Della musica senza qualità:
le congetture di Mr. Toop

David Toop
Oceano di suono
Traduzione di Michele Piumini

Prefazione di Valerio Mattioli
Add Editore, Torino, 2023
pp. 383, € 22,00

David Toop
Oceano di suono
Traduzione di Michele Piumini

Prefazione di Valerio Mattioli
Add Editore, Torino, 2023
pp. 383, € 22,00


Due imponenti scatoloni hanno fatto irruzione sul mercato discografico a inizio anno, ciascuno contenente otto ellepì e un libro di duecento pagine, volumi entrambi zeppi di fotografie e rilegati. A corredo un cd riepilogativo. I due cofanettoni sono stati fabbricati dall’etichetta tedesca Vinyl on Demand, creata e gestita da Frank Maier per riportare alla luce le cose migliori e spesso più oscure della musica sperimentale, elettronica rumorista/industriale di fine anni Settanta/inizio anni Ottanta. Il monumentale doppio box si intitola Quartz-Mirliton Cassette Recordings 1971-1979 e recupera, restaurate, le registrazioni della Mirliton, sotto-etichetta della Quartz, non di granché più grande. Una minuscola impresa discografica che nacque per iniziativa di David Toop e del suo sodale, Paul Burwell, intorno a cui ruotarono, incrociandosi in piccole formazioni, altri esponenti dell’improvvisazione radicale britannica, tra cui Evan Parker, Hugh Davies, Bob Cobbing, Max Eastley, Frank Perry e Steve Beresford. In questo mese di giugno le cronache discografiche segnalano ancora Toop, riapparso in compagnia di un altro cacciatore di suoni, Lawrence English. Le forze congiunte dei due hanno dato forma a un ellepì intitolato The Shell That Speaks The Sea pubblicato dall’australiana Room40, mettendo a frutto vent’anni di conoscenza, lungo i quali i due si sono ritrovati entrambi affascinati dalle implicazioni materiali e immateriali del suono. È un’esplorazione incessante quella condotta da Toop da oltre mezzo secolo con svariati mezzi: suoni e parole. Un’indagine che grossomodo a metà del suo cammino, nel 1995, prese la forma di Oceano di suono, il suo libro più famoso e celebrato. David Toop è una personalità complessa e sfaccettata, un intellettuale a tutto tondo, ma è soprattutto un musicista. Lo è tuttora e lo era quando pubblicò Oceano di suono, ora tornato disponibile in italiano nella nuova traduzione di Michele Piumini per Add, a cui si deve la meritoria impresa di riproporlo (peccato però per alcuni strafalcioni nelle date), subentrando alla storica edizione Costa&Nolan uscita nel 1997 con la contestatissima traduzione di Nino Belleggia.

L’attività poliedrica di David Toop spazia dalla musica improvvisata alla scrittura, dall’elettronica registrazioni sul campo, dalla curatela di mostre e installazioni di arte sonora all’insegnamento.

