Il disincanto
della space opera


Titolo originale: The Expanse
Ideatori: Mark Fergus, Hawk Ostby
Soggetto: James S. A. Corey
Rete/Sito: Syfy/Netflix (2015-2017)

Nonostante il clima da guerra fredda tra Terra e Marte, l’ambasciatore delle Nazioni Unite terrestri sul pianeta rosso non riesce a nascondere le sue simpatie per i coloni marziani. Terraformare il pianeta rosso è un progetto a lunghissimo termine con il quale la repubblica marziana, nazione ormai da tempo indipendente dalla Terra, intende trasformare l’habitat dominato dalla sabbia arancione per consentire agli umani di respirare normalmente in superficie. Quando incontra Chrisjen Avasarala l’ambasciatore le dice: “Sai cosa amo di più dei marziani? Che sognano ancora. Noi abbiamo smesso. È un’intera civiltà dedita a un obiettivo comune: collaborare tutti insieme per trasformare una sterile roccia in un giardino. Noi avevamo un giardino e lo abbiamo distrutto”. Dal canto suo Avasarala, influente membro delle Nazioni Unite terrestri, ribatte: “Non avrebbero fatto nulla di tutto questo senza le conoscenze secolari di Terra. Terra deve venire per prima”. Benvenuti nel sistema solare del ventitreesimo secolo: The Expanse, dove la Terra sembra dover svolgere il ruolo antipatico di un’anima vecchia in un corpo nuovo. La serie tv ideata da Mark Fergus e Hawk Ostby riadattando i romanzi di James S. A. Corey (gli scrittori Daniel Abraham e Ty Franck) che Fanucci sta pubblicando in Italia ci propone una fotografia dell’umanità nel momento in cui colloca insediamenti su tutti i corpi celesti più importanti del sistema solare, portandosi dietro drammatiche fratture sociali antiche quanto i primi flussi migratori sulla Terra. La spinta demografica e gli equilibri economici rendono aria e acqua più preziosi di quanto non lo siano mai stati petrolio e oro. Pianeti, planetoidi e asteroidi sono tutti da esplorare, terraformare, consumare.

In questo futuro sistema solare il gioco dell’espansione politica ha tre protagonisti: Marte, Terra e la Cintura. Mentre le due superpotenze sono sull’orlo di una guerra, i cinturiani cercano una strada per l’indipendenza istituzionale, proprio come fecero a suo tempo i marziani. Un predicatore di strada ci presenta la stazione di Cerere impiantata sul più grande asteroide della Cintura: “una volta era coperto di ghiaccio. C’era abbastanza acqua per mille generazioni. Prima che la Terra e Marte ce la strappassero via. Le immense ricchezze che scorrevano dai nostri cancelli non erano intese per noi”.

