S’i’ fosse mucca, cavallo,
o un qualsiasi altro animale

Gianna Manzini
Arca di Noè
Rina Edizioni, Roma, 2023
pp. 177, € 16,00

Gianna Manzini
Arca di Noè
Rina Edizioni, Roma, 2023
pp. 177, € 16,00


Lulubelle III ci osserva da oltre mezzo secolo. Il suo sguardo è impenetrabile. Lulubelle III era la mucca frisona trasformatasi in modella epifanica sulla copertina dell’album dei Pink Floyd, Atom Earth Mother (1970). Non aveva niente di speciale, era una mucca, un animale, dunque imperscrutabile per umani cartesianamente raziocinanti quali siamo, al punto che tuttora ignoriamo se avesse capito qualcosa riguardo a noi in quel frangente e nel corso della sua intera vita. È però probabile che sia così, è un sospetto radicato: essi, tutti gli animali, ci scrutano nel profondo. Lo intuì tempo addietro Gianna Manzini (Pistoia 1896 – Roma 1974), non riuscendo a “sfuggire all’impressione che gli animali, sul conto nostro, la sappiano più lunga di noi, sul conto loro”, come scrisse in Il mio bestiario, l’introduzione al suo Animali sacri e profani, racconti poi confluiti in una nuova silloge di ventidue storie: Arca di Noè.
In uno dei racconti, Altri gatti: Romeo, il Mendicante, il Guerrino, la Bellona, questo sguardo radicalmente differente e l’ancestrale sapienza a esso correlata si riassumono in un passaggio illuminante. Romeo, il primo dei personaggi descritti, una gattina malgrado il nome, manifesta uno struggimento proveniente da molto lontano da:

“qualcosa di mitico, dove io non lo raggiungevo: e dove lui avrebbe voluto condurmi sul filo di quello sguardo calamitante e sgomento. «Tu sei irretita, anche con l’anima, nel tuo intrigo di sensi, nella chimica, nella magia, nella meccanica del tuo corpo; io vengo da più lontano; io sono più lontano» mi diceva. E il suo mistero mi attraeva, pungentissimo, attraverso il celeste esterrefatto di quegli occhi.
Sapeva tutto di me; e io quasi nulla di lui”.

L’intera opera di Gianna Manzini è percorsa dal tema degli animali (“un tema di fronte al quale mi sono impuntata” sentenziò in quell’introduzione), dalla raccolta di racconti Incontri col falco del 1929 alla successiva Boscovivo (1932) fino a Ritratto in piedi (1971), il suo ultimo romanzo. Un interesse nato dall’attrazione nei confronti della loro innocenza, di quella natura primordiale che consente a essi di intrattenere un rapporto privilegiato con il cosmo, custodendone i misteri (erano gli altri abitanti dell’Eden, ricordiamolo), e del pudore che ci assale osservandoli. Cuore di questa inesausta indagine sono senza dubbio i sopra citati, Animali sacri e profani del 1953 e Arca di Noè del 1960, moderni bestiari nei quali si raddensa trovando forma definitiva la sua produzione letteraria sul tema con esiti via via più simbolici e surreali. Testi da tempo irreperibili, ma dopo anni di imperdonabile oblio, Rina Edizioni riscopre Gianna Manzini e ripubblica Arca di Noè, che di Animali sacri e profani sopprimeva due racconti e ne aggiungeva uno (Amicizie pericolose). L’edizione Rina include anche i due esclusi (Un pesce falso tra i pesci veri e Un bruco) e Il mio bestiario.
Quella intrattenuta da Gianna Manzini con il regno animale era una relazione privilegiata sorretta da una scrittura incantevole, ricca di metafore e anacoluti, di analogie oblique e linguaggi cifrati, disseminata di digressioni e aneddoti, una scrittura che regala ritratti oltremodo lirici e altresì concrete rappresentazioni di animalia d’ogni tipo, dei quali pare intenzionata a  “rendere visibile l’anima” per ricorrere alle parole di Robert Bresson (in Weyergans, 1965), autore di un film visionario come Au hasard Balthazar (1966), che posa il suo sguardo su un animale umile e sacro: l’asino. Proprio la settima arte sembra attualmente la vera erede dello spirito infuso nelle storie manziniane, dall’omaggio al film di Bresson realizzato da Jerzy Skolimowski, ovvero EO (2022), odissea tragica di un altro asinello, o alla capretta bianca ripresa in Le quattro volte (2010) di Michelangelo Frammartino per non dire di Gunda (2020) di Victor Kossakovsky, con le sue osservazioni dal vero di maialini, galline e mucche e soprattutto Il cavallo di Torino (2011) di Béla Tarr laddove il cavallo è quello che Friedrich Nietzsche fatalmente abbracciò.
In questa cornice, si rafforza il valore delle storie manziniane, e si esalta la potenza di una scrittura sulla quale l’autrice lavorava mentre la sua Arca si affollava. Una parola resa progressivamente più asciutta, a volte condotta sulla soglia del silenzio, ora malinconica ora serena, sempre cristallina, intimamente lirica. Lavoro costante condotto esplorando parimenti la possibilità di limare il ritardo gnoseologico di noi umani, come riassume in questa splendida digressione nel racconto Pascolo a Carbonin:

