Il fascino del Giurassico
che non ci abbandona mai

Zack Stentz
Jurassic World
Camp Cretaceous
Netflix, 2020 – in corso

Zack Stentz
Jurassic World
Camp Cretaceous
Netflix, 2020 – in corso


Ci sono due tipi di persone nel mondo: quelle a cui piacciono i dinosauri e quelle che mentono.
Lo dimostrano i libri, i film, i gadget, la pop-culture in generale, le figurine da incollare, i cappellini, i parchi a tema, i musei, i fumetti e qualunque cosa su cui queste antiche creature sono riuscite ad allungare le zampe. È l’essenza del mercato: domanda e offerta. L’emorragia incontenibile di contenuti commerciali raffiguranti grossi e piccoli animali preistorici dimostra chiaramente che il dinosauro è, a tutti gli effetti, l’icona pop più grande di tutti i tempi. Cinema e letteratura vi si sono nutriti abbondantemente, anzi vi si sono abbuffati golosamente, rimpinzando pellicole e libri in maniera più o meno fantasiosa, con licenze più o meno artistiche e influenzando irrimediabilmente la cultura generale e il modo in cui venivano e vengono viste queste creature straordinarie. Non ultima arriva la serie Netflix Jurassic World Camp Cretaceous (2020 – in corso), che annovera tra i produttori l’inguaribile Peter Pan di Hollywood, ovvero Steven Spielberg, il quale sembrerebbe aver messo in chiaro due o tre punti sui cui avrebbe dovuto vertere il progetto, tra cui l’evitare il puro infantilismo per uno sviluppo più adulto. La serie ha ricevuto critiche contrastanti: chi ne ha elogiato il lavoro grafico e il rinnovo, ancora una volta, del franchise di Jurassic Park che dal 1993 ci tiene compagnia e chi, invece, ha criticato design e caratterizzazione dei personaggi.

In ogni caso, Jurassic World Camp Cretaceous non è una mossa ardita, bisogna ammetterlo fin da subito: è un rischio che tale non è e per tanto non è una delle serie televisiva che rivoluziona il medium, ma è quello che ci si aspetta da un prodotto che parla di dinosauri e lo fa con la terra che trema assieme alle viscere degli spettatori. Non stiamo parlando di altri prodotti per un giovane pubblico come Piedino nella Valle Incantata o Dino Dana, ma di uno con creature pronte a mordere, graffiare, rincorrere, mangiare e uccidere. Qualcuno ha fatto notare che può essere considerato un po’ troppo violento per i più piccoli, tuttavia Jurassic World Camp Cretaceous non è destinato a chi stringe e coccola un brontosauro di pezza, ma è pensato per giovani fruitori che hanno il desiderio di trattenere il respiro, così come i loro possibili genitori fecero con la pellicola del 1993.
La trama segue le avventure di sei ragazzi scelti per provare in anteprima il campo avventura pensato e costruito sulla mitica Isla Nublar. Tutto bello ed entusiasmante, peccato che poi succeda quello che succede e l’isola viene evacuata lasciando i ragazzi soli a sé stessi. Non proprio soli, in realtà, ma in compagnia di tanti dinosauri liberi di scorrazzare e riprendere possesso delle loro vite.
Inserendosi nel Jurassic Cinematic Universe, Jurassic World Camp Cretaceous, nella prima stagione, riprende gli eventi del disastro avvenuto con l’Indominus Rex, mettendo sul fondo varie scene che si sono viste nel film del 2015 (Jurassic World), e facendole osservare da lontano ai ragazzi. Permette così una crossmedialità tra film e serie animata, senza spezzare però il patto narrativo: da una parte una pellicola cinematografica con attori in carne e ossa (e dinosauri), dall’altra una serie animata in digitale. Un tentativo di creare un vero e proprio universo multimediale al pari di Star Wars che con i suoi spin-off e le sue serie televisive (vedi The Mandalorian e Star Wars: The Clone Wars) non solo arricchisce il già opulento franchise, ma unisce puntini e aggiunge ricami per creare un’enorme rete capace di acchiappare tutti, adulti e bambini.

