioni inclusa una dedicata alle produzioni italiane e anch’essi caratterizzati da forte eterogeneità, comprendenti diversi lavori d’animazione, alcuni legati al tema del virus, altri che ritornano sui classici (intelligenza artificiale, distopia, mutazioni), incursioni nell’horror, vampiri inclusi. Tra i documentari in cartellone, infine, si fa notare un omaggio quantomeno bizzarro a un’altra pietra miliare del cinema di fantascienza, ovvero Alien. Il docufilm si intitola Alien on Stage e lo hanno firmato Danielle Kummer e Lucy Harvey. Racconta della bizzarra iniziativa di un gruppo di attori non professionisti,  autisti d’autobus nel Dorset e i loro amici e parenti, dedicatisi per un anno alla realizzazione di uno scrupoloso adattamento teatrale del film di Ridley Scott. Nonostante il fiasco della prima, della faccenda la troupe riesce anche ad approdare nel West End londinese. Il reportage delle avventure di questa allegra brigata è firmato da Danielle Kummer e Lucy Harvey.
Una stranezza, ma quando si parla di un Alieno del genere dove sta la normalità?