Ritratto di signora invisibile


Questa volta parliamo di donne, o meglio, se permettete, parliamo di una serie di donne, prendendo a prestito e in parte parafrasando il botta e risposta che si svolse sul grande schermo tra Ettore Scola e Lina Wertmüller.
Erano gli anni Sessanta, un tempo in cui i personaggi femminili in televisione iniziavano a porsi, in alcuni casi, al centro della scena; cominciavano a essere protagoniste di storie seriali, cercando di affermare uno specifico femminile, un’identità libera o quantomeno in parte svincolata da schemi precostituiti.
È in quegli anni che si prova a segnare una differenza smarcandosi da ruoli imposti (la moglie, la casalinga, la madre), non a travestirla, anche se questo, soprattutto allora, poteva essere necessario. È quello che suggerisce Samantha Stephens, il personaggio interpretato da Elizabeth Montgomery in Bewitched, la serie arrivata in Italia con il titolo Ho sposato una strega.
Era il 1964 e soltanto l’anno prima, dall’altra parte culturale del mondo, Valentina Tereškova era stata la prima donna a viaggiare nello spazio. Tentativi in un mondo dove il cielo non era diviso a metà ma del tutto ad appannaggio del maschile. Oltre mezzo secolo dopo, con mille e una rivoluzione culturale, non certo riepilogabili qui, eccoci quindi a parlare di personaggi femminili nelle narrazioni seriali di ieri e di oggi.
Lo facciamo in base a un campione di nove personaggi prelevato nel mare magnum delle produzioni televisive: uno scenario che vede primeggiare ampiamente i prodotti made in USA e che vede ancora decisamente minoritarie le serie fondate su un personaggio femminile nei panni della protagonista principale.
Nove donne molto diverse tra di loro, in ruoli assai differenti, ognuna di loro alle prese con i modelli maschili, con il loro superamento, oppure con il necessario compromesso, tutte distanti in qualche modo dall’uomo, ma anche tra di loro, per ceto, professione, razza, fino agli estremi dell’oltreumano e dell’artificiale. Viene da pensare che tuttora la differenza non possa che essere marcata da un’alterità radicale dei personaggi (come l’androide Dolores, per esempio), da un lato, oppure da un gioco mimetico dentro i ruoli tipicamente maschili (il detective o il capo di una gang, come Brenda e Gemma); insomma che la lunga marcia verso o forse oltre il femminile è altrettanto complessa sul piano dell’immaginario, con piccole vittorie, arretramenti, depistamenti, conquiste, sconfitte e ancora conflitti. Dinamica che qui si coniuga con la difficile arte dell’intrattenimento tramite storie più o meno piacevoli o perturbanti di cui queste nove donne sono protagoniste. Non solo, ma proprio i personaggi femminili sembrano incarnare al meglio quei princìpi motori propri di ogni storia seriale: familiare vs ignoto e ordine vs disordine.
In altre parole, ogni donna veicola alla perfezione la logica del nuovo e del sempre uguale su cui si fonda la narrazione seriale. Al punto da poter affermare che la serialità è donna, perché ne condivide la complessità dei processi di trasformazione in perenne oscillazione tra forze uguali e contrarie: conservazione e innovazione.

Lo scarto, la differenza e il mimetismo
Ecco quindi donne che abitano dentro corpi in parte ancora disegnati dall’immaginario maschile, corpi che a loro volta si abbigliano o si scoprono a partire dal gusto maschile. Solo in parte, però, perché in molte, forse in tutte le protagoniste (o co-protagoniste) delle serie rimane una zona d’ombra, qualcosa di inespugnabile, una riappropriazione/scoperta di uno specifico, il quid che consente anche al personaggio di essere tale, di assumere un’identità e di non ricopiare un modello. Oltre le polarità suddette, quindi, dobbiamo annotare un residuo che scaturisce dallo specifico femminile.
Se riguardiamo anche solo le nove donne che raccontiamo qui, faremo fatica a far coincidere i confini della loro personalità con quelli delle figure ideali di stampo maschile da cui si originano. Vale anche quando il ruolo appartiene dichiaratamente alla donna (la madre, come Gemma Teller) o quando il ruolo è rigidamente codificato ed è il caso di Elizabeth, la regina, oppure nel caso in cui il personaggio è posto nella condizione di assumere una coscienza analoga a quella umana, come nel caso di Dolores. Qualcosa si sottrae sempre al nostro sguardo e non necessariamente perché celato, al contrario anche quando alcuni cliché sono smaccatamente esibiti e in questo Brenda Leigh è magistrale.

