celine

TURISTA PER CASO?

di Gennaro Fucile

 

Descriverò in breve le doti
che ritengo basilari in un viaggiatore.
Costui deve possedere un’intensa
e inesauribile energia, sia di spirito sia di corpo,
che gli consenta di fare ricorso 
ad ogni mezzo di trasporto,
e di sopportare con il sorriso sulle labbra
ogni avversità relativa alla strada,
al tempo e alla locanda
dove trascorrere la notte.
Tale energia deve renderlo
indifferente al riposo, in continua lotta
con il tempo e ardimentoso al cospetto del pericolo…

 

Edward Gibbon

 

Nel mezzo del suo viaggio, chissà quando veramente iniziato e non ancora conclusosi, la letteratura occidentale si imbattè in Céline. Oggi non è tra gli autori che si portano in viaggio per assolvere a quel nuovo compito della letteratura di viaggio che consiste più nel far compagnia al viaggiatore che a spingerlo a sognare, immaginare e chissà, forse viaggiare. È più facile che i viaggiatori contemporanei ascoltino dal proprio iPod qualche canzone della cantante canadese Céline Dion, piuttosto che leggere Céline, nome d’arte e di battaglia di Louis-Ferdinand Auguste Destouches, nato a Courbevoie il 27 maggio 1894, di professione medico, che adoperò il nome della nonna materna per firmare romanzi al calor bianco e pamphlet furenti – anche maledetti e messi al bando – rivoluzionando l’arte di narrare come pochi, ma proprio pochi nel Novecento. Si viaggia con un gran numero di metri quadrati di carta contenenti chili di parole, ma i libri di autore di viaggi divertenti e perigliosi, allucinati e realisti come quelli di Céline difficilmente vanno in vacanza. Eppure Céline di viaggi ci racconta spesso anche perché lui stesso molto, moltissimo, viaggiò per curiosità, per sfida, per necessità, per dovere. Viaggiò incessantemente, inventò una propria lingua per narrare un solo, unico grande viaggio; una lingua che manipola, distorce, rielabora, frantuma, riordina, riassume, maschera, esibisce, disfa, mescola, ribalta ed espande la vita del viaggiatore Céline, grande erede della corrente principale della letteratura occidentale, detta di viaggio. D’altra parte non si fa altro che viaggiare. Si viaggia per tornare in patria al termine di una guerra e si viaggia per andare in guerra. Si viaggia per commercio e per diletto, per turismo forzato e per il gusto di andare, per l’esigenza di cercarsi, di raggiungere una meta e una volta raggiunta oltrepassarla, cercando una nuova destinazione. Siamo sempre in movimento e di questo scriviamo: tutta la grande letteratura occidentale è in qualche modo riconducibile alle cronache dei viaggi, quelli che sono confinati nell’ordine delle vicende realmente accadute e quelli che godono dello statuto di finzioni, sebbene