Dedicato a Keith Tippett,
forse lui sta ascoltando

Keith Tippett, 1947-2020.

Keith Tippett, 1947-2020.


Viviamo in tempi luttuosi e il mondo della musica ne è colpito una volta di più. Dopo altre recenti dipartite, ci ha lasciato anche Keith Tippett e con lui scompare un altro componente di spicco di quella pattuglia piuttosto folta e assai creativa, che prese le mosse sul finire degli anni Sessanta nel Regno Unito, dandosi da allora un bel daffare per dire la propria in materia di sovversioni, mutazioni e altre azioni spericolate in musica.
Keith Tippett ci lascia una grande eredità musicale, una raccolta di opere preziose, tutte nate ostinandosi nella ricerca senza compromessi di una musica non sottomessa al dio denaro. Posizione rigorosa, anche a costo di dover rinunciare a una sicurezza economica che avrebbe potuto magari sostenere cure mediche migliori, o forse no. Chissà: resta il fatto che la sua è stata una scelta nobile, inattuale, comunque degna del massimo rispetto. Ci resta la sua musica, un grande dono, nata intrecciando relazioni e incroci in un percorso artistico che proviamo a riassumere.

Il Mujician e il suo pianoforte.  Foto di Alberto Bazzurro.

Marciando sulla capitale
Tippett nasce a Bristol il 25 agosto 1947 e si trasferisce a Londra non ancora ventenne, deciso a fare della sua vita e della sua musica una sola cosa. Nella capitale il giovane pianista allestisce un sestetto in compagnia di altri cinque giovani di belle speranze, amici, tutti talenti sopraffini (il trombettista Marc Charig, il trombonista Nick Evans, il sassofonista Elton Dean, il contrabbassista Jeff Clyne e il batterista Alan Jackson) ed esordisce nel 1970 con un album intitolato You are here… I am there, che in seguito definirà poco rappresentativo perché vecchio già al momento dell’uscita. Si trattava di musica composta due/tre anni prima e “fra i venti e i ventidue anni qualunque artista si evolve in fretta.” (Bazzurro, 2001). In realtà il disco già mette in mostra sia il virtuosismo sia il talento compositivo di Tippett e anche quell’immaginario musicale allora dominante, fatto di incroci imprevedibili, tant’è che nel brano Thank You for the Smile (To Wendy and Roger) fa capolino il ritornello della beatlesiana Hey Jude.

Tutti si fanno già valere come solisti – splendido Dean in Stately Dance for Miss Primm –, ma questo è solo un antipasto, perché quella è un’epoca “ancora fertile e piena di promesse come il mattino di domani” per dirla con Robert Wyatt. Tempi di rivoluzione permanente, anche in musica, e se il disco è acerbo, il titolo sembra tracciare un modo di procedere per spiazzamenti successivi dell’ascoltatore. Parla chiaro: tu sei qui, io sono lì. Il suo percorso musicale non cambierà mai queste coordinate.
Tempi fecondi per la musica a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, tempi che evolvono sotto il segno di utopie assortite, e quella di Keith Tippett è fondata su valori rimasti sempre intatti: amicizia, amore, rigore, creatività.

Le relazioni privilegiate
Gli amici, per iniziare, e subito si deve dire di quei fantastici musicisti fuggiti dal Sudafrica dell’apartheid. Il grosso del gruppo agiva come Blue Notes. Il gruppo era nato da un’idea del pianista Chris McGregor, unico bianco della formazione che comprendeva il trombettista Mongezi Feza, i sassofonisti Dudu Pukwana (contralto) e Nick Moyake (tenore), il contrabbassista Johnny Dyani e il batterista Louis Moholo. Saranno dei maestri per il giovane pianista di Bristol, soprattutto maestri di vita.