Toop era già un musicista anche quando esordì come scrittore pubblicando Rap Attack (1984), nonché prima di iniziare la sua attività di critico musicale scrivendo articoli che nel tempo dai primi anni Settanta a oggi sarebbero comparsi su numerose testate, tutte di alto profilo, tra cui The Wire, The Face, The Times, The Sunday Times, The Guardian, The New York Times e The Village Voice. Come si è detto, si dava già da fare all’alba dei Settanta nei territori della sperimentazione sonora.
Musicista iconoclasta, Toop ha agito lungo tutto gli anni Settanta nell’area dell’improvvisazione, esperienze che hanno trovato la miglior sintesi nella formazione a quattro degli Alterations (assieme a Peter Cusack, Terry Day e il citato Beresford), alternando quelle peripezie elettroacustiche con sortite verso lidi più commestibili, non solo i Flying Lizard e gli General Strike citati da Valerio Mattioli nella sua prefazione (che ignora gli Alterations), ma anche altre formazioni ancora più bislacche, come The Promenaders o la collaborazione con i 49 Americans. Non appaia superflua questa premessa. È fondamentale per non smarrirsi o travisare il senso di Oceano di suono, testo complesso, non certo per la scrittura leggiadra di Toop, quanto per la messe di riferimenti culturali e per il sapere musicale che mette in campo, che sciorina, verrebbe da dire, se non fossero tutti ingredienti essenziali al racconto. Una tavolozza di nozioni, personaggi, esperienze, ricordi, riflessioni, necessaria per intrecciare un arazzo raffinatissimo capace di rappresentare per intero tutte le musiche novecentesche che hanno disgregato concetti, abolito steccati e ridisegnato confini, rendendoli labili, elastici, fornendo diritto di cittadinanza a ogni suono, qualsiasi ne sia la provenienza e la discendenza culturale. Un intento messo nero su bianco dallo stesso Toop nel prologo alla prima edizione sottolineando di essersi concentrato su:

“un’erosione delle categorie, uno sfaldamento dei sistemi per fare spazio a nuovi stimoli, nuove idee e nuove influenze provenienti da un ambiente in rapida evoluzione. Un ambiente che, allora come ora, comprendeva suoni del mondo – musiche mai sentite prima e suoni ambientali di ogni genere, rumori urbani e segnali bioacustici – oltre a esperimenti di presentazione rituale, innovazioni tecnologiche, sistemi di accordatura e principi strutturali inconsueti, improvvisazione e caso”.

Oceano di suono parla di musica, parla di musicisti visionari e delle connessioni con altre epifanie, letterarie e cinematografiche; parla di incontri con musicisti straordinari, con uomini straordinari, illuminati. Una narrazione che procede per associazioni, per suggestioni, scivolando da una lettura di Thomas Pynchon o di James Ballard, Marshall McLuhan, Claude Lévi-Strauss agli incontri o le testimonianze con i protagonisti di queste rivoluzioni permanenti del suono.
È una successione di incontri ravvicinati seducenti. Ci troviamo con Toop e Ryuichi Sakamoto in “uno studio hi-tech a Londra ovest”, oppure siamo in un ristorante di King’s Road con Richard James, in arte Aphex Twin, colui che fulminò un’intera generazione con le sue favole elettroniche o ancora eccoci con Robin Rimbaud meglio noto come Scanner che armeggia nel salotto di Toop con un’antenna economica, o ancora in un ristorante di un teatro londinese assieme a La Monte Young e Marian Zazeela conversando amabilmente intorno ai “rapporti tonali prolungati” e da lì indietro nel tempo, fino al 1963, spostandosi nel New Jersey   per narrare le vicende del Theatre of Eternal Music e del giro avantgarde newyorkese, i semi del Velvet Underground (John Cale e il primo batterista della band, Angus MacLise), Tony Conrad, Garrett List, Walter De Maria ed Henry Flynt.
Oceano di suono sparge ovunque episodi del genere, narrati da Toop come se confidasse personalmente a ciascun lettore i suoi ricordi e le sue esperienze, fino a giungere all’epico racconto dell’avventura lungo il corso dell’Orinoco dove si avventurò non ancora trentenne a caccia di suoni e canti della foresta e degli sciamani in compagnia del suo amico venezuelano Nestor. Un’esperienza inaudita:

“Avevo letto il resoconto di Artaud sulla sua ricerca della magia e del mito collettivo in Messico, oltre a varie «avventure impossibili» che pullulavano di minacciosi avvertimenti su pastinache, piranha e strani pesciolini dentellati capaci di risalire un getto d’urina per conficcarsi nell’uretra di un uomo. Ma nulla avrebbe potuto prepararmi al surrealismo dell’Amazonas”.

