Negli archivi della memoria
tra pianeti, lutti e fantasmi

Kuba Mikurda
Solaris, Mon Amour
Polonia, 2023
Sceneggiatura: Kuba Mikurda,
Laura Pawela, Marcin Łenarczyk
Montaggio: Laura Pawela
Suono: Marcin Łenarczyk
Musica: Dj Lenar
Produzione: Łódź Film School/vnLab,
Educational Film Studio, 
Adam Mickiewicz Institute
Distribuzione: vn Lab


Solaris Mon Amour è stato presentato
al Trieste Science+Fiction Festival 2023.

Kuba Mikurda
Solaris, Mon Amour
Polonia, 2023
Sceneggiatura: Kuba Mikurda,
Laura Pawela, Marcin Łenarczyk
Montaggio: Laura Pawela
Suono: Marcin Łenarczyk
Musica: Dj Lenar
Produzione: Łódź Film School/vnLab,
Educational Film Studio, 
Adam Mickiewicz Institute
Distribuzione: vn Lab


Solaris Mon Amour è stato presentato
al Trieste Science+Fiction Festival 2023.


“Ma chi dovrei vedere? Un fantasma? – sbottai.” (Lem, 2012), si legge nel più famoso romanzo di Stanislaw Lem, Solaris. A parlare così è lo psicologo Kris Kelvin appena giunto sulla stazione orbitante intorno al pianeta Solaris per capire che cosa stia succedendo ai membri della spedizione. Pubblicato nel 1961, il romanzo venne iniziato due anni prima, quando fu presentato alla 12ª edizione del Festival di Cannes il film di Alain Resnais, Hiroshima Mon Amour, tratto dall’omonimo romanzo di Marguerite Duras, direttamente coinvolta dal regista nel progetto, che le affidò la stesura della sceneggiatura e dei dialoghi. Sessanta e passa anni dopo, tra le due opere apparentemente distanti anni luce si è intrecciato un legame tanto inusitato quanto pertinente in Solaris Mon Amour, mediometraggio del cineasta polacco Kuba Mikurda, proposto al Trieste Science + Fiction Festival 2023. Un lavoro firmato da Mikurda ma opera collettiva, in realtà, per via del contributo fondamentale alla sceneggiatura di Laura Pawela (anche al montaggio) e Marcin Łenarczyk, oltre che del commento sonoro curato da Dj Lenar. Quella di Mikurda è un’intuizione a dir poco geniale, che fa risorgere spontanea la domanda posta da Kelvin (“Ma chi dovrei vedere? Un fantasma?”). Agendo sul registro della spettralità, complice, sventuratamente per lui, anche un lutto personale avvenuto mentre il lavoro era ancora in fase di concepimento, Mikurda ha costruito il suo omaggio a Lem (questo doveva essere in partenza il film) come una catarsi, facendo sì che tutti i fantasmi in qualche modo coinvolti venissero convocati nell’arco dei quasi tre quarti d’ora di durata del film, mostrati, espulsi in qualche modo.
Solaris Mon Amour come le due precedenti opere che omaggia sin dal titolo è difatti un lavoro sulla perdita più estrema, il lutto, sulla memoria, sui fantasmi, sulla possibile elaborazione del lutto; anelli di una catena naturale, si potrebbe dire. Difatti, non c’è fantasma che non abbia origine in un lutto e che non venga cullato dalla memoria. Ogni fantasma è pertanto figlio del passato, di ciò che è divenuto assenza, ed è quando il passato sanguina che il fantasma si manifesta e occorre confrontarsi con esso.

