Napoleone e il cinema,
una relazione complicata

Ridley Scott
Napoleon
Cast principale: Joaquin Phoenix,
Vanessa Kirby, Tahar Rahim,
Ben Miles, Ludivine Sagnier,
Ian McNeice, John Hollingworth,
Paul Rhys, Matthew Needham,
Benjamin Chivers, Jonathan Barnwell,
Youssef Kerkour, Scott Handy,
Phil Cornwell, Gavin Spokes,
David Verrey, Sam Crane,
Edouard Philipponnat,
Harry Taurasi, Thom Ashley,
Mamie Barry, Tim Faulkner,
John Hodgkinson.


Produzione: Apple Studios,
Scott Free Productions


Distribuzione: Eagle Pictures, 2023

 

Ridley Scott
Napoleon
Cast principale: Joaquin Phoenix,
Vanessa Kirby, Tahar Rahim,
Ben Miles, Ludivine Sagnier,
Ian McNeice, John Hollingworth,
Paul Rhys, Matthew Needham,
Benjamin Chivers, Jonathan Barnwell,
Youssef Kerkour, Scott Handy,
Phil Cornwell, Gavin Spokes,
David Verrey, Sam Crane,
Edouard Philipponnat,
Harry Taurasi, Thom Ashley,
Mamie Barry, Tim Faulkner,
John Hodgkinson.


Produzione: Apple Studios,
Scott Free Productions


Distribuzione: Eagle Pictures, 2023

 


Partiamo dai numeri: sono circa 1.000 i film realizzati su Napoleone e sull’epoca napoleonica, più del doppio di quelli consacrati alla storia di Gesù. Così, almeno, assicura Hervé Dumont, eminente storico del cinema che nel 2015 ha pubblicato l’opera definitiva sull’argomento, Napoléon: L’Épopée en 1000 films, oltre 700 pagine che raccolgono tutti i titoli usciti al cinema e in televisione in tutto il mondo, ordinati non in ordine alfabetico o per data d’uscita ma seguendo l’ordine cronologico della vita di Napoleone, e quindi andando ad analizzare con certosina abilità il modo in cui i registi hanno raccontato i diversi episodi della biografia napoleonica dall’infanzia fino alla morte a Sant’Elena. Una filmografia sterminata che lascia basiti soprattutto perché il numero di titoli davvero noti si può contare sulle dita di una mano. Quando il critico cinematografico Michael Ciment chiese a Stanley Kubrick perché realizzare un altro film su un tema che aveva già ispirato così tanti registi, Kubrick lo sfidò “a citargli un titolo che mi avesse veramente soddisfatto” (Ciment, 1999), ma l’unico che gli venne in mente fu il Napoléon di Abel Gance, che il regista liquidò con una battuta: “Ma pensa che un Marat che si spidocchia e un Robespierre incipriato diano un’idea di ciò che è stata la Rivoluzione francese, quel film le ha fatto capire perché mai Napoleone sia stato il più grande stratega di tutti i tempi?” (ibidem). Il problema è che non ci è riuscito nessuno di questi mille film. Ciascuno ha provato a raccontare il mito napoleonico da un certo punto di vista, ma i mezzi limitati, la scarsa qualità delle sceneggiature, la regia poco ispirata ha fatto sì che la maggior parte di questi titoli siano ricordati oggi solo da pochi cinefili, e molti siano persino ormai irrecuperabili (un enorme numero di pellicole risale ai primi del Novecento, agli esordi del cinema). Un paradosso, se si pensa invece ai tantissimi titoli della letteratura e della saggistica che hanno saputo raccontare in modo magistrale l’epopea napoleonica e all’apparente facilità con cui una storia straordinaria come quella di Napoleone si presta alla sua trasposizione cinematografica. Lo storico Jean Tulard ha giustamente fatto notare che è stato proprio Napoleone a creare la sua stessa immagine sullo schermo:

“Il basso cappello, la redingote grigia, il ciuffo, la mano nel gilè: un personaggio facile da identificare al primo sguardo. Immediatamente riconoscibile su un campo di battaglia e destinata a galvanizzare il morale delle sue truppe, l’immagine di Napoleone rende possibile a qualsiasi attore recitare il suo ruolo”
(Tulard, 2009).

