Suoni dai giganti di pietra
e magie da un organo a canne

Anna von Hausswolff
All Thoughts Fly
Registrato a Örgryte New Church,

Goterborg, gennaio 2020
Southern Lord, 2020

Anna von Hausswolff
All Thoughts Fly
Registrato a Örgryte New Church,

Goterborg, gennaio 2020
Southern Lord, 2020


È difficile immaginare un ruolo attivo dell’organo a canne nelle musiche contemporanee, in un tempo di tastiere elettroniche di ennesima nuova generazione, di laptop e campionamenti. È arduo pensare che possa trovare spazio in un’epoca dominata dal potere della velocità lo strumento inamovibile per eccellenza. Sembra impossibile concepirne un impiego al di fuori dei confini storici della musica per organo, sacra o laica e invece ecco la musicista svedese Anna von Hausswolff instaurarvi una relazione privilegiata ponendolo al centro del suo progetto avviato circa dieci anni fa.
Rapporto intimo, essenziale, necessario per poter esprimere appieno il suo oscuro sentire, non solo per la maestosità e profondità, che caratterizzano il suono, ma forse in particolar modo per quell’inquietudine che timbricamente alcuni registri sanno esprimere. Se in musica si può parlare di eerie, sono proprio certi passaggi organistici a turbare in tal senso da secoli.
La musicista svedese ne è al corrente e rinnova il suo legame con lo strumento nel suo nuovo album, All Thoughts Fly, ovvero “ogni pensiero vola”. Per registrarlo si è recata alla Örgryte nya kyrka, una chiesa costruita a Göteborg tra il 1880 e il 1890 in stile neo gotico, che ospita dall’anno 2000 un maestoso organo a canne ricostruito sulla falsariga di quello barocco originale della cattedrale di Lubecca risalente al 1699. L’intervento è parte di un progetto di ricerca decennale mirato alla ricostruzione di organi della Germania settentrionale del XVII secolo. Oppure è un depistamento spazio-temporale che si confà al nuovo cimento della svedese, come si vedrà in seguito.

Un ritorno inaspettato
Prima però val la pena sottolineare che, nell’ultima decade, Anna von Hausswolff non è l’unica ad aver fatto visita a cattedrali e basiliche per fare musiche a suon di manuali, mantici e pedaliere. Sono almeno da menzionare, aldilà degli impieghi occasionali, le prove organistiche di Aine O’Dwyer, musicista sperimentale e multidisciplinare irlandese che nel 2015 si esibì nella chiesa di San Marco a Islington mentre alcun addetti alla manutenzione pulivano le vetrate della chiesa. Il risultato si chiamò coerentemente Music For Church Cleaners vol. I and II, risultando tra le cose migliori dell’anno secondo The Wire. O’Dwyer replicò in altre due chiese del Regno Unito per altrettanti album, dal suono identicamente spettrale. Dal mondo del jazz, ma sempre in UK, il pianista Kit Downes ha registrato nel primo album intestato a suo nome (per la prestigiosa Ecm), Obsidian (2017), musiche eseguite esclusivamente su ben tre organi di diverse epoche e dimensioni. Operazione in parte ripetuta nel successivo Dreamlife of Debris (sempre Ecm, 2019). Al piccolo Rinascimento non poteva mancare il contributo di John Zorn, autore nel 2012 di una performance all’organo della cattedrale di Filadelfia, puntualmente pubblicata dalla sua Tzadik. Titolo: Hermetic Organ. L’enciclopedismo manicale del newyorchese ha fatto sì che a oggi i volumi siano diventati otto, l’ultimo nel 2019 registrato in Slovenia e dedicato ad Antonin Artaud (a sua volta, il sei rende omaggio a Edgar Allan Poe).

