Microstoria, saperi
e memoria: Carlo Ginzburg

Si è tenuto lo scorso 6 febbraio
alla Fondazione Bruno Kessler –
Polo delle Scienze Umane e sociali
di Trento, l’incontro pubblico
con Carlo Ginzburg
dal titolo Il cosmo
di uno storico del XXI secolo
.

Si è tenuto lo scorso 6 febbraio
alla Fondazione Bruno Kessler –
Polo delle Scienze Umane e sociali
di Trento, l’incontro pubblico
con Carlo Ginzburg
dal titolo Il cosmo
di uno storico del XXI secolo
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Carlo Ginzburg ha ottant’anni. È figlio di due personaggi indimenticabili della storia culturale italiana, Leone e Natalia Ginzburg, e padre di una vivace figura di scrittrice e intellettuale qual è la figlia Lisa. Carlo Ginzburg nella sua lunga vita ha attraversato il Novecento e i suoi orrori, e ora, sorridente e travolgente, è approdato a questo XXI secolo. Così infatti titola l’evento a cui ha presenziato a Trento il 6 febbraio scorso: “Il cosmo di uno storico del XXI secolo”.
L’incontro organizzato dalla Fondazione Bruno Kessler, uno dei pilastri della vita intellettuale della città, ha visto la presenza di un pubblico felice ed emozionato, che, all’ingresso in sala dello storico, lo ha accolto con un lungo e caloroso applauso di benvenuto. Prossimamente il suo intervento integrale sarà disponibile sul sito della fondazione. Intere classi dei licei cittadini hanno ascoltato in silenzio, insieme a molti insegnanti, membri del corpo docente universitario e semplici curiosi, affascinati dalla personalità e dall’eloquio dimostrato da Ginzburg.
L’occasione per l’incontro è la recentissima ristampa de Il formaggio e i vermi per i tipi di Adelphi, corredata per l’occasione da una nuova postfazione. Difatti il titolo dell’incontro è un chiaro riferimento al sottotitolo del saggio, che è Il cosmo di un mugnaio del ‘500. In questi anni, Adelphi sta procedendo, lentamente ma con costanza, alla pubblicazione aggiornata almeno delle principali opere di Ginzburg. Infatti, è del 2018 Nondimanco, sulle figure di Machiavelli e Pascal; del 2017 è invece la ristampa di Storia notturna. Una decifrazione del sabba, che prova a ricostruire una traiettoria attraverso gli studi di una vita intera sui fenomeni legati alla stregoneria e alla magia popolare, in tutte le sue forme, e del 2015 Paura, Reverenza, Terrore, un saggio sul valore e il senso delle immagini. A questi titoli è giusto associare la recente riedizione ampliata di Occhiacci di legno. Dieci riflessioni sulla distanza, uscita per Quodlibet.

Carlo Ginzburg ha parlato lungamente, a braccio, raccontando fatti e riflessioni appartenenti alla sua storia intellettuale. Tra i molti nomi di accademici che ha ricordato, non sono certamente passate inosservate le parole di affetto e ammirazione che ha rivolto al suo maestro Delio Cantimori, di cui ha tessuto le lodi sia come storico sia umanamente. Nel corso del racconto – tale infatti appariva, per la piacevolezza del linguaggio – continuamente riportava accenni e spunti metodologici, riprendendo dibattiti e ragionamenti che nel corso del tempo hanno costellato la sua riflessione sulla storia e il suo oggetto.
Emergono così, dichiaratamente, le figure dei padri culturali: Antonio Gramsci, Ernesto De Martino e Carlo Levi. Figure che il giovane studioso della Normale di Pisa aveva di fronte come modelli, iniziando i suoi primi ingenui (così li definisce lui stesso) studi sulle relazioni tra i processi per stregoneria e le condizioni sociali in cui questi stessi avvenivano.

