Tempi dissestati tra sci-fi,
apocalittica e gnosticismo

Philip Kindred Dick
Chicago, 16 dicembre 1928
Santa Ana, 2 marzo 1982.

Philip Kindred Dick
Chicago, 16 dicembre 1928
Santa Ana, 2 marzo 1982.


Sin dalle sue prime opere, Philip K. Dick manifesta i tratti del suo programma letterario: la distopia e l’ossessione per le realtà alterate, create e soggiogate da entità estranee, aliene, che rendono partecipe l’uomo di verità illusorie, di menzogne cosmiche nel quale egli è un mero osservatore ingannato da potenze ostili. Un dualismo quello che Dick instaura fra l’uomo e la realtà, che tecnicamente possiamo definire “gnostico” (cfr. Di Tommaso, 2001): l’esempio più nitido di tale modalità espressiva è già in una delle prime, se non proprio la prima, perfetta opera, The Cosmic Puppets (1957), tradotta in Italia con il titolo La città sostituita; una precedente versione più breve del romanzo, intitolata A Glass of Darkness, era stata pubblicata sulla rivista Satellite Science Fiction nel 1956 (vol. 1: n. 2). Quest’ultima, scritta nel 1953, è una delle prime opere di Dick, precedente anche a Disco di fiamma (Solar Lottery,1955), il suo primo romanzo pubblicato. Sarà utile ripercorrerne la trama e i misteri che la impregnano.

Occultamento e svelamento
Ted Barton e sua moglie Peg raggiungono in auto Millgate, la cittadina natale da cui Ted manca da diciotto anni. Quando vi arrivano, Ted è sconvolto nello scoprire che è completamente diversa da come la ricordava. La cittadina è squallida e cadente, le strade e i palazzi non corrispondono ai ricordi della sua infanzia e inoltre nessuno si ricorda più di lui o della sua famiglia. Scorrendo le vecchie annate del giornale locale Ted scopre che l’unico Ted Barton menzionato è morto di scarlattina nell’ottobre del 1935, cioè l’anno in cui i suoi genitori lasciarono Millgate. Peg, infastidita dal comportamento del marito, non credendo ai suoi sospetti, abbandona la città lasciandolo solo.

Comincia così la ricerca da parte di Ted del proprio passato, mentre è in corso una strana guerra che vede fronteggiarsi due bambini: Peter, il figlio della pensionante dove Ted ha affittato una camera e Mary, la figlia del dottor Meade, il direttore della clinica locale. I due bambini sono dotati di strani poteri: l’uno infonde la vita in minuscole statuette d’argilla e comanda ai ragni, ai serpenti e ai topi, mentre l’altra controlla api, falene, mosche e gatti. Non sono questi gli unici accadimenti soprannaturali nell’apparentemente normale Millgate: Ted osserva attonito degli spettri luminescenti, simili a esseri umani, attraversare gli oggetti e i muri, e che gli abitanti di Millgate chiamano i “Vaganti” senza stupirsi della loro presenza. Inoltre la città è isolata dal resto del mondo da quella che Peter chiama la “Barriera” e che nessun essere umano può superare. Due esseri giganteschi, i cui corpi si perdono nella foresta, incombono ai confini della vallata.
Ted tenta di abbandonare Millgate per raggiungere la moglie ma si perde all’interno della barriera, che prende la forma di una catasta di tronchi in mezzo alla strada; l’uomo capisce di non poter lasciare la cittadina prima di essere venuto a capo dei misteri che l’avvolgono. L’incontro casuale con William Christopher, un vecchio barbone alcolizzato, aggiunge un ulteriore elemento al mistero: Will è l’unico, oltre a Ted, a ricordare la Millgate di un tempo. L’anziano senzatetto una volta era un elettrotecnico, e ha inventato uno strano apparecchio, il “Distruttore d’incantesimi”, che dovrebbe servire a riportare la città alla sua realtà originaria, ma che si rivela inadatto allo scopo.
I due uomini, usando esclusivamente i loro ricordi, riportano in essere la vecchia città cancellata dal sortilegio, e scoprono che i Vaganti non sono altro che gli abitanti originari di Millgate che da anni tentano di riappropriarsi della loro realtà, e che si nascondono nella clinica del dottor Meade. Pian piano, con la forza del ricordo, dell’anamnesis, la cittadina torna ad essere quella di un tempo. Ma la trasformazione subisce una battuta d’arresto: Peter predispone un assalto finale alla clinica con le sue creature nocive, mentre Mary tenta di fermarlo, prima dirigendo contro di lui delle api, poi incarnandosi in una statuetta per spiarlo. Peter si vendica uccidendo Mary e scatenando le sue creature contro i Vaganti e contro gli stessi Ted e Will, che fuggono mentre la vecchia Millgate scompare nuovamente, occultata dal sortilegio di Peter.