La fonte magica dell’ispirazione
Anche il nuovo disco di Anna von Hausswolff è in qualche modo dedicato, come anticipa già il titolo del disco, a un luogo distante oltre duemila chilometri da Goteborg, a novanta chilometri a nord di Roma, in provincia di Viterbo, nella Tuscia laziale, dove adagiato sul crinale di uno sperone roccioso in peperino, la scura roccia magmatica caratteristica della zona dei Monti Cimini e dei Colli Albani, sorge Bomarzo, antico possedimento di una delle famiglie nobiliari più importanti e potenti del Cinquecento: gli Orsini, stirpe feudale di principi, papi, guerrieri.
È qui che si trova un’opera straordinaria, il Sacro Bosco dei Mostri, parco fatto realizzare proprio negli immediati dintorni di Bomarzo da Pier Francesco Orsini, detto “Vicino”, principe, appunto, di Bomarzo, uno dei personaggi più eccentrici e affascinanti del Rinascimento italiano. L’opera venne commissionata all’architetto napoletano Pirro Ligorio e venne ultimata nel 1552. Un luogo magico, un regno di pietra labirintico, perturbante, un percorso di iniziazione in compagnia di figure paurose, l’Orcus, dagli occhi spalancati e la bocca aperta, una maschera del terrore che reca sulla fronte la scritta “ogni pensiero vola”, e poi una sfinge, un drago, il volto mostruoso della divintà marina Proteo Glauco, Echidna, furie e leoni, arpie, Cerbero e via di questo passo.

Sculture gigantesche, costruzioni sbilenche, come la Casa pendente, e ovunque iscrizioni, talvolta oscure, tracce di un sapere alchemico e di riflessioni filosofiche e sapienziali. Siamo in un altro spazio-tempo. Chissà che non sia stato questo il motivo per cui la musicista svedese ha scelto l’organo di Göteborg per realizzare l’album, figlio della fortissima suggestione che le ha procurato la visita al Sacro Bosco dei Mostri in quel di Bomarzo.  Luogo zeppo anche di leggende, oltre che fonte di ispirazione letteraria, come l’autobiografia apocrifa del principe Vicino, intitolata Bomarzo (1962), scritta da Manuel Mujica Lainez, scrittore argentino contemporaneo di Jorge Luis Borges. Luogo a sua volta ispirato a varie fonti sapienziali, laddove taluni vi indicano una messa in scena addirittura del romanzo misteriosofico Hypnerotomachia Poliphili (1499) di Francesco Colonna.
Luogo anche di rivisitazioni: si pensi al parco dei mostri descritto dal cileno José Donoso in L’osceno uccello della notte (1970) e di epigoni involontari, come la Villa Palagonia di Bagheria nei pressi di Palermo, nota come “la Villa dei mostri”, fatta costruire nel 1715 dal principe Gravina. Luogo di mistero e di dolore, perché Pier Francesco Orsini commissionò il parco statuario a seguito del lutto per la morte di sua moglie, Giulia Farnese.

Eredità paterna e innovazione
Poteva resistere a tutto ciò, lei, Anna von von Hausswolff, figlia di cotanto padre, l’artista e compositore svedese Carl Michael von Hausswolff? Lui è un esploratore di sonorità abissali. Bordoni elettronici, minimalismo, interazione dei suoni con gli spazi architettonici (non a caso ha all’attivo numerose installazioni sonore), nel tempo von Hausswolff ha studiato e proseguito, armato di registratore a nastro, le ricerche di Friedrich Jürgenson in materia di psicofonia (o metafonia che dir si voglia), ovvero di voci dall’aldilà, analogamente a quanto fatto da Konstantine Raudive, altro pioniere di questa branca estrema del suono. Lei sembra condividere la medesima attrazione del genitore per ciò che è sulla soglia o oltre, verso l’oscuro.
Lo si avverte sin dalle sue prime prove, con l’antipasto del maxi singolo Track of Time e con Singing from The Grave, album dal titolo assai eloquente. Sin da queste sue prime pubblicazioni, apparse nel 2010, si è inoltrata nell’ombra più cupa, alternando ballate gotiche, eseguite con voce da streghetta accompagnandosi al pianoforte, specie agli inizi riecheggiante quella di Kate Bush (si ascolti Pills, per esempio) qualche atmosfere dark-folk (il brano eponimo dà voce a un cadavere che osserva il suo funerale). Temi e atmosfere sono affini al mondo di Nick Cave, ma è solo un primo passo. In un curioso impasto strumentale a base di banjo e pianoforte, viene inserito per la prima volta un organo nelle battute iniziali di Old Beauty/Du Kan Nu Dö. In seguito performance vocali si faranno più estreme avvicinandola un po’ a Diamanda Galás (senza toccarne i picchi). Curiosamente, nell’Ep d’esordio trovò posto in chiusura una versione di Gloomy Sunday, ripresa anche dalla signora delle tenebre di San Diego nell’album The Singer.

