Schegge di paranoia
conficcate nella carne

Thomas Ligotti
Il nesso spettrale
Traduzione di Luca Fusari

il Saggiatore, Milano, 2023
pp. 112, € 12,00

Thomas Ligotti
Il nesso spettrale
Traduzione di Luca Fusari

il Saggiatore, Milano, 2023
pp. 112, € 12,00


Malessere che si riversa sulla pagina bianca, sofferenza del corpo che si traduce in scrittura, dolore insensato che si incarna in parola, in visioni, in racconto. La salute di Thomas Ligotti è sempre sotto attacco. Lui ha sofferto “di attacchi di panico-ansia”, è stato “gravemente depresso”, colpito da “anedonia o depressione malinconica”, oppure “vittima della sindrome del colon irritabile”. Ligotti è bersagliato da malanni che gli procurano sofferenze indicibili e puntualmente ciascuna patologia assume quella particolare forma d’incubo che sono i suoi racconti. Il grimorio dal quale estrae storie malefiche e maledette è ricco d’inserti provenienti dalla sua cartella clinica. Così male in arnese, sconfitto in partenza di fronte al nulla nel quale siamo immersi, Ligotti è autentico scrittore di culto, ritenuto a ragion veduta la massima espressione del gothic, del weird, dell’horror, le definizioni si sprecano. Impostosi come signore indiscusso del pessimismo e del nichilismo, è forse l’ultimo autore vivente a potersi fregiare di questi pseudo titoli onorifici, un po’ anche fabbricati dalla sua riservatezza, pochissime foto, anche da poche interviste nei primi anni d’attività. La fama arrivò, è noto, grazie alla prima stagione di True Detective. Oramai passato alla storia della serialità, il monologo del protagonista Rust Cohle (Matthew McConaughey) era strazeppo di rimandi al saggio ligottiano La cospirazione contro la razza umana, summa del cupissimo esistenzialismo e antinatalismo dell’autore, prova magistrale di speculazione filosofica tout court radicata nella tradizione del pensiero negativo da Giacomo Leopardi e Arthur Schopenhauer a Emil Cioran e Peter Wessel Zapffe.
Un serio effetto collaterale dovuto alle peripezie del corpo e della mente di Ligotti, è l’interruzione dell’attività letteraria da circa dieci anni. Oggi, il solitario di Detroit, forse rifugiatosi in Florida, non scrive più, ha smesso dopo aver concepito, in seguito a un’esperienza di premorte su un tavolo operatorio, due racconti ora raccolti nel volumetto Il nesso spettrale da il Saggiatore, che ha pubblicato pressocché per intero l’opera del visionario del Michigan d’origine siciliana per tre quarti, quanto basta per fornirgli un’oscura e gotica visione del creato. Il primo dei due racconti, Metaphysica Morum, va precisato, era già apparso nel 2022, nell’antologia Contemporaneo occidentale a cura di Andre Gentile, mentre La gente piccola era sinora del tutto inedito in italiano.

L’impostura cosmica dietro le quinte dell’esistenza
Due storie dell’orrore laddove questo è in primo luogo il sentimento che nasce dall’osservare la propria condizione di vivente, la desolazione che impera, il vuoto che la sostiene, il nulla che ne determina il movimento. Ligotti è autenticamente impaurito dall’esistenza stessa, sembra ruminare incessantemente gli interrogativi posti da Cioran:

“L’esistenza non è già presa nel nulla? […] Questa [l’esistenza] sarebbe dunque per noi un esilio, e il nulla una patria?”
(Cioran, 1998).

I personaggi ligottiani sospettano sempre, congetturano intorno a un inganno che avvertono ma che non si lascia mai afferrare del tutto, le sue storie sono cronache dal regno dell’orrore esistenziale, le vicende che narra si riducono a “Una sola ridottissima esperienza, l’esperienza di scoprire qualcosa di terribile”, come dichiarò in un’intervista rilasciata a Stephan Dziemianowicz nel 1991 riferendosi al suo indiscusso mentore, Howard P. Lovecraft (Ligotti, 2019). Ne consegue che i personaggi ligottiani agiscono perennemente sotto il segno della paranoia, si muovono nel mezzo dell’indistinto confine che mal separa la realtà ordinaria dalle allucinazioni, fonte di incubi, deliri e di un perenne stato di allerta.
Vi riecheggiano le cronache visionarie di Daniel Paul Schreber, quelle sue Memorie di un malato di nervi, uno zibaldone imprescindibile di complotti, catastrofi, divinità persecutorie per chi si avventura nell’oscurità dell’essere. Da queste parti andrebbe collocato Metaphysica Morum, vicenda, o meglio, stando alle parole del protagonista, “mutante metafisico”, una “lamentela autobiografica” fornita al suo interlocutore (un terapeuta?, uno psichiatra?, altro?, forse un eutanasista?) chiamato Dottor Olan, ma che “da familiari e pazienti preferiva farsi chiamare dottor O”. L’io narrante nel confidarsi svela l’orrore della sua origine, una rivelazione alla quale non è estraneo un misterioso “Venditore” proveniente da una realtà parallela alla nostra. Un passaggio riferito a visioni oniriche ricorrenti del protagonista esibisce l’influenza di Lovecraft ancora presente nel maturo Ligotti:

“In questi sogni ero sempre dentro quello che non posso definire altro che un bazar multipiano, un mercato senza confini riempito da quello che sembrava un numero infinito di strutture in rovina di svariate forme, molte ricche di strani e innominabili oggetti posizionati dietro finestre deformate – masse grumose contorte e statuette stravolte create e allineate in modo da suscitare ripulsa”.

L’omaggio al solitario di Providence fa il paio con quello legato a tutta una tradizione cinematografica di genere che colloca efferati delitti, crudeltà indicibili ed esseri disgustosi, che allignano nel delta del Mississipi,

“quei film dell’orrore dove ci sono i nordisti massacrati da bifolchi di campagna che a forza di accoppiarsi tra consanguinei, e io ne so qualcosa, le loro femmine si riproducono per la cosiddetta partenogenesi, giuro, mentre i maschi sodomizzano gli animali della fattoria e gli sfortunati yankee che sconfinano”.

Arriva da lì il protagonista e il primo a farne cenno è il Venditore:

“Lei è un mutante metafisico, se non sbaglio. A nemmeno una generazione di distanza dalla palude, terreno fertile per aberrazioni di ogni genere”.

A volte, con queste premesse non resta che suicidarsi, magari lasciando un biglietto, un “Dichiarazione di suicidio” con la quale il narratore si congeda dal lettore. Più asciutto e ficcante è il secondo racconto, La gente piccola, dove la vertigine paranoide di Ligotti si esprime al suo meglio. Pare discendere per linea diretta da questo passo tratto da un ‘intervista rilasciata a Neddal Ayad nel 2004.

“la malignità vuota e inspiegabile che alcuni di noi leggono in faccia alle bambole, ai manichini, alle marionette e via dicendo. Le facce di così tante effigi della nostra forma, create dalle nostre mani e menti, sembrerebbero il nostro modo di dire a noi stessi che conosciamo un segreto troppo terribile da dire”
(Ligotti, 2019).

Altro non sono quelle creaturine che ossessionano il protagonista, anch’egli alle prese con una sorta di confessione a una specie di medico, stavolta però in una struttura manicomiale o penitenziaria o qualcos’altro di analogo, comunque concentrazionario. Un racconto reiterato, come dichiarato in apertura (“questa storia, come sa, l’ho già raccontata”, dichiara al dottore), e probabilmente condannato a ripetersi all’infinito. Storia di una persecuzione che il narratore subisce sin dall’infanzia, quando s’imbatté per la prima volta con quegli esseri minuscoli, forse giocattoli, o pupazzetti, o popolo di altri esserini confinanti con noi, una razza di invasori del mondo avvolta nel mistero, perché nulla è dato sapere sulla loro essenza, ma molto veniamo a sapere sulla ripugnanza che ci ispirano, quantomeno quella che scaturisce nella mente del protagonista al quale ispirano un profondo orrore:

“[…] sembravano giganteschi, cioè, giganteschi per essere dei giocattoli, considerato il loro aspetto di giocattoli. […] Erano da sempre così, creati in qualche modo ma senza svilupparsi di fase in fase dalla nascita alla loro attuale età. In seguito pensai che per loro non c’era stato alcun processo di maturazione […] C’era soltanto un fare finta, un mettere in scena la vita. In un certo senso erano uno specchio di noi: di ciò che desideravamo per noi stessi”.

Bentornati nel girone infernale chiamato Ligotti.

Letture
  • Emil Cioran, Al culmine della disperazione, Adelphi, Milano, 1998.
  • Thomas Ligotti, La cospirazione contro la razza umana, Il Saggiatore, Milano, 2016.
  • Thomas Ligotti, Nato dalla paura il Saggiatore, Milano, 2019.
  • Daniel Paul Schreber, Memorie di un malato di nervi, Adelphi, Milano, 2007.
Visioni
  • Nic Pizzolatto, True Detective, Warner Bros, 2015 (home video).