I popoli che abitano la serie
In The Expanse, non ci sono sfumature che rendano una delle tre fazioni moralmente superiore alle altre. Gli insediamenti cinturiani sono scavati nella roccia degli asteroidi tra Marte e Giove e sono enclavi cruciali per le sorti del genere umano in quanto crocevia di una economia che cerca nuovi margini di sviluppo nelle risorse minerarie extraterrestri. Vi lavora e vive un popolo di minatori spaziali, una specie di terzo mondo fatto di lavoratori sottopagati e fuoricasta scacciati da Terra e Marte. Sembra poco credibile che in futuri giacimenti minerari extraterrestri sia così decisiva la presenza di lavoratori umani (con tanto di famiglie al seguito) al posto di minatori robot. La rappresentazione degli avamposti spaziali sembra tirare indietro le lancette della storia fino all’epoca del colonialismo e della catena di montaggio fordista. Insomma qui il focus futurologico è tutto puntato sulle pressioni demografiche agenti nella nostra contemporaneità. In questo contesto si sviluppano il plot noir del detective Joe Miller, quello da space opera dell’equipaggio di un mercantile e le misteriose macchinazioni della Protogen (potentissima azienda terrestre in vena di folli esperimenti scientifici). Queste orbite narrative porteranno tutti all’interno di una nebulosa fatta di cospirazioni lontane anni luce da qualsiasi vincolo morale o legale.
La fantascienza di The Expanse raccoglie schemi e atmosfere ben consolidate cercando di imitare cult quali Alien, Blade Runner (Ridley Scott, 1979 e 1982) e Atto di forza (Paul Verhoeven, 1990) e il loro modo di entrare e uscire dalla fantascienza. Anche quando, nel corso della sua indagine, il detective Joe Miller esibisce una notevole interfaccia grafica, con le rotte delle astronavi che diventano ologrammi manipolabili, l’epifania lascia spazio al deja-vu. Così l’investigatore dal bel cappello (un po’ Sam Spade e un po’ Rick Deckard) e l’improbabile equipaggio di un cargo (la Nostromo di Alien) seguono le loro traiettorie in un mondo claustrofobico che sembra fatto di astronavi come sommergibili e stazioni spaziali pronte a esplodere per via della radicalizzazione degli strati più deboli della popolazione. La quasi totale assenza di scene live action in esterni sovraccarica la sensazione di vivere una vera e propria distopia. Perché allora guardare a un futuro così cupo tra le stelle quando invece potremmo semplicemente provare a salvare la Terra con la forza della tecnologia? L’interrogativo di fondo della serie è lo stesso che accompagna da decenni l’esplorazione spaziale come tema di rilevanza etica, economica e politica. Come l’ormai antico “perché mandiamo uomini nello spazio quando sulla Terra si muore ancora di fame?”, che implica un “noi” che puzza di Occidente e di ipocrisia.

Dall’allunaggio alle nuove fantascienze
Lo sbarco sulla Luna del 1969 è stato l’ultimo atto di un periodo di espansione ed esplorazione durato secoli. Come per tutte le grandi esplorazioni, anche l’allunaggio ha avuto delle ricadute tecnologiche sulla vita di tutti i giorni. Il più grande dono è stato una spinta decisiva per lo sviluppo di internet e degli elaboratori elettronici. Una spinta che ha spostato l’uomo nella post-modernità. Ciò non senza conseguenze sull’evoluzione dell’immaginario. Un ingresso anticipato da grandi scrittori di fantascienza volti all’esplorazione degli spazi interiori tra memoria e identità, realtà e illusione: James G. Ballard e Philip K. Dick, che preparano le visioni perturbanti di una nuova schiera di protagonisti della fantascienza cinematografica quali David Cronenberg, Terry Gilliam, David Lynch. The Expanse cerca nuove strade e si imbatte in nuovi pericoli: c’è la ricerca della proto-molecola che è un terrificante sentiero della sperimentazione tecnologica che potrebbe distruggere il genere umano oppure farlo rinascere in una forma nuova.
La risposta a tutte le domande è ancora una volta: sì, vale la pena affrontare lacrime e sangue se possiamo ricavare nuove tecnologie e nuovo slancio per continuare la corsa. Ma verso dove? Il paradosso insito in questo spirito è vedere scienziati lavorare a sistemi per rendere vivibile Marte quando la Terra comincia ad affrontare seri problemi ecologici come il surriscaldamento globale. E dunque perché il terraforming? Perché sognare di alterare le condizioni ambientali di un pianeta alieno per trasformarlo in una Terra più giovane quando non riusciamo a migliorare la nostra Terra? The Expanse prova a rispondere: intanto solo modificando radicalmente suolo e atmosfera per rendere l’habitat vivibile si metterebbero le cose in prospettiva, accendendo una scintilla per la concreta colonizzazione extraterrestre. Inoltre, da questa corsa tecnologica potrebbero scaturire ricadute positive anche rispetto alle attuali questioni ecologiche più scottanti quali il surriscaldamento globale e l’espansione dei deserti. Forse bisognerà cambiare anche il corpo umano. Ma si tratta di una visione a lunghissimo termine, perché probabilmente occorrerebbero centinaia di anni per apprezzare radicali mutazioni atmosferiche e genetiche.
In Beyond Earth: Our Path to a New Home in the Planets gli autori Charles Wohlforth e Amanda Hendrix analizzano ipotesi di colonizzazione alla luce sia della spinta esplorativa tipicamente umana sia della voracità (anche questa tipicamente umana) determinata dal bisogno economico. I due autori arrivano addirittura a ipotizzare come più probabile una futura colonizzazione del lontanissimo Titano (una luna di Saturno) che offre risorse naturali potenzialmente più interessanti di quelle del pianeta rosso. In effetti, a ben vedere, in The Expanse i marziani, che non sono ancora riusciti a terraformare il loro pianeta, sono fortemente dipendenti dalle risorse provenienti dalla Cintura. Oggi, a parte il sogno a lunghissimo termine della terraformazione e “a parte la vicinanza alla Terra, non vi è un solo motivo pratico per gli umani di andare su Marte” (Wohlforth, Hendrix, 2016). Per rendere realistica la colonizzazione occorre puntare su luoghi in cui siano presenti risorse in grado di innescare l’auto-sostentamento economico degli insediamenti. Questo perché la chiave della colonizzazione sarà sin dal primo momento la sopravvivenza delle strutture in qualsiasi circostanza politica ed economica.