Un organo a canne (della chiesa di Annedal, a Göteborg) viene assunto in servizio a partire da Ceremony (2012) e lo si ascolta si dalle prime battute del solenne Epitaph of Theodor, segnando una svolta, un inabissarsi nel profondo del suono in un susseguirsi di passaggi strumentali claustrofobici, misterici e materici che d’ora in avanti caratterizzeranno la sua musica. L’album è in parte solo strumentale ma anche nei brani cantati, prevalenti per numero, l’organo, dove impiegato, estende l’oscurità in lungo e in largo. Permangono strutture più omologabili a una sorta di gothic rock, come Mountain Crave o Sova, ma prevalgono atmosfere cupe, anche mortuarie (il nerissimo No Body) e in fondo il disco è stato realizzato dopo un evento luttuoso: la morte del nonno. Punto d’equilibrio tra le ballate degli esordi e il nuovo corso è la composta Red Sun, brano per voce e organo.

Un primo assolo per organo
È tempo di dedicarsi del tutto a quell’antico strumento. Nel 2014 incide un Ep, intitolato Källan (Prototype), che riporta una sua performance registrata il 19 ottobre del 2013 alla cattedrale di Lincoln, in Inghilterra. Musica reiterativa all’ombra dei maestri, Terry Riley in primis, che risente anche dell’influenza della musica elettronica tedesca degli anni Settanta, quella dei cosiddetti corrieri cosmici. Composizione incisa nuovamente ma in studio nel 2016 con il titolo Källan (Betatype) e in versione più succinta.
Nel mezzo il terzo album The Miraculous, prova audace che avvicina la musicista svedese a esperienze di rock monolitico (le definizioni gergali qui sono drone-rock e doom metal) sulla falsariga degli Earth e degli Swans, con i quali avvierà una collaborazione, e dei Sunn O))). Ancora una volta c’è in organico un organo a canne, questo davvero maestoso, situato in quel di Piteå nel nord della Svezia e si fa subito sentire nelle prime battute dell’iniziale Discovery, marziale apertura di un album segnata da maturità stilistica e piena padronanza dei propri mezzi. Il tutto si traduce in un equilibrio costante tra la forma canzone seppur tinta anche di un nero profondo (Evocation) e il paesaggio strumentale più astratto (il brano eponimo tutto affidato all’organo), il cui vertice è rappresentato dalla funebre Come Wander With Me/Deliverance che racchiude un’impressionante marcia a passo marziale. L’intero disco è frutto di una forte suggestione letteraria, legata a Källan (La fonte) titolo di un romanzo di Walter Ljungquist pubblicato nel 1961, sorta di quest di un gruppo di bambini in una foresta in cerca di una sorgente magica. Una storia come buona parte della sua produzione letteraria nel segno dell’analisi dei tremori e dei misteri che segnano l’abbandono dell’età dell’infanzia e il passaggio generazionale.