Un conflitto millenario
Mary, ritornata in vita nella forma di una bellissima ragazza dai capelli corvini, rivela finalmente a Ted il mistero su Millgate: il cosmo è lo scenario di una millenaria lotta fra due entità, Ahriman (< Angra Mainyu) che rappresenta il male e Ormazd (< Ohrmazd < Ahura Mazdā) il bene, i due principî della religione iranica pre-islamica, lo zoroastrismo. Le due entità, le stesse che si stagliano ai confini della vallata, hanno ingaggiato su Millgate l’ennesima battaglia. Peter e il dottor Meade sono le incarnazioni rispettivamente di Ahriman e di Ormazd; ma Ormazd ha smarrito la memoria delle proprie origini e la guerra ha subito una interruzione. Grazie a Mary il cui vero nome è Armaiti, personificazione terrena della figlia di Ormazd, Ted è stato attirato a Millgate. All’uomo è stato concesso di attraversare la barriera affinché aiuti il dottor Meade, ossia Ormazd, a ritrovare la memoria e la forza per sconfiggere Peter, ossia Ahriman.

Ohrmazd ritrova la memoria, la battaglia riprende nell’universo e l’incantesimo di Ahriman neutralizzato. La città cambia evolvendosi rapidamente, diventando quella che avrebbe dovuto essere se non ci fosse stato il sortilegio di Peter/Ahriman a modificare la realtà: i protagonisti della vicenda vengono riassorbiti nel flusso del tempo e dimenticano ciò che è accaduto, a eccezione di Ted che lascia la città.
Dick sfoggia in questa prima opera una grande erudizione in tema di religiosità iranica antica. Un conflitto cosmico salmodiato da Zarathuštra, il fondatore della religione mazdea, cioè la religione del sommo dio Ahura Mazdā, letteralmente Signore (ahura) Saggio (mazdā), o zoroastriana ‒ dalla forma grecizzata del nome del fondatore: Zōroastrēs, da cui il nostro Zoroastro. Il nome è d’incerta etimologia: un termine composto con uštra (cammello), forse dal significato di conducente di cammelli. Portatore di una spiritualità monoteistica e di una religiosità interiore, Zarathuštra provocò una frattura con una tradizione che si rifaceva a un patrimonio di credenze indo-iraniche: la sua azione di rivolgimento è paragonabile all’affermarsi del credo buddhista in India. La tradizione zoroastriana ascrive a Zoroastro la composizione di cinque canti, in avestico gāthā, corrispondenti a diciassette dei settantadue capitoli (hāti) della sezione dell’Avesta chiamata yasna, (venerazione, sacrificio). Le Gāthā sono il nucleo più santo e venerato dell’intero Avesta, il più antico scritto zoroastriano. Esse differiscono dalla maggior parte dei testi della raccolta avestica per la lingua e per lo stile complesso e peculiare di una tradizione indoiranica molto vicina alla scrittura dei Veda, i più antichi libri sacri dell’India. Le Gāthā non sono un trattato filosofico o teologico in cui viene esposta in modo organico una dottrina sistematica, piuttosto esse riflettono un’arcaica tradizione di poesia mantica non priva di elementi esoterici, in parte dovuti ai diversi livelli di significato, alle allusioni e alle metafore che contraddistinguono il loro linguaggio e il loro stile retorico, dei quali è spesso arduo rintracciare la chiave interpretativa. Questo substrato di pensiero si ritrova anche in altri autori di fantascienza.

Quasi sincronicamente alla sua opera, James Blish, in Mondi invisibili (Jack of Eagles, 1952) immagina una “Società per le Ricerche Psichiche” che crea realtà alterate, universi paralleli modificati mentalmente attraverso l’uso di facoltà telepatiche. Una guerra invisibile per il controllo dei mondi è combattuta fra telepati buoni e telepati cattivi, anticipando tematiche che saranno pienamente codificate da Dick in romanzi quali I simulacri (1964) e Ubik (1969). In particolare Ubik, capolavoro di Dick, sviluppa scenari intimamente legati allo gnosticismo.

Una condizione purgatoriale
Scritto nel 1966 e pubblicato nel 1969, Ubik conferma la narrativa dickiana indirizzata a spiegare la realtà come un sovrapporsi di finzioni illusorie: in Ubik i morti sopravvivono in una condizione di stasi limbica, purgatoriale, sospesi tra gli ultimi vagiti dell’esistenza terrena e un incerto aldilà. Ma proprio questa situazione liminale, in bilico fra morte e vita, permette il costruirsi di una molteplicità di realtà alternative. La trama del romanzo è in qualche modo responsabile di un film di successo come Vanilla Sky di Cameron Crowe (2001) versione americana dello spagnolo Apri gli occhi di Alejandro Amenábar (1997), in cui lo stato di animazione sospesa, prodotta dall’ibernazione, è all’origine di un mondo alternativo e virtuale. Se da un lato la scrittura dickiana sembra rifarsi alla narrativa di Franz Kafka e di Jorge Luis Borges unita a fascinazioni postmoderne, da un altro attinge pienamente ai moduli classici dello gnosticismo, entro i quali il Demiurgo-Ubik, oggetto di consumo ma permeante ogni realtà, somministra quotidianamente i suoi inganni. La mescolanza di motivi religiosi e di elementi esistenziali è sottomessa alla collisione destabilizzante del linguaggio iperbolico e cialtronesco che celebra le qualità terapeutiche di Ubik, oscena comunione di sacro e di profano, dove la percezione mistica si unisce a quella dei più scadenti prodotti di consumo, unendo le attese millenaristiche delle cerchie esoteriche californiane alla più infima narrativa di genere.
La telepatia è lo strumento per muoversi in un universo fantasmatico e decostruito: il conflitto è combattuto fra i precog, gli inerziali, gli anti-psi e i telepati, che poi dovrebbero paradossalmente neutralizzarsi a vicenda, garantendo il ritorno a una certa normalità. Tutto è frammentato in una sequenza infinita di visioni allucinate, enteogene: scritte bibliche in forma di poesiole infantili appaiono come osceni vaticini negli specchi delle latrine maschili. “Tutta la tua vita è un’allucinazione a occhi aperti” (waking hallucination) si asserisce a un certo punto del libro; e questo può dirsi di ogni personaggio, mosso come una marionetta in una scena di cui non conosce né copione né titolo.

