Utopisti e avanguardisti
della razza ventura

Mark O’Connell
Essere una macchina
Traduzione di Gianni Pannofino

Adelphi, Milano, 2018
pp. 260, € 19,00

Mark O’Connell
Essere una macchina
Traduzione di Gianni Pannofino

Adelphi, Milano, 2018
pp. 260, € 19,00


Vi dirò in segreto.
Ho visto l’uomo nuovo.
È intrepido e crudele.
Ho avuto paura davanti a lui.
Adolf Hitler (citato in Herman Rausching, Così parlò Hitler, 1944)

Quando la vita terrena di Timothy Leary, il profeta dell’LSD e uno dei simboli più noti della controcultura americana, si avvicinò alla conclusione, ci fu una comprensibile eccitazione: come avrebbe scelto di spegnersi l’uomo che aveva perorato, in passato, l’esigenza di rendere la razza umana una specie immortale, e che non si era mai risparmiato a colpi di scena e gesti clamorosamente provocatori?
Si sapeva che nel 1988 aveva speso 35.000 dollari per prenotare un posto alla Alcor, lo stabilimento di criogenica che dopo la sua morte avrebbe preso in consegna la sua testa, ibernandola in vista del momento futuro in cui sarebbe diventato possibile trasferire il contenuto del suo cervello su una nuova copia funzionante (McCray, 2016). E invece, come per un tardivo ripensamento, decise di morire nel suo letto circondato dai suoi affetti, scegliendo di ritornare polvere e di lanciarne una piccola quantità nello spazio nell’aprile 1997. Per Max More, il padre fondatore del movimento transumanista, fu un brutto colpo. Aveva conosciuto la sua futura compagna di vita e di attivismo, Natasha Vita-More (entrambi i loro cognomi sono degli pseudonimi), proprio a una cena organizzata da Leary.


Timothy Leary (1920-1996), profeta dell’LSD e precursore del transumanesimo.

La sua fede nella possibilità di impiegare l’ibernazione per fermare la morte in attesa di tempi migliori lo ha portato, nel 2011, ad assumere la direzione di Alcor, la stessa azienda che avrebbe dovuto accogliere l’eccentrica testa del guru.
Secondo Mark O’Connell, la vicenda “rappresenta tuttora una ferita aperta nella comunità crionica, dove viene considerato un’immane tragedia”. All’indomani della morte di Leary, Max e Natasha scrissero sulla loro rivista Extropy che la scelta del loro mentore era stata “una mesta capitolazione all’ideologia «mortista»”.

Nuove egemonie culturali
Sono passati più di vent’anni da allora, e il giornalista e scrittore Mark O’Connell (che a differenza di Max More, nato Max O’Connor, non ha ripudiato il cognome irlandese, considerato troppo legato a una cultura religiosa mortista) ci fornisce in Essere una macchina il reportage più ampio e godibile dello stato dell’arte del movimento transumanista.
Un reportage che, di suo, simboleggia anche il salto di qualità che l’influenza culturale del transumanesimo ha raggiunto in questi vent’anni, passando da articoli nerd su riviste ciclostilate agli articoli su Wired, ai long-form delle più prestigiose testate culturali del mondo fino a questo libro che, in Italia, viene tradotto da Gianni Pannofino per Adelphi, la casa editrice che rappresenta un punto di riferimento per tutto ciò che si definisce “cultura” nel nostro Paese.
Segni dei tempi: Max More, da brillante e provocatorio studente di dottorato che convince la sua reticente tutor a occuparsi di filosofia della life extension (l’allungamento della vita), è diventato CEO di un’azienda certo singolare, ma che non gli impedisce di passare le sue giornate al computer in un ufficio come buona parte degli altri CEO di tutto il mondo, nota O’Connell con una punta di sarcasmo osservando che, nel suo tentativo di sconfiggere la morte, More trascorra buona parte della sua vita circondato da 117 (al momento) cadaveri crioconservati. Altri leader intellettuali del transumanesimo, come Nick Bostrom, hanno fatto ancora più strada: già cofondatore della World Transhumanist Association (oggi Humanity+), Bostrom dirige all’università di Oxford il Future of Humanity Institute e gestisce grant da milioni di euro, alcuni generosamente concessi da magnati come Elon Musk, spaventato come lui dalle implicazioni della corsa alla “superintelligenza” artificiale.


