Crash: le lesioni emotive
di una società alla deriva

David Cronenberg
Crash (1996)
Cast principale: James Spader,
Holly Hunter, Elias Koteas, Deborah
Kara Unger, Rosanna Arquette,
Peter MacNeill

Musica: Howard Shore
Direttore della fotografia:
Peter Suschitzky

Produzione:
Alliance Communications Corporation,

The Movie Network,
Recorded Picture Company,

Téléfilm Canada

L’illustrazione di copertina
della prima edizione rilegata
per il mercato statunitense
pubblicata nel 1973
dall’editore newyorchese
Farrer, Straus and Giroux.
Nel Regno Unito lo pubblicò
Jonathan Cape
nel giugno del 1973.

 

David Cronenberg
Crash (1996)
Cast principale: James Spader,
Holly Hunter, Elias Koteas, Deborah
Kara Unger, Rosanna Arquette,
Peter MacNeill

Musica: Howard Shore
Direttore della fotografia:
Peter Suschitzky

Produzione:
Alliance Communications Corporation,

The Movie Network,
Recorded Picture Company,

Téléfilm Canada

L’illustrazione di copertina
della prima edizione rilegata
per il mercato statunitense
pubblicata nel 1973
dall’editore newyorchese
Farrer, Straus and Giroux.
Nel Regno Unito lo pubblicò
Jonathan Cape
nel giugno del 1973.

 


Lo scorso quindici marzo David Cronenberg ha compiuto ottant’anni, ma il 2023 festeggia anche un altro compleanno, quello dell’uscita di Crash, il romanzo che James G. Ballard scrisse rielaborando Eventsheet, un racconto apparso sulla rivista dell’Institute of Contemporary Arts di Londra nel febbraio del 1969 e incorporato un anno dopo nella sua opera più radicale, il romanzo La mostra delle atrocità. La rilettura che ne fece Cronenberg con l’omonimo lungometraggio è senz’ombra di dubbio uno dei film più disturbanti e visionari degli anni Novanta, opera radicale e profetica, nonché sintesi glaciale e chirurgica di tutto il suo cinema. Crash è l’analisi spietata della deriva patologica della società post-industriale, l’esposizione cruda, straniante e senza filtri della fragilità umana. Un esperimento narrativo forse irripetibile, in cui la ricerca ossessiva della morte rappresenta l’ultimo slancio di vita ancora rimasto. È un’occasione dunque per riparlarne come omaggio trasversale al regista canadese in occasione del cinquantenario della pubblicazione del romanzo.

Genesi di uno scandalo
Sin dalla sua prima proiezione al Festival di Cannes del 1996, Crash ha attirato su di sé l’attenzione di pubblico e critica, per la sua originalità e audacia e per un’aura oscura e inquietante che lo ha reso, fin da subito, il film cult per eccellenza di quel decennio. La giuria del Festival, presieduta da Francis Ford Coppola (che fece di tutto per osteggiare il film), sopraffatta dall’approccio provocatorio del film, decise di assegnargli un premio speciale creato appositamente per l’occasione. Gli attacchi, quasi tutti superficiali e pretestuosi, si concentrarono, immediatamente, sull’analisi pruriginosa e moralista delle sequenze di sesso. Non che il romanzo avesse ricevuto miglior trattamento e la stroncatura del New York Times apparsa il 23 settembre del 1973 è ancora lì a testimoniarlo.
Ted Turner, il distributore statunitense del film per la Fine Line Features, inizialmente si rifiutò, di distribuirlo, ritardandone il lancio nelle sale. In Gran Bretagna si gridò allo scandalo e si cercò in tutti i modi di bloccare e boicottare la pellicola, mentre in Italia la politica ne chiese il sequestro. Come ha giustamente scritto il critico Adam Nayman in un articolo pubblicato sul The Ringer:

“nel contesto puritano post Monica-gate l’unica cosa più spaventosa per i guardiani della cultura, di un film troppo sexy, era un film pieno di sesso che non era affatto convenzionalmente o commercialmente sexy”
(Nayman, 2021).