Jurassic World Camp Cretaceous è un prodotto pensato per ragazzi e ragazze quindi con il desiderio di sentirsi grandi e di voler consumare prodotti destinati a una fascia più adulta. Prodotti che parlino di amore, amicizia, paura e morte, senza doversi nascondere dietro un dito.
È una serie per ragazzi poiché permette di non vivere ogni singolo episodio con l’ansia che i personaggi a cui ci si è affezionati muoiano in modi orribili (ogni riferimento a Game of Thrones è puramente casuale), poiché non sarebbe socialmente ben accetta la morte di un giovane personaggio e anche quando pare succedere, gli autori si affrettano a tranquillizzare lo spettatore.
È una serie per ragazzi poiché permette di credere che sei ragazzini estranei e diversi tra loro e senza grande esperienza in sopravvivenza estrema, riescano a costruire rifugi, filtrare l’acqua, cibarsi e fronteggiare dinosauri che hanno spazzato via soldati scelti.
È una serie per ragazzi poiché permette di vedere questi sei ragazzini, che mai avrebbero avuto qualcosa in comune fuori da Isla Nublar, diventare amici inseparabile, disposti al sacrificio per aiutarsi a vicenda e con la chiara intenzione di non abbandonare mai nessuno, sentendosi quasi una famiglia. Una forte visione in cui solo i ragazzi, protagonisti e spettatori, riescono a credere, perché gli adulti sono corrotti dalla vita più di quanto non vogliano ammettere.
Infine, è una serie per ragazzi poiché segue una logica ferrea che è alla base di tutta la narrativa di questa fascia d’età: non ci si può fidare degli adulti.

Gli adulti dicono bugie (l’altra metà delle persone, come si è detto in apertura), gli adulti abbandonano, gli adulti giocano a fare Dio, gli adulti hanno un’unica soluzione al problema: eliminarlo. Per questo i dinosauri, che non riescono a torcere un capello ai ragazzini, fanno invece banchetto degli adulti (stessa logica che, per altro, si trova nelle varie pellicole) e lo fanno senza passare per i cattivi, anzi, talvolta aiutando i giovani a venire fuori da situazioni molto spinose (si veda la seconda stagione). I dinosauri diventano piallatori di differenza d’età e deus ex machina autorizzati a uccidere, poiché rappresentazione della Natura che non si fa imbrigliare. In Jurassic Park, si era parlato chiaro:

“Se c’è una cosa che la storia dell’evoluzione ci ha insegnato è che la vita non ti permette di ostacolarla. La vita si libera, si espande in nuovi territori e abbatte tutte le barriere dolorosamente magari, pericolosamente, ma… Tutto qui”.

Dinosauri e bambini sono un’accoppiata vincente, lo dimostrano prodotti, giocattoli e libri illustrati che permettono ad animali estinti da tempi inimmaginabili di poter continuare a vivere, tuttavia il rapporto tra dinosauri e ragazzi è più complicato. Il senso di fascinazione che i dinosauri suscitano, “una sorta di meraviglia infantile vittoriana” come la definisce Boria Sax nel suo interessante Dinomania, è straordinariamente forte nei bambini, per lo più di sesso maschile, e si rifà, probabilmente, a quel senso atavico e intrinseco di istinto e di fascino per la predazione e per la sopravvivenza da essa. I dinosauri, soprattutto gli affascinanti carnivori, stimolano un senso di pericolo controllato, si ha timore di venire ghermiti da essi, tuttavia si è al sicuro che non succeda poiché sono morti da così tanti anni che è difficile anche solo pensarli. È un po’ come giocare ad acchiapparello: “facciamo che tu mi prendi?”

“Il fascino che i dinosauri esercitano su di noi si è sempre accentrato per lo più sulla predazione, e perfino diventare preda può avere un suo fascino paradossale”
(Sax, 2019).

Dinosauri e ragazzi, invece, pare essere un altro discorso e una sfida allo stesso tempo. Arriva un’età in cui “Mister Grosso e Mister Feroce” diventano pesanti e ingombranti da portare nel proprio bagaglio culturale, anzi diventano monoliti del tempo che furono, ossia l’infanzia. Approdati alla scuola media e poi al liceo, non si ha più tempo e voglia di rimanere affascinati dalla maestosità e dalla ferocia dei dinosauri. Non è tempo per le cose morte, ma per quelle vive e vitali: la pulsione erotica e sessuale delle prime cotte e dei primi avvicinamenti all’altro sesso non ha niente in comune coi dinosauri (teniamo fuori da questo discorso la pornosaurografia con titoli come Taken by the T-rex di Christie Sims, che non sono affatto pensate per un pubblico giovane). Difficilmente uno stegosauro può aiutare a superare la verifica di matematica o i problemi legati al riconoscere sé stessi nello specchio e comprendere pregi e difetti. I pochi che si trascinano dietro l’apprezzamento per questi macroscopici animali si portano appresso anche l’inevitabile marchio di nerd. Il fatto che i dinosauri assomiglino più ad “animali domestici defunti” e che si leghino così fortemente a un significato di qualcosa di vecchio e anziano (“dinosauro!” è un epiteto anacronistico che ora può essere sostituito prontamente dal più attuale boomer), non contribuisce al loro successo negli adolescenti. Jurassic World Camp Cretaceous pare allora un rischioso salto nel vuoto, considerando che con (l’apparente) violenza si escludono i bambini e si ricerca quella fascia che proprio a quell’età si allontana dalla dinomania. Tuttavia, mala herba…

“Il regno dei dinosauri. L’epoca più selvaggia e feroce che il nostro pianeta abbia mai conosciuto, prima dell’arrivo degli adolescenti”
(Ortolani, 2020).