Un interno della Alcor, lo stabilimento di criopreservazione dei cadaveri diretto da Max More in California.

Incontratolo in un ristorante indiano a Oxford dove è di casa, al punto che il cameriere gli serve il pollo al curry senza che debba ordinarlo, O’Connell osserva tuttavia la sua recente trasformazione in “una sorta di antitransumanista”, quasi al confine col luddismo, a causa dei suoi timori per la corsa verso la singolarità tecnologica che rappresenta l’orizzonte escatologico di tutti i transumanisti. “Nel transumanesimo c’è troppo entusiasmo acritico per la tecnologia, troppa fede in un esponenziale miglioramento delle cose: la mentalità prevalente è lasciare che il progresso segua il suo corso. E io, col passare degli anni, ne ho preso le distanze”, confessa Bostrom.
Non la pensa allo stesso modo il suo collega Anders Sandberg, che con Bostrom ha collaborato nel 2007 al report Whole Brain Emulation: A Roadmap, con l’obiettivo di identificare le strategie più promettenti per conseguire l’obiettivo ultimo del transumanesimo, il “mind-uploading”, cioè la possibilità di travasare tutto il contenuto del cervello in un’emulazione digitale della mente umana.
Sandberg, che insegna all’Università di Stoccolma, appare anche in un documentario disponibile su YouTube, TechnoCalyps, del 2006. Qui compare verso la metà del film, impegnato in un rito tecno-religioso davanti a un computer: “Dati, il codice, le comunicazioni. Nei secoli dei secoli, amen” pronuncia. Poi, racconta O’Connell, rivolge “una benedizione esoterica ai quattro punti cardinali, e in corrispondenza di ciascuno pronuncia il nome di un profeta del computer: Alan Turing, John von Neumann, Charles Babbage, Ada Lovelace”.
L’autore incontra Sandberg a Londra, durante un convegno dei London Futurists, e s’intrattiene con lui a cena, scoprendo che al collo indossa un medaglione d’argento che riporta le istruzioni per la sua criopreservazione dopo la morte. Pur se consapevole che il futuro sognato dai transumanisti è ancora lontano, le tappe gli sono chiare:

“Nel mio scenario la sequenza è: prima di tutto familiarizzarsi con smart drugs e tecnologie indossabili. Poi con tecnologie per l’allungamento della vita. A quel punto, sì, trasferirsi su supporti, colonizzare lo spazio e via dicendo”.

Una roadmap condivisa da gente come Dmitry Itskov, magnate russo fondatore della 2045 Initiative che punta a trasformare le tappe di Sandberg in realtà entro la metà del secolo, e Ray Kurzweil, il profeta della Singolarità, inventore prolifico, spina dorsale della Silicon Valley, alto dirigente di Google e sperimentatore in prima persona di tutte le terapie (in commercio e non) per l’allungamento della vita. Sono loro, in ultima analisi, a trasformare le idee tecno-utopiste di questi bizzarri avanguardisti in un movimento di pensiero incarnato dal soluzionismo tecnologico della Silicon Valley, il cui obiettivo ultimo, come recita il sottotitolo di Essere una macchina, è quello di “risolvere il modesto problema della morte”.

