I futuri di Neal Stephenson,
il vate della Silicon Valley

L’era del diamante
Traduzione di Giancarlo Carlotti

Fanucci, Roma, 2023
pp. 509, € 20,00

Neal Stephenson
Snow Crash
Traduzione di Paola Bertante

Mondadori, Milano, 2022
pp. 656, € 18,00

L’era del diamante
Traduzione di Giancarlo Carlotti

Fanucci, Roma, 2023
pp. 509, € 20,00

Neal Stephenson
Snow Crash
Traduzione di Paola Bertante

Mondadori, Milano, 2022
pp. 656, € 18,00


Nel 2011 escono, su due importanti riviste di politica, gli articoli di due autori piuttosto singolari intorno a un tema comune. Il primo è firmato da Neal Stephenson, celebre scrittore di fantascienza che si è conquistato un posto nell’olimpo del genere con Snow Crash nel 1992: intitolato Innovation Starvation e pubblicato sul World Policy Journal, è un lamento della fine dei grandi sogni tecnologici del Novecento, dopo il ritiro dell’ultimo Space Shuttle che avviene proprio quell’anno (“Dov’è la mia stazione spaziale a forma di ciambella? Dov’è il mio biglietto per Marte?”).
Il secondo è firmato da Peter Thiel, influente investitore della Silicon Valley, che con Elon Musk aveva fondato alla fine degli anni Novanta PayPal: intitolato The End of the Future e pubblicato sul National Interest, è un’analisi delle conseguenze catastrofiche del presunto “rallentamento tecnologico” che secondo l’autore si sta verificando in Occidente e soprattutto negli Stati Uniti, dove politiche keynesiane ed enfasi sui diritti civili hanno portato fuori strada l’agenda americana rispetto agli ambiziosi obiettivi di viaggi spaziali e aerei ipersonici descritti su riviste come Popular Mechanics negli anni Sessanta (cfr. Thiel, 2011).
I due autori avevano tra di loro strette connessioni. Thiel, in particolare, era cresciuto con i romanzi di Stephenson. Tra i sei libri consigliati dal venture capitalist californiano troviamo L’era del diamante (1995), uno dei romanzi cult dell’era post-cyberpunk appena ripubblicato da Fanucci in Italia dopo decenni di assenza (la prima edizione era della storica casa editrice Shake, che aveva portato nel nostro paese i primi romanzi di Stephenson). Così Thiel lodava il romanzo:

“Non si possono costruire cose nuove solo con le conoscenze tecniche, ma è necessaria l’immaginazione. Quella di Stephenson è sconfinata: questo romanzo non è solo il libro più divertente che si possa leggere sull’intelligenza artificiale e la nanotecnologia; ispirerà invenzioni che i vostri figli useranno o creeranno”
(The Week Staff, 2016).

Un altro romanzo, Cryptonomicon, era stata l’ispirazione per PayPal (ci ritorneremo). Stephenson, d’altro canto, era di casa negli ambienti della Silicon Valley. Per un certo tempo era stato l’unico impiegato di Blue Origin, l’ambiziosa società aerospaziale fondata da Jeff Bezos, il patron di Amazon, con l’obiettivo di aprire anche l’ultima frontiera, quella spaziale, alla conquista dei tecnotitani. Stephenson era (ed è ancora) il futurist-in-chief, il futurologo capo della società, che nel giro di poco più di due decenni è stata in grado di realizzare sei voli con equipaggio e conquistare un contratto con la NASA per andare sulla Luna.
Tre anni dopo l’uscita dei loro articoli-manifesto, entrambi pubblicavano due opere che rappresentavano il risultato di quelle riflessioni. Da zero a uno di Peter Thiel (2014) è diventato il manifesto degli startupper radicali di tutto il mondo, quelli che non vogliono limitarsi a creare l’ennesima app per contare le calorie perse in palestra ma hanno in Elon Musk il loro modello da imitare: dopo aver investito alcune decine di milioni in SpaceX, la società aerospaziale di Musk, nel 2011 Thiel fondava i Breakout Labs con l’obiettivo di lavorare all’estensione radicale dell’aspettativa di vita.
Stephenson promuoveva invece la pubblicazione di Hieroglyph (2014), un’antologia di racconti di fantascienza “ottimistici” basati su invenzioni tecnologiche radicali: un obiettivo che aveva annunciato già nel suo articolo di tre anni prima proponendo la “teoria dei geroglifici”, secondo cui i robot di Isaac Asimov, i razzi spaziali di Robert Heinlein, il cyberspazio di William Gibson agiscono come “simboli semplici e riconoscibili sul cui significato tutti concordano” (Stephenson, 2011) e possono influenzare la realtà in cui viviamo.

