Baudrillard, o un pensiero
ai confini dell’iperrealtà

Serge Latouche
Quel che resta di Baudrillard
Un’eredità senza eredi
Traduzione di Fabrizio Grillenzoni

Bollati Boringhieri, Torino, 2021
pp. 256, € 27,00

Serge Latouche
Quel che resta di Baudrillard
Un’eredità senza eredi
Traduzione di Fabrizio Grillenzoni

Bollati Boringhieri, Torino, 2021
pp. 256, € 27,00


Davvero possiamo dire Oublier Baudrillard? parafrasando il titolo di un suo saggio del 1977, oppure dobbiamo, in linea con una collettanea del 2017 curata da Vanni Codeluppi e Maria Angela Polesana, dire Baudrillard ovunque?
Il filosofo francese che fu ben noto nel corso dell’ultima parte del secolo scorso, dal 1968 in poi, al punto che si evocava frequentemente la triade Michel Foucault – Gilles Deleuze – Jean Baudrillard, fu poi in un certo senso la prima vittima di una sorta di restaurazione filosofica che, nel nuovo millennio, ha avuto come obiettivo di minare alla radice quel pensiero contestatore che possiamo – seppur con una certa approssimazione – definire postmoderno. Oggi che anche Deleuze e Foucault sono direttamente nel mirino di quello stesso razionalismo che negli ultimi vent’anni ha di fatto messo al bando, o comunque ampiamente sminuito, la portata dell’opera di Baudrillard, la questione del suo oblio non può più essere minimizzata, e lo testimoniano, oltre al volume di Serge Latouche, Quel che resta di Baudrillard. Un’eredità senza eredi, i vari testi pubblicati negli ultimi anni, dove si ritrovano diverse ristampe e alcuni testi critici. Certo è che in relazione ai tre filosofi francesi non si può parlare di un fronte compatto: così come tra loro sono tutt’altro che omogenei nel loro pensiero (difatti Latouche contesta l’attribuzione ai tre dell’etichetta di postmoderni), così le critiche che gli vengono rivolte non sono certo provenienti da una sola fonte, anzi.

Resta il fatto però che la messa all’indice subita dall’opera di Jean Baudrillard non ha probabilmente pari tra i filosofi di rilievo della seconda metà del Novecento, in considerazione anche della profonda influenza da lui esercitata sui contemporanei. La causa di questo destino la possiamo per lo più rintracciare nei suoi scritti seguiti all’attentato delle Twin Towers, e alla mondiale riprovazione che subirono, ma forse soprattutto nella ritrosia dello stesso Baudrillard verso ogni forma di monumento, di mausoleo, e quindi di storicizzazione. Il suo pensiero oggi non ha eredi soprattutto perché non ne ha voluti, la critica che vi è contenuta non ammette una discendenza. Il maestro non deve mai sopravvivere nell’allievo, ma costui deve innanzitutto uccidere il padre.

“Che resta di Baudrillard a più di dieci anni dalla sua morte?
L’oblio, in tutto e per tutto?
La sua opera resta, ed è notevole. Chi la riprende?
Jean Baudrillard non ha designato discepoli, né eredi accademici, non ha lasciato un testamento, non ha fatto scuola. Bisogna definitivamente dimenticarlo, come sembra aver lui stesso indicato e desiderato? Questa domanda ne solleva diverse altre. È veramente dimenticato? E se sì, perché si dovrebbe riscoprire?”.

Così si domanda Latouche sin dalle prime pagine della biografia intellettuale che ha dedicato a Jean Baudrillard, di cui è stato per lungo tempo amico e compagno di strada, almeno fino alla fine degli anni Settanta, quando, dopo la pubblicazione de Lo scambio simbolico e la morte, nel 1978, le loro strade si sono separate. Non si è più mantenuto, nei decenni a seguire, un piano intellettuale comune, dove le loro differenti visioni si potessero confrontare, condividendo quell’apertura dove procedere alla decostruzione dell’economico, riconducendolo ai suoi elementi più arcaici, precedenti alla tecnologia dello scambio. Come dice Latouche stesso, a partire dal saggio sopra citato:

“[…] le nostre strade si sono separate. Mentre lui aveva terminato la sua traversata dell’economia, della psicoanalisi e della linguistica […] ed era arrivato, per usare il suo termine, alla loro ex-terminazione, io continuavo sulla mia strada, quella della critica dell’economia, per arrivare poi rapidamente al concetto della decrescita […]”.

