Un universo fatto di oggetti:
la rivoluzione dell’OOO

Graham Harman                              
Ontologia Orientata agli Oggetti
Una nuova teoria del tutto
Traduzione di Olimpia Ellero

Carbonio, Milano, 2021
pp. 234, € 17,50

Graham Harman                              
Ontologia Orientata agli Oggetti
Una nuova teoria del tutto
Traduzione di Olimpia Ellero

Carbonio, Milano, 2021
pp. 234, € 17,50


Il primo contatto dei lettori italiani con la corrente filosofica nota con l’esotico nome di “ontologia orientata agli oggetti” (o con l’ugualmente enigmatico acronimo di OOO) è stato, nel 2018, con Iperoggetti di Timothy Morton. Pensatore proveniente dagli studi ecologici, Morton definiva gli iperoggetti come i nuovi costrutti attraverso cui pensare l’Antropocene: gli effetti dei cambiamenti climatici generano iperoggetti che si estendono nello spazio e nel tempo in modo molto più ampio di quanto l’essere umano sia abituato a comprendere, mettendo in collegamento eventi separati da enormi intervalli di tempo – per esempio i resti fossili di dinosauro risalenti a decine di milioni di anni fa con i gas di scarico delle nostre automobili – o da grandi distanze nello spazio – per esempio le radiazioni emesse in seguito all’incidente di Chernobyl hanno prodotto mutazioni nel DNA di umani, piante e animali a migliaia di chilometri di distanza, e l’uso di un gas particolare nelle bombolette spray nelle case degli occidentali ha prodotto un enorme buco nello strato di ozono sopra l’Antartide. Iperoggetti rappresentava già la messa in pratica dei princìpi dell’ontologia orientata agli oggetti; ma, per quanto nell’introduzione Morton si sforzasse di fornire al lettore le nozioni di base di questa corrente filosofica, finora mancavano i testi fondamentali, quelli del fondatore della OOO Graham Harman, che ha iniziato a scrivere sull’argomento a partire dalla fine degli anni Novanta e di cui finora nessuno delle decine di testi pubblicati è stato tradotto nel nostro paese. Il che è un peccato, perché la prosa di Herman è tutto sommato piacevole anche quando la si legge in originale, e i suoi testi – pur senza risparmiare al lettore i tipici tecnicismi e neologismi della cosiddetta filosofia continentale (antitetica alla filosofia analitica basata sulla logica) – sono perlopiù divulgativi.

La migliore introduzione alla OOO è ora finalmente stata pubblicata da Carbonio nella traduzione di Olimpia Ellero: è Ontologia Orientata agli Oggetti. Una nuova teoria del tutto, testo pubblicato dalla Penguin nel 2018 che rappresenta il più ambizioso tentativo di Harman di estendere i princìpi della OOO a tutti i campi del sapere, rendendola – come il sottotitolo chiarisce fin da subito – una nuova teoria del tutto.

Siamo tutti oggetti
I concetti di base dell’OOO sono molto semplici. Il più importante è quello di “ontologia piatta”. L’assunto della OOO è che non esistono gerarchie tra gli enti (gli oggetti). Gli esseri umani non sono più importanti non solo degli altri esseri viventi ma nemmeno degli oggetti inanimati e persino delle entità astratte, alcune delle quali magari non esisteranno affatto ma sono nondimeno oggetti come noi.
Tutta la filosofia occidentale, dopo la rivoluzione dell’idealismo, dunque sostanzialmente da Immanuel Kant in avanti, si è invece fondata sulla netta divisione tra soggetto e oggetto: esisterebbe una differenza ontologica fondamentale tra gli esseri umani e il resto del mondo, perché solo noi possediamo coscienza e consapevolezza, pertanto siamo gli unici che possono sentire e comprendere il mondo. La OOO smonta completamente questa idea e la sostituisce con la convinzione che tutti gli enti siano invece accomunati da una proprietà che Harman definisce il “ritrarsi o trattenersi delle cose dall’accesso diretto”.
È un concetto mutuato da Martin Heidegger, che per primo parlò di oggetti che si “ritraggono” tra loro, ma in verità ancora più antico, risalente almeno all’occasionalismo e alla monadologia. Non possiamo mai avere accesso all’intima essenza delle cose ma solo al modo in cui si presentano ai nostri sensi, a ciò che Harman chiama le qualità sensuali degli oggetti. È una verità che, come esseri umani, apprendiamo molto presto nel corso della nostra crescita intellettuale: non sapremo mai chi è davvero l’altro con cui ci relazioniamo, sia anche nostra madre, nostro fratello o il partner di una vita, perché la loro più intima identità ci è celata, esattamente come il nostro vero sé è inaccessibile agli altri. Solo che Harman si spinge oltre e afferma che questo grande dramma dell’incomunicabilità non riguarda solo gli esseri viventi, ma qualsiasi tipo di ente.