Affinità e divergenze nel pensiero contemporaneo
È costante il confronto con le molte figure con cui ha intessuto relazioni e sperimentato contrasti nel corso della vita. Tra questi Thomas Kuhn, rispetto a cui rivendica l’autonomia con cui ha utilizzato il concetto di paradigma, e a cui riserva anche una certa dose di ironia (“uno dei diciannove diversi significati di paradigma usati nel libro”); Michel Foucault, di cui discute le modalità con cui il filosofo ha utilizzato il concetto di anomalia, poiché “le anomalie sono per lo storico più interessanti delle norme, dal punto di vista cognitivo, perché per definizione includono le norme”, e individua nel filosofo francese una lapidaria “fascinazione della trasgressione”, come emerge nel caso di Pierre Riviere (cfr. Foucault, 2007); Hayden White, nei cui confronti ribadisce senza appello la distanza verso il concetto di metastoria, che è invece il perno della riflessione del filosofo e storico americano, e a detta di Ginzburg portatrice di un relativismo inaccettabile (cfr. Boscolo, 2019).

La riflessione che Ginzburg porta avanti nel corso della serata, sotto un cappello quasi di leggerezza e aneddotica, tocca argomenti cruciali intorno al tema dell’incontro: cosa significa essere uno storico oggi? e che valore si deve attribuire al concetto di “cosmo” in cui lo stesso si muove? Ne è un esempio il confronto tra la nozione di “storia globale” e quella di “microstoria”, attuale come non mai, oppure il senso stesso dell’idea di metodo nella ricerca storica, a proposito della quale Ginzburg dice – forse provocatoriamente – che il metodo è un qualcosa che si definisce a posteriori, piuttosto che nello stabilire vuote regole de-oggettivate e a priori.
Ginzburg, rispondendo agli interventi, getta a un pubblico senza fiato temi giganteschi: a chi spetta l’onere della prova nella ricerca storica? Esiste nel discorso storico una relazione tra attori e osservatori? Cosa impariamo noi dalla storia? Perché leggiamo? Quest’ultimo tema in particolare diventa un grimaldello per aprire le porte dei meccanismi con cui il nostro intelletto costruisce la storia. “Leggiamo e contemporaneamente si affollano elementi di memoria inconscia” dice Ginzburg, che introduce così il concetto di criptomemoria, definita come una sorta di “memoria inconscia”, ricollegandola all’idea di una circolarità sempre presente tra cultura orale e cultura scritta, tra cultura popolare e cultura alta, concetto per cui dichiara il suo debito con Gramsci. È qui, secondo Ginzburg, che ha sede la causa del suo interesse per il tema della persecuzione e della stregoneria. È la strategia dell’inconscio, “che per lavorare bene deve restare inconsapevole”. Cita Donna Haraway, esprimendo le sue perplessità sulla definizione della storia come di “una conoscenza localizzata in un contesto”, e cogliendo l’occasione per riproporre la sua visione di un legame stretto tra geografia e cronologia. Ritorna sulle questioni di metodo, e si sofferma su come le domande influenzino le risposte, ribadendo quanto le domande, se domande “vere”, vadano a minare le fondamenta della domanda stessa, traslando con un balzo concettuale la questione dell’osservatore e della oggettività nel mestiere di storico.

Infine, dopo che il pubblico ha scavato per due ore in quella miniera di pietre preziose che è la mente di Carlo Ginzburg, questo lucido ottantenne ha dedicato la parte restante della serata ad autografare volumi, regalando sorrisi, domande e risposte al suo pubblico, che, potendo, lo avrebbe portato in trionfo.

Letture
  • Claudia Boscolo, Metahistory di Hayden White: Intervista a Fabio Milazzo, laletteraturaenoi, 19 giugno 2019.
  • Michel Foucault, Io, Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello…, Einaudi, Torino, 2007.
  • Carlo Ginzburg, Paura. Reverenza. Terrore, Adelphi Milano, 2015.
  • Carlo Ginzburg, Storia notturna, Adelphi, Milano, 2017.
  • Carlo Ginzburg, Nondimanco, Adelphi Milano, 2018.
  • Carlo Ginzburg, Il formaggio e i vermi, Adelphi Milano, 2019.
  • Carlo Ginzburg, Occhiacci di legno. Dieci riflessioni sulla distanza, Quodlibet, Pescara, 2019.