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ASCOLTI / THREE INTO WONDERFULL, 30TH ANNIVERSARY ALBUM


di Westbrook Trio / Voiceprint, 2012


 

Jazz, poesia e altra mercanzia sfusa

di Gennaro Fucile


 

“Intorno al 1980 Kate e io stavamo facendo un giro nel mercato coperto di Bolton, nel Lancashire. Questi mercati locali, nonostante le offerte dei grossi centri commerciali appena fuori città, si possono ancora trovare in molte città di provincia, specialmente al Nord. Le bancarelle vendono, a prezzi stracciati, una serie di cose tanto strambe da poterle pensare in qualche bazar orientale, buttate tutte lì nel mucchio a farsi concorrenza. Ci sono cibi di ogni genere, cosmetici, specialità farmaceutiche, biancheria intima, gioielleria, dolci e cianfrusaglie varie. Il nome di questi articoli – alcuni dei quali audacemente prosaici, altri bislacchi e fantasiosi, altri presi da canzoni pop più ordinarie, alcune di oscura origine popolaresca – sono tanto affascinanti quanto gli stessi prodotti. Mi sono scritto i marchi – Morning Thunder... Crysette... The Man Root... Heart Throb, e così via. I nomi, separati dagli oggetti, prendono una propria vena surreale, romantica – una poetica lista della spesa per doni con cui corteggiare l’innamorata. Heart Throb era stato incluso nel progetto Brass Band, Hotel Amigo. Quando Kate e io abbiamo formato il trio A Little Westbrook Music con Chris Biscoe nel 1982, è stata una delle prime canzoni che abbiamo suonato.

La forma semplice costituita da voce, piano e sax, con la stessa importanza data alle parole, alla composizione e all’improvvisazione, è stata il cuore non solo della musica del Trio, ma di molti dei nostri progetti da allora” (in Bonomi e Fucile, 2005). Così Mike Westbrook ricorda la nascita del Trio che registrò l’album autoprodotto A Little Westbrook Music, presto finito out of stock diventando solo un oggetto scambiato nel mercato del vinile da collezione. Il brano citato da Westbrook venne poi inserito nell’antologia Elastic Jazz, unica testimonianza digitale di quell’esordio e probabilmente per questo motivo non inclusa nel riassunto dei trent’anni d’attività messo a punto nel recente three into wonderfull, 30th anniversary album.

Il Trio è tuttora in attività e come dichiara lo stesso Westbrook fu una svolta nella sua carriera, che nel corso del tempo lo ha visto impegnato anche nella scrittura di partiture per il teatro e la danza, per la televisione, per il cinema e per documentari.

Questo fine compositore, raffinato sperimentatore, magistrale arrangiatore, nasce a High Wycombe, nel Buckinghamshire, il 21 marzo 1936. Musicalmente è un autodidatta, infatti studia pittura al Plymouth Art College dove, nel 1958, forma la sua prima band che, fra gli altri, include Keith Rowe, futuro co-fondatore del collettivo di improvvisazione elletroacustica AMM (da cui andarono “a lezione” i giovanissimi Pink Floyd) e Phil Minton che poi incrocerà e a più riprese nei successivi decenni. L’anno seguente “scrittura” il sedicenne John Surman, un incontro che segna l’inizio di una collaborazione proficua per entrambi.

 

Nel 1962, i due si trasferiscono a Londra. Gli inizi sono durissimi. La scena jazz è oscurata dall’ascesa del rhythm’n’blues e del blues rock. I jazzisti suonano soltanto per quindici minuti, durante gli intervalli tra un concerto e l’altro. Dopo una lunga gavetta suonando gratis in giro, soprattutto fuori Londra, Westbrook dà un assetto stabile alla sua band, un sestetto (nucleo di quella che di lì a poco sarebbe diventata la Concert Band) con Surman al baritono, Malcolm Griffiths al trombone, Mike Osborne al contralto, Harry Miller al contrabasso e Alan Jackson alla batteria. Intanto si aprono alcuni nuovi spazi nella capitale. Il primo è il Little Theatre Club dove a partire dal 1966 John Stevens organizza session notturne aperte alle nuove leve. Il secondo è il vecchio Ronnie Scott’s Club (Old Place) di Gerrard Street che tutti i sabati per 18 mesi consecutivi diventa come una palestra per Westbrook e soci. Il sestetto comincia a farsi una reputazione. L’etichetta Deram (inventata dalla Decca per ospitare musiche di tendenza) se ne accorge, e tra il luglio e l’agosto del 1967 Westbrook entra negli studi di registrazione per incidere Celebration, suite composta insieme a John Surman e suonata in concerto da diversi mesi. Quella che verrà pubblicata sarà una versione ridotta a otto brani dai quindici originali che duravano complessivamente due ore. Inizia così uno dei capitoli più importanti (forse il principale) nella storia del british jazz, quello che con più sfumature racconta le peculiarità di una vicenda a sua volta affluente nel grande fiume del jazz. Storia particolare perché se è vero che “il jazz è stato una musica veramente popolare per pochi momenti nella sua storia, ma la sua musica è inestricabilmente legata allo sviluppo globale della popular music” (Shipton, 2001), allora quella inventata nel Regno Unito ne rappresenta un intreccio esemplare nel quale spicca la vita artistica di Westbrook.