Ancora più di lei, molto, molto più radicale di tutti i personaggi considerati in questa sede, quasi a sua volta un modello da cui muovono un po’ tutte, ben più di nove, le donne della serialità contemporanea è una donna senza nome, di cui conosciamo solo lo stato civile: la signora Colombo (Mrs Columbo nell’originale). La signora Columbo opera una magistrale strategia di depistamento, paradossale anche perché moglie di un tenente di polizia. Lei si sottrae allo sguardo, si smaterializza, oltrepassa anche il ruolo di deus ex machina, semplicemente detta i tempi dell’indagine, ovvero a lei compete la regia reale, sottesa alle inchieste. Come ebbe a dichiarare lo stesso Peter Falk, è quando Colombo cita per la prima volta sua moglie che ha iniziato a sospettare del vero colpevole.

L’apparenza inganna, anche la non apparenza
Fin qui, però siamo nei confini del racconto poliziesco, ma la signora Colombo è ben altro, anzi è l’Altro. Ha mille interessi, mille curiosità, mille civetterie, mille regole, mille e una identità. Nessun colpevole sospetta l’abilità di Colombo, nessuno spettatore sospetta quanto possa essere distante dalla semplice casalinga sua moglie. Dietro quell’impermeabile spiegazzato c’è un cacciatore implacabile, dietro l’invisibilità di sua moglie c’è tutto. La signora Colombo non esiste tramite suo marito, egli è solo un testimone.
Per essere finalmente donna, per esprimere tutte le possibilità, la signora Colombo ha prima apparentemente dovuto liberarsi del corpo, in realtà lo ha sottratto alla sguardo maschile, se ne è riappropriata, liberandosi degli orpelli figurativi, è in un certo senso nuda per sé stessa, ha dovuto liberarsi degli abiti prima e del corpo stesso dopo, per poter agire indisturbata, affaccendata in innumerevoli attività di cui il marito ci fornisce cenni, tracce, segni, frammenti di un’identità che ci sfugge, che vuole sfuggirci. Al contrario, a lei nulla sfugge. “Lo dirò a mia moglie” ci confida Colombo con l’indice della mano destra sempre alzato, ricordandoci che è una donna sempre perfettamente informata.
Ci si è spesso chiesti se la signora Colombo esistesse davvero, nonostante un episodio del 1975, diretto insolitamente da Ben Gazzara e intitolato Assassinio a bordo, ce la indicasse in crociera con il marito, diretti in Messico. Diabolicamente la regia riuscì a evitare qualsiasi manifestazione della signora, ma la finzione confermò definitivamente l’esistenza della donna. Epifania dell’invisibile. Al contrario dell’uomo invisibile wellsiano, la signora Colombo non veicola terrore e morte, non semina panico, non è nata sotto il segno della Scienza e della Tecnica, non le interessa il Potere.

La signora Colombo però non vive nel Paradiso dell’etere e sicuramente è alle prese con manie, tic, nevrosi, ossessioni, desideri, doveri e quant’altro come tutte le persone, come Nora, uno dei personaggi estremi di The Leftovers (Svaniti nel nulla), protagonista, donna, borderline, come tutti coloro che incontra in un pianeta che ha visto svanire il 2% dell’umanità nello stesso istante. Un evento tanto inspiegabile quanto devastante, che non ha lasciato nessuno esente da danni, da perdite, da lutti. Contro tutto ciò combatte Nora, alla ricerca della precedente identità di donna che è madre, moglie amante, amica e quant’altro. Nell’ultimo episodio della stagione conclusiva, The Book of Nora, anche lei dovrà prima perdere i propri abiti, questa volta letteralmente, per incamminarsi nuda in un tunnel verso il meccanismo che condurrà lei, “la ragazza più coraggiosa della Terra”, come dice suo fratello Matt, dall’altra parte, dove si trovano coloro che sono svaniti e, infine, perdere anche il proprio corpo nella nostra dimensione.
La nostra identità è altrove, ci insegnano queste donne, la signora Colombo quanto Nora, altrettanto irriducibili a qualsiasi inquadramento, sempre sulla soglia, inafferrabili, come a modo loro lo sono anche le altre protagoniste di questa rassegna (si pensi alla lynchana Signora Ceppo), che prende il via negli anni Sessanta con una streghetta e passa per una donna invisibile, nata, guarda caso, nel 1968, al tempo di un tentativo di assalto al cielo. Anche dell’altra metà.