“Nel 1966-67, quando mi trasferii a Londra – ricorda Tippett –, c’erano cose così emozionanti nel jazz, nel rock e nella classica contemporanea. C’era così tanta avventura, sperimentazione! Nel 1968-69 il mio sestetto si affacciò su una scena londinese che era già formata, con musicisti più anziani come Westbrook / Surman / McGregor, Moholo, Pukwana, Bailey / Parker / Stevens / Watts – molte scene differenti all’interno di una più grande. Un momento emozionante e radicale. Elton, Mark, Nick e io fummo aiutati particolarmente – da un punto di vista musicale e sociale – dagli esuli sudafricani che vivevano a Londra, ai quali sarò eternamente grato. La swinging London, Beatles, Stones, Soft Machine, King Crimson, la rivoluzione sessuale, le minigonne, un buon momento per essere giovani” (Achilli, Chang, 1991).

Amicizia, amore. Nella formazione del primo album compare anche Giorgio Gomelsky, che di Tippett era l’agente discografico. Gomelsky aveva sotto contratto pure una cantante che all’epoca si chiamava Julie Driscoll, la quale aveva inciso con una formazione che faceva blues, gli Steampacket, dove militava anche un giovanissimo Rod Stewart, e poi aveva sfondato come pop singer come voce solista dei Trinity, la formazione dell’organista Brian Auger. Molti dei brani in repertorio erano già dei classici all’epoca, dal successone Save Me (un hit di Aretha Franklin) alla dylaniana This Wheel’s on Fire, da Light my Fire (The Doors) a Season of the Witch (Donovan). In quei tempi ormai lontani lei è anche un’icona pop, ma presto si stufa del business musicale.

Nascita di un lungo amore
Siamo nel 1969 e Tippett fa il secondo, fondamentale, per certi versi definitivo incontro della sua vita, quello con Julie, appunto, che diventerà sua moglie e compagna di mille avventure musicali; nasce qui una coppia legata da un’intesa e un’intensità che forse non ha eguali nel mondo della musica e in genere nel mondo. Qualcosa di analogo si riscontra, sempre nella piccola grande scena del jazz inglese, nella coppia formata da Mike e Kate Westbrook. Un incontro fatale che Tippett ricorda così: “Avevamo lo stesso agente, che una sera la portò a un mio concerto. Per la verità la mia musica non l’attrasse troppo ma il giorno dopo ricevetti una telefonata in cui mi si chiedeva di curare gli arrangiamenti del suo nuovo disco.” (Bazzurro, ibidem). L’album verrà intitolato 1969, quasi a voler ricordare la data di nascita di questa rara comunione, e Tippett coinvolse nella registrazione un po’ dei suoi amici, da Charig a Dean e Evans, più altri musicisti che confluiranno nella colossale formazione Centipede. Sono tempi di rivoluzione permanente. Nel giro di pochi anni:

“…un intreccio di circostanze plasmò a Londra un’intera generazione di musicisti: l’amore per i maestri americani, la passione per i toni insurrezionali del free, la fedeltà tutta inglese, indistruttibile, alla tradizione, al folk, il piacere di suonare blues, il divertimento adolescenziale del putiferio beat, la provocazione intellettuale suggerita dal gruppo Fluxus, le caleidoscopiche avventure nello spazio psichedelico e l’incontro ravvicinato con i fratelli sudafricani. Un incontro di talenti, di personalità, di umanità.” (Bonomi, Fucile, 2005).

Tippett è tra questi. Viene definito dai lettori del Melody Maker “A New Star” e attratto nel vortice dell’etichetta Vertigo “… quella con le sontuose copertine apribili e le foto esoteriche di Marcus Keef che raffiguravano un’allucinata campagna inglese, popolata da splendide e inquietanti ragazze dai capelli lunghi. Quella, soprattutto, del vortice (swirl) bianconero che marchiava il centro del vinile, inventato dal cover designer Roger Dean” (Bonomi, 2006). Una casa discografica di culto, anche perché: “Il management – all’inizio sotto la guida dell’illuminato Olav Wyper (poi artefice dell’ancora più oscura Neon, figlia minore della major Rca) – gioca subito la carta dell’eclettismo, accogliendo gruppi e artisti assolutamente sconosciuti (molti al loro primo contratto discografico) e provenienti dalle esperienze musicali più disparate: folk, hard rock, jazz, blues ecc.” (ibidem). Con la stessa formazione, e amici come Robert Wyatt ospiti, Tippett incide il già citato Dedicated To You, But You Weren’t Listening che sfoggia la spettacolare copertina con il feto “fuori sede”, comodamente alloggiato nella testa di una donna. Album vibrante, il cui brano eponimo è firmato dall’amico Hugh Hopper, uno dei membri fondatore dei Soft Machine. Tra i sei brani spicca Green and Orange Night Park, dove Dean si eleva in un solo di rara bellezza.