I dinosauri vengono riportati nuovamente alla luce, come nostalgici paleontologi, dai trentenni, i quali innalzano a miti a bassa intensità tirannosauri e velociraptor, riempiendosi la casa di poster, riproduzioni, videogiochi e oggetti di design. Spesso questi bambini invecchiati, che hanno patito l’adolescenza per i suoi canoni restrittivi e soffocanti, si ritrovano finalmente liberi di dimostrare a tutto il mondo che “nerd è bello” (questo grazie anche a un aiuto sostanziale di serie televisive e fumetti che hanno riscosso successo su più fronti). Hanno la possibilità, ormai liberi dai pregiudizi, di circondarsi di altre persone che condividono con loro passioni e gusti, arrivando magari poi a essere orgogliosi genitori di bambini amanti a loro volta dei dinosauri, compiendo così un passaggio di consegne e una staffetta emotiva che vede i dinosauri sopravvivere ancora e ancora al passaggio del tempo e delle generazioni. “Il re è morto, viva il re!”, insomma.

Questi neo-adulti non hanno più paura di essere etichettati, anzi esibiscono con orgoglio il loro lato fanciullesco riempiendo le sale a ogni nuova pellicola, lustrandosi gli occhi con nuove serie e via discorrendo, in una costante operazione nostalgia che sempre ha successo (si veda la fortunata saga de I Mercenari che hanno riportato letteralmente in vita gli eroi action degli anni Ottanta). La libertà assaporata da questi mai-troppo-cresciuti è dovuta anche ad artisti e personaggi che hanno rilanciato il binomio dinosauri-fascinazione, tra cui i fumettisti Zerocalcare e Leo Ortolani.
Ma perché i dinosauri? Perché questi bestioni che paiono mitici e che spesso speriamo di rivedere ricomparire o che asseriamo di aver visto (il celeberrimo Mostro di Loch Ness) sono così importanti per noi e hanno tutto questo successo? Da una parte Sax conferma e ripete il desiderio di provare del pericolo controllato, lo stesso che spinge la gente sulle montagne russe o nelle case stregate dei parchi divertimento o a correre a vedere le bestie più feroci dello zoo e a vedere i film più spaventosi.

“La gente è eccitata dalla ferocia primitiva di grossi predatori come tirannosauri, aquile e tigri, che evocano una combinazione di identificazione e di paura. Per indulgere liberamente nel nostro impulso di ammirarli dobbiamo avere la rassicurazione che possano essere sottomessi […] Accettare l’esistenza della predazione in natura continua a essere difficile come in passato, e oggi la gente oscilla di continuo fra il glorificare i carnivori e sterminarli”
(Sax, 2019).

Dall’altra parte i dinosauri offrono numerosi parallelismi con l’uomo: condannati a estinguersi, ma con la forza di sopravvivere in altre forme; così diversi tra di loro, ma inadatti ai cambiamenti globali. Ancora Sax scrive: “è meraviglioso, perché offre molti parallelismi con la società umana, eppure è terribile proprio per lo stesso motivo” (ibidem). Siamo noi stessi dei dinosauri e ancora rifiutiamo di crederci. Tuttavia, se anche questo fosse il nostro destino, inchiodati nel sottosuolo da un meteorite o spazzati via da un virus, piegati dai cambiamenti climatici o sterminati da una guerra, e finissimo veramente come i dinosauri a essere riscoperti e ammirati, magari messi in un Umanità Park, non sarebbe poi così male. Almeno avremmo la forza e la magnificenza di ravvivare i sogni di grandi e piccoli, al contrario di adesso.
Insomma:
Le t-rex est mort, vive le t-rex!

Letture
  • Michael Crichton, Jurassic Park, Garzanti, Milano, 1990.
  • Francesco D’Ambrosio, Duro a morire: il dinosauro ritorna più evoluto che mai, Quaderni d’Altri Tempi, 6 luglio 2018.
  • Leo Ortolani, Dinosauri che ce l’hanno fatta; Editore Laterza, Bari, 2020.
  • Boria Sax, Dinomania, Odoya, Bologna, 2019.
Visioni
  • Juan Antonio Bayona, Jurassic World. Il regno distrutto, in Jurassic World – 5-Movie Collection, Universal Pictures, 2018, 2018.
  • Joe Johnston, Jurassic Park III, in Jurassic World – 5-Movie Collection, Universal Pictures, 2018.
  • Steven Spielberg, Jurassic Park, in Jurassic World – 5-Movie Collection, Universal Pictures, 2018.
  • Steven Spielberg, The Lost World – Jurassic Park, in Jurassic World – 5-Movie Collection, Universal Pictures, 2018.
  • Colin Trevorrow, Jurassic World, in Jurassic World – 5-Movie Collection, Universal Pictures, 2018.
  • Zerocalcare, La profezia dell’armadillo. Colore 8-bit; Bao, Milano, 2014.