Il conflitto mediatico?
Inventato dai marziani…


H.G.Wells
La guerra dei mondi
Traduzione: Vincenzo Latronico
minimum fax, Roma, 2016
pp. 293, € 14,50

La rappresentazione è importante: i segni non sono mai materia inerte per giochi semiologici, contano davvero, incorporano e diventano leggi: sono cioè fondamentali per la nostra sopravvivenza come specie almeno quanto l’informazione genetica che sostanzia il nostro dirci uomini (cfr. Frasca, 2015). Il Novecento come secolo dei media ci ha insegnato che chi fa più opinione fa più mondo, come avevano preconizzato all’indomani della Seconda guerra mondiale Max Horkheimer e Theodor Adorno analizzando il DNA del nazismo e la sua figura topica: Joseph Goebbels (cfr. Horkheimer, Adorno, 1966). In questi giorni, perché alla fin fine si parla sempre dell’oggi, Steve Bannon, il principale stratega politico del neo-presidente statunitense Donald Trump, rievoca molto e non si sa quanto volutamente proprio la figura di Goebbels. E per citare subito una prima volta un autore non solo a noi caro, ma fondamentale per provare a comprendere la seconda metà del secolo scorso, non possiamo non pensare a Philip K. Dick e al suo romanzo del 1962, L’uomo nell’alto castello (The Man in the High Castle), di cui è stata realizzata anche una serie tv assai interessante). Insomma, tutto sembra ritornare e riannodarsi intorno ad alcuni temi topici in cui vorremmo mettere al centro il romanzo di H.G. Wells, La guerra dei mondi (1898) e l’emozione culturale che ne deriva (cfr. Lotman, 1985 e Frasca, 1996), a partire soprattutto dalla messa in radio del romanzo, per così dire, da parte del quasi omonimo Orson Welles. Per non parlare poi dei due film che ne sono stati tratti nel 1953 e nel 2005. Se ne può trarre un primo assunto che farà da guida a quanto segue: la guerra dei mondi è essenzialmente una guerra di media.
In un discorso radiofonico tenuto a Monaco il 14 marzo 1936, Marshall McLuhan ricorda che Adolf Hitler disse, a proposito del suo modo di intendere la politica: “Proseguo per la mia strada con la sicurezza di un sonnambulo” (McLuhan, 2008). Lo spazio auditivo sonnambolico nel quale si sono formate le generazioni tra le due guerre è stato dominato da una comunicazione a flusso che scioglieva le distanze in un unico ambiente di interconnessi, anticipando di fatto l’attuale esplosione elettronica di Internet.

Incantati e sedotti dai mezzi vocali
Il “sortilegio orale” dei discorsi radiofonici hitleriani venne evocato anche da Eric Havelock in un suo importante saggio del 1986, in un ricordo di un giorno di ottobre del 1939 a Toronto. Il set era un punto di ascolto radiofonico collettivo: “Hitler ci esortava a cessare le ostilità e a lasciarlo in possesso di quanto aveva conquistato. Le frasi stridule, veementi, staccate, risuonavano e riverberavano e si inseguivano, in serie successive, inondandoci, tempestandoci, quasi annegandoci, eppure ci tenevano inchiodati là, ad ascoltare una lingua straniera, che nondimeno potevamo in qualche modo immaginare di comprendere. Questo sortilegio orale era stato trasmesso in un batter di ciglia, a distanza di migliaia di chilometri, era stato automaticamente raccolto e amplificato e riversato su di noi” (Havelock, 1995).
Hitler si pose in qualche modo quindi sulla stessa strada battuta da Orson Welles con la messa in onda radiofonica, di circa un anno prima, di La guerra dei mondi, tratto dal romanzo di Wells: una strada “onnicomprensiva totalmente coinvolgente dell’immagine auditiva della radio” (McLuhan, 2008). E non a caso, è proprio evocando questa capitale radiodrammaturgia, straordinario media-event (cfr. Dayan, Katz, 1995) ante litteram, che vogliamo incentrare il nostro discorso a partire dal romanzo di Wells. Ben venga quindi la pubblicazione per minimum fax, e per una serie di motivi. Innanzitutto, per la nuova traduzione di Vincenzo Latronico che restituisce freschezza e agilità al testo di Wells, che nelle precedenti versioni soffriva un po’ gli acciacchi dell’età. Non è da sottovalutare il fatto che Latronico sia innanzitutto un romanziere (e che abbia pubblicato almeno due testi sul nostro presente che formano una triangolazione assai interessante con la guerra mediatica di cui si sta discutendo: La cospirazione delle colombe e La mentalità dell’alveare). Nella postfazione, Latronico spiega i tranelli in cui può incappare il traduttore di un lavoro di fantascienza a distanza di più di un secolo, in particolare quell’inevitabile “futuro anteriore” in cui ci si ritrova a precipitare quando si scrive un romanzo immaginando un futuro che sarà poi passato (e di gran lunga, se il testo diventa un classico) per i lettori delle nuove generazioni. Efficace è a questo proposito l’esempio del “laser”, all’epoca di Wells non ancora inventato ma a suo modo preconizzato dal suo “heat ray”. Allo stesso tempo, il volume contiene anche la sceneggiatura di Howard Koch per la regia di Welles, per quella che sarebbe diventata una delle trasmissioni radiofoniche più celebri di sempre. Utile poi anche il profilo bio-bibliografico dedicato al romanziere. Insomma, un’edizione da non perdere.