L’ultimo di questa lista di mille e uno film è ora quello di Ridley Scott, che a lungo è sembrato indugiare intorno a un soggetto evidentemente troppo ingombrante. L’iniziale titolo di produzione, Kitbag, faceva riferimento alla sacca da viaggio dei soldati napoleonici e alla celebre frase dello stesso Napoleone secondo cui “ogni soldato porta nascosto nella sua bisaccia il bastone di maresciallo”. Ne I duellanti (1977), opera d’esordio di Scott alla regia, Napoleone è il fulcro intorno a cui si muovono le esistenze dei protagonisti e il tema delle ambizioni di carriera dei soldati napoleonici era stato approfondito con grande maestria. Ecco allora un film non sui soldati della Grande Armée, ma su lui, il loro leader, l’uomo del destino. Cosa raccontare di lui? Ancora, inizialmente il soggetto sembra essere quello dell’ascesa al potere di Napoleone, finché la tentazione del biopic deborda e l’ambizione di realizzare il film incompiuto di Kubrick torna a fare capolino. Di questi cambi d’opera si nota l’impatto sulla pellicola, che indugia a lungo sull’episodio dell’assedio di Tolone – generalmente ignorato dalla filmografia, con l’evidente eccezione di Abel Gance – e poi saccheggia a piene mani proprio dalla sceneggiatura irrealizzata di Kubrick, a partire dall’enfasi sulla relazione Napoleone-Giuseppina. Napoléon di Ridley Scott è dunque, innanzitutto, un’opera meta-cinematografica, che si comprende soprattutto se si tiene conto di quello che è venuto prima: tant’è che il regista pare confrontarsi molto più con i registi che lo hanno preceduto che con il personaggio a cui ha voluto dedicare il film.

Il più grande film mai realizzato
Innanzitutto, e soprattutto, Kubrick (pare – per inciso – che Steven Spielberg stia producendo una miniserie anch’essa tratta dalla sua sceneggiatura). Il regista era appena uscito dai fasti di 2001: Odissea nello spazio (1968) quando lesse la biografia di Felix Markham, storico dell’Università di Oxford, pubblicata cinque anni prima. Contattò lo studioso, lo trasse via dalle carte e dagli archivi, e lo investì con una serie di domande per più di un anno, accumulando lettere e nastri di registrazione, nel tentativo di comprendere chi fosse davvero Napoleone, come fu possibile che quel personaggio che sembrava uscito da un film fosse invece reale e perché su di lui non si fosse ancora riusciti a fare un film. C’era, naturalmente, l’interesse di Kubrick per i collegamenti con la storia contemporanea, la riflessione sul potere, ripresa in Barry Lyndon, la complessità del rapporto con Giuseppina, “una delle più grandi passioni ossessive di tutti i tempi”, come la definì in un’intervista (Gelmis, 1969). Ma quei punti di partenza iniziali divennero l’inizio di un’ossessione: il regista mise su una biblioteca personale di quasi cinquecento libri sull’argomento, praticamente tutto lo scibile disponibile in lingua inglese, oltre a qualcosa – poco in verità – in francese.


Sopra e a seguire, scene tratte da Napoleon di Ridley Scott.