In quella ormai lontana estate del 1967, la Concert Band si presenta in studio forte di dodici musicisti con cinque ottoni e quattro ance. Westbrook, come poco prima Graham Collier e in seguito Keith Tippett (in "Quaderni d'Altri Tempi" n. 34), la Brotherhood of Breath, i Soft Machine e i Nucleus, esordisce con un album di sole composizioni originali, affrancandosi in partenza dal jazz made in Usa. Taglio netto, affine a quello della musica improvvisata, che parallelamente sbriciolava ogni legame con il passato. Diversamente dai meta-musicali affondi dei musicisti più radicali come Derek Bailey (in "Quaderni d'Altri Tempi" n. 35) la lezione dei maestri statunitensi non viene rimossa del tutto. “Amavamo tutti il jazz che veniva agli Stati Uniti – ricorda Westbrook nelle note di copertina – ma quando poi eravamo noi a suonarlo, usciva qualcosa di diverso”. Nel caso di Celebration si potrebbe anche parlare di concept album, in quanto le varie sezioni della suite narrano lo svolgimento di una giornata. Curiosamente il primo giugno di quell’anno i Beatles fecero uscire Sergent Pepper’s Lonely Hearts Club Band che si concludeva con la cronaca di una giornata: A Day In The Life. Ad esclusione dell’impiego della voce, tutte le piste che verranno battute in seguito qui sono già tracciate: i temi che si fanno largo nel caos generato dalle improvvisazioni collettive, le coloriture poco consuete che investono trasversalmente le sezioni (nello spirito di Duke Ellington), i numerosi cambiamenti di metro, i momenti solistici del leader al pianoforte che ne evidenziano la vena lirica all’ombra di Thelonious Monk, le introduzioni affidate ad assoli o duetti che proseguono poi per la loro strada anche quando subentra il resto del collettivo, come ben illustrato in Echoes And Heroics, anche se le cose migliori dell’album sono la danza felpata di A Greeting e Image firmata da Surman, dove inizia ad affiorare il retroterra celtico del sassofonista della contea del Devon (Cornovaglia).

Passa un anno e Westbrook ritorna in studio per incidere Release, che affianca a sue composizioni originali dei classici come Lover Man, The Girl From Ipanema e Flying Home, riletture disinibite, sostanziate da disinvolte improvvisazioni. Qui la Concert band è ridotta a dieci elementi, ma l’energia rimane inalterata. Sul Sunday Times Derek Jewell descrisse l’album come: “Un saluto scarmigliato, ruggente e affettuoso all’era dello swing e allo sperimentalismo contemporaneo”. La forma è anche in questo caso quella di una suite dove le cadenze legano i vari movimenti, come atti di una piéce teatrale. L’intera attività artistica di Westbrook possiede una valenza teatrale, una predisposizione che ha origini lontane. Non a caso Westbrook rivestì, fino al 1973, la carica di direttore musicale di Welfare State, il collettivo di “Maghi e Tecnici dell’Immaginazione” composto da artisti di strada, musicisti, attori e freak vari, fondato nel 1968 da John Fox. Una troupe bizzarra che attraversava l’Europa esibendosi qui e là. Le musiche che fungevano da colonna sonora si aggiravano come nomadi tra ragtime, rock, marcette popolari, free jazz, nonsense, suoni d’ambiente, folk, ballabili, spoken words, ecc. In questo ambito venne concepita una fertile creatura westbrookiana, la Brass Band. Tra i compagni di strada (ma non esistono registrazione ufficiali che ne testimonino la militanza) ci fu sulle prime Lol Coxhill (in "Quaderni d'Altri Tempi" n. 32), che “sostituì” proprio Westbrook nella direzione musicale della variopinta congrega del Welfare State.

