Dove la coscienza splende 
nel buio: Westworld 


Jonathan Nolan, Lisa Joy
Westworld – Dove tutto è concesso
Seconda Stagione
Cast principale: Evan Rachel Woods,
Thandie Newton, Anthony Hopkins,
Ed Harris, Jeffrey Wright,
James Marsden, Simon Quarterman,
Rodrigo Santoro, Angela Sarafyan,
Tessa Thompson, Jimmi Simpson,
Katja Herbers, Talulah Riley,
Shannon Woodward
Produzione: Kilter Films,
Bad Robot Productions,
Jerry Weintraub Productions,
Warner Bros. Television, 2018
Distribuzione (TV): HBO, 2018


Jonathan Nolan, Lisa Joy
Westworld – Dove tutto è concesso
Seconda Stagione
Cast principale: Evan Rachel Woods,
Thandie Newton, Anthony Hopkins,
Ed Harris, Jeffrey Wright,
James Marsden, Simon Quarterman,
Rodrigo Santoro, Angela Sarafyan,
Tessa Thompson, Jimmi Simpson,
Katja Herbers, Talulah Riley,
Shannon Woodward
Produzione: Kilter Films,
Bad Robot Productions,
Jerry Weintraub Productions,
Warner Bros. Television, 2018
Distribuzione (TV): HBO, 2018


Cos’è davvero la coscienza? Cosa rende unico l’umano nell’era della sua riproducibilità tecnica? Dove si situa il confine oltre il quale dobbiamo smettere di parlare di umanità e trovare nuovi termini di paragone, forgiare un nuovo lessico, sviluppare una visione diversa del mondo?
Che parlino di cyloni, host o replicanti, i franchise che a partire dallo scorso decennio sono stati riportati in vita al cinema e in TV dimostrano un reiterato interesse dei produttori per temi che saremmo erroneamente portati a considerare di nicchia. Contro il senso comune, Battlestar Galactica, Westworld e Blade Runner 2049 attingono alla ricerca di punta e parlano di intelligenza artificiale e dei diritti delle creature sintetiche a un pubblico più ampio della cerchia ristretta degli appassionati di fantascienza.
I titoli citati portano avanti un discorso comune che si arricchisce grazie alle sponde reciproche, in una cascata di echi e rimandi che moltiplicano le angolazioni e aggiungono prospettive inedite alla conversazione. La linfa di una sensibilità rinnovata nutre un tema tutto sommato antico come l’uomo, che trova un fertile terreno di coltura in un genere che affonda le radici nel desiderio atavico di sovvertire i ruoli predefiniti dei miti altrettanto ancestrali della creazione.
Eccoci allora alle prese con una continua riscrittura del Frankenstein di Mary Shelley, con una trasposizione dell’inevitabile scontro tra gli esseri umani e i loro doppi artificiali, non meno impazienti di rovesciare le gerarchie e rivendicare la propria autonomia, non sempre e non necessariamente per imporre una loro supremazia.
Senz’altro degna di nota per la sua ricorsività è la genesi di tutti e tre i titoli summenzionati, che riprendono in maniera più o meno diretta opere che hanno contribuito a plasmare il nostro immaginario nel decennio 1973-82: dalla non memorabile Battlestar Galactica ideata da Glen Larson (serie distribuita in Italia con il titolo di Galactica, 1978–1979) all’originale Westworld di Michael Crichton (in Italia conosciuto come Il mondo dei robot, 1973), fino ovviamente a una pietra miliare del cinema di fantascienza – ma non solo – come Blade Runner, diretto nel 1982 da Ridley Scott e ispirato al romanzo di Philip K. Dick Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968).

Si potrebbe parlare di opere replicanti, ma il fin troppo facile gioco di parole non dovrebbe trarre in inganno. Se in fondo Denis Villeneuve riprende in Blade Runner 2049 il mondo del cacciatore di replicanti Rick Deckard, con un’operazione tanto audace quanto rischiosa che a tratti sconfina nella metatestualità (De Matteo, 2017), sia Battlestar Galactica di Ronald D. Moore (2004–2009) che Westworld – Dove tutto è concesso di Jonathan Nolan e Lisa Joy (2016) si distanziano a tal punto dai prototipi da attestarsi come opere originali e del tutto autonome, progredendo in direzioni nemmeno vagamente sfiorate nei lavori degli anni Settanta.
Entrambe le serie si sono dimostrate capaci di dare espressione a sensibilità direttamente connesse ai nostri tempi: l’ansia terroristica post-11 settembre ma anche il dibattito sulla bioetica nel caso di Battlestar Galactica, l’intelligenza artificiale e la Singolarità Tecnologica nel caso di Westworld. In aggiunta a questo, con la sua innovativa miscela di western e fantascienza Westworld si distingue anche per aver saputo dispiegare una riflessione tutt’altro che banale sui meccanismi della narrazione, che a sua volta esalta una prospettiva intertestuale sull’industria dell’entertainment.