Fece realizzare, grazie all’aiuto di un’équipe di studenti e dottorandi di Oxford guidata dal professor Markham, un enorme archivio diviso per personaggi e per anni, mesi e giorni, così da sapere tutto di ciascuno di loro, seguendoli quasi con la destrezza di un investigatore privato. Il grosso dell’archivio era naturalmente costituito da lui, Napoleone, indiziato numero uno. Iniziò persino a imitarlo: durante i pasti spizzicava dalle varie portate senza ordine o ritegno, e allo stupefatto Malcolm McDowell, sul set di Arancia meccanica, spiegò semplicemente: “Napoleone mangiava così” (Mason, 2000). Forse Kubrick, come Ridley Scott, era partito dall’obiettivo di realizzare una pellicola di stampo anglosassone, seguendo la leggenda nera di Buonaparte l’Orco resa celebre dai nove volumi dell’opera di Walter Scott, pubblicata nel 1827, in cui l’autore di Ivanhoe, saccheggiando dai pamphlet e dagli articoli satirici o scandalistici apparsi in Inghilterra negli anni del confronto con la Francia, trasformò l’imperatore dei francesi in un personaggio sanguinario e grottesco. Ma, scavando sempre più in profondità, il mito napoleonico dovette evidentemente impossessarsi di Kubrick, come già si era impossessato dei suoi contemporanei, anche i suoi più acerrimi nemici, ogni qualvolta avevano la possibilità di andare oltre il sentito dire.

Il regista evidentemente ignorava, tuttavia, quella maledizione che incombe sul cinema napoleonico, e che ha impedito, fino a oggi, di produrre un film definitivo sull’argomento. Il fallimento di Kubrick ha radici profonde. Non fu soltanto dettato dal fatto che, come brutalmente concluse la MGM bocciando il progetto, “il film sarebbe costato 40 milioni di dollari (una cifra allora impensabile) e agli americani non importa nulla di Napoleone” (Aragno, 1999). Nel 1971 era uscito al cinema Waterloo di Sergej Bondarčuk, kolossal co-prodotto dall’Unione sovietica e dall’Italia, erede dei fasti di Guerra e Pace dello stesso regista (1965), con Rod Steiger nella parte di Napoleone. Era storicamente corretto, inusualmente realistico, solo un po’ troppo enfatico nella recitazione di Steiger, che pure fisicamente era perfetto per il ruolo. Fu un fiasco (e non piacque nemmeno a Kubrick, che lo definì “una scemenza”). Gli ottantotto scatoloni di materiale accumulato da Kubrick nel corso dei circa tre anni in cui lavorò al film (dal 1968 al 1971) finirono, insieme alla sceneggiatura definitiva – rifiutata dalla casa di produzione – in una miniera di sale utilizzata dalle major cinematografiche per proteggere dall’usura i materiali d’archivio, e lì fu poi recuperata nel 1994: circolò in giro, fu poi ritirata, diffusa illegalmente su Internet, infine pubblicata e resa disponibile al grande pubblico in un monumentale volume della Taschen dal titolo Stanley Kubrick’s Napoleon: The Greatest Movie Never Made a cura di Alison Castle (2009). Hervè Dumont ha spiegato molto bene perché sia così difficile fare un film su Napoleone:

“Il suo destino è troppo grande per entrare in un film. A parte i muti che sono delle sequenze di immagini, non c’è che un grande film diacronico, il Napoléon di Sacha Guitry, e per la televisione la serie con Christian Clavier, piuttosto imbarazzante. Ci possiamo rammaricare che Kubrick non abbia potuto portare a compimento il suo progetto. Solo dei creatori della sua statura possono affrontarlo. C’è bisogno di autorialità per evocare questo periodo di drammi, tragedie, esaltazione, ribaltamento. Non basta illustrarlo”
(cit. in Duplan, 2015).