Un’esperienza color cremisi
Amicizia, amore, amicizia. Un altro amico che pure conterà nel percorso artistico di Tippett è Robert Fripp, altro genio della scena inglese, l’uomo che ha inventato i King Crimson e altre creature sonore piuttosto aliene. Storia nota ai cultori del prog. Fripp coinvolge Tippett nel secondo album dei KC, In the Wake of Poseidon, dove si produce in una spettacolare corsa all’impazzata sulla tastiera del pianoforte. Il brano è Cat’s Food. Tippett si ritroverà a suonare anche in Lizard e in Island (insieme agli amici Miller, Charig e Evans). Amicizia, amore, amicizia, rigore. Fripp proverà a farlo diventare membro stabile, inutilmente: Tippett avrebbe accettato solo per soldi e questo non è mai stato il suo criterio per fare musica. La personalità del pianista è un ostacolo insormontabile, lui ha altro in mente, ma questo non scalfisce l’amicizia. Basti leggere le parole che ha scritto a caldo dopo la dipartita del vecchio compagno d’avventure: “Keith Tippett is one of three musicians of my generation who continues to influence and guide my musical thinking. Keith’s music speaks for itself. Perhaps less well-known is Keith’s stature as an ethical musician, a good man. Fly well, Brother Keith! My gratitude to you”. Parole che non necessitano di traduzione.
Di lì a poco Tippett allestisce il più ambizioso di tutti i progetti partoriti da un jazzista in Gran Bretagna, Centipede, un organico di ben cinquanta elementi, ed è proprio Fripp a produrlo e a far parte della big band. Amicizia e amore. L’unico album (doppio), Septober Energy, viene pubblicato dalla summenzionata etichetta Neon, che ospiterà anche l’esordio dei fratelli sudafricani della Brotherhood of Breath, la big band nata in parte dai Blue Notes, rinforzata e arricchita dalla presenza delle nuove leve britanniche, da Charig a John Surman, da Evans a Evan Parker.

Quattro facciate per ospitare le quattro parti di una suite nata dal desiderio di comporre per tutti i suoi amici, che “… alterna passaggi di profondo lirismo e momenti energici, con affondi nel parossismo affidati alla sezione d’archi. Il maestoso procedere della quarta parte, guidato da un lungo assolo di Elton Dean, fa perdonare tutte le incertezze disseminate nei tre movimenti precedenti” (Fucile/Bonomi, cit.). È la ripresa del tema di Green and Orange Night Park in una versione colossale, forse la più bella pagina scritta dal jazz inglese. “Tra gli orchestrali, membri dei Soft Machine, dei Patto, di Iskra 1903, dei Nucleus e della Brotherhood of Breath. Oltre i confini della musica, Septober Energy è una fotografia culturale dell’epoca, proiettata alla ricerca di ogni possibile forma di libertà, ossessionata dall’oltrepassamento dei confini e tesa a progettare utopie.” (ibidem). Amicizia, amore, amicizia, rigore, creatività, tutto confluisce nel canto finale: “Unite for every nation, unite for all the land, unite for liberation, unite for the freedom of man”. Questo l’inno scritto da Julie Tippetts che si trasforma in un canto epico, senza tempo.

