Nomi, femina sensoria

Nomi
Interprete: Jamie Clayton
Sense8

Ideazione: J. Michael Straczynski, Lana e Lilly Wachowski
2015 – 2017 (due stagioni)

Nomi
Interprete: Jamie Clayton
Sense8

Ideazione: J. Michael Straczynski, Lana e Lilly Wachowski
2015 – 2017 (due stagioni)


Homo sapiens, homo sensorium: il confine fra scienza e fantascienza è segnato da una virgola, dal tempo e dallo spazio di una brevissima pausa. Siamo nell’universo, non condiviso ma della condivisione, ideato dagli ex fratelli e ora sorelle Wachowski, che in Sense8 condensano la summa del proprio modo di vivere e guardare il mondo come prolifico sistema di interconnessioni. Qualcosa che la visione distopica di Matrix (1999) già adombrava vent’anni or sono ma che nel tempo e passando soprattutto per l’adattamento cinematografico di Cloud Atlas (2012) ha finito col perdere l’originario afflato apocalittico per tradursi in una trionfale e speranzosa riscrittura del modus vivendi contemporaneo.
Nella terra dei sensate, nome dato agli individui figli di un’immaginaria evoluzione specistica del sapiens, la teoria dei sei gradi di separazione abbozzata da Frigyes Karinthy si rinnova attraverso una configurazione estrema e allo stesso tempo meglio integrata con l’attualità della nostra società delle reti (cfr. Castells, 2008). Secondo la rielaborazione narrativa messa in piedi da Lana e Lilly Wachowsky, fra gli uomini riposano cluster o cerchie, veri e propri aggregati di persone tenute insieme da un legame biologico che si realizza concretamente sul piano mentale. Utilizzare il termine “telepatia” sarebbe tuttavia limitante: il tipo di processo connettivo messo in atto dai membri di questi gruppi, pur mutuando dal sapere telepatico la capacità di coprire le distanze fisiche con la sola forza del pensiero, ha il merito di potere andare oltre coinvolgendo tutte le terminazioni sensoriali dei soggetti che vi partecipano. La pratica di condivisione non si esaurisce cioè nel mero ascolto del pensiero altrui ma va a creare le condizioni per un incontro tangibile e ravvicinato fra corpi posti a centinaia di chilometri di distanza, oltre la frontiera che la stessa società della rete e la sua struttura digitalizzata hanno dimostrato di non essere ancora in grado di superare fattivamente.