“Può darsi che i mezzi di cui disponiamo per sollevare nel vivo dell’attenzione quello che passa o giace in noi siano davvero grossolani e inadatti; ma accade che, di là da ogni sforzo e da ogni arte, talvolta si liberi dal fondo, nascondiglio o sepoltura che sia, una scheggia di straordinaria conoscenza; e salti fino alla luce delle parole […] Queste fortune capitano di rado; a me, di tanto in tanto, con gli animali”.

Tra quell’origine senza peccato e il presente c’è la morte a far da spartiacque e fa capolino in molti di questi racconti, a partire da quello iniziale, Un cavallo, animale ormai morente, che ricorda la sua giovinezza fastosa, quando intratteneva il pubblico di un circo. Colto nelle ultime ore della sua vita è anche il protagonista di Un cane, che nella sua ultima mattina ripercorre il passato. Morte in azione anche in Una vacca, resoconto della rassegnata osservazione degli eventi da parte della compagna di ruminazioni della vacca morente.
Morte ma anche vita, l’insorgere della scintilla vitale, il sesso, ne Il falco. Rito di passaggio all’età adulta della “signorina”, la tredicenne Lilla quando nella soffitta in casa della nonna della sua amichetta incontra il rapace ancora convalescente dopo una ferita a una zampa. L’animale appare spento, esangue. È l’amica undicenne a narrare:

“Lilla scorse la bestia e prese a gridare. Appena le fu davanti cominciò ad abbassarsi e alzarsi, gioiosa. Allora, per la prima volta, sentii la voce del falco; e gli vidi le ali spiegate: era finalmente un falco vero”.

Elemento perturbante che attiva pulsioni sin ad allora tenute a freno, il falco è anche indice della continua trasfusione di ricordi nella pagina letteraria di Gianna Manzini, essendo un animale ripescato dalla sua infanzia trascorsa nella campagna pistoiese, terra di tradizione venatoria.
In altre storie si sovrappongono memoria e sapere dell’autrice, iconografia sacra e animalità trionfante. È il caso di Il sangue del leone e II cavallo di San Paolo. Il primo si basa sul tema derivante dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine: san Girolamo che estrae la spina dalla zampa del leone. Anche se non dichiarato, le prime battute sono la descrizione della tempera di Giovanni di Paolo, San Girolamo medica la zampa del leone (1436). L’intera descrizione fa tesoro del flusso di coscienza à la Virginia Woolf e nell’insieme il racconto si pone in bilico tra onirico e reale. Lo stesso dicasi del secondo, dove la fonte è citata esplicitamente. Si tratta de La conversione di San Paolo, un dipinto di Niccolò dell’Abate del 1528. Il racconto disegna un potente ritratto del cavallo la cui virtù segnata dal bianco immacolato del suo mantello folgora lo stesso santo.
A ben vedere, l’intera raccolta pare una sorta di autobiografia i cui capitoli sono gli incontri, assai significativi, con animali e opere che li adottano come soggetti, e il cui fine ultimo, tornando all’introduzione, è salvaguardare “la purezza di un’alba di vita che io, negli animali, saluto come la mia preistoria stravagante”.

Letture
  • Gianna Manzini, Incontro col falco, Corbaccio, Milano, 1929.
  • Gianna Manzini, Boscovivo, Treves-Treccani-Tumminelli, Milano-Roma, 1932.
  • Gianna Manzini, Ritratto in piedi, Mondadori, Milano, 1971.
Visioni
  • Michelangelo Frammartino, Le quattro volte, CGE, 2010 (home video).
  • Victor Kossakovsky, Gunda, Filmwelt Verleihagentur, 2021 (home video).
  • Jerzy Skolimowski, EO, I Wonder Pictures, Polonia, Italia, 2022.
  • Béla Tarr, Il cavallo di Torino, in Béla Tarr Collection,‎ Movies Inspired, 2017 (home video).
  • François Weyergans, Robert Bresson: ni vu ni connu, Cinéastes de notre temps, ORTF, 1965.