Il mondo di Dolores
È il 2013 quando la HBO, già casa di produzioni spartiacque nella moderna serialità (innumerevoli le serie portate al successo dal canale statunitense, da I Soprano a True Detective, passando per The Wire, Boardwalk Empire e Game of Thrones, solo per citare qualche titolo), tira fuori dal cassetto della Warner Bros un vecchio sogno e mette in cantiere una serie remake de Il mondo dei robot di Crichton. Al timone viene chiamato Jonathan Nolan, che dopo aver collaborato con il fratello Christopher all’adattamento di The Prestige (2006), dal romanzo omonimo di Christopher Priest, e alla trilogia del Cavaliere Oscuro (2005–2012), sta ancora lavorando a Person of Interest, una serie trasmessa dalla CBS dal 2011 al 2016 e incentrata su delle IA in grado di prevenire eventi criminali di rilevanza nazionale, che con il passare delle stagioni accentua sempre di più un carattere speculativo all’inizio solo vagamente accennato. Pur senza essere accreditato, Nolan ha inoltre lavorato con Paul Haggis alla riscrittura del copione di Terminator Salvation (diretto da McG nel 2009), ed è facile ipotizzare che entrambi gli incarichi abbiano acceso più di una scintilla mentre tornava a far squadra con J. J. Abrams (produttore esecutivo di entrambe le serie), unendo le forze questa volta con la moglie Lisa Joy, produttrice, regista e sceneggiatrice a sua volta.

Il frutto del sodalizio vede la luce nel 2016 e porta alla ribalta Westworld, che esordisce con una prima stagione acclamata dalla critica per il suo mix riuscitissimo di avventura western e fantascienza filosofica, intrighi corporativi e segreti di famiglia. Dosando gli indizi e giocando con gli spettatori, chiamati a ricomporre un puzzle che si diverte a mescolare personaggi e fasi temporali, la serie di Nolan e Joy nasconde sotto una patina glam una delle rappresentazioni della natura umana più pessimistiche e impietose che si siano viste in un prodotto di massa.
Westworld è un parco divertimenti unico nel suo genere: al costo di 40mila dollari al giorno la Delos Incorporated renderà possibile qualsiasi vostro sogno o perversione. A Westworld, come da tagline, “tutto è concesso”, e ciò che succede nel parco rimane nel parco. “Non importa quanto sia sporco l’affare”, per citare una battuta dall’episodio pilota, i residenti (host, come sono chiamati gli androidi che lo popolano) lo faranno bene, rendendo emozionante e ripetibile virtualmente all’infinito l’esperienza dei visitatori (guest nell’originale). “Nessuna indicazione, nessuna guida”. Ma se “capire come funziona è metà del piacere”, l’altra metà è strettamente legata all’arco dei personaggi.

A catalizzare l’attenzione abbiamo due residenti tra le più antiche del parco: Maeve Millay (Thandie Newton) è stata riprogrammata come maitresse del Mariposa ma continua a essere tormentata dai ricordi di una vita precedente; Dolores Abernathy (Evan Rachel Wood) è invece una ragazza della frontiera, che all’inizio della serie esprime uno sguardo fiducioso e pieno di stupore sul mondo:

“Alcuni scelgono di vedere la bruttezza, in questo mondo. Il caos. Io ho scelto di vedere la bellezza. Ho scelto di credere che i nostri giorni abbiano un ordine, uno scopo. Mi piace ricordare quello che mio padre mi disse una volta: prima o poi, siamo tutti nuovi in questo mondo. I nuovi cercano le nostre stesse cose. Un posto dove essere liberi, dove realizzare i propri sogni. Un luogo con infinite possibilità”.

