Una nostalgia di massa
Segni diffusi e riflessioni

Virale e dunque inarrestabile o quasi, la nostalgia è sempre più centrale
nel nostro immaginario,
come testimoniano un po’ tutte
le merci culturali contemporanee.
Efficace l’analisi di Lucrezia Ercoli
nel saggio Yesterday.

Virale e dunque inarrestabile o quasi, la nostalgia è sempre più centrale
nel nostro immaginario,
come testimoniano un po’ tutte
le merci culturali contemporanee.
Efficace l’analisi di Lucrezia Ercoli
nel saggio Yesterday.


C’è il ritornello di una canzone che recita: “Tanta nostalgia degli anni Novanta/dove il mondo era l’Arca e noi eravamo Noè/era difficile, ma possibile/non si sapeva dove e come/ma si sapeva ancora perché”. La canzone si intitola 2030 ed è un brano scritto e cantato dagli Articolo 31 e contenuto nell’album Così com’è uscito nel 1996. Ai tempi J-Ax, leader e voce del duo, aveva solamente ventiquattro anni, eppure canta un brano, come si capisce già dal solo ritornello, avvolto da un’aura di malinconia, in cui si prefigura un mondo a venire dove le cose non potranno che andare peggio, i media saranno più potenti e pervasivi (“Ormai si parla solo attraverso internet”), ma sempre più controllati da pochi e in maniera unidirezionale (“Loro controllano televisione e radio/c’è un comitato di censura audio/valutano, decidono, quello che sì, quello che no/ci danno musica innocua, dopo il collaudo”). È il classico tema distopico di matrice huxleyana dei pochi che controllano i molti tenendoli a bada con un soma (cfr. Huxley, 2021), che in questo caso sono brani dalla musica innocua. Ma non è questa, si diceva, la particolarità della canzone, ma il fatto di essere attraversata da un profondo sentimento di nostalgia (“degli anni Novanta”).
Gli autori si immaginano nel futuro e parlano, rivedendosi in maniera retrospettiva, con la convinzione che il tempo che hanno vissuto, cioè il tempo in cui hanno composto il brano, sia qualitativamente migliore di quello che verrà dopo. Più che un inno peterpaniano alla filosofia del non crescere, è una celebrazione degli anni che si stanno vivendo. Curioso, però, il fatto che anziché limitarsi a esaltare il tempo che si sta vivendo si faccia l’operazione di guardare al futuro per poi tuffarsi nella nostalgia del presente. Tuffi nel passato, operazioni nostalgiche, retromania, come l’ha definita Simon Reynolds in un suo celebre excursus sulle musiche pop, prendendo in esame, tra gli altri, fenomeni come le cover band, il ritorno del vinile e delle musicassette, le reunion riuscite o meno delle band/mito (cfr. Reynolds, 2022).

Una mostra di memorie collettive
Omaggi sul filo della devozione, come di recente la mostra tenutasi al Palazzo Mediceo di Serravezza in provincia di Lucca, intitolata Ritorno agli Ottanta. Mitologia moderna (15 maggio – 16 luglio) da un’idea di Davide Monaco e a cura di Francesco Ristori. In bella mostra, letteralmente, è il caso di dirlo, oggetti, icone del decennio a iniziare da una versione gigante del cubo di Rubik (due metri per due), che accoglieva i visitatori all’esterno per poi passare ad ammirare una Ferrari Testarossa Cabrio serie limitata del 1985, un esemplare della DeLorean, l’auto adoperata da Emmet “Doc” Brown (Christopher Lloyd) e Marty McFly (Michael J. Fox) per le loro scorribande nello spazio/tempo, reperti gloriosi dello sport nazionale come il pallone originale firmato da tutti i calciatori della finale del campionato mondiale di calcio 1982 e le magliette originali firmate dai singoli calciatori, oppure la maglia e la pettorina di Alberto Tomba, pluripremiato nei primi anni Ottanta, ma anche scarpette e maglietta di Pietro Mennea. In esposizione soprattutto gli eroi dei manga e delle anime made in Japan, da Goldrake a Capitan Harlock, da Arsenio Lupin III a Lady Oscar e gli oggetti di culto della prima ondata elettronica: il Commodore 64, il Primo Walkman Sony, il cabinato originale da bar di Pac-Man e la grafica effervescente, elettrica dell’epoca con i vinili illustrati da Andy Warhol, Keith Haring e Andrea Pazienza.