Causa di questo coro unanime di disgusto però, non fu solo la presenza del sesso; a turbare maggiormente i benpensanti ci pensò il messaggio, ancora una volta sovversivo, che metteva in scena personaggi completamente liberi di esternare desideri ed emozioni non filtrate, liberi di scegliere anche la morte, ritualizzandola in un nuovo spettacolo (l’incidente automobilistico) attraverso cui trarre piacere. Descritto come un’esplorazione autoerotica della solitudine umana, Crash lavorava principalmente attorno ai concetti di piacere e di dolore rappresentati con un linguaggio postmoderno che faceva della sessualità mediatizzata il vessillo di una nuova epoca e di una nuova società. Traducendo il credo e la filosofia ballardiana in un linguaggio cinematografico credibile, Cronenberg ha trasformato l’incidente d’auto in una nuova frontiera della sessualità, costruita attorno al feticcio tecnologico e al piacere masochistico. La trasposizione cinematografica di un romanzo sperimentale, per così dire d’avanguardia, come quello di Ballard era un’operazione piuttosto difficile. Lo scrittore inglese, infatti, aveva utilizzato un lessico disturbante e registri linguistici differenti, dalle relazioni scientifiche agli opuscoli automobilistici e ai manuali chirurgici. Nel romanzo parole e frasi vengono ricombinate, si sovrappongono, si ripetono, in un gioco ipnotico di continua destrutturazione del messaggio. In un contesto del genere il progetto di Cronenberg doveva necessariamente partire dalla affinità, in primis le mutazioni psicofisiche e il rapporto di dipendenza tra uomo e macchina.

Teoria di uno schianto emotivo
Ambientato a Toronto (e non a Londra come nel romanzo), il film ripercorre la relazione coniugale di James (James Spader) e Catherine (Debra Kara Unger). In un incidente automobilistico causato da James muore il marito di Helen (Holly Hunter). James e Helen iniziano a frequentarsi e a frequentare un piccolo gruppo di persone affascinate dal potere catartico dell’incidente stradale. Ognuno dei personaggi principali del film, eccetto Catherine, è stato segnato da uno o più incidenti, condividendone un fascino sessuale. Vaughan (Elias Koteas) e il suo discepolo Colin (Peter MacNeill), perfezionano una particolare teoria dello schianto di cui Gabrielle (Rosanna Arquette) incarna perfettamente il potenziale. Il gruppo inizierà un terribile gioco fatto di morbose ricostruzioni di incidenti famosi, prestazioni erotiche varie, e collisioni corporali e emotive.

La struttura del film è caratterizzata da una reiterazione (funzionale) di temi e situazioni, in particolare l’atto sessuale, che appare più un’emanazione di morte che un desiderio di piacere. La narrazione sembra voler esprimere, fin dalla sequenza iniziale, un potenziale sessuale costruito sul dolore e sul disagio: solo attraverso il contatto fisico con la macchina (da sempre simbolo fallico per eccellenza), o nel momento catartico dell’impatto tra due veicoli, i protagonisti del film, riescono sfiorare il piacere. Un tema, questo, già anticipato da Croneneberg, in minima parte, in Veloci di mestiere (Fast Company, 1979) ma reso in Crash una caratteristica totalizzante della struttura narrativa. I protagonisti del film sono dotati di una soggettività apatica e sconnessa, tutta orientata alla soddisfazione della propria libido. Cronenberg teorizza la possibilità di nuove pratiche sessuali, automatizzate, impersonali, contaminate dalla violenza.
Lo sviluppo narrativo convenzionale viene continuamente disatteso e frustrato in funzione di un agglomerato apparentemente scomposto di scene e azioni. Il film utilizza alcune modalità del genere porno, come la riduzione della trama che diventa quasi il pretesto per mostrare rapporti sessuali, i personaggi visti come oggetti del sesso e del piacere, il connubio sesso/violenza. Allo stesso tempo, però, Crash sembra sovvertire questa tendenza mettendo in scena un’azione governata dalla lentezza, una tensione trattenuta tra i personaggi, la mancanza di gratificazione del desiderio, la combinazione di colori e tonalità fredde (con sfumature grigiastre e bluastre) e infine l’utilizzo di una colonna sonora (magistralmente realizzata da Howard Shore, rinnovando una collaudata collaborazione), cupa, quasi religiosa, anche nelle sequenze potenzialmente più erotiche. Crash fonde le tematiche di morte e libido sovrapponendole all’icona erotica del ventesimo secolo, l’automobile, spingendo la riflessione verso la psicologia, la sociologia e persino la metafisica colpendo lo spettatore con immagini forti volutamente disturbanti.

La meccanica del dolore
Ancora una volta il corpo è per Cronenberg il luogo principale entro il quale sviluppare riflessioni, suggestioni, provocazioni, un’indagine che il regista canadese tuttora prosegue, come ha mostrato Crimes of the Future (2022). In Crash il corpo è modellato su superfici suturate, impreziosito da tatuaggi e cicatrici, rivestito da abiti e lingerie che richiamano toni neutri e metallici. I visi dei vari personaggi, pallidi (quasi cadaverici), si animano solamente davanti a perdite ematiche, carni mutilate, protesi e cicatrici. Fa da cornice l’impersonale evanescenza di un ambiente volutamente generico e mai identificato. Il sesso è parte integrante del messaggio. Non produce piacere, è pura meccanica, performance artistica, esibizione plastica di uno spettacolo ostentato senza pudori. La penetrazione, parallelamente all’urto, produce sfregamenti, lesioni, collisioni; il godimento è quasi sempre interrotto o disturbato dal sopraggiungere di sofferenza e dolore. Rispetto a Videodrome (1983), qui lo sguardo del regista canadese è nichilista; la linea di demarcazione tra paesaggio interno e paesaggio esterno è crollata e la concezione dell’uomo e dei suoi rapporti è completamente rivoluzionata.