Essi ci osservano dappertutto
L’ossessione di Wells era quella di essere osservato, come ricorda Antonio Franchini nell’introduzione: un’ossessione anch’essa antesignana dei tempi a venire e che ritroviamo in tanta letteratura e poi in tanto cinema dei decenni successivi, fino a un altro romanzo essenziale di Dick: Un oscuro scrutare (1977). O si pensi ancora al recente Il cerchio di Dave Eggers (2013) e ad alcuni racconti del sottovalutato scrittore siciliano Antonio Pizzuto (“Nessuno s’illuda: vi è sempre chi ci guarda”, si legge nel suo Il capitano misterioso, del 1999). Così inizia infatti il romanzo di Wells: “Negli ultimi anni del diciannovesimo secolo nessuno avrebbe creduto che questo pianeta fosse osservato col massimo interesse da intelligenze superiori alla nostra, seppure anch’esse mortali; che mentre gli umani si dedicavano alle loro normali faccende qualcuno li scrutasse e studiasse, forse con la stessa minuzia con cui un umano scruta al microscopio le creaturine effimere che si accalcano in una goccia d’acqua”.
Ma facciamo un passo indietro. Prima la telefonia, poi il fonografo di Thomas Alva Edison, infine il grammofono della Bell Telephone Company prepararono il terreno per la trasformazione delle popolazioni occidentali in compiuti consumatori di media, in America prima, grazie al più alto livello di reddito, e in Europa a seguire. Fu però la radio, diffusasi capillarmente dopo la Prima guerra mondiale, a “ridisegnare i limiti percettivi dell’individuo, nel virtualmente infinito dell’altrove (in diretta) e nella scatola stagna della comunicazione unidirezionale e di massa da dare ogni volta come unica e individua” (Frasca, 1996). La radio, con le sue voci, preparò il terreno all’ascesa al successo degli uomini politici dell’epoca. Da Franklin D. Roosevelt ad Adolf Hitler, passando per le intuizioni di Vladimir Il’ič Lenin, morto prima di vedere esplodere le potenzialità del mezzo, i leader politici dell’epoca costruirono il proprio successo e il culto della loro personalità grazie al nuovo medium. A partire proprio dalla sperimentazione e dallo sviluppo del nastro magnetico grazie all’industria tedesca AEG-Telefunken (che tanta parte avrà nella risoluzione di molti problemi del cinema sonoro, quando diverrà, a guerra conclusa, patrimonio delle emittenti occidentali), Hitler potrà diffondere la sua voce in modo pulito e perfetto, abbattendo qualsiasi distanza, inverando quella funzione Goebbels in azione durante il Terzo Reich.