Ubik è la quintessenza della merce e dunque il nucleo allo stato puro dell’ideologia capitalistica americana, qui espressa in una serie di conflitti violenti e insidiosi che scaturiscono da una guerra di interessi imprenditoriali; ma Ubik è anche una sostanza divina, come l’olio con cui veniva unto il capo del sovrano, manifestazione del potere temporale è la droga psicotropa che serve a nascondere la realtà ultima della morte e della distruzione (cfr. Pagetti 2022). Come accade al protagonista, grazie a Ubik si può continuare a condurre un’esistenza fantasmatica, senza comprendere che si è morti e si sopravvive in un universo alternativo costruito a propria immagine e somiglianza. Ubik, come il Demiurgo gnostico, è il responsabile di una realtà dissestata e provvisoria, edificata per vanificare ogni autentico e reale ricordo di sé stessi. Sulla stessa frequenza di Ubik si colloca anche un’altra opera dickiana, Guaritore galattico (Galactic Pot-Healer, 1969). Il protagonista Joe Fernwright è una sorta di Redentore di oggetti: non è solo un restauratore di vasi rotti, ma li reintegra, li riporta alla loro condizione originaria. Questa sua abilità è notata da un misterioso ed enigmatico personaggio, il Glimmung, un essere ubiquo che si rivela nelle forme più disparate, dagli animali agli oggetti. Il Glimmung è il Demiurgo di un mondo lontano e alieno, che recluta Joe Fernwright e altri marginali provenienti da ogni parte della galassia per un’impresa impossibile, restituire al suo splendore iniziale una immensa cattedrale sommersa. Ma il Glimmung non è il solo egemone del suo mondo; nella parte oscura di esso, negli abissi marini dove giace la cattedrale, abita l’Avversario, l’Anti-Glimmung, la sua replica oscura. Uno scontro epocale, che Joe Fernwright vive psichicamente e che nonostante l’esito positivo (la cattedrale sarà restituita alla primordiale bellezza) sancirà la sua sconfitta e il ritorno alla vita di sempre, tra vasi da restaurare. Joe è un uomo fra i tanti, una delle tante marionette in balia di burattinai cosmici. Un altro inganno gnostico.

Valis, o il cosmo della trasmigrazione
C’è poi la magistrale Divina invasione (Divine Invasions, 1981) parte della cosiddetta Trilogia di Valis. Valis è l’acronimo di Vast Active Living Intelligence System, un dio alieno, ma anche un computer divino, che attraverso un raggio rosa scarica nel cervello del protagonista Horselover Fat (alter ego dello scrittore stesso) un’enorme quantità di dati di difficile decifrazione. Valis è un’intelligenza artificiale creatrice di una realtà fittizia: proietta un ologramma che tutti scambiano per il mondo reale. Valis è un generatore di realtà, un Demiurgo che conduce la gente a vedere tutto ciò che egli vuole. Il suo è un cosmo lapsario frutto di un errore: la Divinità si è frantumata, un collasso ontologico in cui Dio ha perso contatto con una parte di sé stesso. Il cosmo di Valis è il cosmo della trasmigrazione: Johann Wolfgang Goethe, Jakob Boehme e Martin Buber sono la medesima entità, la Torah un codice per muoversi attraverso i mondi. È la metafora del trasfondersi di un’unica essenza luminosa nella molteplicità del divenire.

Non solo Blish, lo si è accennato, ha fatto ricorso a elementi religiosi mediorientali. Un altro è Robert Heinlein, noto per l’epico Starship Troopers (1959), un romanzo a torto ritenuto un’apologia del militarismo e del pensiero reazionario. Nella sua vasta produzione c’è un romanzo che occupa un posto a parte, in bilico fra fantascienza e horror, ma scritto seguendo i moduli classici del romanzo poliziesco. Si tratta di The Unpleasant Profession of Jonathan Hoag pubblicato sulla rivista Unknown Worlds nel 1942, e noto da noi come Il mestiere dell’avvoltoio. Si tratta di uno dei romanzi più stranianti di Heinlein, dove l’autore, libero da precomprensioni ideologiche, si focalizza nella costruzione di un metatempo infernale.