Gli Ottanta, tornano periodicamente come un tormentone canoro estivo (nel 2024 tornerà Goldrake in una nuova serie), ma non è l’unico decennio che ci segnala un malessere e un bisogno di rifugio nel passato. In quest’ottica anche il fenomenale boom di un film come Barbie, tra le sue molteplici chiavi di lettura, può essere visto anche come nostalgia dell’età d’oro dei consumi di massa. Ma quando è che abbiamo cominciato a non avere più fiducia nel futuro? Perché se la modernità era iniziata sotto i buoni auspici del progresso, ad un certo punto abbiamo iniziato a perdere fiducia nel futuro iniziando a trovare consolazione nei ‘bei tempi andati’? Ha provato a rispondere a questa domanda un libro, Yesterday. Filosofia della nostalgia, scritto da Lucrezia Ercoli, docente di Storia dello spettacolo all’Accademia di belle arti di Bologna, testo agile ed estremamente ricco di esempi tratti da film, romanzi, serie televisive e tutto ciò che l’industria culturale ha saputo costruire negli ultimi cinquant’anni influenzando il nostro immaginario sociale.
Il volume si apre con quello che forse è già l’esempio più significativo rispetto all’oggetto di discussione, e cioè Midnight in Paris di Woody Allen, film tutto costruito sul tema della nostalgia. Gil, uno sceneggiatore hollywoodiano con ambizioni da scrittore e un romanzo in gestazione, si trova in vacanza a Parigi e, facendo una passeggiata solitaria per rilassarsi dalla insopportabile fidanzata, magicamente, a mezzanotte si ritrova nella Parigi degli anni Venti, e lì ha modo di conoscere e frequentare tutto il pantheon dei suoi idoli: da Ernest Hemingway a Francis Scott Fitzgerald, da Picasso a Salvador Dalì, da Man Ray a Luis Buñuel e così via, con la magia che si ripete tutte le sere alla stessa ora. Gli anni Venti del Novecento a Parigi sono, secondo il protagonista, gli anni in cui vale veramente la pena di vivere. Ma questa sua certezza viene messa in crisi quando conosce e si innamora di una ragazza di quel periodo, la quale, proprio come Gil, rifiuta il suo tempo e pensa che il periodo storico in cui vale veramente la pena di vivere sia la Belle époque. A quel punto, il protagonista capisce che la sua non è altro che una fuga mentale da un presente dove non si riesce a trovare una propria dimensione, verso un passato immaginario in cui aggrapparsi. Scrive Lucrezia Ercoli:

“La sindrome dei bei tempi andati è sempre esistita, ma la collocazione temporale di quest’età dorata è sempre diversa. Un’unica costante: è sempre lontana dal presente in cui viene nostalgicamente nominata […] L’epoca d’oro è un artificio narrativo, una finzione che ci aiuta a vivere. Niente di più. Siamo noi che costruiamo i tratti dell’epoca d’oro, siamo noi che cerchiamo in un passato vagheggiato e lontano – che non abbiamo vissuto in prima persona e che possiamo ricostruire a posteriori selezionando i suoi profili migliori – i tratti della vera felicità che non rintracciamo nel presente”.