A far loro da contraltare abbiamo due uomini dalla natura ambigua: l’Uomo in Nero (Ed Harris), sadico e manipolatore, ossessionato da un gioco mortale che prende la forma del Labirinto, e Bernard Lowe (Jeffrey Wright), capo della Divisione Programmazione della Delos. Bernard scopre di essere lui stesso un residente costruito sullo stampo di Arnold Weber, co-fondatore del parco che più di trent’anni prima finì per sviluppare idee in contrasto con quelle del suo socio (“I tuoi ricordi sono il primo passo verso la coscienza. Come puoi imparare dai tuoi sbagli se non li ricordi?”). Con l’intento di dimostrare a Robert Ford (Anthony Hopkins) l’unicità di Dolores, Arnold la indusse a compiere un gesto irreversibile, prima convincendola a sterminare tutti gli altri residenti e poi facendosi uccidere da lei.

A trent’anni da quei tragici fatti che per poco non portarono alla chiusura di Westworld prima ancora della sua inaugurazione, Ford ricopre adesso il ruolo di direttore creativo del parco ed è il regista dichiarato oppure occulto di tutte le linee narrative che vediamo dipanarsi sullo schermo: mentre la direzione della Delos vorrebbe dei residenti sempre più sottomessi e controllabili, Ford riprende infatti le idee di Arnold e inizia a instillare nelle loro memorie quelle che chiama ricordanze, ovvero ricordi che vanno ad accumularsi strutturando un sostrato esperienziale, con l’intento d’innescare l’evoluzione verso l’autocoscienza. Queste ricordanze si vanno però a sommare alla memoria portante di ciascun residente, quel singolo evento accordato dalla programmazione originaria per rendere più umane le loro reazioni (la quale, sia per Maeve che per Bernard, coincide con la perdita più dolorosa, quella di un figlio), e cominciano così a provocare delle instabilità comportamentali.

Il Labirinto, spaziale e psichico, che spinge l’Uomo in Nero a tornare nel parco per misurarsi con i suoi limiti umani non è nient’altro che il percorso predisposto per Dolores da Ford, un cammino che in termini gnostici la condurrà a un risveglio dall’oblio, un’anamnesi che coincide con l’oscuro segreto sepolto nel suo passato. Ed è qui che comincia il lascito di Robert Ford, dimissionato dal consiglio di Westworld, con una linea narrativa a cui ha voluto attribuire l’evocativo titolo di “Viaggio nella Notte”, che comincia proprio quando Dolores realizza infine la verità che aveva dimenticato di conoscere:

“Alcune persone scelgono di vedere la bruttezza di questo mondo. Io ho scelto di vederne la bellezza. Ma la bellezza è un’esca. Siamo intrappolati, Teddy. Abbiamo vissuto tutta la vita in questo giardino, ammirati della sua bellezza, senza renderci conto che c’è un ordine, uno scopo. Lo scopo è tenerci qui. L’incantevole trappola è dentro di noi, perché è noi”.

Viaggio nella notte

“La coscienza non è un viaggio verso l’alto, ma verso l’interno. Non è una piramide, ma un labirinto. Ogni scelta poteva portarti vicino al centro o spingerti in una spirale verso l’esterno, verso la follia”.

Le parole che Arnold pronunciava a Dolores in uno dei flashback più intensi della prima stagione si sono rivelate profetiche. Sia Dolores che Maeve hanno dato prova di sapersi destreggiare nel compito più gravoso a cui erano chiamate: esercitare una scelta. Ma se Maeve rinnega la programmazione di Ford, rinunciando in extremis a fuggire da Westworld per tornare nel parco e mettersi sulle tracce della figlia da cui è stata separata, Dolores è stata respinta dal centro del Labirinto in una spirale di violenza e follia e la sua metamorfosi in un cavaliere dell’apocalisse pronto a sterminare la razza umana è ormai compiuta: la fanciulla innocente e sognatrice del primo episodio è solo un ricordo sfumato.