Un caso esemplare: la trasmissione di Welles
È proprio Orson Welles il massimo esempio di questo discorso. Welles è l’autore che più ha riflettuto sui rapporti tra cinema sonoro e radio, lavorando su voci che si disincarnano dai propri corpi. La voce di Welles è sempre lì a divincolarsi tra ciò che è vero e ciò che è rappresentazione del vero, tra verosimile e simulazione del verosimile. La sera del 30 ottobre del 1938, la notte di Halloween, la compagnia radiofonica di Welles, all’interno del suo programma settimanale The Mercury Theatre on the Air, esegue e manda in onda un adattamento del romanzo di fantascienza di Wells, La guerra dei mondi. Come è noto, la trasmissione provocò un’inedita reazione di panico, ovviamente non prevista da Welles, che tutt’al più voleva semplicemente fare uno scherzo di Halloween. Una reazione da psicosi collettiva che apparentemente è di difficile comprensione, a meno che non la s’inquadri in quell’incrocio storico che fa saltare in aria il predominio della cultura libresca (e alfabetica) a vantaggio di una cultura di segno diverso, su cui McLuhan ha molto insistito e che si stava generando grazie alla diffusione dei media elettrici, in primis proprio della radio. E allora, questa vera e propria estensione della vena di follia sottostimata da Welles, e che si attivò durante la messa in onda della Guerra dei mondi facendo slittare l’ascolto di una fiction nel territorio poroso del cosiddetto “reale”, avvenne perché il terreno era stato per tempo dissodato. Il negativo o contraltare dell’episodio della Guerra dei mondi avvenne puntualmente di lì a poco in un’altra trasmissione radiofonica con protagonista ancora Welles. Il 7 dicembre del 1941, e dunque in piena guerra mondiale, per quanto ancora gli Stati Uniti stessero decidendo se intervenire o meno, durante l’Orson Welles Show, in cui il nostro attore-regista stava recitando alcune poesie patriottiche, avvenne l’inaspettato, come ricorda lo stesso regista a Peter Bogdanovich: “Ero in onda su tutta la rete, leggevo da Walt Whitman quant’è bella l’America, e m’interrompono per annunciare l’attacco a Pearl Harbor, sembra proprio che io stia per ritentare il colpo, non ti pare? Roosevelt mi ha anche mandato un telegramma a riguardo. Non ricordo esattamente che diceva, non ce l’ho più. Qualcosa come «a forza di gridare al lupo, al lupo» eccetera” (Welles, Bogdanovich, 1992).

L’invasione narrata da Wells
Ma torniamo al romanzo. La narrazione è raccontata da un terrestre e quindi tutto è visto attraverso gli occhi di un uomo. Wells narra in maniera magistrale l’attacco alla Terra da parte dei marziani, descritti come esseri molto diversi dall’uomo e dall’aspetto ripugnante; i marziani sono dipinti come esseri simili a piovre, piuttosto fragili perché soggetti alla forza di gravità terrestre e per vincerla sono costretti a spostarsi con l’ausilio di ingombranti mezzi meccanici, congegni bellici dalla forma di enormi treppiedi (“tripodi”, nella vecchia traduzione) caratterizzati da un raggio incendiario. Wells ha descritto così queste macchine: “E vidi la Cosa. Come descriverla? Un mostruoso treppiedi alto quanto una casa, che solcava la pineta a grandi falcate schiantando gli alberi più giovani al passaggio; un macchinario semovente di metallo lucido, che ora già fendeva la distesa di erica; con cavi d’acciaio snodabili che pendevano dalla parte inferiore, e un poderoso clangore che a ogni passo copriva persino il rombo del tuono. Grazie al lampo potei distinguerlo nettamente, lanciato in avanti con due piedi a mezz’aria; poi sparì e ricomparve quasi istantaneamente al lampo successivo, cento metri più vicino. Avete presente uno sgabello inclinato, scagliato con forza sul terreno? Quella era l’impressione alla luce dei lampi. Invece di uno sgabello, però, immaginate un enorme ordigno meccanico montato su tre zampe”. Ci troviamo di fronte a un narratore che conosce e racconta tutta la storia, lo sviluppo delle vicende, esprimendo giudizi sui personaggi e sulle situazioni. La vicenda interessa diverse località dell’Inghilterra: dalla cittadina di Woking dove sorge l’osservatorio astronomico e dove vive anche il narratore con sua moglie, alle lande di Horsell, luogo dove atterra la prima navicella. Quasi tutti i personaggi, compreso il narratore, restano anonimi, fatta eccezione per l’astronomo Ogilvy, la signora Elphinstone e pochi altri. Va detto poi che ogni personaggio riveste una sua funzione: il protagonista ha come obiettivo principale quello di portare in salvo la moglie, raggiungerla e sfuggire agli alieni, questa la sua missione. In un primo momento, il narratore è accompagnato dall’astronomo Ogilvy, che si trova con lui la notte dell’atterraggio della navicella nella landa di Horsell; in seguito, lungo il percorso che va da Leatherhead a Woking, incontra il curato, considerato una sorta di aiutante-antagonista con cui il narratore si trova a vivere i momenti di prigionia in un casolare distrutto. L’artigliere del reggimento Cardigan, invece, ricopre un ruolo di compagnia. Il fratello del narratore affronta una situazione differente: il suo primo obiettivo è raggiungere Woking dove si trova il protagonista, ma una serie di vicende devia il suo percorso, facendogli incontrare la signora Elphinstone e sua sorella, che diventano compagne di viaggio del giovane. In questo modo, l’obiettivo cambia sfumatura: il suo scopo è, adesso, quello di proteggere le due donne e sfuggire agli alieni, raggiungendo le sponde del Tamigi, dove la corazzata Thunder Child riesce a tenere lontano la minaccia aliena. I veri antagonisti dell’intero racconto sono rappresentati dai treppiedi, macchine munite di una testa enorme e luccicante. L’obiettivo dei marziani è quello di indebolire le forze belliche dei terrestri, per poi iniziare a nutrirsi di essi… Ulteriori antagonisti sono i fenomeni chimici causati dagli alieni, come la nube di fumo nero, il raggio laser e la felce rossa, che si espande su tutto il territorio toccato dai marziani, sostituendo così la vegetazione terrestre e rendendo il paesaggio ancora più lugubre. La presenza di questa strana vegetazione è indice del drastico e spaventoso cambiamento dell’aspetto della Terra.