Oltre a Kubrick ci provò anche Charlie Chaplin, che accarezzò a lungo il progetto di dirigere un film su Napoleone e Giuseppina; nel 1931 ne parlò anche con Winston Churchill, che lo incoraggiò e avanzò anche qualche suggerimento, per esempio di inserire nel film la nota abitudine di Napoleone per i lunghi bagni in vasca. Quello stesso anno, a Parigi, il regista visitò la tomba dell’imperatore agli Invalides. Nel 1935 si decise infine ad acquistare i diritti di un romanzo che aveva letto, per la verità talmente sconosciuto che i biografi stessi si confondono nel riportarne il titolo e l’autore (quasi ovunque è infatti citato come La Vie Secrète de Napoléon di Jean Weber, ma si tratta in realtà di La seconde vie de Napoléon Ier di Pierre Veber, del 1924). L’anno successivo ne trasse, insieme con lo scrittore e politico britannico John Strachey, un trattamento cinematografico intitolato Napoleon’s Return from St. Helena, in cui Napoleone, che non sarebbe mai andato a Sant’Elena, sostituito invece da un sosia, è diventato pacifista e gestisce una libreria a Parigi. Alcuni dei dialoghi di quella sceneggiatura, in cui l’ex Imperatore spiega a uno dei suoi generali la sua nuova svolta pacifista, saranno poi recuperati nel celeberrimo monologo finale che chiude Il grande dittatore (1940). Il progetto di Kubrick, ampiamente ripreso da Scott, era ben diverso. I temi centrali dovevano riguardare il potere e l’amore o, meglio ancora, il sesso: il film di Kubrick sarebbe stato il primo a mostrare non una ma più scene di sesso con Napoleone (come poi riuscirà a fare Scott). Nell’interpretazione kubrickiana del personaggio, la sua smodata ambizione e il suo desiderio di esercitare un potere illimitato sarebbero derivate dall’infelicità della sua relazione con Giuseppina tra il 1796 e il 1798. Pertanto il regista aveva scelto di insistere molto sulle infedeltà di Giuseppina e successivamente sul tentativo di Napoleone di realizzare il suo sogno di un matrimonio felice sposando Maria Luisa (che a sua volta lo tradirà).

La lettura della sceneggiatura rivela diverse scene di grande spessore e “autorialità”, come quella, poi ripresa da Scott, dell’incontro tra Giuseppina e lo zar Alessandro dopo l’esilio all’Elba, che suggerisce un’intesa anche sentimentale tra i due, i grandi traditori della fiducia dell’imperatore caduto (di Alessandro, Napoleone diceva che “se non fossi un uomo ne sarei invaghito”). Sulle storie d’amore di Napoleone il cinema era già tornato a più riprese, concentrandosi a turno su Maria Walewska, l’amante polacca, su Giuseppina stessa, o su Desirée, la prima fiamma, poi regina di Svezia dopo il matrimonio con Bernadotte, che Hollywood trasformò in eroina nell’omonimo film del 1954 di Henry Koster, noto per l’ingombrante presenza di Marlon Brando nei panni di Napoleone. Singolarmente, nella sceneggiatura di Kubrick come in quella di Ridley Scott non c’è spazio né per Desirée né per Maria Walewska, nemmeno fugacemente citate.

I grandi biopic
Ma, al di là delle vicende personali, la ricostruzione di Kubrick non era fiction, quanto documentario: la scelta di affidare parte della narrazione a una voce fuori campo non era nuova – era già stata compiuta dal film di Guitry (1955) – ma tradiva l’abdicazione del regista alla superiorità della realtà storica: dopo aver letto tutto quello che c’era da leggere su Napoleone, Kubrick riconosceva di non poter aggiungere nient’altro di personale a una vicenda che già di per sé perfetta appariva perfetta come soggetto cinematografico, cosicché la finzione dovette abdicare alla realtà. Se n’era accorto già Abel Gance, quando rivelò di aver girato il suo Napoléon “perché egli era il parossismo di un’epoca che fu a sua volta un parossismo della storia” (De Marco, 2011). Non a caso, dei sei film complessivi che Gance voleva dedicare all’epopea napoleonica, solo uno fu effettivamente realizzato, quello che partiva dalla Rivoluzione francese per giungere alla vigilia della campagna d’Italia, con una durata variabile dalle due alle nove ore a seconda dell’edizione (non tutte mute: ce n’è una ridoppiata per volontà dello stesso Gance, mentre quella restaurata nel 2016 sulla versione di Kevin Brownlow del 1979 ha una  brillante colonna sonora di Carl Davis e della London Philarmonic Orchestra).