sia più sensato parlare di storie di viaggi, dove memoria e immaginazione ingaggiano un corpo a corpo incessante che vede talvolta prevalere la cronaca reale e talaltra la finzione. In certi casi il viaggio è un’eco di un’avventura reale all’interno di una storia immaginaria, in altri è pura fantasia all’interno di un’autobiografia più o meno attendibile. Si è viaggiato per scoprire nuove terre, annotando osservazioni e ricognizioni in diari e cronache spesso condite da vivace fantasia. 
Tutta la grande letteratura occidentale è viaggio, dall’Odissea e l’Eneide e la saga degli Argonauti di Apollonio Rodio, dai viaggi di Sindbad il marinaio all’Isola del tesoro di Robert Louis Stevenson e poi: Moby Dick di Herman Melville, Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne, Lord Jim di Joseph Conrad, Il Milione di Marco Polo, la favolosa raccolta Navigazioni e viaggi di Ramusio, i Viaggi ovvero delle cose più meravigliose e più notabili che si trovano al mondo di John Mandeville, i Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, il Giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne, il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, Pinocchio di Carlo Collodi, Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll e i pirati di Emilio Salgari. Nel Novecento si insiste, da Jack Kerouac a Bruce Chatwin… un elenco infinito, senza far menzione dei viaggi nello spazio, nel tempo e nell’io della fantascienza.
Si attraversano nazioni in guerra, si è detto, ci si dirige in terre lontane per commercio, si fugge dalla guerra in territori che non sono più di nessuno. Si effettuano viaggi di iniziazione. Si attraversano lande ignote, vagabondando e vivendo di espedienti, incontrando un’umanità variopinta, errante, eterogenea: teatranti, saltibanchi, paesaggisti, pellegrini, soldati di ventura e mercanti, soprattutto mercanti. Ci sono cronache di viaggi di formazione, anche quelli dei nostri giorni lo sono in un certo senso, ci formano al consumo del tempo libero, ci sono viaggi culturali, c’è un’immensa letteratura che non fa altro che raccontare viaggi e turisti che si dirigono comodamente a far vacanze intelligenti, novelli esploratori/colonizzatori che si recano a prender possesso di angoli immacolati del pianeta. Ebbene, Céline è a suo modo la summa dei grandi viaggiatori del passato e del nostro tempo, spericolato cronista di guerra, un inviato al fronte, anche suo malgrado, ma anche un antropologo trapiantato in una piccola comunità laggiù, in Africa, un ricercatore che si sposta per studiare la modernità della catena di montaggio, della parcellizzazione del lavoro, lì in America, un giovane in viaggio d’apprendistato e un medico di denuncia, qui e là nel mondo.