Infoapocalisse
Questa idea è alla base del pensiero di Neal Stephenson. Il suo romanzo più celebre, Snow Crash, tornato alla ribalta di recente con il successo del “metaverso”, termine coniato dallo scrittore americano proprio in questo romanzo, gravita intorno a un’idea affascinante: che alle origini della civiltà sumera e quindi della scrittura come la conosciamo ci sia una sorta di “metavirus” proveniente dallo spazio, che avrebbe generato una infoapocalisse di cui il racconto della Torre di Babele rappresenterebbe l’eco mitologica, per poi ritornare nel futuro del cyberspazio sotto forma di un virus informatico in grado di infettare anche i corpi umani a causa dello sgretolarsi del confine netto tra realtà fisica e virtuale prodotto dal metaverso:

“Questa lingua – la lingua madre – è eredità di una fase precedente dello sviluppo sociale umano. Le società primitive erano controllate da regole verbali chiamate me. I me erano come piccoli programmi per gli umani (…). Tutte le abilità necessarie a far funzionare una cultura autosufficiente erano contenute in questi me, che erano scritti su tavolette o trasmessi oralmente. In ogni caso, i me erano custoditi nel tempio locale, che fungeva da archivio dei me, controllato da un sacerdote-re, detto en. Quando qualcuno aveva bisogno di pane, andava all’en o da uno dei suoi sottoposti e prelevava il me della panificazione dal tempio. Poi seguiva le istruzioni, avviava il programma e, quando aveva finito, si ritrovava con una pagnotta”
(Stephenson 2022).

La teoria a cui Stephenson fa qui fantasiosamente riferimento è quella dei meme, le idee che si diffondono ed evolvono sotto la pressione della selezione naturale secondo la proposta di Richard Dawkins (cfr. Dawkins, 2022). Ma Stephenson la reinventa in Snow Crash comparando i meme ai programmi informatici e la loro capacità di diffondersi a quella dei virus, immaginando un collegamento tra virus informatici e virus biologici. Un virus, in particolare, chiamato Asherah, si diffonde nella società sumera e rischia di distruggere l’intera civiltà umana: per fermarlo, il sacerdote-re Enki crea un antivirus, Babele, che attraverso la creazione di innumerevoli lingue impedisce al me fuori controllo di diventare pandemico.
In Snow Crash scopriamo che Asherah è tornato e minaccia nuovamente l’umanità, partendo dal Metaverso per poi diffondersi nella Realtà. Per fermarlo occorre una nuova infoapocalisse. Questa volta tocca alla comunità degli hacker del Metaverso, perché è l’unica a capire “che l’informazione è potere e che controlla la società perché possiede questa capacità semimistica di parlare le magiche lingue dei computer”.
Agli albori del cyberspazio, Stephenson si faceva promotore di un’idea “semimistica” del digitale che aveva largo seguito nella comunità dei pionieri informatici. In the beginning… was the command line (1999), ossia “In principio fu la riga di comando”, è il titolo di un saggio di Stephenson che fin dal titolo rende palese la sua convinzione di uno stretto collegamento tra Realtà e Metaverso:

“Credo che il messaggio sia molto chiaro: da qualche parte, al di fuori e al di là del nostro universo, c’è un sistema operativo, codificato in un arco di tempo incalcolabile da una sorta di hacker-demiurgo. Il sistema operativo cosmico utilizza un’interfaccia a riga di comando. Funziona su qualcosa di simile a una telescrivente, con molto rumore e calore; i bit perforati scendono nella sua tramoggia come stelle alla deriva”
(Stephenson, 1999).