Ma la nostalgia significa anche altro. Non è solamente una fuga dal presente e rifugio nell’immaginario, non è solo la costruzione edulcorata di un mondo felice che non è mai esistito (Happy Days, Pleasantville, Chiamami col tuo nome, Amarcord) dove tutto è avvolto da una patina irreale e onirica, ma è anche qualcosa di Unheimlich, ovvero di perturbante. Il termine tedesco ha una doppia radice antitetica e viene sia da Heim, cioè “casa”, che da heimish, cioè “familiare”. Scrive Ercoli:

“Il perturbante, quindi, è qualcosa che – pur assomigliando al nostro ambiente domestico – cela un nonsoché di sconosciuto e di enigmatico”, qualcosa che “rompe le regole del mondo consueto inserendovi il ‘meraviglioso’, con la sua carica di fascinazione e di inquietudine. Inserisce la differenza nell’identico”
(Ercoli, 2022).

Non a caso l’autrice introduce questo concetto dopo aver parlato di Stranger Things, serie televisiva ambientata negli anni Ottanta e in cui non c’è una separazione netta tra al di là e al di qua, ma dove il sovrannaturale convive in modo immanente con il naturale – in maniera analoga, per esempio, a I segreti di Twin Peaks (citata anch’essa nel libro della Ercoli) serie cult dei primi anni Novanta scritta e diretta da David Lynch e Mark Frost. Il perturbante in questo caso è associabile al thauma, termine greco che normalmente traduciamo con “meraviglia”, e che utilizza Aristotele ne la Metafisica per descrivere le origini della filosofia, ma che nella lettura che ne ha dato Emanuele Severino diventa non una forma di stupore in senso positivo, ma che anzi rimanda piuttosto a qualcosa di inquietante, di minaccioso, di oscuro (cfr. Severino, 1996). Tornando quindi al perturbante, possiamo dire che esso è qualcosa che si insinua nel noto, in ciò che conosciamo, ma che allo stesso tempo è foriero di angoscia.

“Normalmente, infatti, nell’identificazione del lettore o dello spettatore c’è sempre un elemento di lontananza che costituisce l’illusione artistica, che mantiene la distanza tra la realtà e la finzione e ci consente di trarre beneficio da quell’esperienza. – scrive l’autrice – Ma, con l’irruzione del perturbante, la sicurezza dello spettatore vacilla: in questo caso l’artista opera un doppio inganno (all’interno dell’inganno stesso dell’opera). (…) La nostalgia ha un movimento ‘perturbante’. Richiama immagini e suoni conosciuti in tempi e luoghi estranei, è – al contempo – familiare e inquietante, conosciuta e straniera, veicolo di piacere e dolore, di gioia e di sofferenza. Unhomely, ‘non familiare’: l’ambiente domestico non coincide con se stesso, la casa verso cui tendiamo è al contempo nota e straniera, familiare ed estranea”
(ibidem).

Vale la pena di ricordare, come fa l’autrice, l’etimologia del termine nostalgia. La parola ha origini mediche e venne coniata nel 1688 da uno studente svizzero, Johannes Hofer, nella sua tesi in medicina Dissertatio medica de nostalgia per delineare quella condizione clinica di eccessivo attaccamento alla patria lontana, qualcosa di simile alla saudade portoghese. Il termine ha radici greche e unisce i termini nostos, “ritorno in patria” e algos, “dolore o tristezza”. Chi soffre di nostalgia, dunque, ha bisogno di essere curato. Come ben chiarisce Ercoli, è una

“patologia che accompagna l’accelerazione del tempo moderno, che affianca i cambiamenti radicali e veloci causati dall’industrializzazione e dall’urbanizzazione sul finire del Seicento. E oggi ne capiamo bene l’origine perché alla veloce modernizzazione delle condizioni di vita degli ultimi decenni, non si è affiancata una vera modernizzazione culturale. Non dovrebbe stupirci il dilagare della nostalgia a fronte di una rapida tecnologizzazione che non è stata accompagnata da una nuova consapevolezza né da una nuova coscienza”
(ibidem).