Le dis/avventure del corpo
The Expanse prova a immaginare quanto possano cambiare le vite entrando in un’era di espansione coloniale. Individui nati sulla Terra, su Marte o sugli asteroidi della Cintura mostrano differenze anatomiche levigate da generazioni di vita nello spazio. In questo possibile futuro il corpo biologico riacquista un ruolo centrale. Con The Expanse, difatti, entriamo in un ordine di civilizzazione in cui il corpo viene alterato, drogato, spinto ai suoi limiti dalla volontà di potenza umana che tenta di trascendere anche i vincoli della biologia. E così da una parte l’uomo tira a sé l’ambiente per farlo avvicinare (almeno un pochino) all’essere umano e dall’altra spinge ai limiti la propria carne e il proprio cervello per adattarsi all’ambiente. The Expanse a volte ci diverte, a volte ci fa penare mettendo a repentaglio i destini dei protagonisti sempre fisicamente troppo fragili e inadeguati. Divertente la scena con sesso a gravità zero. Poi però sudiamo freddo per i tanti inconvenienti che possono capitare ai cercatori di ghiaccio che trascinano nel cosmo ammassi di preziosissima acqua solidificata tenendoli insieme con gigantesche reti e viaggiando a velocità snervanti.
Meno fantascienza sui mutamenti tecnologici dunque e più fantasie sulla possibilità di adattarsi biologicamente a inedite condizioni ambientali. Quando i vascelli spaziali salpano l’accelerazione iniziale è talmente potente da costringere gli astronauti all’assunzione di apposite sostanze psicoattive per attenuare gli effetti fisiologici. È la metafora di un’espansione violenta, quasi senza cinture di sicurezza. Interessante il confronto tra marziani e terrestri sul modo di svolgere gli interrogatori. Quando devono estorcere informazioni da un cinturiano i terrestri arrivano a sfruttare la gravità superiore della Terra come doloroso strumento di tortura. I marziani invece preferiscono assumere droghe stimolanti per acuire i sensi, stimolando connessioni mnemoniche e predisponendo allo studio del corpo per cogliere le minime gestualità involontarie.
In una fase della sua investigazione il detective Miller si imbatte in uno spoofer (uno strumento che mimetizza, che disturba i segnali di sensori esterni di tracciamento) collocato nel corpo di un cadavere. “Se ha uno spoofer è probabile che abbia altri aggeggi loschi in corpo. Microfono intrauricolare, stabilizzatore spinale, pompa pancreatica. Ah un chip di memoria criptata nel polpaccio”. Tra droghe e “aggeggi loschi in corpo” non sembrano esserci remore morali o timidezze quando si tratta di utilizzare il corpo per raggiungere uno scopo. Torna alla mente il modo in cui i marziani di Venusville nel film Atto di forza sfruttano le loro affascinanti mutazioni genetiche. Anche lì un popolo di fuoricasta costretto a vivere in ambienti artificiali per proteggersi dalle impossibili condizioni ambientali del pianeta rosso. Analogamente in The Expanse le leggi della fisica e le esigenze dell’economia configurano e modellano i corpi spingendosi fino all’editing genetico.