 

La Brass Band nacque un giorno d’estate lungo la Pulteney Road, a Bath, agli inizi degli anni Settanta, quando Phil Minton (tromba, il suo strumento all’epoca) e Westbrook (trombone a pistoni) si incontrano appunto con Coxhill. I tre vennero inviati a suonare per compagnie teatrali fringe come The Bath Arts Workshop, The John Bull Puncture Repair Kit e Welfare State. L’ingaggio prevedeva anche che suonassero a seconda degli spettacoli vestiti in diversi costumi, da marinaio o detective, ad esempio. Al trio si aggiunsero poi Paul Rutherford (trombone) e Kate Barnard. Fu questa la formazione d’esordio della Brass Band.

C’è altro però, prima che i Sixties volgano al termine. Westbrook è di nuovo in studio tra fine marzo e inizio aprile 1969 per il primo maestoso progetto della sua carriera e archetipo di progetti successivi: Marching Song Vol.1&2, doppio concept album che vede all’opera ventisei musicisti. Ora nel giro di Westbrook ci sono anche altri protagonisti dell’emergente british jazz: Kenny Wheeler, Henry Lowther, Mike Gibbs (in "Quaderni d'Altri Tempi" n. 38), Alan Skidmore, John Warren, Barre Philipps, Chris Lawrence e John Marshall. Pur assente la voce, l’orchestra riesce a esprimere i temi narrativi dell’opera, evocando atmosfere lugubri, momenti lancinanti, situazioni violente, disperate. Come annota Mike Hennessey nel booklet allegato alla ristampa digitale: “Quest’opera tumultuosa e turbolenta è il ritratto di un Paese in guerra. È sull’orgoglio nazionale, il fasto e il patriottismo, sulla morte, la distruzione e la devastazione e poi la tetra desolazione che segue alla guerra. È una protesta contro la futilità e l’oscenità delle guerra”. Una denuncia che tocca l’apice nella deflagrazione free di Conflict. L’esperienza Deram si chiude nel 1970 con Love Songs, che vede per la prima volta l’uso della voce, quella di Norma Winstone. L’album lo lascia tuttora insoddisfatto, ritenendo l’incisione non all’altezza delle potenzialità del progetto. Lo definirà un appuntamento mancato ed è invero strano perché la musica è a tratti esaltante.

Lasciata la Decca, Westbrook inizia a incidere per la Rca/Neon, altra etichetta dedicata alle nuove musiche. L’esordio è un capolavoro: Metropolis, suite in nove movimenti eseguita da ventidue elementi. Vi confluisce il lavoro di anni: partiture dilatate che prevedono l’alternanza di improvvisazioni collettive e temi svolti in solo, la voce come strumento, lo spunto narrativo come traccia da commentare, melodie svolte quasi in punta di piedi, ritmi rock e l’impiego di strumenti elettrici. L’idea della cronaca quotidiana ritorna: Metropolis è un altro concept album che racconta l’attraversamento di una grande città lungo un giorno qualsiasi. Il disco vide la luce grazie al contributo dell’Arts Council, inaugurando la collaborazione con enti e istituzioni pubbliche, che renderà possibile a Westbrook la realizzazione di molti progetti altrimenti inattuabili.

Nello stesso anno viene registrato Tyger: A Celebration of William Blake. Sono le musiche di uno spettacolo teatrale del poeta Adrian Mitchell messo in scena nel 1971 dalla National Theatre Company. L’incontro con le liriche di Blake è un colpo di fulmine che accende una passione mai più spentasi. “II Blake che affascina e cattura Westbrook è il poeta che inizia ad aver visioni fin da bambino e rifiuta di andare a scuola, istruendosi da solo; l’artista che anticipa di due secoli autoproduzione e autogestione (grazie a una tecnica di propria invenzione illustrava, incideva, colorava e stampava da solo le proprie poesie); il generoso utopista perseguitato per la fiera opposizione a «Re, Guerrieri e Preti» (processato per sedizione, sfuggì a stento al patibolo), vissuto sempre in povertà e snobbato dai critici alla moda del suo tempo” (Achilli, 2008).