Per l’assonanza con la “programmazione orientata agli oggetti”, un paradigma di programmazione informatica, Harman ha scelto di parlare di oggetti anziché più genericamente di “enti”, scelta che probabilmente genera più confusione che chiarezza ma che è forse più appropriata dal momento che Harman estende la nozione di “oggetti” anche a cose talmente astratte che sicuramente non definiremmo “enti”, come per esempio la Compagnia olandese delle Indie orientali o la Guerra civile americana, che indubbiamente hanno una loro storia e hanno prodotto effetti tangibili nel mondo pur non essendo reali nel senso che tipicamente attribuiamo a questo concetto.
Gli oggetti si caratterizzano per la loro irriducibilità: non possono essere “minati dal basso” (undermined) né “minati dall’alto” (overmined), vale a dire che non possono essere ridotti ai loro costituenti di base (per esempio gli atomi), né possono essere ridotti a parti di oggetti più grandi. Per esempio, l’Italia è un oggetto che dispone sicuramente di un’identità autonoma rispetto alle parti che la compongono (le città, le montagne, i fiumi, i suoi abitanti ecc.) e al tempo stesso rispetto a oggetti più grandi di cui è parte, come per esempio l’Unione europea, il G7 o le Nazioni unite.

L’oggetto quadruplo
Cosa possiamo conoscere di questi oggetti? Qui si situa la parte centrale della OOO. Per Harman, che appartiene alla corrente del “nuovo realismo”, non è vero che, dal momento che l’intima essenza degli oggetti è preclusa alla nostra conoscenza, ci resta solo un radicale relativismo. Possiamo comunque ottenere una qualche forma di conoscenza dagli oggetti che compongono la realtà, anche se più complessa rispetto alla nostra ambizione di arrivare “al cuore delle cose”. Harman parla di oggetto quadruplo perché nella OOO possiamo distinguere tra due tipi di oggetti e due tipi di qualità: l’oggetto reale da un lato e l’oggetto sensuale dall’altro, vale a dire ciò che Kant chiamava la cosa in sé (il “noumeno”) da un lato e la sua immagine sensibile dall’altra (il “fenomeno”); e le qualità reali da un lato e le qualità sensuali dall’altro. Le diverse relazioni (“tensioni”) tra questi quattro elementi rappresentano uno dei principali oggetti di studio della OOO (che Harman aveva già trattato nel suo libro The Quadruple Object).
L’assunto centrale è che gli oggetti reali non sono in grado di entrare in contatto tra loro per cui hanno bisogno di ciò che in OOO si chiama “causazione vicaria”. Il richiamo è all’occasionalismo, che riteneva impossibile che due enti creati potessero entrare in contatto tra loro senza la mediazione divina. Nell’occasionalismo, dunque, Dio è ciò che produce la causazione vicaria, permettendo agli enti di interagire tra loro. Ma per la OOO nessuna entità, nemmeno Dio, può arbitrariamente instaurare un contatto diretto tra oggetti reali. Per capire cosa può produrre la causazione vicaria dobbiamo comprendere innanzitutto le tensioni tra i quattro elementi dell’oggetto quadruplo.

La tensione tra oggetti reali (OR) e qualità sensuali (QS) definisce lo spazio: la distanza incolmabile tra ciò che gli oggetti esperiscono di un altro oggetto e l’oggetto in sé.
La tensione tra oggetti sensuali (OS) e qualità sensuali (QS) definisce il tempo: la differenza tra qualità che mutuano in continuazione e oggetti duraturi.
C’è poi la tensione tra oggetti sensuali (OS) e qualità reali (QR), che Harman chiama eidos richiamandosi al mondo delle idee platoniche: è la relazione che intercorre tra l’oggetto che esperiamo e le sue proprietà ideali, per esempio tra un cavallo che vediamo e le proprietà di un cavallo ideale.
Infine la tensione tra oggetto reale (OR) e qualità reali (QR) ne definisce l’essenza, destinata a essere perennemente preclusa non solo ai nostri sensi, ma a qualsiasi altro oggetto. Dunque, attraverso la teoria dell’oggetto quadruplo l’OOO spiega che “due oggetti reali nel mondo entrano in contatto non attraverso un impatto diretto, bensì solo tramite le immagini fittizie che si presentano a vicenda”.