Provando a ragionare con categorie simmeliane, potremmo dire che il nostalgico è colui il cui intelletto, facoltà necessaria per rispondere a quella “intensificazione della vita nervosa” (Simmel, 2015) caratteristica della vita metropolitana secondo il filosofo di Berlino, si impone ma non riesce mai a prevalere sulla “sentimentalità”, modalità percettiva e sensoriale del passato tipica della città di provincia, generando uno stato di scissione dell’io, in cui si reagisce a ciò che è veloce e transeunte – l’esperienza della metropoli – aggrappandosi a ciò che invece è sottoposto a cicli abitudinari che si ripetono inesorabilmente identici.
Ed è proprio tra sentimento e tecnologia che si insinua la merce. Nella tredicesima puntata della prima stagione della serie televisiva Mad Men, creata nel 2008 da Mattew Weiner, il protagonista Don Draper – individuo misterioso e dalla biografia enigmatica che verrà via via raccontata nel corso delle sei stagioni – è un abile venditore pubblicitario (il nome della serie deriva dal modo in cui negli anni Sessanta, periodo in cui è ambientato il racconto, venivano definiti i pubblicitari che lavoravano nella Madison Avenue) illustra ai dirigenti della Kodak la campagna pubblicitaria che è stata creata per loro, e dice: “Non si può lanciare qualunque prodotto come se fosse una lozione. Per questo bisogna creare un legame più profondo col prodotto: la nostalgia, è delicata, ma potente”. Da lì, attraverso il proiettore Kodak (oggetto della campagna), inizia a far scorrere sulla parete delle diapositive riguardanti la propria famiglia, e aggiunge: “Teddy (personaggio della serie, ndr) mi disse che in greco nostalgia significa letteralmente «dolore che deriva da una vecchia ferita». È uno struggimento del cuore di gran lunga più potente del ricordo. Questo aggeggio non è una nave spaziale: è una macchina del tempo. Ti può portare avanti, o indietro. Ci porta in un posto dove vogliamo tornare”. Ecco quindi a cosa serve il proiettore: a farci continuamente tornare indietro verso la nostra età dell’oro, alla ricerca di una felicità perduta; il proiettore serve sostanzialmente a produrre nostalgia. Scrive Lucrezia Ercoli nell’introdurre la scena:

“Per vendere un prodotto non basta stuzzicare il desiderio suscitato da una luccicante novità tecnologica, ma si deve costruire un legame più profondo tra il consumatore e la merce. Soltanto così un asettico nuovo strumento tecnologico può essere trasformato in una tecnologia emozionante. Basta aggiungere un ingrediente magico: la nostalgia”
(ibidem).

Ricerca dell’età dell’oro, perturbante, desiderio e consumo, sono solo alcune delle molte sfaccettature che può avere la nostalgia e sulle quali il testo di Lucrezia Ercoli contribuisce a far luce con grande chiarezza espositiva. Resta da aggiungere che il titolo del libro rimanda alla celeberrima canzone dei Beatles composta e cantata da Paul McCartney che all’epoca ventitreenne si struggeva in questi versi iniziali: “Yesterday, all my troubles seemed so far away / Now it looks as though they’re here to stay”.
Eterno ritorno della nostalgia?

Letture
  • Lucrezia Ercoli, Yesterday. Filosofia della nostalgia, Ponte alle Grazie, Milano, 2022.
  • Aldous Huxley, Il mondo nuovo – Ritorno al mondo nuovo, Mondadori, Milano, 2021.
  • Simon Reynolds, Retromania, minimum fax, Roma, 2022.
  • Georg Simmel, Le metropoli e la vita dello spirito, Armando Editore, Roma, 1995.
Visioni
  • Francesco Ristori (a cura di), Ritorno agli Ottanta. Mitologia moderna, Palazzo Mediceo, Serravezza, 15 maggio – 16 luglio 2023.
  • Emanuele Severino, Thaûma, 17 ottobre 1996, YouTube.