Il retroterra filosofico e storico della vicenda
Va evidenziato, in ogni modo, che alla base di questo romanzo fantastico vi è un fondamento filosofico: il rifiuto polemico della superiorità dell’uomo nell’universo. Wells era un forte sostenitore dell’evoluzione e la lotta tra marziani e umani per la conquista della Terra riflette l’etica del socialismo darwiniano. Il romanzo andrebbe inteso quindi come una critica alla politica del colonialismo europeo di quel tempo. Wells critica questa visione, descrivendo l’invasione aliena ingiusta e crudele, così come fu ingiusta e crudele la distruzione che l’essere umano (europeo) commise sulle altre popolazioni considerate inferiori. Una critica nei confronti dell’imperialismo britannico attraverso la metafora dell’invasione degli alieni.
Possiamo ben dire, quindi, che con Wells inizia una lunga serie di metamorfosi del marziano, che si rivelerà nel tempo figura privilegiata dell’immaginario terrestre, ideale per veicolare messaggi modellati degli eventi storici.
Wells racconta vicende in cui l’essere umano non è vinto né vincitore e non manca di sottolineare ogni passaggio in cui l’esile presenza del singolo uomo sul nostro pianeta appare profondamente effimera. Un richiamo anche al riscaldamento globale e all’inefficace risposta dei governi, oggi in particolare da parte degli Stati Uniti (al posto dell’impero britannico)? Strani e fruttiferi cortocircuiti. A voler interpretare questi primi mesi di presidenza Trump, varrebbe la pena allora leggere, insieme a 1984 di George Orwell e Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt, anche La guerra dei mondi di Wells. Attraverso la lettura del romanzo emergono infine gli studi scientifici dello scrittore, uniti a una profonda coscienza politica e a un’evidente sensibilità nella percezione degli stati d’animo umani, che gli furono d’aiuto nell’immaginare questa storia fatta di dettagli psicologici, di descrizioni biologiche marziane e di raffigurazioni di un’intera popolazione in fuga.
Tra le maggiori preoccupazioni che in quel periodo assillavano gli abitanti degli Stati Uniti, oltre al perdurare della crisi economica iniziata quasi una decina d’anni prima con la Grande Depressione, c’era l’imminenza di una nuova guerra in Europa. Nel marzo del 1938 la Germania annunciò l’annessione dell’Austria e solo poche settimane prima della trasmissione radiofonica di Welles le truppe naziste invasero la Cecoslovacchia. La diffusa sensazione di pericolo portò nel corso dello stesso anno all’istituzione della Commissione per le attività anti-americane che più tardi, sotto la guida del senatore Joseph McCarthy, avviò la cosiddetta “caccia alle streghe”. In questo contesto, i marziani del romanzo e soprattutto del radiodramma diedero corpo ai fantasmi delle molte paure che aleggiavano nel Paese. Secondo alcune ricostruzioni, seguirono il programma di Welles circa sei milioni di ascoltatori. Gli studi condotti anche a caldo per comprendere quali meccanismi avessero favorito un contagio del panico così esteso portarono a ritenere che molti ascoltatori si sintonizzarono sul radiodramma già iniziato. Gli annunci drammatici di Welles sembrarono pertanto verosimili. Tra gli ascoltatori c’erano anche alcuni geologi dell’Università di Princeton, che per amore della scienza andarono prontamente a cercare il “meteorite” caduto nei pressi del loro ateneo. Grover’s Mill diventò così la meta di una folla sempre più numerosa, con alcune auto della polizia inviate sul posto per controllare la situazione, e ben presto la scena sembrò proprio quella descritta alla radio.