L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte
Il viaggio a bordo dell’Immortality Bus di Zoltan Istvan, candidato alla Presidenza degli Stati Uniti per il Partito Transumanista, rappresenta la tappa più divertente e appassionante dell’itinerario di O’Connell. Il transumanesimo, per sua natura, non è un movimento organizzato in modo istituzionale e gerarchico: c’è un’organizzazione di riferimento, Humanity+, che oggi è pressoché inattiva, con difficoltà a reclutare persino i membri del suo Board; ci sono associazioni ed enti che gravitano intorno al movimento, come appunto i London Futurists, o la SENS Foundation di Aubrey de Grey, che si occupa di ricerche per l’estensione della vita, e molte altre più o meno note; c’è un partito che rappresenta poco più che se stesso, di cui Istvan è stato candidato per la corsa alla Casa Bianca che fu poi vinta da Donald Trump, ma ovviamente senza alcun serio obiettivo politico se non quello di far entrare il tema dell’immortalità nell’agenda politica americana.
Max More e i nomi storici del movimento si sono affrettati a prenderne le distanze. Ma il tour elettorale di Istvan, a cui O’Connell ha preso parte in presa diretta girando gli Stati Uniti insieme a lui e al suo bizzarro portavoce Roen Horn, dormendo con loro nel caravan a forma di bara e in sporchi motel lungo le infinite strisce d’asfalto della provincia americana, riporta il transumanesimo all’ingenuo tecno-ottimismo dei suoi albori, incarnati dal profetismo di Leary, che non a caso iniziò a prenderne le distanze quando cominciò a scorgerne l’affinità con il pensiero dell’establishment californiano.

Aubrey de Grey, fondatore e presidente della SENS Foundation per combattere la mortalità.

Ancor più che su Istvan, con le sue poche e confuse idee di stampo libertario (“Sono bravissimo a fare le cose alla cazzo”, confessa un giorno all’autore del libro), a colpire O’Connell è il suo discepolo Roen Horn. Roen sembra in effetti incarnare appieno lo stereotipo del giovane fan transumanista. Nonostante sia poco più che un post-adolescente vergine e con problemi di interazione con gli altri esseri umani, è ossessionato dal problema della morte. “Roen Horn. Tu vuoi vivere in eterno?” è il modo in cui si rivolge per la prima volta a qualsiasi persona che incontra durante la campagna di Istvan. I suoi eroi sono Aubrey de Grey, alla cui fondazione destina quasi tutti i soldi che guadagna, e Laura Deming, giovanissima ex studentessa del MIT di origine neozelandese che ha abbandonato a 17 anni gli studi su consiglio di Peter Thiel, l’influentissimo venture capitalist della Silicon Valley, il quale ha investito su di lei 100.000 dollari per trasformarla nella titolare di un fondo di venture capital denominato Longevity Fund, col quale finanziare ricerche sulla life extension (lei preferisce parlare di “inversione del processo di invecchiamento”, per evitare di far scappare potenziali investitori).


L’Immortality Bus, il caravan a forma di bara usato da Zoltan Istvan per il suo tour elettorale.

Roen ha due genitori profondamente calvinisti, convinti della vita eterna dopo la morte, e il padre gli ha promesso infiniti tormenti all’inferno se proseguirà nella sua fede transumanista, salvo poi incoraggiarlo nel suo tour elettorale perché, come ogni padre, è contento di vederlo ogni tanto in TV. “La scienza è il nuovo Dio. La scienza è la nuova speranza”, scandisce Roen. La sua terra promessa è rappresentata dai sexbot. Aspetta con ansia il momento in cui si potrà fare sesso con i robot, per evitare le complicazioni dei rapporti umani. Si sta risparmiando per loro, confessa.
Se i critici del transumanesimo hanno definito la loro attesa messianica della Singolarità the rapture of the geeks, traducibile liberamente come “l’estasi dei nerd” (rapture ha una connotazione millenarista evangelica che non esiste nella nostra cultura), l’estasi attesa da Roen assomiglia più che altro a un orgasmo.