 

Sul momento, però, non sembra un avvenimento decisivo, tant’è che Westbrook si dedica ai Solid Gold Cadillac, formazione sconfinante un po’ in tutti i generi. L’esperienza dura un paio d’anni (1972/73) e un paio di dischi (Solid Gold Cadillac e Brain Damage) nei quali Westbrook ritrova Minton, che dà prova di immenso valore nei due album, impressionando per duttilità, estensione e ironia. Dopo Surman e Blake, avvengono altri due incontri decisivi nella vita dell’artista. Il primo è quello con Kate Barnard, che poi sposerà. Anche lei proviene dal mondo delle arti figurative e non ha mai smesso di disegnare. I due creeranno nel tempo un intreccio di vita privata e collaborazione artistica di rara armonia, che trova un solo analogo nell’altrettanto miracolo amoroso che lega i coniugi Tippett. Nel 1974, Kate entra a far parte della Brass Band progetto avviato nell’estate del 1973, durante il passaggio di consegne a Coxhill ai tempi del Welfare State, come supporto musicale di un altro gruppo teatrale: Cosmic Circus. La futura signora Westbrook inizia da qui a dare piena voce, letteralmente, alla poesia nella musica del futuro coniuge. La Brass Band consente a Westbrook di agire con maggiore autonomia dall’area più strettamente jazzistica, sia per il repertorio (da anonimi elisabettiani a Monk) che per le possibilità di suonare dal vivo. Inoltre, si configura anche come la formazione ideale per dare coerenza alla sua visione del mondo, della sua compagna e dei musicisti che gli sono vicini. Ricorda Westbrook in un’intervista rilasciata nell’agosto 2011: “Eravamo tutti di sinistra ed eravamo impegnati nella missione di portare la musica alla gente. Nella società reale e fuori dal circuito dei jazz club e dagli ambienti elitari. E come Brass Band ne facemmo un punto d’onore il suonare nelle fabbriche e negli ospedali, per anziani e bambini, e ovunque ce lo chiedessero. Tutte cose che non avevano proprio nulla a che fare con il mondo del jazz, ma con la voglia di suonare buona musica e di improvvisare in qualsiasi situazione” (Heining, 2012).

Su queste scelte si innesta l’altro incontro chiave, quello della Brass Band con gli Henry Cow (in "Quaderni d'Altri Tempi" n. 20), il più autorevole laboratorio musicale scaturito dalla scena rock inglese, intorno al quale prenderà vita il progetto Rock In Opposition. Anche se le due formazioni suonano insieme nel 1977, il loro grande potenziale rimarrà inespresso. L’esordio avviene alla Moving Left Revue sotto l’iniziale denominazione The Henry Cow, Mike Westbrook’s Brass Band, Occasional Orchestra & Big Band, poi The Occasional Orchestra e infine semplicemente The Orchestra. “Un’esperienza che mi ha lasciato le vertigini per una settimana”, dichiarerà poi Westbrook in un’intervista rilasciata a Andy Duncan per la rivista Impetus (Duncan, 1977). Oltre a tutti i membri dei due gruppi, della formazione fa parte la folksinger femminista Frankie Armstrong: un totale di dodici elementi, con una tavolozza timbrica eccezionale e un repertorio che affianca a materiali Henry Cow con arrangiamenti fiatistici e a materiali della Brass Band con arrangiamenti elettrici, brani di Billie Holiday, John Coltrane, Monk, Bertolt Brecht, Violeta Parra, Blake e musiche popolari dall’Inghilterra, dalla Scozia e dalla Martinica. Alcuni di quei pezzi sarebbero poi entrati a far parte in maniera stabile dei rispettivi repertori. Westbrook farà proprio il bagaglio timbrico dei Cow: strumenti come il fagotto, l’oboe e il violoncello e il cantato di Dagmar Krause, memore della lezione Kurt Weill/Bertolt Brecht.

Intanto, nel 1975 è ancora tempo di jazz discretamente elettrificato con la suite Citadel/Room 315 (commissionata dalla radio svedese), ultimo lavoro insieme a Surman, che si commiata dal compagno di tante avventure con una splendida prova solista.