Nel film di Mikurda di fantasmi ce n’è davvero un mucchio e non arrivano soltanto dai rimandi impliciti (Resnais) ed espliciti (Lem) di partenza, ma provengono da ogni dove, distanziandosi radicalmente dalle due illustri trasposizioni del romanzo di Lem, realizzate da Andrej Tarkovskij nel 1972 e da Steven Soderbergh nel 2002. Il cineasta si conferma qui autentico archeologo delle immagini, essendosi già cimentatosi con un’opera di culto della cinematografia polacca, il film kolossal di fantascienza di Andrzej Żuławski, On The Silver Globe, mai completato, intorno al quale ha costruito due anni fa il documentario Escape to the Silver Globe, e prima ancora componendo un ritratto dello scandaloso Borowczyk in Love ExpressThe Disappearance of Walerian Borowczyk (2018). Difatti, il lavoro di Mikurda è un’opera ibrida, un documentario costruito integralmente con materiali d’archivio provenienti da una settantina di filmati realizzati negli anni Sessanta dal Centro per il Documentario di Łódź, che si pone a metà strada tra cinema di narrazione e cinema d’immagine. Filmati di carattere scientifico, di taglio didascalico, prodotti che potremmo definire progenitori dei programmi di Piero Angela, probabilmente mirati a celebrare le meraviglie della scienza e della tecnica socialista, meticolosamente selezionati, scrutati, ritagliati e ricuciti assieme alle voci provenienti dal primo dei due adattamenti radiofonici realizzati dal regista Józef Grotowski (nessuna parentela con il più celebre Jerzy), responsabile all’epoca di diversi rifacimenti per la radio dei testi di Lem. Le voci dei due protagonisti principali, Kelvin e il simulacro di sua moglie Harey, morta suicida, ricreano trasversalmente alle immagini una narrazione, basata sulla parte conclusiva del romanzo, mescolandosi con l’audio e le immagini dei filmati. Elettronica analogica per meglio esprimere l’agire delle macchine e delle tecniche in azione, musica anch’essa fiorente in Polonia, al contrario degli altri paesi del Patto di Varsavia, grazie al lavoro del Polish Radio Experimental Studio, creato nel 1957 proprio al fine di sonorizzare lavori per la radio, per la televisione e per il cinema. Un centro che con meno mezzi e minore libertà si esprimeva ai tempi con ricerche di livello quasi pari a quello dei più celebri santuari della musica elettronica in Occidente, dagli statunitensi The San Francisco Tape Music Center e Columbia-Princeton Electronic Music Center, al parigino GRM e lo Studio for Electronic Music (WDR) di Colonia.

I rimandi, gli omaggi, le corrispondenze
Qualche cenno su Solaris e Hiroshima Mon Amour sarà però utile darlo, per comprendere appieno il modus operandi di Mikurda e del suo entourage.
La vicenda narrata da Lem ruota intorno al pianeta/entità vivente che dà il titolo al romanzo, intorno al quale dal momento della sua scoperta gli umani si interrogano vanamente da oltre un secolo. Tutto prende il via quando il summenzionato Kelvin, una volta giunto a bordo della stazione spaziale Prometheus in orbita intorno al pianeta apprende che il capo della spedizione scientifica, il dottor Gibarjan, si è tolto la vita dopo che strani fenomeni hanno cominciato a manifestarsi e la cui causa è da rintracciare nell’oceano/magma del pianeta Solaris; ben presto Kelvin sperimenta tali fenomeni su sé stesso, interferenze e interazioni con la mente degli esseri umani che in modo del tutto inspiegabile il pianeta produce. Ecco allora che sogni e misteriose presenze (si materializza la moglie suicida di Kelvin) si alternano nella vita degli abitanti della stazione spaziale, che da esploratori di un pianeta alieno si ritrovano ad avventurarsi nello spazio profondo, oscuro e inquietante, del proprio inconscio. Centrale nella trama del romanzo il rapporto tra Kelvin e il fantasma della moglie suicida, Harey, intorno al quale Lem disegna gli affascinanti scenari della superficie cangiante del pianeta e i confini della conoscenza umana, i suoi limiti di fronte all’ inimmaginabile.

È il lutto il ponte ideale che collega il romanzo di Lem a Hiroshima Mon Amour, a sua volta un’altra storia di coppia all’ombra di una perdita individuale sullo sfondo di una morte di massa. Protagonista Lei (non ha nome, è chiamata Elle) attrice francese che si trova a Hiroshima per girare un film sulla pace, e Lui (idem), architetto giapponese. La donna e è prossima a tornare in Europa e per caso ha incontrato l’uomo la sera prima della scena iniziale del film che li riprende a letto, abbracciati mentre su di loro cade della cenere (siamo a Hiroshima, ricordiamolo). Dopo una dissolvenza, riappaiono, spalle e braccia, paiono bagnate da un liquido che pare rugiada, poi una seconda dissolvenza e i due corpi ora sono sudati, sempre avvinghiati l’uno all’altro, una mano di donna si aggrappa alla spalla di un uomo, stringendola come in un amplesso. Iniziano a dialogare. Lui: “Tu non hai visto niente a Hiroshima”. Lei: “Io ho visto tutto. Tutto”. Quello che segue è un continuo aggirarsi nel passato di Lei, innamorata di un soldato tedesco ucciso sul finire della guerra, dando luogo a incursioni nella memoria individuale alternata ad altre in quella collettiva dell’apocalisse atomica. È al tempo stesso una reiterata richiesta a Lei di non partire, di continuare, pur essendo entrambi sposati, mescolando tempo del ricordo e realtà presente, trauma individuale e trauma collettivo, tra finzione e materiale documentaristico, senza alcuna soluzione di continuità. Fantasma d’amore e fantasmi di guerra, agiscono e muovono i due personaggi. A un certo punto i due uomini si sovrappongono, Lui si immedesima nel giovane soldato morto, Lei si rivolge a lui rivolgendosi al giovane amore perduto. In particolare nella parte finale Lei rievoca costantemente la morte del suo primo amante. È di fatto apparso un fantasma.