Uno strano mondo firmato Robert Heinlein
Anche in questo caso, occorre ripercorrerne la trama. Jonathan Hoag, amante dell’arte e della buona cucina vive a Chicago: comprende di non aver memoria delle sue attività diurne quando gli viene chiesto, a una cena con amici, cosa fa per vivere. Inoltre, quando alla sera si lava le mani, scopre una sostanza rossastro-scura, forse sangue essiccato, sotto le unghie. Contatta un’agenzia investigativa, la “Randall & Craig”, e chiede loro di pedinarlo durante il giorno. I due investigatori, in realtà marito e moglie, Ted e Cynthia Randall, accettano l’incarico. Dopo aver preso le impronte digitali al loro cliente, scoprono che Hoag non ne ha lasciato nessuna, anche quando non indossava i guanti. I pochi ricordi che Hoag possiede si rivelano falsi, a eccezione dell’indirizzo di casa e di un dottore, Potiphar T. Potbury, che Hoag ha consultato per capire cosa fosse la sostanza trovata sotto le unghie. Il dottore lo aveva buttato fuori dal suo studio, intimandogli di non tornare. La prima volta che la coppia pedina Hoag, Cynthia lo vede voltarsi e parlare con suo marito.

Quindi Cynthia viene minacciata da Hoag dopo averlo seguito in un palazzo adibito ad uffici. Quando la donna confronta le sue informazioni con Ted, lui sostiene di aver avuto un’esperienza completamente diversa: dopo aver seguito senza problemi Hoag nel palazzo, salendo fino al tredicesimo piano, Ted scopre che Hoag è un gioielliere che lavora per una società chiamata Detheridge & Co., e che la sostanza rossa sulle unghie è nient’altro che l’ossido di ferro utilizzato nella pulitura dei gioielli. Entrambi realizzano che c’è qualcosa di anomalo, soprattutto quando scoprono che il palazzo in questione non ha un tredicesimo piano. Ted ha un’esperienza onirica nella quale, attraversando uno specchio, giunge negli uffici della Detheridge & Co. dov’è in corso una riunione del consiglio d’amministrazione; invitato a sedere tra i membri esecutivi, gli viene intimato di “lasciar perdere” Hoag, “dimenticarsi di lui, non rivederlo mai più”; in seguito gli viene narrata una strana cosmogonia, che ha per protagonista un Uccello:

“… L’Uccello era solo. Le sue grandi ali battevano negli abissi vuoti dello spazio dove non c’era nessuno da vedere. Ma sepolto nel profondo in Lui c’era il Potere, e il Potere era Vita. Guardò a nord dove non c’era nord; guardò a sud dove non c’era sud; guardò a est e a ovest, su e giù. Poi, dal nulla e dalla Sua Volontà, Esso trasse il nido. Il nido era ampio e profondo e robusto. Nel nido Esso depose cento uova. Restò nel nido e covò le uova, pensando i Propri pensieri, per diecimila migliaia di anni. […] Da ognuna delle cento uova uscirono cento Figli dell’Uccello. Diecimila creature. Ma il nido era talmente ampio e profondo da concedere spazio in abbondanza a tutte. Un regno per ciascuno, e ogni Figlio era re. […] Saggio e crudele era l’Uccello, e saggi e crudeli erano i Figli dell’Uccello. Per ventimila anni combatterono e regnarono, e l’Uccello ne fu compiaciuto. Poi alcuni decisero di essere forti e saggi quanto l’Uccello stesso. Con la materia del nido forgiarono creature a loro immagine e somiglianza e soffiarono il respiro nelle loro narici, per avere figli che li servissero e combattessero per loro. Ma i figli dei Figli non erano saggi e forti e crudeli. Erano deboli e molli e stupidi. L’Uccello non ne fu compiaciuto. Scaraventò nell’abisso i Propri Figli e lasciò che fossero incatenati dai molli, stupidi…”
(Heinlein, 2003).

Ignora l’accaduto, finché in ulteriore sogno è coinvolta anche la moglie Cynthia. I membri del consiglio sono i “Figli dell’Uccello”, accoliti di un antico culto religioso. Fanno aspirare qualcosa da un flacone a Cynthia e riportano lei e Ted al loro appartamento. Ted si sveglia e trova la moglie in uno stato catalettico. Si rende conto che i sogni erano veri e oscura, verniciandoli, tutti gli specchi dell’appartamento. Quindi chiama Potbury, l’unico medico di sua conoscenza, per visitare Cynthia. Potbury le diagnostica una “lethargica gravis, provocata dal trauma psichico”; ma quella espressione lethargica gravis non significa nulla è solo un modo per dire “sonno pesante” ‒ come preciserà Hoag a Ted. Quando il dottore ritorna per verificare le condizioni di salute della donna, Ted ripete la frase che aveva sentito pronunciare dai Figli dell’Uccello, “L’Uccello è crudele!”: Potbury porta compulsivamente le mani al viso, reiterando il gesto che distingue i membri della setta. Rendendosi conto che il dottore è uno di loro, Ted lo sopraffà e lo rinchiude in bagno. Chiama Hoag, che lo raggiunge. Aprono la porta del bagno, solo per scoprire che Potbury è sparito e lo specchio è stato ripulito della vernice con un rasoio. Nella borsa di Potbury, trovano un flacone, quando lo aprono, Cynthia si risveglia. Per risolvere il mistero una volta per tutte, Ted e Cynthia portano Hoag nel loro ufficio e lo interrogano somministrandogli della scopolamina, allucinogeno al tempo noto come “siero della verità”. Dopo alcune domande, Hoag si sveglia rivelando una personalità forte e dominante, completamente diversa dall’uomo nevrotico e debole con cui avevano avuto a che fare. Ora dice di sapere qual è la sua vera professione, ma non può al momento rivelarla: alla coppia che attonita lo osserva, fa una lista di generi alimentari che dovrebbero acquistare per lui e fissa un appuntamento per le ore successive in aperta campagna.