Fallito il progetto di Gance prima e di Kubrick poi, l’unico riuscito tentativo di raccontare in un solo film l’intera epopea napoleonica prima di Ridley Scott risale al già citato film di Sacha Guitry: il regista aveva già trattato il soggetto nel 1948 con Le Diable boiteux, incentrato sulla figura di Talleyrand, del quale evidentemente subiva il fascino dal momento che anche nel successivo Napoléon lo stesso Guitry scelse di impersonare il diabolico ministro degli esteri, voce narrante del film. Certo, il film soffre la mancanza di un vero taglio autoriale, ma riesce a mettere in scena una convincentissima ricostruzione storica nel quale Napoleone si sveste dei toni enfatici di Gance per recuperare “l’immagine di un uomo politico accorto, giurista e diplomatico, abile negli intrighi ma umano per le sue debolezze e le sue contraddizioni” (De Marco, 2011). Resta memorabile la scena finale con un Napoleone redivivo che torna a Parigi passando a cavallo sotto l’arco di trionfo, in occasione del ritorno della salma da Sant’Elena nel 1840, accompagnato da Le Chant du Depart, l’inno dell’Impero. Purtroppo il film di Guitry non è mai stato portato in Italia, ma è oggi possibile recuperarlo integralmente su YouTube sia in francese che in inglese.
Il suo corrispettivo moderno è la miniserie in quattro puntate realizzata nel 2002 sulla base della tetralogia scritta da Max Gallo, il Napoléon per la TV di Yves Simoneau, con Christian Clavier nei panni dell’Imperatore. Ambiziosissima produzione italo-francese, costata 35 milioni di euro (all’epoca la più costosa produzione europea realizzata), si avvale di migliaia di comparse e oltre tremila cavalli per la ricostruzione delle imponenti battaglie (spicca, oltre ovviamente ad Austerlitz e Waterloo, quella di Eylau, con la grande carica di cavalleria di Murat, che era già stata rappresentata in una scena de Il colonnello Chabert di Yves Angelo del 1994, con Gérard Depardieu). I suoi nei sono nelle scelte del cast, spesso poco azzeccate, e nella mitografia tutta francese che assolve Napoleone da ogni colpa.

Il cinema italiano
Il nostro paese non si è sottratto alla tentazione di portare sullo schermo l’uomo che fu, d’altronde, il primo “re d’Italia” dell’epoca moderna. È nota la fascinazione che subiva Mussolini, con tutta la sua retorica imperiale; fu sotto il fascismo che venne inaugurato a Roma il Museo Napoleonico, ancora oggi attivo, custode di importantissimi cimeli della famiglia Bonaparte (va ricordato infatti che a Roma si rifugiò, dopo la caduta dell’Impero, la madre di Napoleone, Letizia, raggiungendo lì i figli Luciano e Paolina). Fu lo stesso Mussolini a scrivere il soggetto di un film uscito nel 1935, Campo di Maggio di Giovacchino Forzano, con Corrado Racca nei panni dell’Imperatore durante i Cento Giorni. Doveva dimostrare l’inutilità della svolta “liberale” di Napoleone dopo il suo ritorno dall’Elba, sconfitto non tanto da Waterloo ma dal parlamentarismo e dagli stessi uomini che egli aveva posto ai vertici dell’Impero; forse in prospettiva dovette apparire a Mussolini un bizzarro presagio del 25 luglio di otto anni dopo.
Sempre in chiave politica va letto il sontuoso sceneggiato di Edmo Fenoglio I grandi camaleonti, trasmesso dai RAI nel 1964 su soggetto di Federico Zardi. È la storia, mai portata d’altronde sugli schermi grandi e piccoli, della Francia termidoriana, uscita dalla dittatura del Terrore per gettarsi nelle braccia degli avidi e corrotti uomini del Direttorio. Bonaparte, impersonato da Giancarlo Sbragia in quella che forse è una delle migliori interpretazioni del personaggio, appare fin dalla prima scena nell’anticamera di Paul Barras, il presidente del Direttorio, facendo la conoscenza di un uomo che ne segnerà il destino: Joseph Fouché, vero protagonista dello sceneggiato, un superbo (ancorché poco somigliante) Raoul Grassilli. Gli uomini del Direttorio, sempre attenti a mantenersi in sella puntellandosi prima a destra e poi a sinistra, in virtù del principio che lo storico Pierre Serna ha definito “centrismo estremo” nel suo magistrale libro La République des girouttes (“la Repubblica delle banderuole”), appaiono straordinariamente simili ai democristiani dell’epoca, e il Bonaparte di Sbragia imita esplicitamente, parodiandolo, Mussolini.