Il diario del suo viaggio torturato da zanzare, caldo e dissenteria, svela la natura autentica dell’intero Oceano di suono, libro di theory fiction ante litteram, laddove si avvicendano senza soluzione di continuità annotazioni personali di Toop, le voci dei protagonisti, le riflessioni teoriche, le contestualizzazioni storiche e quelle private. Tutto si lega indissolubilmente, riflessioni sul suono e fatica quotidiana, come in questo passaggio:

“Quando crolliamo sulle amache i rumori notturni di rane, cicale e insetti formano una complessità brulicante, ma il prurito provocato dalle infinite punture di zanzara ci impedisce di goderci la sinfonia”.

Il materiale registrato, i canti rituali degli sciamani Yanomani, comparve parzialmente su un vinile della Quartz e molti anni dopo, nel 2015, in un doppio album, Lost Shadows: In Defence of the Soul (Sub Rosa) con il missaggio di English. Tappa chiave, ma il viaggio di Oceano di suono parte da molto prima, dall’Esposizione Universale di Parigi nel 1889, quando Claude Debussy ascoltò un concerto di musica giavanese. “A partire da quel momento – a mio modo di vedere, l’inizio della musica del Novecento – la rapidità delle comunicazioni e gli scontri culturali divennero un cardine dell’espressione musicale”. Non si poteva che iniziare da lì, perché le grandi Esposizioni Universali, soprattutto quelle londinesi e parigine, sono state la culla, anzi il grembo che ha dato vita a tutto l’immaginario che ancora agita noi contemporanei. Basti pensare ai dinosauri, ri/nati in quel contesto. Successivamente all’uscita del libro, Toop compilò anche una raccolta di brani che finirono su un doppio compact disc pubblicato con il medesimo titolo dalla Virgin, una audio guida alla lettura per forza di cose limitata, considerata la mole di storie musicali narrate, per le quali non due, ma forse neanche venti dischi basterebbero.
Oceano di suono parla di Sun Ra, l’alieno venuto da Saturno, e della sua musica frutto di assemblaggio e sfaldamento continuo del caos che procede per sintesi, micro-unità di suono, connessioni imprevedibili. Il suono è sfaldato, sfogliato, secondo una serie infinita di assi; un’operazione che l’elettronica aiuta a svolgere, introducendo distorsioni sonore che rivelano la materialità del suono stesso.
Oceano di suono parla di Lee “Scratch‟ Perry, metà scienziato, metà catturatore di spiriti, Lee “Scratch‟ che diede vita alla più inquieta delle forme della black music, ovvero il dub, virus sonoro segnato dalla logica di riproduzione, reinvenzione, replica, sovrapposizione, duplicazione e moltiplicazione delle vie di fuga del suono. “Dub significa duplicare, replicare, reinventare, realizzare una di tante versioni. Non esiste un mix originale, perché la musica immagazzinata su un registratore multitraccia, floppy disk o hard disk è solo una collezione di bit”, precisa Toop.
Oceano di suono parla degli sperimentatori inglesi della prima ora, dell’incontro fatale tra il giovanissimo Toop e gli uomini dell’Amm:

“1966, Roundhouse, Chalk Farm, Londra. In attesa all’inizio della fila, a tarda sera, poi quasi il primo a entrare nell’edificio, un guscio circolare vuoto un tempo usato per girare le locomotive a vapore. L’interno ha l’atmosfera cupa e maestosa di un’abbazia in rovina, una fabbrica abbandonata piena di tetri angoli in penombra e sudicie nicchie. Al centro del pavimento stanno allestendo delle luci sul tetto di un piccolo capanno. Sul palco, uomini che si affaccendano senza scopo. Uno indossa un impermeabile corto e soffia a scatti in un sax tenore; un altro, con gli zigomi pronunciati e il pizzetto, monta una batteria, esegue precisi rulli, poi smonta la batteria e rimette piatti, aste e tamburi nelle custodie; due uomini rannicchiati a terra lottano con fili, spine, prese, aggeggi vari e una chitarra. Vengono prodotti forti scoppi di rumore, nessuno dei quali sembra collegato in alcun modo agli altri suoni. In piedi sul bordo del palco, guardandomi intorno, vedo che nessun altro spettatore si è reso conto che questa è una performance

[…]

Poco dopo quell’evento cruciale […] scoprii che quei personaggi apparentemente sprovveduti sul palco si chiamavano amm. E avevano dei nomi. Il sassofonista era Lou Gare, il batterista Eddie Prévost, i due uomini rannicchiati a terra Cornelius Cardew e Keith Rowe”.