 

L’originale registrazione svedese (con The Swedish Radio Jazz Group) non uscirà mai su disco e Westbrook tornerà successivamente in studio per inciderla con una formazione di alto profilo, comprendente tra gli altri, David MacRae, un ex della meteora Matching Mole (in "Quaderni d'Altri Tempi" n. 38). Una traccia della versione originale, Bebop de Rigueur, sarà poi pubblicata nel disco allegato all’inserto dedicatogli da Musica Jazz nel 2008. Nella seconda metà del decennio, Westbrook incide per l’etichetta Transatlantic Love, Dream & Variations con la Orchestra e For The Record con la Brass Band. Album che sono la cifra del doppio percorso ormai intrapreso: da un lato la rilettura della tradizione jazzistica (con la ripresa di Love Creole Call di Ellington in una suite che è un sentito tributo al Duca), con ampi organici grazie alle commissioni, dall’altro la rivisitazione della musica popolare, del cabaret spesso intrecciato con la poesia e con una relativa autonomia produttiva. Ben quattro le composizioni della scaletta che mettono in musica i versi di Blake: London Song, Let The Slave, A Poison Tree e I See Thy Form. È il cuore del lavoro di Westbrook sul poeta, le pietre angolari del suo progetto, che continuerà a portare avanti grazie alla collaborazione di Adrian Mitchell, che estrapola e ricuce i versi di Blake.

Una prima sintesi a questo doppio percorso la cerca da solo, in Piano (1978), un sofisticato quaderno d’appunti pervaso da ragtime crepuscolari e accenni monkiani. Lo pubblica la Original, etichetta indipendente creata dal manager di Westbrook, Laurence Aston, al quale si deve anche l’idea di fondo di questo ennesimo concept album: quella di essere una raccolta di composizioni ispirate a versi di autori inglesi, da William Butler Yeats a William Wordsworth ed Emily Bronte, per non citarne che alcuni, incluso ovviamente Blake. A sua volta l’esplorazione della Brass Band prosegue con Goose Sauce (Original, 1977) e Mama Chicago (Telefunken, 1979), musiche commissionate per uno spettacolo su Al Capone, l’album che chiude l’esperienza Rca. Di quest’ultimo lavoro trent’anni dopo ne verrà prodotta una versione video che consente di gustare anche nelle immagini il buon gusto, il divertimento e le doti tecniche dei musicisti coinvolti. A dominare la scena sono le voci di Minton e di Kate Westbrook, lui gioca a far l’istrione, lei posa come donna perduta, angelo azzurro a cavallo tra due millenni.

Sono album che preludono a due nuovi capolavori. Il primo è Westbrook/Blake – Bright as Fire (Impetus, 1980), che ne riassume i primi dieci anni di passione. Le due voci soliste (Minton e Kate Westbrook) sono impressionanti per forza espressiva e coerenza con le costruzioni sonore immaginate da Westbrook, una sorta di steam punk sonoro, dove il jazz sembra arretrare di duecento anni e i materiali folk paiono provenire dal futuro. Ad affascinare è l’assoluta naturalezza dell’insieme, scevro da forzature, sperimentalismi a tutti i costi. “Non è tanto importante l’innovazione a tutti i costi, quanto l’onestà per trovare un proprio spazio come artista” (Farné, 2008), sottolinea in un’intervista lo stesso Westbrook.

L’album propone il poker di composizioni inserite nell’album della Brass Band, ma altri sono gli arrangiamenti e il programma include anche due ulteriori brani: The Fields e Holy Thursday. Spicca Let The Slave, che può essere annoverata tra le più dense composizioni del corpus Westbrook/Blake. Il testo proviene da The Price Of Experience (da Vala, Or The Four Zoas, Blake, 2007) e veniva recitato da Rutherford all’epoca della Brass Band; in For The Record è presente proprio una versione con il testo declamato dal trombonista. In seguito sarà lo stesso Westbrook a farsene carico. Il testo inizia così:

“Qual è il prezzo dell’Esperienza? La comprano gli uomini per una canzone? / O la saggezza per una danza sulla strada? No, si compra al prezzo / di tutto ciò che un uomo ha, la sua casa, sua moglie, i suoi bambini. / La saggezza è venduta al mercato desolato dove nessuno va a comprare, / e nel campo rinsecchito dove il contadino ara invano per il pane”.

E conclude:

“È cosa facile gioire sotto le tende della prosperità: / Perciò potrei cantare e perciò potrei gioire: ma non è così per me”.