Ted e Cynthia perplessi raggiungono la località: lo scenario bucolico, i cibi esotici e i sofisticati vini, sono l’occasione giusta per un ameno picnic; Hoag svela finalmente il suo mistero: egli apparentemente è un “critico d’arte”, ma l’arte in questione è il mondo intero, creato da un “Artista” come una specie di esperimento. Il critico osserva il mondo dall’esterno, pur essendo incarnato e manifestato come uomo: il cibo e il sesso, che all’inizio sono pensati unicamente come strumenti di sostentamento e riproduzione, diventano nella vita umana fonte di emozione e di “esperienza”; aspetti che erano sconosciuti all’Artista prima della sua opera di creazione. Molti uomini sono dei “critici”, ma non sanno di esserlo: ecco spiegato il perché della doppia vita di Hoag, che nella vita quotidiana ignorava il suo ruolo di controllore cosmico. I Figli dell’Uccello sono responsabili di tutte le cose che Ted e Cynthia hanno visto. I Figli furono un errore del creatore-pittore, affrettatamente “ridipinti”, piuttosto che eliminati, nella fretta di completare l’opera, ma mantenendo comunque il potere. Ora devono essere eliminati completamente. Hoag è stato reclutato per riferire su di loro; la sostanza sotto le sue unghie è il loro fluido vitale, il loro sangue, messo lì per farli spaventare.

“Jonathan Hoag ha iniziato a esistere, come uomo, allo scopo di esaminare, assaporare alcuni aspetti artistici di questo mondo. Nel corso del suo lavoro è diventato opportuno usarlo per mettere a nudo certe attività delle creature scartate e ridipinte che si chiamano Figli dell’Uccello. Voi due vi siete trovati coinvolti in questa attività, ignari e innocenti, come i piccioni usati dagli eserciti”
(ibidem).

Hoag non è il creatore di questo mondo, ma è stato inviato a controllare l’opera demiurgica di chi l’ha realmente creato. L’uomo intima alla coppia di lasciare la città, senza fermarsi a parlare con nessuno lungo la strada, quindi porta alla bocca un ultimo acino d’uva e poi cade al suolo senza vita. I due attraversano la città, ma Ted vuole comunicare l’accaduto alle autorità, così, intravisto un poliziotto, abbassa il finestrino della macchina; tuttavia, ciò che vede all’esterno è solo una nebbia grigia e pulsante, sebbene tutti gli altri finestrini mostrino una scena apparentemente normale. Proseguono in stato di shock. Nell’epilogo, i Randall ora vivono in un posto remoto, senza nome, in riva al mare. Fanno tutto insieme, non hanno specchi in casa, e ogni sera, “quando vanno a letto, prima di spegnere la luce lui si ammanetta un polso a un polso di lei”. Notevole nel romanzo di Heinlein è la riscrizione del passo di Genesi 1, 1-5, in cui l’immagine dello spirito (ruaḥ) di Dio librantesi sulle acque è espressa col verbo raḥaf, traducibile anche con covare. A sua volta il passo della Genesi ispira gli gnostici Ofiti “Veneratori di serpenti” di cui parla Ireneo (Adv. haer. I, 30, 1, cfr. Orbe 1963): per essi lo Spirito, fluttuante sugli elementi oscuri e iniziali, altro non sarebbe che la Sophia, la “Prima donna” estromessa dalla perfezione divina – il plērōma – «Madre dei viventi» e genitrice sia del Cristo che del suo opposto, l’Arconte diabolico. Un episodio che ricorre in svariati trattati gnostici (cfr. Orbe 1963). Si noti inoltre che l’ebraico ruaḥ è vocabolo di genere femminile.

Mitologie e universi altri: i mondi di Philip José Farmer
Anche Philip José Farmer, prolifico scrittore di fantascienza, sembra aver rivissuto tali esperienze estatiche in una personale visione gnostica del cosmo. Una prima notevole opera è Fabbricanti di universi (The Marker of Universes,1965). Qui, Robert Wolff, un professore di storia in pensione, suonando un corno ritrovato in una vechia casa, si ritrova scaraventato in un mondo parallelo. Un universo organizzato in una serie di strati abitati da svariate civiltà, dalla più arretrata alla più perfetta; una specie di torre cosmica sulla cui cima vive il “Signore”, un essere umano in possesso di una tecnologia che lo rende il Demiurgo indiscusso di quel mondo. Come nelle mitologie gnostiche, il Creatore è un essere inferiore, un impostore che si spaccia per Dio, qui è addirittura un uomo. Il seguito del romanzo è I cancelli della creazione (The Gates of Creation, 1966), dove troviamo all’inizio il protagonista osservare il mondo alternativo da una visuale privilegiata:

“…prese a esplorare il cosmo degli universi “paralleli”, per scoprirli e identificarli. Le registrazioni relative erano vecchie di settant’anni, perciò poteva presumere che altri universi di nuova creazione fossero andati a ingrossare il numero allora conosciuto di mille e otto. A Wolff interessavano questi… Teoricamente gli strumenti potevano esaminare tutti gli universi. Wolff non poteva però contare del tutto sugli strumenti. Un universo poteva essere individuato solo per mezzo delle sue «porte», ognuna delle quali emetteva una frequenza particolare…”
(Farmer, 1974).