Ascetismo per piccoli organici
La dimensione quasi orgiastica che segna più di un passaggio di Septober Energy, trova il suo ideale contrappunto nell’ascetismo che caratterizza i piccoli organici concepiti da Tippett nel prosieguo dei Settanta. Facendo tesoro del titolo del primo album, si può ben dire che tu sei qui ad ascoltare Centipede, lui è là a inventare prima Blueprint (album prodotto da Fripp e registrato con Julie Tippetts, Roy Babbington al contrabbasso e Keith Bailey alle percussioni sostituito in corso d’opera da Frank Perry) e in seguito tre dischi prodotti a nome Ovary Lodge (Tippett, Perry e Babbington, al quale subentrò Harry Miller dopo il primo disco, mentre nel terzo, un concerto, la formazione comprende anche Julie Tippetts). Tutti album nei quali il regime minimalistico imperante diffonde, però, la medesima spiritualità che caratterizza il grande lavoro orchestrale. Il filo rosso che muove la scrittura di Tippett (anche nella sua forma improvvisata totale che qui iniziò a esplorare) è che la musica deve coinvolgere, emozionare, stimolare una partecipazione totale dei sensi. Sarà così fino a oggi. Creatività, rigore, amicizia.

Per tutto il decennio, Tippett sperimenta, cimentandosi in organici più o meno stabili, in formazioni estemporanee. Tu sei qui ad ascoltarlo nell’Elton Dean’s Ninesense dell’amico che ormai ha chiuso da tempo la sua esperienza con i Soft Machine e lui e là a suonare in duo con altri pianisti: lo fa con il veterano Stan Tracey e con Howard Riley, oppure si ritrova in coppia con John Surman. Tu lo ascolti nell’unico disco firmato dall’amico Marc Charig, il lirico Pipedream, e lui suona nel ribollente ottetto di Louis Moholo. Tu sei qui ad ascoltare la sua partecipazione ai sanguigni Dreamtime di Nick Evans e lui è là a immergersi nella dimensione dell’improvvisazione totale partecipando a una delle tante edizioni della Company di Derek Bailey all’alba degli Ottanta. Altri spostamenti, circolari: è ancora con Dean nel sontuoso quintetto che registra il leggiadro Boundaries, denso di legami con gli impasti timbrici e i ritmi dei fratelli sudafricani. Amicizia, creatività, amore. Nel 1976 esce su etichetta Utopia il secondo disco di cui è titolare la sola Julie Tippetts: Sunset Glow, anzi il primo firmato Tippetts. Qui e lì. Tu ascolti il suo prezioso contributo all’album di sua moglie e lui, sul finire del decennio, torna alla partitura per grandi organici.

Una nuova grande orchestra
È il turno di Frames. Music for Imaginary Film, un altro atto d’amore come Centipede. Musica per un film immaginario: un’arte minore, diletto talvolta di musicisti di diversa estrazione, dai jazzisti agli elettrorumoristi. Tippett riunisce ancora vecchi e nuovi amici per l’occasione. Questa volta l’orchestra si chiama Ark (impossibile non pensare a Sun Ra) e l’etichetta è la Ogun, fondata da Harry Miller per diffondere la musica libera dei musicisti sudafricani esuli in Inghilterra e dei loro fratelli inglesi. Il decennio degli Ottanta vede due grandi calamità abbattersi sul Regno Unito: mucca pazza e Margaret Thatcher. In realtà è una sola grande disgrazia che rade al suolo il sociale e attenta alla vita delle persone. Ne soffrono anche musicisti poco inclini ai compromessi come Tippett, per il quale diventa difficile portare avanti progetti impegnativi anche sul piano economico. Amicizia, amore, amicizia, rigore, creatività. Di necessità, virtù: in questo scenario poco amichevole, Tippett decide di lavorare in solitudine. Così nel 1979 esce il suo primo disco per solo piano, The Unlonely Raindancer provvidenzialmente ristampato lo scorso anno dalla Discus di Martin Archer:

“L’intera poetica di Tippett è depositata in The Unlonely Raindancer, tutta l’anima e la tecnica dell’uomo di Bristol: vertiginose scorribande sui tasti, maestose e liriche aperture, sospensioni di carattere rituale, fluire di arpeggi in ogni dove, un minimalismo frenetico e incompiuto fatto di ossessive ripetizioni volutamente imprecise, svolgimenti serrati, il tocco sempre fulgido, musicale anche quando sembra che tutto miri unicamente a sbriciolare il singolo martelletto, la lucida visionarietà, presente in ogni istante, che destruttura le composizioni senza che mai l’improvvisazione imbocchi un vicolo cieco (Fucile, 2019).