 

Céline iniziò a viaggiare presto, ad accompagnarlo nei primi viaggi fantastici fu proprio sua nonna, Céline Guillou: “Quando avevo sette anni andavo ogni tre giovedì nella Luna con la nonna. Si andava al cinema Robert-Houdin. […] Intorno al 1907 si saliva su un razzo. Costava 50 centesimi […] Si arrivava fin sulla Luna e poi si ricominciava. Mi divertiva molto. L’ho fatto cento volte”. (cit. in Alberghini, 2009, p. 226). È solo l’inizio. Trascorre le estati del 1907 e del 1908 a Diepholz, dalle parti di Hannover, Germania. Studia la lingua tedesca e poi nel 1909 eccolo in Inghilterra a imparare l’inglese prima alla University School di Rochester nel Kent e poi alla Hall School di Broadstairs. Impara le lingue, per lui si pensa a un futuro da commerciante, meglio se gioielliere, non andrà così. Nel 1914 è in folta compagnia sul fronte franco-tedesco, è corazziere del 12°, reggimento glorioso, presente, tanto per fare un paio di nomi, ad Austerlitz e a Solferino. Passa per le Fiandre in fiamme, poi si scontra con una granata e la sua Grande Guerra finisce. Nel 1915, torna in Inghilterra, poi di nuovo in Francia, nella primavera del 1916 si imbarca per l’Africa ingaggiato da una compagnia coloniale e ne approfitta per tornare oltremanica: si imbarca a Liverpool per Douala, Camerun. Sul bastimento su cui si è imbarcato abbozza la sua prima prova letteraria. Ritorna in Francia, prende forma il dottor Destouches, studia, nel 1923 si laurea, nel 1924 è a Ginevra impiegato della Società delle Nazioni e in questa veste nel 1925 visita gli Stati Uniti, prima New York, poi Washington, Baltimora e Detroit alle Officine Ford. Si prosegue, nel 1926 è in Canada, torna a Ginevra, riparte per l’Olanda e il Belgio, passa per Berna, fa una capatina a Roma, ritorna in Africa, a Dakar, ripassa da Londra, ormai è il 1929, torna in Francia, a Parigi, si trasferisce in Rue Lepic 98, ma passa non poco tempo a fare di tutto e di più sulla chiatta dell’amico Henri Mahé, decoratore specie di bordelli e nel resto del tempo è alle prese con “una specie di Romanzo la cui stesura mi ha preso parecchi anni” (cit. in Alméras, 1997, p. 124). È il 1932, esce Viaggio al termine della notte. Dentro ci ha ficcato le disavventure di guerra, l’avventura nel continente nero e la visita al futuro, il giro in Usa. Quell’anno il dottor Destouches visita Berlino, ma è anche a Vienna, nel 1933 torna in Austria, a Innsbruck e di nuovo nella capitale, nel 1935 è a Strasburgo, gli impegni del medico si intrecciano con quelli dell’amante, le sue donne sono un po’ ovunque, nel 1935 torna a Berlino, nel 1936 esce Morte a credito, con la trasfigurazione dei viaggi studenteschi in Inghilterra. Intanto Céline si reca in Unione Sovietica su cui sparerà a zero nel Mea Culpa, nel 1937 spara a zero su tutto nelle Bagatelle per un massacro, nella primavera del 1938 è di nuovo negli Stati Uniti e in Canada. Successive avventure inglesi rispunteranno in Guignol’s Band, pubblicato nel cuore della guerra (1943), un’opera dove la lingua céliniana beneficia, gode di una potente accelerazione. In questo errare c’è un approdo definitivo: l’incontro con Lucette Almanzor che poi sposerà nel 1943 e che sarà al suo fianco nel grande viaggio dalla Francia alla Germania e infine in Danimarca. Un involontario, grottesco viaggio di nozze posticipato. Lucette, Lili nei romanzi, e Céline si incontrano nel 1935 e non si lasceranno mai più. Lei ha ventidue anni “… Danzatrice, è lei stessa la danza” (Alberghini, cit., p. 339), dirà poi Georges Rollin. Prevarrà su tutto il grande harem che Céline si è nel tempo costruito (una corrente dei viaggi? Anche). Anni di viaggi e di donne, sono bei tempi, anche all’ombra delle prime furenti polemiche sue e sul suo conto. Questa stagione sembra condividere le parole di un viaggiatore certo agli antipodi di Céline, Evelyn Waugh che nel 1946 scrisse: “Io non ho mai aspirato a essere un grande viaggiatore. Sono stato più semplicemente, un giovane tipico del mio tempo: si viaggiava perché ci veniva naturale farlo. Sono contento di averlo fatto quando viaggiare era un piacere” (Waugh, 2005, p. 15). Sono bei tempi, ma finiscono presto. Il 1° settembre 1939 inizia la Seconda guerra mondiale, Céline, autore di arte degenerata secondo i nazisti, si arruola per combattere il Terzo Reich, ma è riformato essendo riconosciuto invalido al 75%, è l’eco di quella granata (sempre tedesca) dell’altra guerra.