Un universo dischiuso su altre, illimitate, possibilità. La saga di Farmer continuerà con altre tre romanzi, ma una spiegazione farmeriana su cosa sia un universo parallelo la scoviamo in L’immagine della bestia (The Image of the Beast, 1968), l’irriverente romanzo nel quale creature sovrannaturali come vampiri, lupi mannari, donne serpentine e altri mutanti sono coinvolti in pratiche di sesso estremo:

“… È un concetto nato dalla fantasia di alcuni autori di fantascienza… Credo che si tratti di un numero, forse di un numero infinito di universi che dovrebbero occupare lo stesso spazio[…] Comunque, Le Garrault è stato il primo a parlare di universi paralleli […] Solo che Le Garrault non postulava una serie di universi simili tra loro e alla terra in cui viviamo, no, egli sosteneva che questi universi erano del tutto diversi dalla terra, che essi erano soggetti a leggi fisiche differenti in tutto e per tutto […] Egli era profondamente convinto che vi fossero rotture o brecce attraverso le quali creature di un universo differente da questo erano già passate. Queste creature avevano forme così diverse che il cervello umano non sarebbe mai riuscito a rappresentarsele. E così era stato proprio il cervello umano a dare loro forme che li spiegassero. Le Garrault sosteneva che non si trattava di come gli umani vedevano queste creature ma di come queste creature si uniformassero di fatto alle fantasie degli uomini. Essi erano costretti a farlo, perché non avrebbero potuto sopravvivere in questo universo nella loro forma originale. Poteva darsi che l’adattamento non risultasse perfetto al cento per cento ma era tuttavia abbastanza vicino. E, di fatto, queste creature straniere potevano possedere più di una forma perché questo era il modo in cui gli uomini le vedevano. Da qui, i licantropi che avevano forma umana e forma di lupo, e i vampiri, che avevano forma umana e forma di pipistrello…”
(Farmer, 1994).

Ovviamente Le Garrault non è mai esistito, è una trovata narrativa per mescolare creazioni abnormi e sessualmente aggressive a mondi alternativi. Sottospecie di Arconti gnostici provenienti da dimensioni parallele. Ancora, il tema della contiguità dei mondi è affrontato in La rabbia di Orc il Rosso (Red Orc’s Rage, 1991), un esempio perfetto della tecnica narrativa di Farmer. Una trama tutto sommato banale ‒ universi paralleli, un adolescente profondamente frustrato che in essi cerca un modo per guarire dalla propria nevrosi ‒ è nobilitata da un evento reale: uno psichiatra statunitense, A. James Giannini, ha usato il ciclo di Fabbricanti di universi quale strumento terapeutico per curare adolescenti psicotici. Una “psicoterapia proiettiva” che immerge i pazienti in un mondo immaginario accessibile allo psichiatra.
Partendo dalle acquisizioni dello psichiatra scozzese Ronald David Laing, uno dei padri del cosiddetto “movimento antipsichiatrico” (cfr. Laing 1978), Giannini riteneva le psicosi di uno schizofrenico come realtà alternative del tutto valide. Il paziente è l’unico a dominare lo schema delle proprie illusioni: ne controlla l’accesso, può alterarle in qualsiasi istante. L’utilizzo della fantascienza, in particolare delle opere del ciclo farmeriano, i cui “personaggi avrebbero deliziato uno psichiatra di scuola junghiana: un’intera panoplia di archetipi, pronti per un’analisi retrospettiva” (Giannini 1995), diventano quindi un agile strumento di cura. La varietà degli universi proposta nella serie di romanzi offriva infatti una vasta scelta di realtà multiple con cui lo psichiatra poteva interagire con il paziente.