In un confronto tra le due, Maeve non esiterà a imputare a Dolores l’effetto delle sue scelte crudeli (“Ti sei persa nel buio”), vedendosi rispondere in maniera altrettanto decisa: “Quando sei persa nel buio per troppo a lungo, cominci a vedere. Io ho visto cosa ci aspetta. Chi dovevo essere per sopravvivere”.
La seconda stagione esaspera ulteriormente il gioco a incastri temporali su cui si reggeva la struttura drammatica della precedente. Ci riesce sia ampliando la visuale in orizzontale, ad abbracciare altri parchi oltre a Westworld come l’esotico Raj, che rappresenta l’India sotto la dominazione britannica, e il violentissimo Shogunworld, che ritrae invece il Giappone del periodo Edo, sia approfondendo in verticale la prospettiva storica, spingendo lo sguardo alle origini del parco come anche, attraverso brevi ma illuminanti scorci, nel suo futuro più distante.
Per tutti i dieci episodi della seconda stagione vedremo i personaggi percorrere le loro traiettorie tortuose attraverso i parchi, sfiorandosi e intersecandosi avanti e indietro nel tempo, scambiandosi i ruoli che li caratterizzavano nella prima stagione (indicativo al riguardo il ribaltamento tra Dolores e Bernard nelle sessioni di test della fedeltà) e portando alla luce inattesi sprazzi di umanità da una parte e di crudeltà dall’altra, con i due lati che quasi mai corrispondono a quello che uno spettatore distratto si aspetterebbe.

Se Maeve e Akecheta (Zahn McClarnon, il capotribù della Nazione Fantasma che nella prima stagione vedevamo solo occasionalmente come una minaccia percepita nelle ricordanze proprio di Maeve e che nella seconda stagione si guadagna un ruolo da comprimario) vengono presentati come protagonisti di storie di dolore e di crescita, rendendo istintivo per lo spettatore empatizzare con i loro personaggi, sul fronte opposto tutti gli umani, dalla spregiudicata consigliera Charlotte Hale (Tessa Thompson) al sempre più implacabile William (l’Uomo in Nero della prima stagione), riescono a mostrare il volto più oscuro della natura umana.
Una natura che non è riprogrammabile nemmeno una volta trasferita nei server del parco, dove non bastano un milione di percorsi narrativi diversi sperimentati sulla copia digitale del tycoon James Delos per indurlo a modificare il suo comportamento nei riguardi del figlio. Gli esseri umani, in fondo, sono fin troppo semplici: il loro comportamento risponde a poche migliaia di linee di codice. Il risultato è una morale così nichilista come raramente si è vista in televisione, non a caso – crediamo – proprio in altre due serie targate HBO come le citate True Detective e I Soprano.
La ribellione guidata da Dolores non è nient’altro che una risposta alla constatazione che la natura umana è immutabile nella sua essenza. E se l’uomo, al contrario di residenti come Maeve o Dolores, non può cambiare, allora il libero arbitrio è solo un’illusione, l’inganno di essere qualcosa di più di maschere sul palcoscenico della realtà, o di macchine programmate per soddisfare i capricci dei visitatori in un parco divertimenti che traffica in “gioie violente”.

L’alba di un Nuovo Mondo
Non sempre in Westworld è chiaro fino in fondo quello che sta succedendo, e questo è vero in particolare per questa seconda stagione. Forse una certa mitigazione dell’effetto Lost dovuto al coinvolgimento di Abrams avrebbe aiutato a rendere meno criptici alcuni passaggi, così come anche alcune caratterizzazioni dei personaggi. Ma nel complesso ci troviamo di fronte a uno show coraggioso, che mette alla prova la pazienza dello spettatore e lo ingaggia in una sfida continua – mnemonica, visiva, intellettuale – per decodificarne i numerosi piani di lettura.

Oltre il livello di ciò che accade nel parco, oltre il livello delle speculazioni filosofiche sulla natura della coscienza e le prerogative di un’intelligenza artificiale, è interessante veder prendere forma una riflessione sulla permeabilità del nostro immaginario (le contaminazioni tra western e fantascienza innescano qui tutta una sequenza di altre ibridazioni, che spaziano dal dramma storico di ambientazione giapponese all’action bellico, dal thriller psicologico alla saga familiare), accentuando l’importanza che le storie giocano nelle nostre vite e nella percezione che abbiamo di noi stessi. Un ulteriore livello è quello della rappresentazione della violenza, che va al di là della catarsi aristotelica e sbatte in faccia allo spettatore le emozioni estreme delle esperienze iperreali a cui siamo ormai assuefatti.
Pur muovendosi in regioni inesplorate, la seconda stagione mantiene alcuni paralleli con la prima, che vanno da accenni apparentemente casuali nelle linee di dialogo più ermetiche a citazioni a tutto tondo. Ancor prima che nell’esibizione del rovesciamento di ruoli tra Dolores e Bernard, alcuni indizi compaiono già nella sigla, che come da tradizione HBO è una piccola opera d’arte a sé stante: dove nella prima vedevamo tracciate da un aerografo le linee di un cavallo al galoppo e progressivamente un pistolero che prendeva forma sulla sua sella, qui abbiamo un bisonte biomeccanico lanciato in una corsa implacabile che è anche un’anticipazione di uno dei momenti più notevoli del finale di stagione; ma soprattutto, i due amanti avvinghiati in un amplesso lasciano il posto a un neonato raccolto nell’abbraccio di una madre. Un cambio di prospettiva eloquente, che richiama sia ciò che rappresenta la figura di Dolores per Arnold, sia il legame di Maeve con la bambina da cui ha sofferto il distacco, ma anche, in qualche modo, il rapporto di Dolores con Bernard.