 

A metà strada tra musica e magia
Gli fanno seguito nel corso degli anni Ottanta i tre album Mujician incisi per un’altra etichetta simbolo della musica indipendente, la tedesca FMP (Free Music Production, appunto). Mujician, quella del musicismago, diremmo malamente in italiano, è una figura immaginaria. Il termine è inesistente e la sua origine la racconta lo stesso Tippett:

“A mia figlia Inca, all’inizio della scuola materna, fu chiesta la professione di suo padre. Lei non riuscì a pronunciare correttamente la parola musician e venne fuori quello strano vocabolo, che mi colpì: Mujician è un po’ una via di mezzo fra musician (musicista) e magician (mago), al che va aggiunto che il monosillabo mu ha una valenza esoterica: sta per «sacro».” (Bazzurro, cit.).

Il termine conquista poi anche i compagni di una solida formazione che prende vita sul finire degli Ottanta e che schiera oltre a Tippett, Paul Dunmall (sassofoni), Paul Rogers (contrabbasso) e Tony Levin (batteria); un quartetto poi dismesso (nel 2006 l’ultima uscita discografica) che decide di chiamarsi nello stesso modo.

Amore. Nel 1987 i coniugi Tippett si recano negli studi di registrazione della Eg Records e incidono (la produzione è dell’amico Fripp) Couple in Spirits. Un’esperienza che Tippett sintetizza così: “Semplicemente un marito e una moglie che fanno musica insieme in cinque giorni della loro vita.” (Achilli, Chang, cit.). Una dichiarazione che rende pienamente l’idea dello spessore del legame tra i due, amore. Al rigore e alla morigeratezza fa eccezione il sontuoso sestetto che viene ripreso in concerto il 25 ottobre del 1984 a Exeter. L’album si intitola A Loose Kite In A Gentle Wind Floating With Only My Will For An Anchor e vede all’opera Larry Stabbins, al tenore e al soprano, Elton Dean al saxello e al contralto, Mark Charig (cornetta e flicorno tenore), Nick Evans al trombone, Paul Rogers al contrabbasso e Tony Levin alla batteria e alle percussioni. Il titolo in formato big size, che prende a prestito una frase da I Know Why the Caged Bird Sings, l’autobiografia della poetessa, scrittrice e cantante afroamericana Maya Angelou, è anche quello della suite in quattro parti che occupava gran parte del doppio album che si chiudeva con Dedicated to Mingus, scritta da Tippett nel 1979 quando il grande jazzista scomparve. Reiterazione di frammenti tematici di Goodbye Pork Pie Hat su cui si staglia, ovviamente, un solo per contrabbasso, compito ottimamente assolto da Rogers.