 

Fine dei viaggi? Macché, tutto questo andirivieni nella vita, attraverso terre più o meno lontane è solo un preludio, tutti viaggi preparatori alla grande odissea che affrontò negli ultimi mesi di guerra quando attraversò la Germania in un allucinato girovagare cercando di raggiungere la Danimarca, come si è detto, ma prima spostandosi dal Nord al Sud della nazione tedesca per poi risalire ancora sotto un cielo spennellato di verde, rosa, rosso, azzurro cielo variopinto, fiamme, anni dopo si sarebbe potuto dire psichedelico, illuminato da mille colori, folgori e quell’ossessionante rombo dei motori dell’aviazione alleata, quei bombardamenti a tappeto, il tuonare delle esplosioni, il cerchio stretto intorno all’estrema residua folle resistenza del Terzo Reich attraversato da Céline, sua moglie Lucette e il gatto Bébert, accompagnati dall’attore e amico e poi no e poi di nuovo amico LeVigan, al secolo Robert Coquillaud, attore che ebbe il suo momento di gloria nell’anteguerra e che segue il terzetto per parte di questo trascinarsi tra macerie, corpi fusi, straziati, sventrati, mentre il Terzo Reich mette in scena rituali di un ordine ormai dissolto, liquefatto, animato solo da intrighi e paranoie, un viaggio tra pozze di sangue gorgogliante, Céline annota tutto, ha le idee chiare, è sempre stato lucido, lo prova la regia impeccabile che esercita su ogni singola parola, su ogni segno d’interpunzione, ha ben presente, da tempo, che: “Quando saremo sull’orlo del precipizio dovremo mica fare i furbi noialtri, ma non bisognerà nemmeno dimenticare, bisognerà raccontare tutto senza cambiare una parola, di quel che si è visto di più schifoso negli uomini e poi tirar le cuoia e poi sprofondare. Come lavoro ce n’è per una vita intera” (Céline, 1992, p. 33). La ricostruzione è esemplare, gag rocambolesche come se ne vedono nei cartoni animati o immagini di agghiacciante realismo appaiono fulminee, sono incursioni che scavano dentro episodi segnati dalla ricerca di cibo e di riparo dalla morte, un crescendo delirante, costruito ad arte, esercitando, come si è detto, un potere assoluto sulla scrittura, che consente di leggere istantaneamente il suo smembramento e la sua rinascita in una nuova lingua, forzando fino all’impossibile tutti i procedimenti che ne caratterizzano la scrittura, procedimenti di ecolalia, di enumerazione e di accumulazione di sinonimi, modificando l’aspetto grafico delle parole senza intaccarne la forma fonetica, l’interpenetrazione e fusione di due termini che possiedono un certo numero di caratteristiche formali comuni, suoni onomatopeici, la soppressione di una parola sostituita da tre punti di sospensione … la sua firma … il suo stile … la sua invenzione. Céline è il culmine della letteratura di viaggio, l’ultimo picaro, una specie di turista ma di un “turismo più che speciale sotto le gallerie, poi all’aperto…” (Céline, 2010, p. 848). È un viaggiatore sfortunato come il paggio Jack Wilton  dell’omonimo romanzo di Thomas Nash (1594), che si muove in un’Europa afflitta da peste e guerre; è il Lazarillo de Tormes (1553) del Novecento, un picaro maledetto che trasferirà il viaggio nell’apocalisse tedesca nei tre romanzi che compongono la cosiddetta Trilogia del Nord: Da un castello all’altro, Nord, Rigodon. La risata del primo e l’invettiva del secondo si riducono a una sola poltiglia. I fuochi d’artificio di Céline nella trilogia esplodono a ripetizione in un crescendo fantasmagorico: “… broum!... vrang! Cos’è che ci sganciano! Che le sponde e gli alti bastioni del canale sono tutti chiari fiammanti di esplosioni… rosse… verdi… e di quelle cascate di magnesio! Ah per vedere chiaro, che abbacinamento… le due sponde!... e le loro alzate in bastioni! ciò che è bello soprattutto sono le esplosioni, le bombe che vengono a schiantarvisi in giganteschi fiori verdi… rossi e azzurri… contro le pietre dei due bastioni di ogni lato… a sbocciare dall’alto in basso e attraverso il canale… rossi azzurri verdi… dei fiori di dieci metri di larghezza… almeno… bisogna avere visto… non posso farvi sentire questi broum!...” (Céline, 2010, p. 853). Vacanze di fuoco, quando viaggiare era vivere, anche se disgraziatamente.