L’uomo-macchina è già tra noi
Mark O’Connell non è un transumanista e non vuole esserlo. Da insegnante di letteratura inglese e amante delle belle lettere, prova fascino e repulsione per questo mondo di persone che vogliono diventare macchine, per questo ultra-positivismo scientista che in più punti sembra sfociare in un’autentica religione, come nel caso di Terasem, un piccolo gruppo che intende fare della visione transumanista un’autentica fede religiosa, con tanto di inni e credo (ma ci sono anche i Mormoni transumanisti e i Cattolici transumanisti). Non crede che il “modesto problema della morte” sarà risolto dal soluzionismo tecnologico di Calico o di altre aziende siliconiane che cercano di applicare i prodigi del deep learning alla soluzione del più grande mistero dell’esistenza. A un certo punto, anzi, gli appare una lucida visione della realtà. Un camionista, sceso dal suo tir durante una sosta programmata, si avvicina all’Immortality Bus e ascolta Roen parlargli dei vantaggi dell’immortalità, di come sarebbe bello essere una macchina. L’uomo annuisce, ha paura di morire, dopotutto chi non ne ha? Ascolta cortesemente per un po’, poi si scusa perché deve ripartire: il dispositivo installato dalla sua compagnia a bordo del veicolo calcola la durata della sosta e gli sottrae stipendio se ritarda troppo. O’Connell si chiede se il camionista, nel riprendere il viaggio, abbia riflettuto su come il capitalismo tecnologico ci stia già trasformando in macchine.
La visione del mondo incarnata dalla Silicon Valley è tutta qui. Il transumanesimo non ne è che un’avanguardia intellettuale, a volte seria a volte caricaturale, sempre borderline nelle sue manifestazioni, ultra-utopistica com’era il movimento SMI2LE di Timothy Leary negli anni Settanta. Di per sé non risolverà il problema della morte né renderà davvero possibile l’ibridazione uomo-macchina, se non al più nelle sue componenti folcloristiche, come quelle rappresentate dai biohacker che si impiantano chip sottopelle per tenere sotto controllo i propri valori biometrici.


Un biohacker lavora all’innesto di sistemi di controllo digitale sulla propria epidermide.

Il transumanesimo però è anche il terreno di coltura intellettuale della Weltanschauung siliconiana di cui ha parlato Éric Sadin nel suo La silicolonizzazione del mondo, grido d’allarme nei confronti della “visione cibernetica della società” da essa incarnata, il cui fine ultimo è di “istituire una gestione automatizzata del mondo attraverso sistemi algoritmici”, nel “dequalificare l’agire umano a vantaggio di un «essere computazionale» giudicato superiore” (Sadin, 2018).
La visione della Singolarità, in questo contesto, rappresenterebbe, com’è stato osservato da un critico del transumanesimo, “la scialuppa di salvataggio che i ricchi si stanno costruendo per abbandonare la nave” (Vance, 2010). Giustamente, dunque, O’Connell conclude il suo viaggio osservando che, se la visione del futuro incarnata dai transumanisti si realizzerà, essi:

“verranno visti come una curiosità storica, un gruppo di persone che ai loro tempi, nella loro maniera confusa, avevano previsto quel che poi sarebbe di fatto accaduto”.

L’importanza del transumanesimo sta proprio qui, nel suo essere senza ombra di dubbio il più lungimirante, visionario, eccentrico ma anche influente movimento di pensiero nato a cavallo del millennio. La loro visione del futuro sta già colonizzando il nostro presente in modi di cui spesso nemmeno ci accorgiamo. La Singolarità è già cominciata, è il messaggio con cui Mark O’Connell ci lascia.
Sta a noi decidere se vogliamo abitare nel mondo che i transumanisti hanno immaginato e stanno costruendo per noi.

Letture
  • Patrick McCray, Timothy Leary’s Transhumanist SMI2LE, in David Kaiser e W. Patrick McCray (a cura di), Groovy Science, The University of Chicago Press, Chicago-Londra, 2016.
  • Roberto Paura, La singolarità nuda. Fedi tecnologiche, miti scientifici, futuri postmoderni, Italian Institute for Future, Napoli, 2017.
  • Éric Sadin, La silicolonizzazione del mondo, Einaudi, Torino, 2018.
  • Ashlee Vance, Merely Human? That’s So Yesterday, New York Times, 11 giugno 2010.