Altre collaborazioni e omaggi
Gli Ottanta si chiudono con la partecipazione ai dischi di due formazioni dell’amico sassofonista Larry Stabbins, i Weekend e gli “eredi”: i Working Week. A margine Tippett compare anche nell’unico disco di un’oscura formazione, i Low Flying Aircraft, di un ex King Crimson, il violinista David Cross. All’epoca dell’intervista rilasciata a Musiche (1991) Tippett dichiarava di non aver mai sentito il disco, e chissà se l’ha mai fatto in seguito; fatto sta che il suo intervento è a dir poco strepitoso.
Nei primi anni Novanta partecipa al progetto The Dedication Orchestra, grande ensemble ascoltato in concerto anche in Italia. Un sentito e riuscito omaggio reso alla musica e alla memoria dei fratelli sudafricani scomparsi: il primo ad andarsene era stato Mongezi Feza nel 1976, seguito da Miller nel 1983 e nel 1986 da Johnny Dyani, infine, nel 1990, l’addio di Pukwana e McGregor. Il loro repertorio viene rivisitato con brillanti arrangiamenti in due album, Spirits Rejoice (1992) e Ixesha (1994). Amicizia.
Il resto del decennio lo vede all’opera con Mujician, ma, come si è detto, tu sei qui e lui no: il quartetto suona a Bristol insieme a Julie Tippetts più il Georgian Ensemble, undici musicisti che danno una bella mano a rivisitare il repertorio tippettiano, compresa una porzione di Septober Energy. Lui è più in là, neanche il quartetto ha un assetto stabile (già nel 1996 si era trasformato temporaneamente in sestetto con Dean e il trombonista Roswell Rudd) e poi ci sono altre avventure solitarie: incrocia nuovamente il pianista Riley e pubblica un secondo capitolo di Couple in Spirits, per esempio.
Questa volta la coppia è ripresa dal vivo a Colonia. ma tu sei qui, lui è là. Ecco che nel frattempo matura la terza grande partitura orchestrale, First Weaving, eseguita in diverse occasioni in pubblico, anche in Italia (a Ruvo di Puglia nell’estate 1999), dall’orchestra Tapestry. Per una decina d’anni Tippett tenterà vanamente di registrare il lavoro in studio, accettando infine di pubblicare nel 2010 una delle versioni live disponibili, quella del concerto tenuto a Le Mans all’Abbaye de l’Épau il 3 maggio del 1998.

Le registrazioni dell’ultimo decennio ribadiscono la mossa del gambetto che segna l’intera sua carriera. Tippett è ancora in coppia con Julie (e con l’amico Moholo) a Ruvo per dirigere l’ensemble italiano Canto Generál rivisitando brani del suo repertorio (inclusa parte della sempiterna Septober Energy) e di quello della Brotherhood of Breath; è ospite in formazioni che ancora perpetuano quell’obliquità così tipica del jazz d’oltremanica come il George Burt/Raymond MacDonald Sextet, è con i compagni affidabili del quartetto Mujician e in una manciata di registrazioni varie, comprese le quasi canzoni registrate da Julie Tippetts con il progetto Nostalgia 77 di Benedic Lamdin, esperienze sempre all’insegna del rigore, della creatività, dell’amicizia e dell’amore, come nell’uscita a inizio 2011 di un terzo disco, registrato dal vivo a Londra, dall’inossidabile coppia Keith e Julie. Titolo? Couple in Spirit (ovviamente) Live at the Purcell Room.

Una coppia inseparabile
I due prestano opera anche nella band Blazing Flame (due album per la Leo Records). In parallelo, Tippett guida il 30 e il 31 gennaio 2011 un affiatatissimo ottetto negli studi della Real World di Peter Gabriel, che oltre a Julie vede coinvolti: Kevin Figes (baritono e alto), Paul Dunmall (tenore e soprano), James Gardiner-Bateman (alto), Ben Waghorn (tenore e clarinetto basso), Thad Kelly (contrabbasso) e Peter Fairclough alla batteria. Il risultato si chiama From Granite to Wind, un altro compendio dell’arte tippettiana, del suo pianismo fluido e nervoso al tempo stesso, del lirismo drammatico dei momenti collettivi e dell’astrazione che luccica nei passaggi più rarefatti. Una ripresa corale della lezione storica di maestri come Charles Mingus e di quella appresa direttamente dai musicisti sudafricani. Ieri e oggi, perché fioriscono anche incontri con le nuove generazioni: per esempio prende il via la collaborazione con il pianista Matthew Bourne, classe 1977, con il quale si ritrova a più riprese, a parti invertite rispetto quanto accadeva a Tippett con l’anziano Stan Tracey nel 1974, perché ora il maestro è lui. Non ne nasce nessun disco, così come per le estemporanee partecipazioni di Tippett nel progetto Soft Machine Legacy, nato quando ancora erano in vita Elton Dean e Hugh Hopper.
L’ultima decade lo vede spesso in relazione con l’Italia. Viene ripreso in concerto a Trieste nel 2010 e l’etichetta slovena Klopotec anni dopo ha dato alle stampe l’album Live in Triest (2018), due anni dopo ritorna nel capoluogo giuliano e suona con il contrabbassista Giovanni Maier al teatro Miela. L’album che ne risulta si intitola Two For Joyce, una lunga e appassionata discussione sonoro all’ombra del grande dublinese che a Trieste soggiornò a lungo. Sempre nel 2012 tiene un concerto di Musiche Nuove a Piacenza e la registrazione diventa l’album Mujician Solo IV (Live in Piacenza) pubblicato dalla neonata (allora) Dark Companion. Si tratta di:

“un’unica improvvisazione capace davvero di rendere, o meglio di evocare una sacralità, laddove questa è quanto percepiamo di ciò che resta sempre inconoscibile e dunque indicibile. In questo ignoto che si svela a tratti solo nella musica, Tippett si è avventurato ancora una volta senza smarrirsi, forte di una tecnica sempre al servizio della memoria e del sentimento, animata da fremiti swing, trance e rigore progettuale. Quasi una trance, a giustificare il ricorso per la quarta volta al neologismo mujician” (Fucile, 2016).

Tippett sarà ancora a Piacenza nel 2016 e con lui Julie. La coppia incontra due musicisti da annoverare tra il fior fiore della ricerca musicale italiana: il chitarrista Paolo Tofani, ex membro degli Area e il percussionista Lino Capra Vaccina, ex-membro delle storiche band Aktuala e Telaio Magnetico e autore di un album divenuto nel tempo un cult: Antico adagio. Ne sortisce una lunga improvvisazione ora tendente all’astrazione, talaltra scossa da onde ritmiche, che parafrasa nel titolo la celebre commedia shakespeariana: A Mid Autumn’s Night Dream. Il disco vede la luce a inizio 2019 grazie alla Dark Companion.

Il cerchio si chiude: amicizia, amore, rigore, creatività. Tippett, sempre in compagnia di Julie Tippetts, ha suonato in Italia anche in altre sedi, a Pavia nel 2010, per esempio, e avrebbe dovuto suonare a Salerno nel 2017, ma iniziava non star bene. Nel 2018 l’infarto e una conseguente polmonite. Grande la solidarietà creatasi intorno a lui per assicurargli le cure. Sembrava aver saltato l’ostacolo – lo si rivede a Firenze nell’ambito di Genius Loci nel settembre del 2019 – ma infine ci ha lasciato: questa stagione disgraziata ci ha portato via anche lui.
Ora noi siamo qui. Tu dove sei?