Sfruttamento economico e multietnicità
Il terzo mondo di The Expanse è costituito da famiglie poverissime di saltarocce che vagano da una stazione all’altra. Discendenti di famiglie altrettanto povere che a suo tempo giocarono la sola carta a loro disposizione: lasciare la Terra e cercare altrove. Il leader carismatico dei cinturiani esprime le rivendicazioni del suo popolo: “Abbiamo sempre avuto una bassa gravità e un’atmosfera che non possiamo respirare. I terrestri possono camminare all’aperto, alla luce. Possono respirare aria pura. Possono guardare il cielo blu e vedere qualcosa che dia loro almeno una speranza. E invece che cosa fanno? Guardano oltre quel cielo blu. Loro vedono le stelle e pensano subito: sono mie. I terrestri hanno una casa. È ora che anche i cinturiani ne abbiano una”. A partire dalla bassa gravità degli asteroidi e delle stazioni orbitali gli sceneggiatori hanno costruito il senso di appartenenza del popolo chiamato cinturiani. Non più, come la Storia terrestre insegna, una coscienza nazionale con basi etniche, religiose o linguistiche, ma un vero e proprio sodalizio politico ed economico.
Il design multietnico del cast di The Expanse è molto preciso ed esprime un perfetto equilibrio di etnie per ciascuna delle tre fazioni. Da notare, in tal senso, anche una significativa presenza femminile in ruoli chiave e di comando. Insomma la serie non è certo una celebrazione della diversità culturale o di una società post-razziale quanto piuttosto la fotografia di una costante antropologica che gli stessi personaggi chiamano “desiderio di potere”. Una cieca volontà che porta persino Marte (ovvero la prima ondata di coloni fuoriusciti dalla Terra) a sfruttare le debolezze politiche dei cinturiani. Questo confronto tra due diverse ondate migratorie ricorda il film I cancelli del cielo di Michael Cimino, un atipico western che nel 1980 provava a ricodificare un genere esaltando la matrice politica e ribaltando il conflitto tra coloni e indigeni. Come notano Jordi Balló e Xavier Pérez, i colonizzatori sono proletari europei, un popolo multirazziale unito solo dalla povertà e dall’istinto di sopravvivenza. I nemici non sono i pellerossa ma americani di origine europea che mirano a difendere i privilegi acquisiti. Nel solco di una ridefinizione del mito della fondazione e della ricerca di una Terra Promessa, il culmine del film è “la scena dell’attacco finale, in cui i proprietari terrieri bianchi si vedono circondati (come accade con gli indiani) dai nuovi umili immigrati che hanno deciso di ribellarsi” (Pérez, Balló, 1999).

I paesaggi familiari della science fiction
Ammettendo di riuscire a gestire la fatica di ri-fare la Storia, viene da chiedersi se l’uomo e i tanti mondi colonizzati e terraformati a immagine della Terra avrebbero le energie per crescere e svilupparsi senza squilibri e disfunzioni a noi familiari. L’immaginario fantascientifico è sempre stato ironico a riguardo. In tutti i contesti alieni troviamo qualcosa di familiare. Pensiamo ai romanzi di Edgar Rice Burroughs (e alla riduzione cinematografica di Andrew Stanton del 2012) che ci hanno abituati al rosso delle sabbie di Marte con le avventure di John Carter. Colori alieni per plot che hanno un codice genetico avvinghiato al western e all’avventura cappa-e-spada. Il deserto marziano, come quello su Tatooine in Star Wars (1977) o su altri pianeti desolati è spesso usato per drammatizzare la preziosità della vita e diventa una continua reinvenzione della frontiera statunitense oppure dell’incontro con civiltà altre rispetto all’Occidente. Quanto all’umanità di The Expanse, dismesse le antiche barriere storiche tra etnie e culture si ritrova ad affrontare la corsa allo spazio incorporando l’antico concetto delle staccionate con nuovi vessilli e nuovi conflitti. Solo i marziani e i mormoni sembrano riuscire a guardare avanti con progetti a lungo, lunghissimo termine. I primi con la prospettiva di terraformare Marte, i secondi con l’apparentemente folle idea di un viaggio multigenerazionale verso Proxima Centauri. Significativo il fatto che non siano le nazioni o le imprese private ma una setta religiosa a perseguire il sogno di un “passaggio a nord-ovest” extrasolare. Lontano dalla contesa tra le Nazioni Unite terrestri e il Congresso marziano, sulla stazione spaziale Tycho procedono i lavori per la costruzione di Nauvoo, la gigantesca astronave puntata verso le stelle. Divertente e un po’ spiazzante l’idea degli autori di The Expanse, che conferiscono ai gruppi più ideologizzati la prerogativa di essere ancora capaci di sognare.