Negli anni che seguirono, la distanza tra i due non si ridusse, anzi, e fu solo in tempi recenti, posteriori alla scomparsa di Baudrillard, che nacque in Latouche l’impulso a seguire il cammino dell’amico.

“Senza avere veramente conti da regolare con questo fratello maggiore, un tempo complice e amico incompleto, mi sorprendo a riprendere un dialogo interrotto per un comune tacito accordo, figlio di una incomprensione reciproca. Questo libro è forse il tentativo di riannodare gli scambi al di là dei malintesi che ci avevano «esiliati dal dialogo», per usare una delle sue espressioni”.

Certo è che un confronto come quello che Latouche si propone è irto di ostacoli, soprattutto metodologici, ma anche teleologici. Difatti l’autore sin dall’inizio ci informa di come sia complesso, ma soprattutto non corretto, un approccio squisitamente cronologico, che veda il pensiero di Baudrillard come un cammino senza interruzioni, un sentiero evidente dove si procede con logica e sequenzialità. Nulla di tutto ciò. Baudrillard è un pensatore che appartiene alla categoria di coloro che continuano a ritornare sullo stesso tema, a riscrivere sempre lo stesso libro, come dice Latouche citando Paul Valery, e quindi è l’approccio tematico a essere maggiormente adeguato all’occasione. La critica però ha di fatto identificato una periodizzazione, per quanto approssimativa, e che in fondo, almeno formalmente, viene seguita anche da Latouche, e che corrisponde poi alla storia della sua relazione amicale con Baudrillard. Si va quindi a distinguere una prima fase della sua riflessione, che va a coprire il decennio dal 1968 al 1978, e che comprende quello che Latouche chiama il pentateuco, ovvero i primi cinque titoli della produzione di Baudrillard: Il sistema degli oggetti (1968; l’anno è quello della pubblicazione originale, ndr) La società dei consumi (1970), Per una critica dell’economia politica del segno (1972), Lo specchio della produzione (1973) e Lo scambio simbolico e la morte (1976).

Il secondo periodo, obiettivamente molto più lungo e articolato, andrebbe da Della Seduzione, che venne pubblicato nel 1979, fino alla morte. Il primo periodo sostanzialmente, seppur con difficoltà, è di fatto interpretabile ancora integralmente alla luce delle grandi categorizzazioni novecentesche del marxismo e della psicoanalisi. Lo stesso non si può dire della sua seconda fase, che agli occhi dei più, e pur escludendo i testi incriminati dopo l’11 settembre, è considerata come una sequenza di scritti esoterici. Per Baudrillard, ça van sa dire, vi è una coerenza tra le due grandi periodizzazioni, e secondo la sua ricostruzione nel primo periodo sono già incluse le tematiche del secondo. I concetti dell’inizio appartengono ancora al linguaggio convenzionale, corrispondono al repertorio abituale delle discipline del tempo: antropologia, semiologia, psicoanalisi… ma con l’obiettivo di decostruirle. O piuttosto non tanto di decostruirle, quanto di portare i termini al loro limite, di sottoporli alla prova del vuoto. Di fare in modo che si squalifichino da soli per aprire altre sfide – è allora che compaiono il simulacro, la seduzione, l’iperreale, il fatale: termini non sostitutivi gli uni degli altri, ma che si susseguono e si svolgono secondo una sorte di spirale (cfr. Baudrillard, Les exilés du dìalogue, Galilée, Paris, 2005, citato in Latouche).