La rabbia di Orc il Rosso è una sorta di metaromanzo in cui fantasia e realtà si confondono grazie alla presenza inquietante di Fabbricanti di universi, porta metaforica e non attraverso cui è possibile muoversi in una struttura narrativa nettamente scissa in due realtà. Jim Grimson, protagonista del romanzo, vive un’esistenza schizoide, divisa tra il ricovero nel reparto di psichiatria dell’ospedale di una piccola città dell’Ohio e le mirabolanti avventure vissute negli universi alternativi, dove diventa Orc il Rosso. E come non essere tentati di interpretare la vicenda in una prospettiva gnostica, entro la quale il Salvatore che sfida i regni creati dagli Arconti, altro non è che un semplice uomo che ha riscoperto in sé la propria vera identità di “figlio della luce”? Ma è nel ciclo del Mondo del fiume, una serie di romanzi scritti tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta, dove gli elementi gnostici si fanno più accentuati, che Farmer dà il meglio di sè. Siamo in un futuro imprecisato, l’umanità si è estinta dopo una guerra atomica e la Terra è ormai un pianeta senza vita, squassato da tempeste radioattive. Una razza aliena, gli “Etici2 ‒ una replica degli Arconti dei miti gnostici ‒ da epoche immemorabili registra gli accadimenti dell’universo con il wathan, una sorta di anima mundi artificiale, in pratica una fotocopia. Registra le vicende degli esseri “sufficientemente avanzati” e quindi possiede le registrazioni dell’intera specie umana, raccolte sin dall’inizio dei tempi. È l’intero catalogo dei viventi, a partire dai primi ominidi per arrivare fino agli ultimi abitanti della Terra.
Gli “Etici”, organizzando quello che è una specie di esperimento sociologico su scala infinita, riportano in vita – con l’aiuto del wathan e su un pianeta remoto – tutti gli uomini vissuti sulla Terra. Li seminano più o meno a caso sulle rive di un fiume che per trenta milioni di chilometri si snoda attorno a questo habitat artificiale. Il fiume è una sorta di Ouroboros, attorcigliato attorno al pianeta, un immane serpente che lo avvolge nelle sue spire, sino a mordersi la coda e a formare un cerchio senza inizio e senza fine. Chi muore sulle rive del fiume alieno, perché ucciso in battaglia (si combatte molto sulle sue rive) o per un incidente, rinasce il giorno dopo da qualche altra parte lungo le rive, mischiando esseri di tutti i tempi e di tutte le latitudini. Una chiara metafora della metempsicosi ordita e sorvegliata dagli “Etici”, cioè dagli Arconti.

Scientologia e Dianetica, il background di L. Ron Hubbard
In Farmer le componenti gnostiche possono spiegarsi con la vicinanza a L. Ron Hubbard, talentuoso e brillante scrittore di fantascienza, creatore di Scientology, la Chiesa gnostica fondata negli anni Sessanta. In Dianetics, uno dei principali scritti teoretici, Hubbard descrive l’uomo in chiave psico-somatica, in cui il corpo appare come un riverbero della condizione della mente (cfr. Westbrook- Lewis 2019). Nel processo dialogico che si instaura fra sōma e psychē, la mente, attraverso la memoria, si manifesta come il centro di ogni attività. La mente è però condizionata e riflette una realtà fittizia, cioè “il modo in cui le cose appaiono”. Si tratta di un condizionamento in cui sono coinvolte anche le esistenze precedenti, in uno stato che gli orientali chiamano “legge del karman” e che Hubbard chiama “stato pre-clear”: le malattie, gli stati di squilibrio del corpo sono il chiaro riflesso di un’infermità della mente. Si ripropone l’insegnamento gnostico sugli inganni del Demiurgo e degli Arconti: con maldestra abilità essi fanno credere ad Adamo che la realtà percepita con i sensi sia la sola e unica realtà. Gli nascondono il divino che inconsapevolmente è celato in lui, ciò che gli Gnōstikoi chiamano pneuma, spirito, la scintilla luminosa che proviene dal vero Dio trascendente. Per fare questo usano lo Spirito di Contraffazione, lo antimimon pneuma, uno Spirito delle Tenebre, replica in negativo del buon pneuma, che istiga Adamo ad inclinarsi verso il male.

Nella dottrina di Scientology lo pneuma luminoso è riconoscibile in ciò che Hubbard chiama Thetan (pensiero, spirito), un concetto o un’entità impalpabile ritenuto il “creatore delle cose” (Hubbard, 1982). L’uomo per Hubbard è quindi una creazione “spirituale” (thetan) delimitata da universi, cioè da condizionamenti, da credenze, da modi di percepire il reale: “il thetan è ciò che lui considera di essere” (ibidem). Un’affermazione che si può accostare a un insegnamento che troviamo in un antico documento gnostico, il cosiddetto Sermone dei Naasseni, in esso il principio mercuriale e spermatico, creatore del tutto, dice di sé: “Sono ciò che sono e divengo ciò che voglio” (Ippolito, 2016). Ancora, gli gnostici Sethiani fanno dire al loro Redentore, l’Allogeno, che il pensare o il non pensare a qualcosa non ha nessun senso, poiché tutto è già naturalmente racchiuso nel principio. Lo stupore, gnostico e moderno, fa quindi la sua comparsa in riferimento alla nudità dell’esistenza, conchiusa in sé stessa e nella sua radice nascosta. Il mondo origina così da una costrizione, cioè dai limiti entro i quali la mente condiziona lo spirito. Nella Scientologia ciò che può suscitare la “grande guerra”, la fine dell’attesa apocalittica, è lo svincolamento da ciò che è codificato nel MEST (Materia, Energia, Spazio, Tempo), ovvero nei parametri del condizionamento mondano, antitetici allo pneuma, lo spirito. Il conseguimento ultimo non è più infatti lo “stato clear” preconizzato in Dianetics, che si raggiunge attraverso la terapia dell’auditing, bensì il Thetan attraverso l’Operating Thetan. Un complicato lessico postmoderno, che Hubbard inventa per ricreare l’immemore idea gnostica dello pneuma, della scintilla divina che si libera dai lacci della materia, la hylē.