L’interpretazione di Sense8 offre così una visione capace di coniugare alla realtà attuale dei non luoghi (cfr. Augé, 2007) il desiderio parzialmente anacronistico di recuperare il rapporto con la fisicità, intesa sia in termini corporei che spaziali, con ricadute che già una delle tagline dello show: “È giunto il momento di unire le forze”, suggerisce di ricollocare sia in ambito etico che politico. Intanto sullo schermo si alternano otto scenari corrispondenti ad altrettanti personaggi espressamente identificati come abitanti di specifiche aree del pianeta: Capheus (Aml Ameen/Toby Onwumere) è un autista di autobus di Nairobi, Sun (Doona Bae) fa affari a Seoul, Kala (Tina Desai) lavora come chimica farmaceutica a Mumbai, Wolfgang (Max Riemelt) scassina appartamenti a Berlino, Riley (Tuppence Middleton) è una DJ irlandese residente a Londra, Will (Brian J. Smith) fa il poliziotto a Chicago, Lito (Miguel Ángel Silvestre) è un attore e sex symbol di Città del Messico, Nomi (Jamie Clayton) svolge attività di hacking e blogging a San Francisco. Così rapidamente ed efficacemente connotati, i protagonisti di Sense8 si prestano subito a essere riconosciuti e, in un secondo momento, esaminati nel loro ruolo di anelli di congiunzione della catena inscindibile di cui sono parte.
Quest’ultima fa in qualche modo capo alla misteriosa figura di Angelica (Daryl Hannah) che è fra le prime ad apparire sulla scena e a mettere insieme i pezzi della “cerchia dell’8 agosto”, tutti proprietari di un particolare talento e un altrettanto unico background. La coreana Sun per esempio, distinta donna d’affari di giorno, di notte veste i panni di eccelsa lottatrice nei fight club di Seoul; Lito, icona sexy delle spettatrici messicane, nasconde alle telecamere il proprio amore omosessuale; l’indiana Kala è stata promessa in sposa a un uomo che non vuole, figlio del suo capo; la DJ Riley, in seguito a un tragico evento famigliare, vive in un turbine di droghe e amanti sbagliati; il keniota Capheus guida autobus per permettersi l’acquisto dei farmaci destinati alla madre sieropositiva; Wolfgang “Wolfie” Bogdanow si trova imbrigliato nella malavita berlinese a causa delle proprie origini, sulle quali grava il peso di un delitto atroce che lui stesso ha compiuto; Will porta con sé il fallimento professionale del padre, ritiratosi dal corpo di polizia dopo essere stato coinvolto in un’indagine sulla scomparsa di una bambina; e poi c’è l’hacker Nomi Marks, emarginata da amici e parenti per aver cambiato sesso. Alla luce della composizione e delle storyline dei protagonisti di Sense8, l’avvertimento contenuto in un’altra delle tagline della serie, “Tutto ciò che sai a proposito della paura, dell’amore, della connessione, dell’identità, sta per cambiare”, chiarisce e ricapitola immediatamente i suoi concetti chiave e rende evidente il fatto che ad accomunare i membri della cerchia dell’8 agosto non è stata soltanto l’improvvisa chiamata di Angelica e del suo compagno Jonas (Naveen Andrews).
Nella prospettiva delle Wachowski l’identità ha sì a che fare con il corpo e la sua collocazione nello spazio e nel tempo, di cui la morfologia peculiare di ciascuna etnia restituisce a proprio modo una sintesi, ma conserva anche una parte mobile e in continuo divenire dove avviene l’incontro, lo scontro, lo scambio con l’altro; dove i sensi sono impegnati in prima linea a rinegoziare i significati e “non sei più solo te stesso” (Wachowski, 2015) bensì il talento sui generis derivato dall’esperienza individuale di chi ti è vicino. In questo modo l’opera delle sorelle Wachowski sembra proporre un’utopia nella quale, al di là della semplice condivisione di nozioni ed esperienze già in buona parte realizzata dal web 3.0 e dalla digitalizzazione del mondo, la completa e letterale immedesimazione nell’altro da sé conduce a un potenziamento del sé medesimo e, di conseguenza, della comunità.

Frammenti di un corpo amoroso
Il culto del corpo portato palesemente avanti dalle sorelle Wachowski fa sì che il concetto possa essere esteso e approfondito anche entro una prospettiva più legata all’essenza identitaria dell’individuo contemporaneo. Ciò che caratterizza davvero la produzione di Sense8 sul piano della messinscena è la sua capacità di rappresentare con estrema efficacia il senso del contatto, dell’unione, della fusione fra enti diversi e fisicamente distanti. La scelta non casuale di curare con particolare attenzione la resa visiva delle scene d’amore, durante le quali i protagonisti si ritrovano a condividere il coito con tutti gli altri membri della cerchia, contribuisce a una più immediata comprensione dei perché alla base dell’associazione fondamentale fra identità e sessualità. Il superamento delle barriere fisiche offerto dalla visione utopica di Sense8, quello sharing immersivo di conoscenze pratiche e teoriche in grado di donare rinnovata forza all’individuo e alle sue reti, investe inevitabilmente la dimensione sessuale dell’umano, la stessa che ne costituisce anche e prima di tutto il punto di origine biologico. Per questa ragione sarebbe più corretto dire, assecondando la linea di pensiero esposta dalle autrici sorelle, che è proprio la libera definizione dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale individuale a innescare l’effetto domino del processo di liberazione da qualsiasi limite fisico, sensoriale e socialmente imposto.
Ne consegue che la figura del sensate, oltre a guadagnarsi lo statuto di forma potenziale dell’uomo, che sia esso sapiens o sensorium, del XXI secolo, si riallaccia a parte delle teorie raccolte da Donna Haraway nel suo Manifesto Cyborg (1995) e riprese successivamente da Rosi Braidotti fra le pagine dell’indispensabile volume Il postumano (2014). Il che rende altrettanto necessario riferirsi a una figura che riassume in sé tutti i nodi esposti da e nell’universo wachowskiano, dal concetto di matrice illusoria su cui fonda la loro nota trilogia cinematografica fino all’inno al post umanesimo messo in nuce da Cloud Atlas: Nomi Marks.