Fantôme, Mon Amour
La relazione tra Kelvin e Harey e come un’eco di quella tra Lei e Lui, tornano da autentici revenant in Solaris Mon Amour, nei brevi frammenti di dialogo tratti dal romanzo ma vaganti negli interstizi del collage visivo creato da Mikurda e dal suo team (lo straniamento creato dal montaggio fa sì che a riapparire sia il tono delle conversazioni espresso nel film di Resnais). Sono visioni di altri spettri, a iniziare da quello del futuro perduto, del socialismo irrealizzato, fondato sulla fede nella scienza e nelle sue meravigliose applicazioni, lacerti di un positivismo inesorabilmente fallito, che ammiriamo nei tanti frammenti della tecnologia e dell’immaginazione retrofuturistica dei filmati originali: ingranaggi, valvole, orologi, riprese microscopiche di tessuto cerebrale, molecole di sangue, microrganismi, laboratori biochimici, fabbriche, antenne paraboliche, tute di gomma, monitor d’antan, inquadrature del cielo visto da un telescopio. Un collage del futuro perduto accompagnato anche dalla sua colonna sonora, analogica, si è detto, fantasmatica per l’attuale civiltà digitale, spesso oggetto di recupero/riutilizzo oggi a opera di un numero sostanzioso di musicisti. L’audiovisivo, d’altronde, è il luogo per eccellenza del fantasma moderno, una volta abbandonati manieri e magioni d’altri tempi per via dell’avvento dell’elettricità. Basti pensare al caso più recente, il nuovo quarantacinque giri dei Beatles, Now and Then, realizzato da due viventi e due defunti.

Tra i fantasmi presenti nel documentario, un altro è il romanzo stesso di Lem, spesso invisibile, tranne che per i frammenti di dialogo, evocato più che altro dallo sguardo dello spettatore, citato dal primo all’ultimo fotogramma sia dalle immagini dei tanti marchingegni che rimandano ai viaggi nello spazio, sia da quelle che alludono agli studi di medicina compiuti da Lem, che per analogia rinviano alle descrizioni della superfice del pianeta Solaris e a quanto di meraviglioso vi sboccia di continuo. Non si può evitare almeno un cenno alla presenza autoriale dell’opera di Chris Marker, quantomeno la circolarità temporale de La Jetée (1963) avvolge anche Solaris Mon Amour.
Su tutti, infine, c’è il fantasma dell’amore, il più invisibile e pervasivo al tempo stesso per l’intera durata del docufilm. L’amante morto/a agisce su tutti i protagonisti, quelli del film di Resnais, del romanzo di Lem, confluendo nel lavoro di Mikurda, senza corpo, voci provenienti da un non tempo, potrebbero essere stralci di comunicazioni via radio tra astronauti persi negli spazi siderali o richiamati da medium a testimoniare le loro vicende. C’è sempre un fantasma da vedere, si potrebbe rispondere a Kelvin, ma forse la vera domanda resta quella che si pone Kristen, la protagonista del film di Olivier Assayas Personal Shopper (2016) nella battuta finale del film: “Is it just me?”. Forse in questo modo riusciamo a scorgere un’affinità tra un pianeta alieno, un’entità astratta, un fantasma e noi. Capire noi stessi, però, i nostri dolori, desideri, i vuoti, le assenze, le perdite, è una faccenda maledettamente complicata. Anche di questo narrano le opere di Lem e Resnais, in questa oscurità scruta Solaris Mon Amour.

Letture
  • Stanislaw Lem, Solaris, Sellerio, Palermo, 2012.
Visioni
  • Alain Resnais, Hiroshima Mon Amour, Terminal Video 2009 (home video).