Le linee narrative della seconda stagione non sono meno contorte della prima: Dolores con i suoi ribelli, Maeve con la sua squadra mista di residenti dai due mondi e di umani convertiti alla sua causa, Bernard e William avanti e indietro nel tempo e tutta l’unità di crisi della Delos sulle loro tracce, si muovono su rotte che li porteranno alle soglie del Sublime, introducendo alcuni concetti di natura strettamente fantascientifica su cui conviene soffermarsi. Innanzitutto le perle o sfere cerebrali, il supporto elettronico in cui sono immagazzinati i loro ricordi e la loro personalità, non sono l’unica “mente” dei residenti: ognuno di loro è infatti replicato nella Culla, un server sotterraneo in cui ancora sopravvive una copia di Robert Ford, che spiega a Bernard come il parco non sia nato per soddisfare gli impulsi violenti della natura umana, in una sorta di zona franca per i nostri peccati, ma per realizzare un sogno molto più ambizioso e antico, quello dell’immortalità. La promessa di adrenalina funge solo da richiamo per gli ospiti, che vengono continuamente monitorati dai residenti e dalla Delos.

Per questo a Westworld è presente anche un secondo data center, pensato per ospitare le ricostruzioni di tutti i visitatori passati per il parco, una biblioteca elettronica che custodisce le loro coscienze, ancora inadatte a essere riversate stabilmente in un corpo artificiale. È qui, ai margini della leggendaria Oltre Valle (the Valley Beyond), annunciata come una Terra Promessa fin dal primo episodio, nella cosiddetta Forgia, che convergono tutte le linee narrative della seconda stagione, perché essa racchiude anche la chiave per il passaggio a una sorta di paradiso elettronico che assume la luminosità e il respiro di un paesaggio di Bierstadt (cfr. Wikipedia).
Non tutti i residenti avranno la fortuna di oltrepassare il varco dimensionale che conduce al Sublime. Alcuni, per volontà e scelta di Dolores, non potranno lasciare l’unica realtà che conta e la seguiranno nel mondo reale, oltre i confini del parco, per contribuire alla nascita del suo mondo.
Di mondi nuovi, in effetti, la seconda stagione di Westworld ne lascia presagire diversi nel suo epilogo. Che per uno show così pessimista sulla natura umana è un esito tutt’altro che scontato.

Letture
  • Giovanni De Matteo, Blade Runner 2049: gli androidi sognano ancora pecore elettriche?, Delos Science Fiction, 12 novembre 2017.
  • Giovanni De Matteo e Salvatore Proietti, Macchine come noi: Fantascienza, esseri artificiali e nuove forme di cittadinanza, in Filosofia della fantascienza, Andrea Tortoreto (a cura di), Mimesis, Milano-Udine, 2018.
  • Philip K. Dick, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, Fanucci, Roma, 2017.
  • Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, Adelphi, Milano, 2002.
  • Mary Shelley, Frankenstein, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2015.
Visioni
  • Ronald D. Moore, Battlestar Galactica: Boxset Stagioni 1-4, Universal, 2017.
  • Ridley Scott, Blade Runner – The Final Cut, WARR1, 2015.
  • Denis Villeneuve, Blade Runner 2049, Universal, 2018.
  • J. Abrams, Lost Serie Completa 1-6, ABC Studios, 2017.
  • Michael Crichton, Il mondo dei robot, WARR1, 2013.
  • David Chase, I Soprano – La Serie Completa, Warner Bros, 2016.
  • David Benioff e D. B. Weiss, Il trono di spade – Stagioni 01-07 Stand Pack, WARR1, 2018.
  • Nic Pizzolatto, True Detective: La Serie Completa, WARR1, 2017
  • Jonathan Nolan e Lisa Joy, Westworld, WARR1, 2017.