Prende da qui le mosse la seconda parte interamente strumentale. “Dopo che la voce ha impregnato di amarezza quel «But it is not so with me» (c.vo dell’autore, ndr) parte, sul montare della ritmica, un assolo cui è verosimilmente prescritto d’essere sconvolgente, straziato, incontenibile. È uno dei momenti più toccanti dell’intera opera westbrookiana e forse per questo il compositore ha donato spesso la possibilità di cimentarvisi al membro più recente del gruppo (o a un ospite), quasi in un battesimo del fuoco: abbiamo visto così Dave Chambers, Chris Hunter, Chris Biscoe, Danilo Terenzi e Dominique Pifarély dare il meglio di sé, e sempre la riuscita è stata tanto maggiore quanto più era l’espressività a prevalere sullo sfoggio virtuosistico. La punta più alta è stata raggiunta dal lacerante Alan Wakeman in Bright As Fire” (Achilli, 2008).

Il secondo disco è The Cortege (Original, 1982), triplo album che dispiega una tavolozza timbrica ampia come non mai, attingendo dai colori orchestrali di matrice jazzistica, da quelli di strada della Brass Band e da quelli elettrici “suggeriti” dagli Henry Cow. “Penso che quell’esperienza ebbe il maggior effetto su di me quando decidemmo di realizzare The Cortege” (in Achilli e Chang, 1990). Non a caso vennero ingaggiate per l’occasione la multistrumentista Lindsay Cooper (la si ascolta anche al fagotto con wah-wah) e la violoncellista Georgie Born provenienti appunto dai Cows. Analoga vastità d’orizzonti per i testi, con il ricorso ad Arthur Rimbaud, Federico Garcia Lorca, Herman Hesse, John Clare, tra gli altri. Una summa della poesia musicale di Westbrook: il vertice della sua arte. Di luce propria brilla anche il citato A Little Westbrook Music, quasi un distillato di The Cortege e, come ricordato sopra, prima uscita del trio composto dai coniugi Westbrook e il prezioso Biscoe al soprano. Da questo gioiello perso e in parte ritrovato arrivano ben tre brani dell’antologia citata: L’egalité des sexes, ballad sognante, la misteriosa Apple Pie e la drammatica The Ballad Of Billy Hughes. Westbrook non è mai stato tipo da accontentarsi e in quegli anni si cimenta con prove di tutt’altro segno: gli omaggi. Concept album dedicati a Gioacchino Rossini e Ellington, pubblicati dalla Hat Hut. Due approcci diversi, poiché On Duke’s Birthday è un omaggio con composizioni scritte da Westbrook, mentre le due versioni di Westbrook Rossini (in studio e ripreso live) rileggono gli originali del compositore pesarese. In entrambe le edizioni sono di scena Lindsay Cooper al sopranino, Peter Whyman al contralto, Kate Westbrook all'ottavino, al flicorno tenore e voce, Paul Nieman al trombone, Andy Grappy alla tuba, Peter Fairclough alla batteria e lo stesso Westbrook al piano e alla tuba. “Questo affondo nel cuore dell’opera italiana, Westbrook l’operò con mestiere consumato e grande sensibilità, muovendosi non solo nel solco del jazz, ma incrociando influenze mediorientali, cabarettistiche, melodrammatiche, ora con movenze da banda di paese, ora con rigorosa postura cameristica, coadiuvato da solisti in gran spolvero, agendo sempre con ironia e affetto nei confronti degli spartiti originali, tradendo molto, ma non il carattere popolare, anche nei momenti di austero contrappunto e di alcune spiazzanti fughe free” (Fucile, 2013).

 

Non è tutto, per la Enja arriva Off Abbey Road, cover dell’intero album dei Beatles, nata su commissione del comune di Reggio Emilia. Ancora una volta Minton e Kate Westbrook impazzano su tutti i registri rendendo consistente l’opera di destrutturazione dell’opera originale. Iconoclasta verso il pop o il jazz? Forse rispetto a entrambi. Forse rispetto a tutto con un grande rispetto per la tradizione: questa è la forza della musica di Westbrook, dagli esordi a oggi.