Questa concezione “tecnognostica”, per usare il termine coniato da Erik Davis nel suo seminale Techgnosis (1998), che traccia la genealogia dell’idea secondo cui il nostro universo sarebbe in sostanza un grande computer e tutto può essere ricondotto a informazione, costituisce da un lato lo sfondo di tutta la produzione di Stephenson, dall’altro chiarisce l’obiettivo dello scrittore di poter in qualche modo influenzare la realtà attraverso i me o i geroglifici della fantascienza, vale a dire “infettare” il futuro con le sue visioni affinché diventino reali: un concetto che in quegli stessi anni prende forma nella Cybernetic Culture Research Unit (CCRU) dell’Università di Warwick e diventerà noto come “iperstizione”. Non a caso Nick Land, il principale animatore della CCRU, ricorderà la teoria dei me di Snow Crash nei suoi scritti (Land et al., 2015).

Criptoanarchismo
Il metaverso è sicuramente l’iperstizione più riuscita di Stephenson. La sua influenza negli ambienti della Silicon Valley è tale da aver spinto Mark Zuckerberg a provare a trasformare questa idea in realtà investendoci miliardi. Ma non è l’unica. L’era del diamante, il romanzo che segue Snow Crash e si mantiene ancora nell’alveo del cyberpunk, presenta un profluvio di invenzioni tecnologiche affascinanti che hanno dato vita a una società divisa in civiltà quasi impermeabili l’una all’altra, con quella occidentale – definita Atlantidea o Neo-Vittoriana – che domina su tutte grazie alla sua capacità di controllare gli Alimentatori che generano l’energia necessaria alla produzione di oggetti attraverso la nanotecnologia (i “compilatori di materia”), una sorta di controllo monopolistico dei mezzi di produzione che fa sembrare il capitalismo roba da bambini. Per spezzare questo monopolio, ecco che arriva un nuovo me, un programma informatico in grado di cambiare tutto.

È una sorta di e-book interattivo e intelligente, il Sussidiario illustrato della giovinetta. John Percival Hackworth, il suo progettista, è ben consapevole delle storture della società in cui vive. Per una sua vecchia invenzione, ormai ampiamente diffusa, “ai lord azionisti l’idea aveva fruttato miliardi, ad Hackworth una settimana di salario in più”. Tuttavia il committente del progetto, il miliardario lord Finkle-McGraw, è angosciato dall’idea che le sue figlie debbano crescere in una società così disuguale, e chiede a Hackworth un modo per instillare nelle menti delle nuove generazioni idee “sovversive”. Il Sussidiario illustrato della giovinetta serve esattamente a questo scopo. Senonché il suo furto finisce per metterlo in mani apparentemente sbagliate, quelle di una bambina, Nell, appartenente a una famiglia di paria, il gradino più basso della scala sociale. Ma nelle mani di Nell il Sussidiario diventerà uno strumento di reale emancipazione, man mano che, sfuggita al controllo dell’oppressivo patrigno, insieme al fratello la bambina inizierà a vagabondare e incapperà nella “interattrice”, la voce del Sussidiario, Miranda, alla guida di una comunità di reietti, CryptNet, che opera per sovvertire il regime globale:

“Quel che vuole veramente CryptNet è il Seme… una tecnologia che, secondo i suoi piani diabolici, un giorno dovrà rimpiazzare l’Alimentatore su cui è fondata la nostra società, e molte altre. Il Protocollo a noi ha portato prosperità e pace, CryptNet, invece, lo considera un sistema oppressivo e spregevole. Credono che l’informazione abbia il potere quasi mistico di fluire liberamente e autoriprodursi, come l’acqua insegue il livello del mare o le scintille volano in alto […]. Credono che un giorno, invece degli Alimentatori coi loro compilatori di materia, avremo tanti Semi che, piantati nella terra, germoglieranno in case, hamburger, navi spaziali, e libri… che il Seme si svilupperà inevitabilmente dall’Alimentatore, e da questo binomio scaturirà una società molto più evoluta”
(Stephenson, 2023).

Ecco tornare l’idea del meme (o me) che si diffonde, la mistica dell’informazione e anche il rapporto di reciprocità tra informazione e biologia. I Tamburini, una tribù che porta avanti le istanze di CryptNet, si occupa di inseminare attraverso orge rituali esponenti di alto livello della società affinché il Seme si diffonda. Il germe della sovversione diventa una malattia sessualmente trasmissibile. L’idea di CryptNet (che, per inciso, ha dato di recente il nome a un ransomware usato dall’intelligence russa) di una comunità di pari che si occupa di trasmettere liberamente l’informazione riflette la tipica mentalità hacker degli anni Ottanta e Novanta. La ritroviamo nel ponderoso Cryptonomicon (1999), in cui Neal Stephenson fa dialogare i protagonisti dell’invenzione del Colossus di Bletchley Park durante la Seconda guerra mondiale – tra cui Alan Turing, nome ricorrente nella produzione stephensoniana, in quanto padre fondatore dell’informatica – con personaggi di un prossimo futuro impegnati a creare un sistema monetario alternativo libero dal controllo degli Stati. Un’idea che avrà enorme influenza su Peter Thiel, che riconosce una diretta filiazione tra la lettura di questo romanzo e l’idea di creare una valuta digitale che troverà in PayPal il primo esperimento, per poi approdare al bitcoin e alle criptovalute.

Stephenson stesso è stato inserito nella lista delle possibilità identità dietro cui si nasconderebbe Satoshi Nakamoto, il misteriosissimo creatore dei bitcoin, di cui si sa per certo essere stato un frequentatore della comunità cripto-anarchica degli anni Novanta e appassionato lettore del Cyphernomicon, un testo apparso online nel 1994 e firmato da Timothy May che introduce i concetti della difesa della privacy e dell’anonimato come valori fondanti del cyberspazio, al fine di sfuggire al controllo statale.
L’assonanza tra i titoli dei due testi non è casuale. Entrambi si fondano sulla centralità della crittografia, ossia il modo di cifrare l’informazione per tutelare la propria identità. Un’idea che trae origine dallo scetticismo tipico del libertarismo americano per lo Stato, considerato un Moloch costantemente proteso a estendere il proprio controllo e ridurre le libertà individuale (idea ampiamente condivisa da Thiel); mentre paradossalmente saranno invece proprio i tecnotitani della platform economy ad assumere il ruolo che gli hacker di fine secolo attribuivano alle agenzie governative, a partire da Facebook che metterà al bando l’uso degli pseudonimi per identificare ogni utente della piattaforma con la rispettiva persona fisica.
In Cryptonomicon, la società Epiphyte guidata da Randy Waterhouse lavora per realizzare un “porto franco dell’informazione” in un immaginario sultanato nell’arcipelago delle Filippine. Ma a un certo punto gli arriva una strana mail cifrata firmata “ammiraglio Isoroku Yamamoto” (si noti l’assonanza nipponica con Nakamoto):

“La tua idea di creare un porto franco dell’informazione è buona, ma presenta alcuni seri limiti. Che cosa succede se il governo delle Filippine blocca i vostri cavi? O se il buon sultano cambia idea e decide di nazionalizzare i vostri computer, leggendo poi tutti i vostri dischi? Quel che servirebbe non è UN SOLO porto franco, bensì una RETE di porti franchi, che è più solida, proprio come Internet è più solida di una singola macchina”
(Stephenson, 2000).