Altra indimenticabile produzione italiana è lo sceneggiato Napoleone a Sant’Elena del 1973 di Vittorio Cottafavi, che si avvalse della consulenza storica di Carlo Zaghi, all’epoca il più importante storico dell’età napoleonica in Italia, e della voce narrante di Arnoldo Foà. Anche in questo caso la scelta è di raccontare una storia poco nota sugli schermi, incentrata esclusivamente sui sei anni dell’esilio a Sant’Elena, sulla sfiancante quotidianità di Napoleone, magistralmente interpretato da Renzo Palmer, alle prese con il giardinaggio, i dispetti reciproci dei generali al suo seguito, gli stratagemmi del suo carceriere Hudson Lowe per rendergli più penoso il soggiorno sull’isola (lo sceneggiato è ora disponibile su RaiPlay). Il cinema italiano ha saputo dare inoltre buona prova di sé anche più recentemente, nella trasposizione del capolavoro di Ernesto Ferrero, N. (2000), vincitore del Premio Strega, diretta da Paolo Virzì (N – Io e Napoleone). A tratti il film, che ondeggia continuamente tra la commedia e il dramma storico, sembra faticare a trovare un proprio registro, ma a salvarlo è un ottimo Daniel Auteuil nei panni di Napoleone. Impossibile dimenticare la scena in cui, mentre il bibliotecario Martino (interpretato da Elio Germano) medita di ucciderlo, Auteuil/Napoleone indulge in una sessione di trucco per cercare di recuperare il suo celebre “sguardo d’aquila” ormai appassito.

Una storia ancora da raccontare
Alla domanda su quali siano i migliori film su Napoleone, Hervé Dumont ne cita giusto una manciata dei circa mille che ha raccolto nel suo libro: quello di Gance, naturalmente; quello di Guitry; il Waterloo di Bondarčuk, I duellanti di Ridley Scott; Monsieur N. di Antoine de Caunes del 2003 con Philippe Torreton nei panni di Napoleone, e L’ultimo inquisitore di Milos Forman (2006) incentrato sulla figura di Goya e in cui Napoleone appare solo in una scena (cfr. l’intervista con Irène Delage, 2015). In effetti i film migliori sono proprio quelli che cercano di raccontare la vicenda da angolazioni differenti: Waterloo si concentra sulla celebre battaglia ma al tempo stesso ricostruisce con maestria gli antefatti, ossia il ritorno di Napoleone dall’Elba, e restituisce un’immagine molto viva e realistica dell’epoca; ancora di più lo ha fatto Ridley Scott al suo esordio, portando sullo schermo, come ha scritto Jean Tulard, “la rappresentazione della morale di un’epoca” (Tulard, 2011), che invece manca del tutto nel suo ultimo film. Quanto a Monsieur N., insieme a I vestiti nuovi dell’imperatore di Alan Taylor (2001) uscito due anni fa tenta il recupero del soggetto irrealizzato di Chaplin incrociando la storia con l’ucronia, immaginando, nel primo caso, che il prigioniero di Sant’Elena sia riuscito a riparare in America con la complicità del governatore dell’isola, Hudson Lowe, sposando poi Betsy Balcombe, la ragazzina che nei primi anni a Sant’Elena fu la sua “compagna di giochi”, e nel secondo che abbia invece tentato di tornare a Parigi per riprendere il suo trono senza riuscirci, accettando in cambio di diventare un onesto commerciante di cocomeri. E forse, dopotutto, l’unico modo di raccontare ancora una vicenda così nota fin nei minimi particolari è immaginando un finale diverso.