Un personaggio dalla chiara vocazione metanarrativa la cui interprete ha eseguito in primo luogo su di sé la transizione alla quale gli ex Andy e Larry devono le attuali e rispettive forme di Lilly e Lana, un organismo mutevole capace di contenere un’intera galassia di temi e di biografie. Michael Marks proviene da una famiglia benestante di San Francisco, così restia ad accettare il suo desiderio di cambiare corpo da costringere l’allora unico figlio maschio a iscriversi a un club di nuoto, per superare ciò che i genitori considerano nient’altro che una fase di incertezza transitoria. Ma è proprio in questo contesto che avviene la svolta identitaria di Nomi, vittima di un violento atto di bullismo nelle docce della piscina: è l’evento che, a suo dire, la spinge in via definitiva verso la transizione. Come racconta al sensate Lito durante una brillante conversazione inserita nell’episodio 1×09, La morte non ti lascia dire addio, Nomi ha sempre adorato le bambole e suo padre non glielo ha mai “perdonato”, motivo per il quale ha premuto affinché ripercorresse i luoghi dove lui ritiene di essere diventato “l’uomo che è”. Gli stessi spogliatoi in cui una Nomi preadolescente riporta ustioni di secondo grado sotto l’acqua del radiatore, per mano dei compagni intolleranti al suo rifiuto di togliere gli abiti prima di lavarsi; gli spazi nei quali è cresciuto Marks senior ma che hanno fatto sì che crescesse e maturasse anche e prima di tutto la donna latente nel corpo maschile del giovane Michael. Dal passato di Nomi emerge con chiarezza l’elemento traumatico connaturato al percorso di definizione dell’identità sessuale umana, il portato di dolore corrispondente all’inevitabile dazio che il sé ha da pagare per stabilire le basi del proprio equilibrio; qualcosa che Pedro Almodóvar ha a suo tempo saputo declinare, al di fuori della cornice del fantastico e con l’uso di toni decisamente meno tragici, nel celebre monologo finale di Agrado in Tutto su mia madre (1999).

A distinguere Sense8 è tuttavia proprio la vis denunciataria che le due autrici lasciano vibrare al suo interno, la loro risposta (e proposta) nei confronti delle forme di perbenismo, ipocrisia e discriminazione persistenti, quando non dominanti, fra le maglie della società dei millennials. Di questo aspetto l’esempio di Nomi fornisce una lettura ulteriore, oltre che parzialmente inedita nel panorama della postserialità televisiva: le pratiche discriminatorie interne alla comunità LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). In qualità di hacktivist e blogger, Nomi utilizza stringhe di codice per ridefinire e difendere una nuova concezione di identità; nuova nella misura in cui si configura a scanso di qualsiasi tipologia di sigla e delimitazione. Cioè, sul piano dei diritti ripropone, in un primo momento inconsciamente, quanto accade dal punto di vista chimico e fisico all’interno delle cerchie degli homines sensoria: il superamento dei confini ontologici e delle categorie di pensiero a essi assegnate. Uno dei flashback proposti dall’episodio pilota della serie, Risonanza limbica, ci mostra tuttavia che il pensiero di Nomi non è ben visto da alcuni membri del Gay Pride: un gruppo di manifestanti rivendica gli anni di lotte spesi per ottenere il titolo di LGBT di cui la blogger auspica il declino e la accusa perciò di essere “l’ennesimo uomo colonizzatore delle donne”, rinfacciandole ancora una volta la sua natura di transgender. È una situazione verosimile cui il referente fisico del personaggio di Nomi, vale a dire la condizione vissuta in prima persona dalle due autrici di Sense8, conferisce uno spessore assai particolare per quel che riguarda la sfera delle produzioni culturali sulle dinamiche di genere.