Il viaggio nella realtà iniziò il 17 giugno 1944, undici giorni dopo lo sbarco in Normandia degli Alleati, quando viaggiare non era un piacere. Radio Londra aveva annunciato la sua condanna a morte (sul Céline presunto antisemita, guerrafondaio e collaborazionista si veda l’intervista a Marina Alberghini in questo numero). I coniugi Céline e il gatto Bébert alloggiato in un tascapane lasciano l’appartamento parigino di Rue Girardon 4 per raggiungere la Danimarca dove Céline aveva messo dell’oro in una banca. L’itinerario è obbligato: attraversare la Germania, ogni altra via è preclusa. Arrivano a Baden-Baden, gli vengono confiscati i documenti, negato il permesso di proseguire, ma anche quello di dirigersi in Svizzera o di tornare indietro in Francia. Vengono mandati a Berlino, poi di nuovo a Baden Baden dove trovano LeVigan e ancora a Berlino. Qui li autorizzano a spostarsi a un centinaio di chilometri a Nord-Ovest della capitale, in un villaggio del Brandeburgo. Ai primi di settembre i ministri del governo di Vichy compreso il maresciallo Pétain vengono trasferiti nella Germania meridionale, a Sigmaringen e Céline vi si reca dopo aver ottenuto il necessario permesso, per poter esercitare la professione di medico. I quattro raggiungono Sigmaringen nel novembre del 1944 attraversando la Germania passando per Berlino, Lipsia, Ulma, un viaggio da Nord a Sud e poi nel marzo del 1945 su, al contrario, Céline finalmente ottiene il permesso per la Danimarca e risale la Germania, cinque giorni sotto i bombardamenti, in compagnia di Lucette e Bébert, con LeVigan ha litigato, cambiano un treno dietro l’altro: il 27 marzo arrivano a Copenhagen. Le vacanze tedesche di Céline terminano qui. In seguito verrà ospitato dalle prigioni danesi, più precisamente nel carcere-fortezza di Vestre-Faengsel, dove in due anni ne perderà cento, come scrisse.
Nei tre romanzi che concludono anche la vita di Céline, l’ordine della narrazione verrà modificato iniziando dalla fine, dal soggiorno a Sigmaringen (in D’un château l’autre), poi le tre tappe precedenti nel romanzo successivo (Nord), ovvero Baden-Baden, Berlino e il villaggio Zornhof. Infine, in Rigodon, il viaggio che lo aveva condotto da Zornhof a Sigmaringen e poi quello inverso, il risalire nuovamente verso nord, verso la Danimarca. Falsi movimenti, come avrebbe detto un tedesco molti anni dopo, come il rigodon, la danza che, spiegò Lucette: “Si balla su un motivo a due tempi, sul posto, senza andare avanti, né indietro, né di lato” (cit. in Céline 2010, p. 1043). Di questi analoghi movimenti della narrazione Cèline, raddoppiando la finzione, se ne scusa con i lettori in Nord: “Non ve la prendete si vi racconto tutto alla rinfusa… la fine prima del principio!... bella storia! la verità sola importa!... vi raccapezzerete? Io sì, mi raccapezzo!... un po’ di buona volontà, ecco tutto!” (Celine, 2010, p. 302). Il gioco è reiterato più avanti con l’aggiunta di ricordi o episodi del presente del narratore, in modo da sovrapporre ulteriori piani temporali. Un procedimento che si ripete più di una volta, si annoti questo esemplare passaggio in Rigodon: “Sto per perdervi!... ah, l’esasperante abitudine che hanno i vecchi di tirarsi a lucido con la loro gioventù, le loro più piccole insulsaggini, pipì di traverso, pertosse a balia, i loro pannolini imbrattati…” (Céline, 2010, p. 820). È una delle tante maraviglie che Céline ci conta, per dirla come Messer Polo.
Ci saranno ancora due viaggi, dopo l’odissea in Germania. Il primo verrà effettuato nel 1951, quando, amnistiato, Céline ritornerà in Francia, prendendo per la prima volta un aereo, volando da Copenaghen a Nizza. Céline si stabilirà in una fattoria sulla collina di Meudon, sulla vecchia strada Parigi-Versailles dove scriverà la Trilogia, terminandola la mattina del 1° luglio 1961, concludendo così il suo personalissimo Grand Tour. Nello stesso giorno diede inizio al suo ultimo viaggio, definitivamente nei panni del viaggiatore solitario che va più lontano di tutti come scrisse il suo io narrante. La partenza avvenne alle ore 18. Destinazione ignota…

 

LETTURE

× Alberghini M., Louis- Ferdinand Céline. Gatto randagio, Mursia, Milano, 2009.

× Alméras P., Céline. Entre haines et passion, 1994, trad. it. Céline, Corbaccio, Milano 1997.

× Céline L.F., Trilogia del Nord, Einaudi, Torino, 2010.

× Céline L.F., Voyage au bout de la nuit, 1932, trad. it. Viaggio al termine della notte, Corbaccio, Milano, 1992.

× Waugh E., When the Going Was Good, 1946, trad. it. Quando viaggiare era un piacere, Adelphi, Milano, 2005.