Letture
  • Riccardo Aragno, Kubrick. Storia di un’amicizia, Schena Editore, Fasano, 1999.
  • Alison Castle (a cura di), Stanley Kubrick’s “Napoleon”: The Greatest Movie Never Made, Taschen Colonia, 2009.
  • Michael Ciment, Stanley Kubrick, Rizzoli, Milano, 2007.
  • Paolo De Marco, Cinema, in Luigi Mascilli Migliorini (a cura di), Italia napoleonica. Dizionario critico, Utet, Torino, 2011.
  • Irène Delage, Hervé Dumont: Napoléon, l’épopée en 1000 films, intervista con l’autore, “Napoleon.org”, 2015.
  • Hervé Dumont, Napoléon: L’Épopée en 1000 films, Ides et Calendes, Losanna, 2015.
  • Antoine Duplan, Napoléon, héros de cinéma, Le Temps, 19 settembre 2015.
  • Ernesto Ferrero, N., Einaudi, Torino, 2000.
  • Joseph Gelmis, An Interview with Stanley Kubrick (1969), estratto da Id., The Film Director as Superstar, Doubleday. New York, 1970.
  • Wes D. Gehring, Chaplin’s War Trilogy, McFarland & Company, Jefferson (Usa), 2014.
  • Eva-Maria Magel, Everything A Good Story Should Have – Stanley Kubrick and Napoleon, in Alison Castle (a cura di), Stanley Kubrick’s “Napoleon”, 2009.
  • Pierre Serna, La République des girouttes, Champ Vallon, Ceyzérieu, 2005.
  • Jean Tulard, Napoleon in Film, in Alison Castle (a cura di), Stanley Kubrick’s “Napoleon”, 2009.
  • Pierre Veber, La seconde vie de Napoléon Ier, J. Ferenczi & Fils, Parigi, 1924.
Visioni
  • Sergej Bondarčuk, Waterloo, Filmauro/Terminal Video, 2008 (home video).
  • Vittorio Cottafavi, Napoleone a Sant’Elena, RAI, 1973 (ora su RaiPlay).
  • Antoine de Caunes, Monsieur N., First Run Features, 2005 (home video).
  • Edmo Fenoglio, I grandi camaleonti, Rai Trade/Fabbri, 2009 (home video).
  • Milos Forman, L’ultimo inquisitore, Warner Home Video, 2013 (home video).
  • Giovacchino Forzano, Campo di maggio, Consorzio Vis Tirrenia, 1935.
  • Abel Gance, Napoleone. Versione integrale restaurata, Terminal Video, 2019 (home video).
  • Sacha Guitry, Le Diable Boiteux, MK2 Video, 2008 (home video).
  • Sacha Guitry, Napoleon, International Historic Films, 2013 (home video).
  • Yves Simoneau, Napoleone, Rai/Terminal Video, 2010 (home video).
  • Ridley Scott, I duellanti, Universal Pictures, 2011 (home video).
  • Alan Taylor, I vestiti nuovi dell’imperatore, CG Entertainment, 2006 (home video).
  • Paolo Virzì, N – Io e Napoleone, Warner Home Video, 2011 (home video).