Qualche centinaio di pagine dopo l’idea fa un passato avanti. I protagonisti sviluppano per la bisogna un nuovo codice di cifratura che chiamano Pontifex:

“Pontifex utilizza come chiave – una chiave per ogni messaggio, bada bene! – una permutazione a 54 elementi (che denoteremo con T) per generate una stringa-chiave che viene sommata, modulo 26, al testo in chiaro (C) come in un blocchetto monouso. Il procedimento in base a cui viene generato ogni singolo carattere della stringa-chiave altera T in modo reversibile ma, più o meno, «aleatorio»”
(ibidem).

L’idea – leggiamo nell’appendice del romanzo – è di Bruce Schneier, uno dei guru della crittografia. Ma vi troviamo in nuce la rivoluzionaria idea della blockchain. È forse un caso che il progetto di Randy venga discusso per la prima volta in un newsgroup di appassionati di crittografia, esattamente come avverrà con il white paper di Satoshi Nakamoto (che però apparirà sono nel 2008)? Schneier è un grande critico delle criptovalute, quindi difficilmente può essere considerato il vero nome dietro Satoshi. Ma in Cryptonomicon i protagonisti si faranno convincere da misteriosi magnati americani a utilizzare il sistema di cifratura distribuita per finalità più prosaiche che difendere la libertà di informazione: costruire un sistema bancario e valutario digitale alternativo a quelli statali, il cui valore è garantito da un’immensa quantità di oro risalente alla Seconda guerra mondiale, nascosto nella giungla filippina e inamovibile, di cui solo in pochi conoscono l’esatta ubicazione.

Bitworld
Stephenson esplorerà la preistoria della cosmologia digitale nel suo Ciclo Barocco (2003-2004), una trilogia di romanzi storici che si situa all’origine della rivoluzione scientifica, in particolare dei due grandi pilastri che lo reggono, ossia il calcolo infinitesimale e il pensiero computazionale. Come già in Cryptonomicon, il passato è funzionale a connettere gli scenari futuristici descritti nei romanzi con una rilettura della storia alla luce delle concezioni tecnognostiche di Stephenson. Così anche in Anathem (2008), probabilmente il suo miglior romanzo, ambientato in una Terra alternativa ma in un’epoca che sembra essere quella del nostro Medioevo, situata invece all’indomani di una catastrofe tecnologica (come nell’iconico Un cantico per Leibowitz di Walter M. Miller jr.): qui il richiamo alla disputa sugli universali diventa un modo per affermare la teoria neoplatonica dell’esistenza di un mondo delle Idee che percolano dall’iperuranio verso i diversi mondi possibili del multiverso, e in cui ogni mondo possibile potrebbe fungere da iperuranio per un altro mondo, secondo un percorso unidirezionale (“aciclico”) che rappresenta la visione cosmologica della teoria dell’informazione di Stephenson. Le idee, i me, fluiscono da un mondo all’altro, passando dalla potenza all’atto. Il mondo di Anathem è scandito da cicli temporali regolari che permettono ai sapienti (avout) di entrare in contatto con il mondo laico: esistono avout che possono uscire dai loro conventi una volta l’anno, altri una volta ogni 10, altri ogni 100, altri ogni 1.000 anni. L’idea di gruppi di persone che portano avanti i loro studi senza avere contatti con il resto del mondo per mille anni è funzionale all’obiettivo di conservare “backup della civiltà” in caso di collasso: un’idea ispirata all’Orologio dei Diecimila Anni progettato dalla Long Now Foundation con la consulenza dello stesso Stephenson, una singolare iniziativa di una fondazione di San Francisco per promuovere il pensiero di lungo termine i cui promotori sono il guru dell’ambientalismo Stewart Brand e Brian Eno (cfr. Brand, 2008).