Il rapporto uomo-auto è naturalmente uno dei nuclei centrali del film; gli argomenti e le implicazioni generati da questo connubio sono molteplici e riguardano il corpo, il dolore fisico (mutilazioni, cicatrici, protesi) e mentale (solitudine, desiderio, trauma, psicopatie e sociopatia), il denaro, lo status, la celebrità. L’alienazione dell’individuo costretto a vivere in una città nonluogo è perfettamente rappresentata dalla Toronto, livida e piovosa, descritta dal regista attraverso architetture post-industriali, anonime, simmetriche e taglienti, fatte di vetro e cemento. Le tecnologie e le architetture mostrate nel film non hanno nulla di futuristico e comprendono principalmente auto, stazioni di servizio, rampe autostradali, telecamere e autolavaggi. Questa obsolescenza, ben presente nella mente di Cronenberg, serve per esibire le conseguenze del rapporto tra uomo e tecnologia. La tecnologia infatti modifica il comportamento degli uomini, interviene sui loro corpi li potenzia attraverso protesi (come aveva mostrato da altra angolatura un altro canadese, Marshall McLuhan, sarà un caso?) amplifica i confini della percezione, mostrando nuove aree di esplorazioni prima sconosciute. L’impatto dell’incidente automobilistico rappresenta nel film una possibilità più ampia per lo sviluppo e il miglioramento dell’esperienza sessuale; come dice Vaughan a James

“l’incidente d’auto è un evento fertilizzante piuttosto che distruttivo. Una liberazione dell’energia sessuale che media la sessualità di coloro che sono morti con un’intensità impossibile in qualsiasi altra forma. Sperimentarlo, viverlo: questo è il mio progetto”.

Una dichiarazione di fede, che individua un potenziale benefico nell’interazione anche violenta tra tecnologia e comportamento umano: persino un evento normalmente distruttivo può essere portatore sano di immaginazione e energia. Il pessimismo post industriale presente in Crash e in gran parte dell’opera cronenberghiana viene indebolito dal desiderio di un’utopia tecnologicamente mediata che trascende i limiti della condizione umana. Il gelido messaggio che fuoriesce dal film pervade e lambisce tutto, evidenziando un malessere insopprimibile, narcotizzante. In questa perdita di senso e di sensi lo scontro automobilistico, nuova frontiera del rapporto uomo/macchina, produce amplessi, secrezioni, perdite ematiche, ferite in un connubio carico di significati tra carne (ancora una volta una nuova carne) e metallo.

David Cronenberg sul set di Crash.

Nel film si stratificano più livelli di lettura, quello più evidente del rapporto tra sesso e tecnologia e quello più profetico, carico di pessimismo esistenziale legato all’alienazione e alla perdita d’identità dell’individuo. La compiaciuta rappresentazione di continui coiti e incidenti, in un’alternanza antinarrativa, trasforma il film in un manifesto portatore di messaggi sovversivi, spiazzanti e antisociali. In una realtà così destabilizzante, l’esperienza erotica diventa l’unico slancio vitale per risvegliare una sensibilità sopita e il sesso diventa un mezzo di dislocazione emotiva per condurre lo spettatore nel vuoto insopportabile del presente. In definitiva Crash si è rivelato un film profetico capace di catturare l’incombente vuoto dell’oblio tecnologico, una splendida, terribile e necessaria elegia per un mondo che è già morto.

Letture
  • James. G. Ballard, Crash, Feltrinelli, Milano, 2015.
  • Michele Canosa, David Cronenberg. La bellezza interiore, La Mani, Genova, 2014.
  • Roberto Lasagna, Rudy Salvagnini, Massimo Benvegnù, Benedetta Pallavidino, Danilo Arona, David Cronenberg. Estetica delle mutazioni, Weird Book, Roma, 2022.
  • Adam Nayman, Dead Man’s Curve: David Cronenberg’s ‘Crash,’ 25 Years After Cannes, The Ringer, 20 maggio 2021.
  • Stefano Ricci, David Cronenberg. Umano e post-umano. Appunti sul cinema di David Cronenberg, Sovera Edizioni, Roma, 2011.
  • Luca Taddio, David Cronenberg. Un metodo pericoloso, Mimesis, Milano, 2018.