Un profilo disegnato da parole chiave
Latouche, postosi come si è detto il problema dell’approccio, sceglie quindi un approccio tematico, seguendo questi luoghi ideali intorno a cui Baudrillard ha ruotato nel corso degli anni: l’identità, l’oggetto, il valore-segno, lo scambio simbolico, il dono, la seduzione e così via. Quelle che lui chiamava le parole chiave. La scelta metodologica assunta non gli impedisce però di mescolare gli aspetti diacronici con quelli sincronici, e procedere quindi attraverso un continuo movimento, sia intellettuale sia temporale, procedendo a evidenziare affinità e differenze tra i diversi momenti. Il testo che ne è nato ha il respiro della biografia e la profondità di un saggio filosofico.
Latouche da un lato ricostruisce la vicenda dell’amico e compagno, ma dall’altro si misura costantemente con il suo pensiero, in una sorta di resa dei conti troppo a lungo rimandata. Se Baudrillard è stato volutamente dimenticato dall’accademia, l’amico Latouche in questo contesto si fa carico della sua riproposizione, e in questo caso la carica anarchica e deistituzionalizzante per cui Baudrillard non ha voluto eredi né testamenti, nelle mani di Latouche diventa un volano per riattualizzare lo spirito magnetico e iconoclasta che caratterizzava l’amico. Il confronto è serrato, e dal testo emergono riferimenti alle tematiche ben note, che abbiamo evidenziato, ma anche ambiti meno ufficiali e più nascosti.

Baudrillard stesso divideva sommariamente la propria vita in segmenti, e si è definito originariamente patafisico e con il passare degli anni situazionista e poi utopista, per concludere con trasversale, virale e metalepsico. Latouche affronta queste metafore dell’icona Baudrillard e lavora costantemente sulla decostruzione dei simboli, alla ricerca dell’uomo e della sua prospettiva. Baudrillard, approdato alla sua seconda fase, ha fatto del nichilismo una sorta di terreno comune a ogni discussione, per cui il confronto non riusciva a uscire dalla dicotomia illusioni – disillusioni, che lui usa per porre i confini di una società senza speranza. “In fin dei conti tutta l’opera di Baudrillard ruota intorno al disincanto malinconico della modernità, tra rivolta rassegnata e rassegnazione ironica”.

Così dice Latouche, verificando come il disimpegno, il rifiuto della civiltà, l’alterità totale, in una parola il distacco disincantato dal mondo, siano senza dubbio la cifra non solo stilistica, ma etica e politica del filosofo. Eppure, conclude Latouche, forse è possibile leggere nelle pratiche, sempre presenti nella sua vita, più che nei testi, un tentativo di reincantare il mondo, per esempio attraverso la fotografia, a cui si è dedicato nell’ultima parte della sua esperienza. Latouche attraverso questo passaggio (e altri analoghi) cerca di ritrovare un’immagine del mondo condivisibile, senza negare la distanza che per la gran parte della vita li ha separati.

“Profeta negativo, se non pensatore distaccato, diventato indifferente, più antropologo del quotidiano che sociologo, Baudrillard svela con piena ragione l’inanità degli specialisti, e in particolare l’impostura degli economisti che si prendono sul serio. In realtà interpreta nell’universo del pensiero il ruolo del trickster […]. Insegue l’autentico di cui ha nostalgia per denunciarne la scandalosa inesistenza”.

Contemporaneamente però Latouche non cerca di ridurre Baudrillard, e anzi ne sottolinea ed esalta l’irriducibilità. Questo continuo ritorno su sé stesso del giudizio non può che sottolineare la difficoltà di Latouche, quello che lui chiama l’enigma di Baudrillard.

“Far scomparire e far riapparire, non è forse l’equivalente di leggere, far leggere e rileggere, pensare, e pensare di nuovo, percependo alla fine ciò che era passato inosservato, ed eclissando ciò che è troppo visto del pensiero di un autore? Non è possibile altro programma”.

Se ne trae l’impressione che per Latouche la ricostruzione di un piano condivisibile sia quasi una sorta di banco di prova di quel pensiero del reincanto, che lui stesso ha teorizzato. È come se cercasse, una volta appurata l’inevitabilità del nichilismo, di superare insieme quel passaggio. È come se, per Latouche, la sconfitta del pensiero di Baudrillard fosse in un certo modo la sua, o perlomeno come se mettesse in discussione anche i suoi fondamenti, che lui riconosce di avere in comune con il vecchio amico. La denuncia dell’ostracismo esistente sul pensiero di Baudrillard e sulla sua scomparsa dalle Università è quindi per Latouche un passo cruciale del cammino che porta all’incontro con un pensiero fortemente critico come è stato quello di Baudrillard, nella segreta speranza che quel male elevato a unica realtà, così come lo vediamo emergere nel pensiero del defunto filosofo francese, possa anch’esso ritornare nella simulazione e nel simulacro che lo ha generato, permettendo alla ragione di operare di nuovo criticamente, ottenendo una nuova speranza per la filosofia in occidente.