Ascolti
  • Blazing Flame, Play High Mountain High, Leo Records, 2013.
  • Blazing Flame, Murmuration, Leo Records, 2016.
  • George Burt/Raymond MacDonald Sextet, Boohoo Fever, Leo Records, 2006.
  • Centipede, Septober Energy, BGO, 2007.
  • Marc Charig, Pipedream, Ogun, 2010.
  • Company, Epiphany/Epiphanies, cd Incus, 2001.
  • Elton Dean, Boundaries, Japo, 1980.
  • Elton Dean’s Ninesense, Happy Daze/Oh! For The Edge, Ogun, 2009.
  • The Dedication Orchestra, Spirits Rejoice, Ogun, 1992.
  • The Dedication Orchestra, Ixesha (Time), Ogun, 1994.
  • Julie Driscoll, 1969, Eclectic, 2006.
  • King Crimson, In the Wake of Poseidon, Lizard, Islands, in Sailor’s Tale, Discipline, 2017.
  • Harry Miller, In Conference, in Harry Miller 1941-1983: The Collection, Ogun, 1999.
  • Louis Moholo Octet, Spirits Rejoice!, in Bra Louis Bra Tebs/Spirits Rejoice, Ogun, 2007.
  • Mujician, The Journey, Cuneiform, 1990.
  • Mujician, Poem About the Hero,1994
  • Mujician, Birdman, Cuneiform, 1996.
  • Mujician, Bladik, Cuneiform, 1997.
  • Mujician, Colours Fullfilled, Cuneiform, 1998.
  • Mujician, Spacetime, Cuneiform, 2002.
  • Mujician, There’s No Going Back Now, Cuneiform, 2006.
  • Mujician with Julie Tippetts & The Georgian Ensemble, The Bristol Concert, in The Gold Collection, Dejavu Retro Gold Collection, 2005.
  • Nostalgia 77, The Nostalgia Sessions Vol.1, Tru Thoughts, 2009.
  • Ovary Lodge, Ovary Lodge, What4CD, 1999.
  • Ovary Lodge, Ovary Lodge, Ogun, 2007.
  • Julie Tippetts, Sunset Glow, Air Mail Music, 2006.
  • Keith Tippett, You Are Here… I Am There, Esoteric, 2013.
  • Keith Tippett, Dedicated To You But You Weren’t Listening, Esoteric, 2013.
  • Keith Tippett, The Unlonely Raindancer, Discus, 2019.
  • Keith Tippett, Mujician I & II, FMP, 1997.
  • Keith Tippett, Mujician III (august air), FMP, 1990.
  • Keith Tippett, The Dartington Concert, Editions EG, 1990.
  • Keith Tippett, Blueprint, RCA, BGO, 2004.
  • Keith Tippett, Une croix dans l’océan, Victo, 1994.
  • Keith Tippett, Friday the 13th, La Cooka Ratcha, 2000.
  • Keith Tippett, Mujician Solo IV (Live in Piacenza), Dark Companion, 2016.
  • Keith Tippett, Live in Triest, Klopotec, 2018.
  • Keith Tippett’s Ark, Frames (Music for an imaginary film), Ogun, 1996.
  • Keith Tippett, Giovanni Maier, Two for Joyce, Long Song, 2013.
  • Keith Tippett, Howard Riley, The Bern Concert, FMR, 1993.
  • Keith & Julie Tippetts, Couple in Spirit, Editions EG, 1988.
  • Keith & Julie Tippetts, Couple in Spirit II, in The Gold Collection, Dejavu Retro Gold Collection 2005.
  • Keith & Julie Tippetts, Couple in Spirit. Live at The Purcell Room, Ogun, 2011.
  • Keith Tippett, Julie Tippetts, Louis Moholo-Moholo & Canto Generàl, Viva La Black Live at Ruvo, Ogun, 2007.
  • Keith Tippett, Julie Tippetts, Paolo Tofani, Lino Capra Vaccina, A Mid Autumn’s Night Dream, Dark Companion, 2019.
  • Keith Tippett’s Septet, A Loose Kite in a Gentle Wind Floating With Only My Will for an Anchor, Ogun 2010.
  • Keith Tippett Tapestry Orchestra, Live at Le Mans, Red Eye, 2010.
  • Keith Tippett/Stan Tracey, T’N’T, in Duets: TNT/Sonatinas (a nome John Surman, Keith Tippett, Stan Tracey), Blue Note International, 1993.
  • Weekend with Keith Tippett, Live at Ronnie Scott’s, Cherry Red, 2008.
Letture
  • Alessandro Achilli, Paolo Chang, Keith Tippett, in Musiche, n.9, La Spezia, primavera 1991.
  • Alberto Bazzurro, La lunga strada che esce dal rock, in Musica Jazz, Milano, febbraio 2001.
  • Claudio Bonomi, Nella spirale del prog rock, in ilManifesto/Alias, Roma, 28 gennaio 2006.
  • Claudio Bonomi, Gennaro Fucile, Elastic Jazz, Auditorium, Milano, 2005.
  • Gennaro Fucile, Una nuova etichetta italiana indaga i luoghi immaginari della mente, in Musica Jazz, Milano, aprile 2016.
  • Gennaro Fucile Recensione. The Unlonely Raindancer, in Musica Jazz, Milano, luglio 2019.