Le prove più mature
Nel 2018 tocca a Dead Magic e tutte le esperienze precedenti vengono chiamate a raccolta. Il sound si fa decisamente tombale, mentre chitarre sanguinanti stordiscono quanto basta, come in Ugly And Vengeful, oppure viene impreziosito da una sezione d’archi (ammirevole l’uso in crescendo che se ne fa in The Truth, The Glow, The Fall). Opera pop al nero, a tratti luciferina, ancora beneficiaria delle maestose volute di suono emanate da un organo a canne (l’immaginifica The Marble Eye) segnata da una prova vocale che mai come qui si accosta alle performance di Diamanda Galás (si ascolti come riluce d’oscurità volando sopra l’energico riff di The Mysterious Vanishing Of Electra) e alla giovane Lisa Gerrard (Dead Can Dance). Disco che beneficia nuovamente del sostegno letterario di Ljungquist ampiamente citato nelle note, oltre ad averne ripreso il topos magico della fonte nella conclusiva e dolente Källans Återuppståndelse. Proprio nel testo riportato nelle note sembra risiedere l’anticipazione di All Thoughts Fly. “Il nostro tempo – scrive Ljungquist – è un tempo privo di silenzio e segreti; in loro assenza nessuna leggenda può crescere”.
Al contrario, in un luogo come Bomarzo questa sacralità permane, al netto delle interferenze del turismo, conservando intatto il fascino di questo teatro dell’anima. Sin dalle prime battute si è proiettati in una dimensione altra, immersi in un flusso di coscienza fatto di ricordi ed emozioni che affiorano dal nulla e svaniscono d’un tratto, in una successione di lampi oscuri e grumi luminosi sospesi in una galassia scura e ammantata di malinconia. Un viaggio crepuscolare in compagnia di ronzii dissonanti, melodie fragorose, effetti misteriosi, quasi elettronici, come se fosse in azione un sintetizzatore.

Theatre of Nature apre le danze con una levità poi abbandonata nei brani successivi. Solenne e leggiadro qui l’organo disegna traiettorie spaziali che una volta di più lasciano affiorare nella musica di Anna von Hausswolff reminescenze della musica cosmica tedesca dei migliori anni Settanta. Segue Dolore di Orsini e la musica si fa dolente, come lacrime le note cadono una per volta lamentose, paiono stonare invocando una parziale serenità. È un brano che bene esprime la cifra dell’album nel suo tenersi sia dentro che fuori dal nostro tempo. Sacro Bosco a sua volta muove dal medesimo dolore trovando alfine uno spiraglio da cui inondare di luce l’ascoltatore. Notevole il video realizzato per l’occasione, opera di Gustaf e Ludvig Holtenäs. Apre con un bordone funereo Persefone; avvio di una bellezza dolorosa, commovente e inquietante al tempo stesso. Poetico nel suo incedere verso un eterno ricordo. Il breve Entering funge da ponte con il brano eponimo, che lascia ad Anna von Hausswolff la possibilità di sviluppare un nugolo di temi, ognuno dei quali sembra vagare per conto suo per riecheggiarsi l’un l’altro, prima di inventare dell’altro ed eseguire un giro più complesso. Grande senso della composizione, un brano assai stratificato che richiede perizia strumentale e impegno fisico per essere eseguito.
Non è finita perché c’è ancora spazio per un’altra prova superba: Outside the Gate (per Bruna), che ripropone quel rumorismo sinistro ascoltato in Sacro Bosco e che ci conduce all’uscita dai mondi dell’Orsini e von Hausswolff. Se mai sia possibile venir fuori da certi incanti.

Ascolti
  • Anna von Hausswolff, Track of Time, Kning Disk, 2010.
  • Anna von Hausswolff, Singing from The Grave, Kning Disk, 2010.
  • Anna von Hausswolff, Ceremony, Kning Disk, 2012.
  • Anna von Hausswolff, The Miraculous, City Slang, 2015.
  • Anna von Hausswolff, Kallan (Prototype), Touch, 2016.
  • Anna von Hausswolff, Källan (Betatype), Ash International, 2016.
  • Anna von Hausswolff, Dead Magic, City Slang, 2018.
Letture
  • José Donoso, L’osceno uccello della notte, Bompiani, Milano, 2003.
  • Manuel Mujca Lainez, Bomarzo, Settecittà, Viterbo, 1999.