Gli effetti della radiocronaca e i suoi insegnamenti
Dopo l’accaduto, la National Association of Broadcaster, attraverso il suo presidente, espresse scuse formali per il fraintendimento causato dal programma, mentre il vice presidente della CBS assicurò che non sarebbe mai più stata utilizzata la tecnica di inserire notiziari radiofonici simulati all’interno dei radiodrammi; anche Orson Welles, responsabile dell’originale adattamento radiofonico, presentò le sue scuse al pubblico. Secondo Hadley Cantril, che studiò il fenomeno e pubblicò per la prima volta nel 1940 il suo famoso studio di psicologia del panico, possiamo elencare alcune motivazioni principali per il successo dell’evento mediatico. Su circa sessanta minuti di trasmissione, quaranta sono stati impostati come radiocronaca in diretta, con l’aggiunta di collegamenti con esperti, personalità politiche e riferimenti a luoghi realmente esistenti. La radiodrammaturgia era di base ben orchestrata. Di grande importanza poi il momento in cui ogni utente si sintonizzò sul programma. Chi, all’oscuro di tutto, si trovò nel bel mezzo della trasmissione, ebbe certamente più motivazioni per allarmarsi. Dalle interviste alle vittime della trasmissione, Cantril trasse la convinzione che l’atteggiamento critico nei confronti del mondo esterno fosse il miglior mezzo per decodificare il messaggio, fronteggiare l’informazione basata sull’emotività e prevenire il panico. Cantril motivò le reazioni del pubblico anche con le ansie psico-sociali legate a una particolare congiuntura storico-economica. La ricerca rivelò che le reazioni degli ascoltatori erano molto diverse a seconda del ceto sociale d’appartenenza: la radio era cioè in grado di assecondare ansie e attese già esistenti in forma più o meno latente. Valutare i comportamenti da adottare dipese, cioè, da variabili socioculturali, quali il livello d’istruzione, l’appartenenza alla comunità e infine da fattori legati alla personalità. Questo mettere in rapporto, in maniera complessa e stratificata, società e prodotti mediatici non dovrebbe forse far suonare qualche campanello d’allarme in chi, in questi ultimi anni, ha criticato fortissimamente e da posizioni a dir poco banali la serie Tv Gomorra? Al lettore le dovute riflessioni.

Letture
  • Hadley Cantril, The Invasion from Mars. A Study in the Psychology of Panic, Harper Torchbooks, New York, 1966.
  • Daniel Dayan, Elihu Katz, Le grandi cerimonie dei media. La storia in diretta, Baskerville, Bologna, 1995.
  • Gabriele Frasca, La scimmia di Dio. L’emozione della guerra mediale, Costa & Nolan, Genova, 1996.
  • Gabriele Frasca, La letteratura nel reticolo mediale. La lettera che muore, Luca Sossella, Roma, 2015.
  • Erick A., Havelock La Musa impara a scrivere, Laterza, Roma-Bari, 1995.
  • Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1966.
  • Jurij M. Lotman, La semiosfera. La simmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, Marsilio, Venezia, 1985.
  • Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano, 2008.
  • Antonio Pizzuto, Il capitano misterioso in Narrare, Cronopio, Napoli, 1999.
  • Orson Welles, Peter Bogdanovich, Io, Orson Welles, Baldini&Castoldi, Milano, 1993.