Per la nuova prova firmata Trio, invece, si omaggia Cole Porter nell’album Love For Sale sempre su Hat Hut. Di questo disco, però, three into wonderfull, 30th anniversary album antologizza solo due composizioni originali di Westbrook: Enfance (su testo di Arthur Rimbaud) e Bordeaux Lady, che compariva anche in A Little Westbrook Music. In realtà anche qui spunta un omaggio a Blake (The Human Abstract), presente anche in altri due dischi: A Little Westbrook Music e Stage Set (album dei soli coniugi Westbrook del 1995). In quegli anni vedono la luce musiche per la televisione e il teatro, ma solo quelle dello spettacolo teatro/danza di Kate Westbrook dedicato alle nove Muse saranno pubblicate (Pierides, Core, 1987) con la collaborazione della coreografa Emilyn Claid. Il decennio si chiude con l’opera più ambiziosa: London Bridge Is Broken Down (per la Venture, sotto-etichetta Virgin, 1989), due ore e venti di musica eseguita da un nonetto e dagli archi de Le Sinfoniette de Picardie. Si riparte da The Cortege ma in una dimensione orchestrale che a tratti rimanda al Lee Konitz with Strings, An Image e al Piece for Clarinet and String di Jimmy Giuffre, colte esplorazioni di fine anni Cinquanta, oltre, naturalmente, ai lavori orchestrali dello stesso Westbrook, specie Metropolis.

Nella discografia dei Novanta si segnala Bar Utopia con la Westbrook Orchestra, lavoro frizzante sempre in bilico fra jazz, cabaret, dancehall e Cotton Club e lo spendido Glad Day, zibaldone finale su Blake. Qui si riprende integralmente il programma del lontano spettacolo di Mitchell, integrandolo con ulteriori composizioni e nuovi arrangiamenti.

La strada maestra di Westbrook è ormai questa: jazz/cabaret e poesia. Tutte le più recenti uscite nascono sotto questo segno, da Chanson irresponsable con la New Westbrook Orchestra che rivede una piccola sezione d’archi e L’ascenseur/The Lift, progetto realizzato per celebrare i 20 anni di attività del Trio. Da questo album, la recente antologia ospita Wild Cyclamen North Of Rome, cantata in parte in italiano, come spesso capita di sentire Kate Westbrook dai tempi di Rossini e di The Cortege, dove si racconta di un incontro tra John Milton e Galileo Galilei. Un altro breve brano, My Dull Eyes Weep, invece, arriva dal meno significativo Good Friday 1663, uscito nel 1993.

Nelle produzioni dell’ultimo decennio restano da segnalare Art Wolf (in quartetto con i fidi Biscoe e Whyman) sull’opera di un paesaggista alpino del XVIII secolo, lo svizzero Caspar Wolf e le musiche scritte a metà anni Ottanta per uno spettacolo teatrale su un testo di David H. Lawrence: The Ass. Infine, Fine’n Yellow, dedicato alla coppia di amici John e Margery Styles fondatori nel 1985 del notiziario Smith’s Academy Informer, che documentava l’attività dei coniugi Westbrook. Presenti in studio Chris Biscoe, Whyman, Steve Berry e Jon Hiseman, già comparso in un paio di brani nel Caspar Wolf, un tempo glorioso batterista dei Colosseum (e con un passato remoto di jazzista) al quale si deve il digital mastering di three into wonderfull, 30th anniversary album. Antologia preziosa perché contiene ben quattro registrazioni live mai pubblicate e una composizione originale del 2012. On The Beach (firmata da Mikis Theodorakis), Traurig aber falsch (Sad But Untrue) e Don’t Explain (qui la firma è quella di Billie Holiday) provengono da un concerto londinese del 1994. Lirica e ariosa la prima, commovente e notturna quanto basta la terza, mentre la restante traccia è un autentico tour de force di Kate Westbrook e di Chris Biscoe che si avventurano tra registri estremi e in avventurosi affondi nel profondo del suono: una prova spettacolare. Blues certificato 100% quello del quarto inedito, Good Old Wagon, brano di Bessie Smith sanguigno al punto giusto in questa esecuzione live registrata a Colonia nel 1995. Infine, Brazilian Love Songs è la nuova composizione che chiude l’album, canzone notturna e drammatica, le tinte che il Trio predilige e che caratterizzano gran parte del songbook messo a punto in questi trent’anni durante i quali Mike Westbrook ha continuato a disegnare il proprio paese delle meraviglie.