Oceano di suono parla di Jimi Hendrix, dei sui furori elettrici, dell’incontro del secolo mai avvenuto con Miles Davis, della stagione dionisiaca, inebriante di quest’ultimo, le sue orge di suono, la sua musica libera da ogni cliché, che “si riconosceva nelle idee stockhauseniane di durata «ininterrotta» e performance come processo” e con lui la congrega elettrica nella sua orbita (Joe Zawinul, Herbie Hancock, John McLaughlin), un “calderone afrocentrico” stigmatizza Toop.
Oceano di suono parla di Brian Eno, ne parla un po’ ovunque, lui il signore della musica per ambienti, l’invenzione che mandò in frantumi con leggerezza muzak e avanguardia, la musica per ascensori e quella per accademie, risonorizzando i nostri paesaggi interiori. A lui si deve anche l’esordio discografico di Toop, New/Rediscovered Musical Instruments, un album condiviso con lo scultore sonoro e inventore di strumenti musicali, Max Eastley, disco pubblicato nel 1975 come parte della collana Obscure della Island. Dieci volumi oramai di culto e di prossima ristampa rimasterizzati, attesi per settembre, che vedeva tra i partecipanti all’impresa altri musicisti che si incontrano tra le pagine di Oceano di suono, come Harold Budd, Gavin Bryars, Michael Nyman, allora indeciso se scrivere libri sulla musica (ne aveva appena terminato uno, La musica sperimentale) o sperimentare in musica, finendo poi per ottenere successo grazie alla proficua collaborazione con Peter Greenaway. A sua volta, Eno chiamò il suo gettone di presenza Discreet Music, uno dei titoli più preziosi della propria carriera. Quanto alla coppia Toop/Eastley, i due si ritroveranno proprio ai tempi di Oceano di suono, pubblicando l’anno prima (1994) l’album Buried Dreams, un flusso di suoni, voci, rumori catturati da ogni dove per andare a formare un paesaggio labirintico e arcano.
Come una punta d’iceberg, i nomi citati finora, tra i più famosi della schiera chiamata a raccolta da Toop, fanno intendere da soli la vastità dell’oceano attraversato da Toop e se ai più alcuni possono risultare poco noti o ignoti, i restanti lo sono ancor di più, e come detto, Oceano di suono è in questo senso un libro complesso, non è affatto leggibile da chiunque, da chi “pur non interessato alla musica, voglia comprendere le origini di quella Civiltà della Rete inizialmente sospinta dal lento arrancare di un modem a 56k” come scrive Mattioli nella sua prefazione per certi versi fuorviante.
In definitiva, Oceano di suono parla di musiche possibili, come recitava il sottotitolo di Fourth World (1978), un celebre lavoro di Jon Hassell creato in complicità con Eno. Un altro visionario su cui Toop si sofferma. Hassell, genuino sciamano tecnologico del villaggio globale ormai prossimo al grande salto del mondo iperconnesso, musicista e creatore di mondi immaginari per i quali immaginare nuove musiche autoctone. Musiche possibili, musiche senza qualità nell’accezione musiliana, laddove esprime “il senso della possibilità […]  la capacità di pensare tutto quello che potrebbe egualmente essere […] una volontà di costruire un consapevole utopismo” (Musil, 2014).

Letture
  • Robert Musil, L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino, 2014.