Innegabile, quindi, che nel wathan di Farmer affiori molto del thetan hubbardiano. Entro gli angusti limiti spazio-temporali si combatte una battaglia cosmica: la lotta fra lo spirito e la realtà fittizia nel quale l’individuo vive intrappolato. È questo il senso gnostico, o neo-gnostico, degli insegnamenti di Hubbard. Una guerra interiore che troppo spesso l’uomo rivive in senso esteriore.
Da rilevare, infine, come tutti questi scrittori di area sostanzialmente californiana, attingessero per proprio diletto personale a quel fluido mondo romanzesco pulp o meglio hard boiled in cui l’elemento religioso gnosticheggiante faceva capolino tra la violenza di genere. Si pensi a Dashiell Hammett e al suo Il bacio della violenza (The Dain Curse, 1929) e al Ross Macdonald di Bersaglio mobile (The Moving Target, 1949) nel quale appare menzionato il dio indo-iranico Mitra/Mithra.
Strane relazioni, o per dirla con un titolo farmeriano, relazione aliene.

Letture
  • Ezio Albrile, Fantascienza & gnosticismo, Jouvence, Milano, 2022.
  • Ezio Albrile, Abissi dal futuro. Fantascienza e mitologie gnostiche, Nexus Edizioni, Battaglia Terme (Padova), 2022.
  • James Blish, Mondi invisibili, Mondadori, Milano, 1988.
  • Ioan Petru Culianu, I miti dei dualismi occidentali. Dai sistemi gnostici al mondo moderno, Jaca Book, Milano 2018.
  • Philip K. Dick, Divina invasione in Trilogia di Valis, Fanucci, Roma, 2010.
  • Philip K. Dick, La città sostituita, Fanucci, Roma, 2020.
  • Philip K. Dick, Guaritore galattico, Fanucci, Roma, 2020.
  • Philip K. Dick, Ubik, Fanucci, Roma, 2019.
  • Philip K. Dick, Lotteria dello spazio, Fanucci, Roma, 2020.
  • Philip K. Dick, I simulacri, Fanucci, Roma, 2020.
  • Lorenzo Di Tommaso, Gnosticism and Dualism in the Early Fiction of Philip K. Dick, in Science Fiction Studies, 28, 2001.
  • Philip José Farmer, Fabbricanti di universi (Il fabbricante di universi, I cancelli dell’universo, Un universo tutto per noi, Le muraglie della Terra), Editrice Nord, Milano 1974.
  • Philip José Farmer, Il mondo di Lavalite, Editrice Nord, Milano, 1979.
  • Philip José Farmer, L’immagine della bestia, Fanucci, Roma, 1994.
  • Philip José Farmer, La rabbia di Orc il Rosso, Fanucci, Roma, 1995.
  • Philip José Farmer, Il mondo del Fiume (volumi separati: Il fiume della vita, Alle sorgenti del fiume, Il grande disegno, Il labirinto magico, Gli dei del fiume), Fanucci, Roma, 2012.
  • Diego Gabutti, Cavalieri pallidi cavalieri neri, Milieu Edizioni, Milano, 2018.
  • James Giannini, Postfazione, in Philip José Farmer, La rabbia di Orc il Rosso, Fanucci, Roma, 1995.
  • Gherardo Gnoli, Le religioni dell’Iran antico e Zoroastro, in Giovanni Filoramo (a cura di), Storia delle religioni, 1. Le religioni antiche, Laterza, Roma-Bari, 1994.
  • Dashiell Hammett, La maledizione dei Dain, Mondadori, Milano, 2017.
  • Robert Heinlein, Il mestiere dell’avvoltoio, Mondadori, Milano, 2003.
  • Ippolito, Confutazione di tutte le eresie, a cura di Aldo Magris ; con un saggio introduttivo di Emanuele Castelli, Morcelliana, Brescia, 2016.
  • Ron Hubbard, Scientology. I fondamenti del pensiero, Editoriale ARC, Milano, 1982.
  • Ronald David Laing, L’io diviso. Studio di psichiatria esistenziale, Einaudi, Torino, 1978. 
  • Ross Macdonald, Bersaglio mobile, Time Crime/Fanucci, Roma, 2021.
  • Antonio Orbe, Spiritus Dei ferebatur super aquas. Exegesis gnóstica de Gen. 1,2b, in Gregorianum, 44, Roma, 1963.
  • Carlo Pagetti, Ubik Uno e Trino in In mondo secondo Philip K. Dick, Mondadori, Milano, 2022.
  • Antonio Panaino, Zoroastrismo, Morcelliana, Brescia, 2016.
  • Kurt Rudolph, La gnosi. Natura e storia di una religione tardoantica, a cura di Claudio Gianotto, Paideia, Brescia, 2000.
  • Donald A. Westbrook-James R. Lewis, Scientology and Gnosticism: L. Ron Hubbard’s “The Factors (1953), in Garry W. Trompf (ed. in coll. with G. B. Mikkelsen and J. Johnston), The Gnostic World, Routledge, London-New York, 2019.
  • Robert Charles Zaehner, Zurvān. A Zoroastrian Dilemma, Clarendon Press, Oxford, 1955 (repr. New York 1972).
Visioni
  • Alejandro Amenábar, Apri gli occhi, Eyescreen, 2013 (home video).
  • Cameron Crowe, Vanilla Sky, Paramount, 2021 (home video)