In fondo l’autoritratto dell’artista da giovane mostra un pittore in erba, prima che iniziasse a scarabocchiare musica…

 


 

ASCOLTI

Gli album citati nel testo sono suddivisi in base alla formazione (dove precisato)
 
Kate Westbrook, Mike Westbrook, Fine ’n Yellow, Gonzo, 2010.
Mike Westbrook, Tyger, Rca Red Seal, 1971.
Mike Westbrook, Piano, Impetus, 1995.
Mike Westbrook, Glad Day, Enja, 1997.
Mike Westbrook, Love Songs, Vocalion, 2005.
Mike Westbrook, Mama Chicago, Jazzprint, 2007.
Mike Westbrook, London Bridge Is Broken Down, Bgo, 2008.
Mike Westbrook Concert Band, Release, Deram, 1998.
Mike Westbrook Concert Band, Celebration, Universal, 2008.
Mike Westbrook Concert Band, Marching song, Vol. 1.& 2, Righteous, 2009.
Mike Westbrook Orchestra, Love/Dream and Variations, Line, 1989.
Mike Westbrook Orchestra, Bar Utopia, 1996.
Mike Westbrook Orchestra, Metropolis, Bgo, 1999.
Mike Westbrook Orchestra, Citadel/Room 315, Bgo, 2006.
Mike Westbrook Orchestra, On Duke’s Birthday, hatOLOGY, 2007.
Mike Westbrook Orchestra, The Cortége, Enja, 2011.
Mike Westbrook Brass Band, Paris Album, Polydor, 1981.
Mike Westbrook Band, Off Abbey Road, Enja, 1989.
Mike Westbrook Brass Band, For The Record, Line, 1989.
Mike Westbrook Brass Band, Goose Sauce, Birdsong Records, 2007.
The Westbrook Rossini, Westbrook/Rossini, hatOLOGY, 2008.
Mike Westbrook Trio, A Little Westbrook Music, Westbrook Records, 1983.
Mike Westbrook Trio, Love For Sale, Hat Hut, 1985.
Mike Westbrook Trio, L’Ascenseur/The Lift, Jazzprint, 2002.
Solid Gold Cadillac, Solid Gold Cadillac/Brain Damage, Bgo, 2000.
The Dance Band, Pierides, Jazzprint, 2001.
The New Westbrook Orchestra, Chanson Irresponsable, Enja, 2003.
The Westbrook Blake, Bright as fire – The Westbrook Blake, Impetus, 1991.
The Westbrook Rossini, Westbrook/Rossini, Live Zürich 1986, Hat Hut, 1986.
The Westbrook Rossini, Westbrook/Rossini, hatOLOGY, 2008.
Westbrook Music Theatre, Good Friday 1663, Jazzprint, 2002.
Westbrook Music Theatre, The Ass, Jazzprint, 2002.
Westbrook Quartet, Art Wolf, Altrisuoni, 2005.

 


 

LETTURE

Achilli Alessandro, The Westbrook Blake, in Achilli Alessandro, Bonomi Claudio, Farné Libero e Fucile Gennaro,
Mike Westbrook, Musica Jazz, Milano, 2008 (il cd accluso contiene la versione inedita
del brano Bebop de Rigueur, parte della suite Citadel/Room 315).
Achilli Alessandro e Chang Paolo, Mike Westbrook, Musiche n. 7, La Spezia, 1990.
Blake William, I Quattro Zoa, Pubblisicula, Palermo, 2007.
Bonomi Claudio e Fucile Gennaro, Elastic Jazz, Auditorium, Milano, 2005
(il cd accluso contiene il brano Heart Throb tratto da A Little Westbrook Music).
Duncan Andy, Westbrook, in Impetus n. 5, 1977.
Heining Duncan, Trad Dads, Dirty Boppers and Free Fusioneers: British Jazz, 1960-1975 (Popular Music History),
Equinox Publishing Ltd, Sheffield, 2012.
Farné Libero, Il requisito sia l’onestà, in Achilli Alessandro, Bonomi Claudio, Farné Libero e Fucile Gennaro,
Mike Westbrook Musica Jazz, Milano, 2008.
Fucile Gennaro, Quel contento che in me sento…, Musica Jazz, Milano, 2013.
Shipton Alyn, Nuova storia del jazz, Einaudi, Torino, 2011.

 


 

VISIONI

  The Mike Westbrook Brass Band, Mama Chicago (include The Westbrook Trio, Live in St. Etienne 1993, Gonzo, 2011.
Alcuni video oltre a estratti dagli album sono disponibili sul sito: http://www.westbrookjazz.co.uk/)