L’impero dei sensi
A ciò va poi a sommarsi la ricostruzione liquida della dimensione familiare, più o meno traversale a tutti i protagonisti della serie ma che, nel caso di Nomi, assume una funzione strettamente costitutiva. Lungo la storyline della giovane hacker la famiglia naturale e quella acquisita sono poste a un confronto che determina la schiacciante vittoria della seconda sulla prima, in principio con l’amore della fidanzata Amanita (Freema Agyeman) e poi grazie all’integrazione e all’esperienza ultraspirituale nella cerchia dei sensate. Prima di allora il senso di protezione, di accettazione e di accoglienza su cui fonda la riscrittura del ruolo sociale della famiglia in epoca postmoderna è qualcosa di sconosciuto per il personaggio di Nomi.
Le modalità con le quali la blogger si relaziona alle proprie origini restituiscono la misura delle modificazioni verificatesi dentro e fuori l’unità basilare del sistema sociale più di quanto non facciano i dubbi di Wolfgang nei confronti del padre defunto o l’odio di Sun per il fratello vigliacco e traditore; schema che peraltro la configurazione produttiva di Sense8 consente di estrarre dalla narrazione per attuare un’integrazione con le stesse pratiche concrete a monte della sua messa in scena.
Gli interpreti che hanno dato corpo alla cerchia dell’8 agosto sono stati cioè in grado di sperimentare nella vita al di qua dello schermo una dimensione relazionale molto simile, quando non identica, a quella della famiglia allargata contemporanea da loro rappresentata in tv. Così a cavallo fra scrittura dello spirito del tempo (cfr. Morin, 1962) e futuribilità, l’opera delle sorelle Wachowski mette a nudo una matrice ideologica il cui scopo è disporre e proporre allo stesso tempo. E che riguarda l’umano nel postumano, l’uomo scardinato dal centro del mondo costretto a scegliere fra la serena improduttività della solitudine e un salvifico sovraccarico di relazioni.
Quale sarà il suo destino? Sense8 ci suggerisce che potrebbe avere la forma e la sostanza di quello di Nomi, una hacker immersa nell’illimitata rete del cyberspace, abile conoscitrice dei nuovi linguaggi digitali e delle rinegoziazioni semantiche e sensoriali da essi attuate, che (ri)trova se stessa nell’indefinitezza traendo forza e giovamento da un processo di profonda connessione a tutto ciò che è altro.
Nell’era del posthuman non v’è limite di genere, spazio, tempo ed etnia che tenga, o almeno questo è l’augurio, la prospettiva desiderata: l’homo sapiens/sensorium si trasforma in femina e viceversa. Le differenze, i tratti distintivi rimasti, non sono altro che i tasselli di un mosaico variopinto che ridisegna il volto di una specie non più sola e la cui unica strategia vincente sembra consistere in un abbraccio cosmico, totalizzante, universale e senza fine. Come la curva del numero 8.


Letture
  • Marc Augé, Tra i confini. Città, luoghi, interazioni, Mondadori, Milano 2007.
  • Rosi Braidotti, Il postumano, DeriveApprodi, Roma 2014.
  • Antonio Caronia, Virtuale, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2010.
  • Manuel Castells, La nascita della società della rete, Università Bocconi Editore, Milano 2008.
  • Donna Haraway (a cura di Liana Borghi), Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano 1995.
  • Alfredo Milanaccio, Corpi. Frammenti per una sociologia, Celid, Torino 2009.
  • Edgar Morin, Lo spirito del tempo, Meltemi, Roma 2006.

Visioni
  • Pedro Almodóvar, Tutto su mia madre, Eagle Pictures, 2011 (home video)
  • Lana e Lilly Wachowsky, Cloud Atlas, Eagle Pictures, 2014 (home video).
  • Lana e Lilly Wachowsky, Matrix, Warner Home Video, 2000 (home video).
  • Lana e Lilly Wachowsky:, Matrix Reloaded, Warner Home Video, 2005 (home video).
  • Lana e Lilly Wachowsky, Matrix Revolutions, Warner Home Video, 2008 (home video).