Il mare color del vino
Resta quindi la domanda: cosa possiamo conoscere del mondo, se la cosa in sé rifugge dalla nostra conoscenza? A cui se ne aggiunge un’altra: in che modo possiamo conoscere il mondo? Secondo la OOO e in generale l’approccio del nuovo realismo, non siamo destinati al relativismo estremo che conduce alla post-verità. Possiamo comunque acquisire una conoscenza che ha valore per noi attraverso gli OS e le QS. L’esempio di Harman proviene da Omero, nei cui poemi spesso il mare è descritto come “color del vino”. Sappiamo che il color del vino non è una qualità reale del mare, ma una qualità sensuale. Il mare così descritto è un oggetto sensuale, non un oggetto reale, eppure siamo in grado di dire qualcosa su di esso (il suo colore), che è pur sempre una forma di conoscenza, perlomeno per l’oggetto reale rappresentato dall’osservatore. Per usare il linguaggio di Harman, “poiché l’OR (mare) è perennemente inaccessibile, viene sostituito dall’OR (osservatore). Io stesso, in quanto lettore del poema omerico, devo eseguire la metafora, subentrando al posto del mare assente, altrimenti non ci sarà nessuna metafora”.

Non si tratta di una conoscenza parziale, come si potrebbe a prima vista pensare. Del sole ci interessano le sue QS, ossia il fatto che brilli in cielo oppure sia nascosto dalle nuvole la mattina quando ci alziamo, l’ora in cui tramonta e quella in cui sorge, eccetera. Anche quando gli scienziati spediscono nello spazio sonde e telescopi per meglio comprendere l’essenza del Sole (a cui non a caso attribuiamo la lettera maiuscola), in realtà tutto ciò che fanno è fornirci una comprensione migliore dell’OS, non dell’OR: del sole per noi.
Attenzione però a non ricadere nell’idealismo, e in ciò che il fondatore del realismo speculativo Quentin Meillassoux chiama “correlazionismo”. Intanto questa forma di conoscenza appartiene a tutti gli oggetti, non solo agli esseri umani, coloro che l’idealismo definiva “soggetti”. In secondo luogo, in opposizione a teorie sempre più diffuse anche nella fisica, di tipo relazionale, non è vero che gli oggetti reali non esistono mentre esistono solo gli oggetti sensuali, ossia che le cose esistono solo attraverso la relazione con altri enti: gli OR esistono realmente, semplicemente non possiamo conoscerli.

Una filosofia per l’Antropocene
Ma a cosa può servirci l’OOO? Fermo restando che l’utilità della filosofia consiste, essenzialmente, nel provare a illuminare il nostro precario pellegrinaggio tra le tenebre del mondo, Harman cerca nel suo libro di proporla come autentica teoria del tutto, estendendone il valore dalla metafisica – suo ambito di origine – all’estetica e all’etica. Tentativi probabilmente ancora immaturi, perché si tratta delle pagine decisamente meno convincenti del libro. Iperoggetti di Morton ci ha però mostrato quale utilità l’approccio dell’OOO possa avere nel contrastare l’antropocentrismo di cui siamo al contempo carnefici e vittime e quindi rappresentare una via di uscita dall’Antropocene. Riconoscendo che tutti gli oggetti possiedono proprietà comuni, in particolare una certa capacità di entrare in contatto con altri oggetti (la prensione, che non richiede necessariamente una coscienza sensibile per esprimersi), l’Uomo viene scalzato dal suo piedistallo e diventa possibile restituire valore a ciò che, all’interno del mondo, abbiamo finora trattato da “oggetti” per la loro utilità – piante, animali, cose.
Correttamente, nella sua prefazione al libro, Francesco D’Isa giudica il concetto dell’ontologia piatta il più prezioso dell’OOO:

“Un cane, un’ape o un pipistrello percepiscono in modo molto diverso dall’uomo – con colori differenti, più o meno odori, addirittura con un radar – e non possiamo esperire il loro mondo. Ancor più difficile è immaginare il mondo percepito da una pianta, che è senz’altro viva, ma forse non cosciente. Come figurarsi il calore per una foglia? Eppure è viva e reagisce alla luce del Sole. Se questo sforzo è difficile, sarà ai limiti del ridicolo immaginare il mondo dalla prospettiva di un sasso. Un sasso, una sedia o una tazza non hanno certo una prospettiva! Eppure se sostieni che esistono un sasso, una tazza e una sedia, il mondo deve darsi anche per loro. Se un oggetto possiede un’individualità, non può avere solo una terza persona ed esistere solo per noi, ma anche un modo in cui il mondo si dà e si rapporta a esso”.

L’interesse dell’OOO è dunque nella possibilità che offre di rappresentare un nuovo paradigma di interpretazione della realtà, che sta già producendo molti frutti nel pensiero ecologico e in quello della filosofia della scienza (utile a tal proposito la lettura del primo capitolo del libro, in cui Harman mette in discussione l’ambizione della fisica di pervenire a una teoria del tutto fondata sul fisicalismo, l’idea cioè che solo ciò che la fisica descrive sia reale), ma che ha tutte le carte in regola per produrre risultati fecondi nelle più varie discipline e, in generale, nel nostro tentativo di comprendere il mondo.

Letture
  • Graham Harman, The Quadruple Object, Zero Books, Winchester-Washington, 2011.
  • Timothy Morton, Iperoggetti, NERO, Roma, 2018.