Le convergenze parallele di scienza e finzione
Anche se non propone forme nuove e il design dei plot è molto convenzionale, The Expanse rappresenta comunque un’espressione fantascientifica interessante perché si discosta dai classici futuri lontani nel tempo e nello spazio e prova umilmente a fare delle ipotesi concrete. Ora che ci poniamo con più insistenza questioni relative al mutamento climatico, alle biotecnologie e alle pressioni demografiche sembra venuto il momento di sviluppare nuove fantascienze. Oggi le grandi organizzazioni scientifiche e alcuni ambiziosi privati stanno riportando in agenda le esplorazioni spaziali. Si aprono nuove opportunità per la classica space opera. Star Wars continua a mescolare tecnologia con misticismo e magia. La prospettiva sociopolitica di Star Trek insiste sull’incontro/scontro tra civiltà che si misurano sul metro antropologico. The Expanse cerca invece un approccio nuovo a una forma fantascientifica classica: incorpora icone e luoghi comuni del genere per rendersi immediatamente riconoscibile, ma poi cerca di ragionare su temi politici concretamente futuribili. Scenari che potrebbero prendere forma a partire da scelte che facciamo oggi. In The Expanse un ufficiale della marina marziana si sfoga così a proposito dello scontro di civiltà con i terrestri: “Noi non siamo come voi. Voi siete interessati solo ai sussidi governativi. Cibo gratis, acqua gratis, farmaci gratis così da distrarvi dalla misera vita che conducete. Voi siete miopi ed egoisti. Questo vi distruggerà”. Il riferimento al reddito di cittadinanza rimbalza dall’attualità alla fiction. Oggi la civiltà dei robot fa paura perché promette di distruggere posti di lavoro: un reddito minimo garantito per tutti sembra l’unica soluzione per ammorbidire la transizione verso nuovi modelli economici. Come nel gioco “tra meraviglioso e perturbante” (Todorov, 1977) analizzato da Tzvetan Todorov a proposito della letteratura fantastica, analogamente certa fantascienza comincia a muoversi tra fiction e attualità, seguendo puntuale le cronache tecnologiche.
Per questa via la narrativa di anticipazione può provare a scoprire (o riscoprire) un ruolo sociale e culturale ben preciso, quasi pedagogico, provando a mitigare le ansie determinate da una società sempre più complessa e veloce nei suoi spostamenti. E se il terraforming di Marte e la trivellazione degli asteroidi sono visioni che aiutano a rendere appealing la ricerca scientifica, allora ben vengano. Un giorno pezzi di tecnologie progettate per rendere vivibile il pianeta rosso o per cercare acqua sugli asteroidi potrebbero tornare utili sulla Terra, aiutando a fermare la desertificazione oppure a ricavare energia dalle fonti più insospettabili.

Letture
  • Jordi Balló, Xavier Pérez, I miti del cinema. Semi immortali, Ipermedium, S. Maria C.V., 1999.
  • Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica, Garzanti, Milano,1977.
  • Charles Wohlforth, Amanda Hendrix, Beyond Earth: Our Path to a New Home in the Planets, Knopf Doubleday, New York, 2016.
Visioni
  • Michael Cimino, I cancelli del cielo, Metro Goldwyn Mayer, 2003 (home video).
  • Paul Verhoeven, Atto di forza, Universal, 2010 (home video).