Anche il progetto Hieroglyph promosso da Stephenson è espressione della sua ambizione di stimolare l’opinione pubblica a una riflessione orientata al futuro al lungo termine, come rimedio al presentismo che produce la innovation starvation (“carestia dell’innovazione”) descritta nell’articolo del 2011. L’idea di riuscirci promuovendo una fantascienza ottimistica e basata sui benefici dell’innovazione tecnologica può apparire ingenua, e in effetti è stata per questo criticata da un editoriale su Bloomberg che prendeva di mira proprio i discorsi sul futuro di Stephenson e Thiel; ma diventa più chiara se si comprende appieno la concezione che Stephenson ha del modo in cui funziona l’informazione e della possibilità che, attraverso i suoi meme, sia possibile influenzare la realtà ultima.
Da questo punto di vista, i romanzi di Neal Stephenson sono soprattutto prefigurazioni dell’avvenire, anche in considerazione dell’enorme influenza che l’autore gode nella Silicon Valley. Ne è un esempio La caduta all’inferno, in cui ritroviamo il protagonista di uno dei suoi romanzi meno riusciti, il thriller Reamde (2011, tradotto in italiano nei due volumi Gioco mortale e Guerra assoluta), fondato sulla passione nerd dell’autore per i giochi di ruolo fantasy. Qui il miliardario Richard Forthtrast, detto Dodge, che sembra essere ricalcato sul modello di Marck Zuckerberg – fondatore del più diffuso social network del mondo, con molti problemi di diffusione di fake news e proiettato alla realizzazione di un’ambientazione virtuale immersiva – finisce in coma durante un’operazione di routine e secondo le sue volontà viene riportato in vita all’interno di una simulazione, di cui ben presto diventa la principale divinità. Le vicende della simulazione evolvono man mano che le coscienze di altre persone defunte vengono riportate alla vita al suo interno, e di nuovo troviamo le vecchie idee sul mito di Babele e la diffusione di virus informatici, ma in una cornice ormai aggiornata alle più moderni teorie della simulazione e del metaverso. Dodge fa parte di quella ristretta cerchia di miliardari eccentrici che in passato hanno scelto di aderire all’estropianesimo, che afferma la necessità dell’ibernazione post-mortem in base alla convinzione che in un futuro più o meno lontano l’innovazione tecnologica troverà una soluzione al problema della morte e permetterà di restituire alla vita i defunti ibernati, o perlomeno le loro coscienze.

Una strada per l’immortalità
Un’idea molto diffusa tra i guru della Silicon Valley che forse proprio nella simulazione inventata da Stephenson vedono la realizzazione del loro sogno di immortalità e onnipotenza, un intero universo rimodellabile secondo le loro volontà e i loro sogni. Col tempo, le persone che vivono nel mondo reale trovano sempre più interessante seguire le vicende dei personaggi del Bitworld, la simulazione di Dodge, che si muove a velocità più rapide di quelle del Meatspace, il “mondo di carne”, grazie alla possibilità offerta dalla potenza di calcolo computazionale di svolgere molte più operazioni in un determinato lasso di tempo rispetto a quanto è in grado di fare il cervello umano. Man mano che cresce la popolazione del Bitworld, passando prima a dieci, poi a cento milioni di abitanti, cresce tuttavia l’energia consumata per gestire la simulazione. I server saranno quindi trasferiti in orbita, dove la dissipazione di calore è più efficiente e la velocità di calcolo non incontra ostacoli fisici. Uno scenario che sembra avverare l’ipotesi oggi di moda in alcuni ambienti interessati alla risposta al paradosso di Fermi secondo cui tutte le civiltà tecnologiche, dopo un certo momento di sviluppo, finiscono per trasferirsi in simulazioni virtuali all’interno di supercomputer orbitali (cfr. Ćirković, 2018).

Eppure, come anche La caduta all’inferno insegna, una simulazione può essere un paradiso come un inferno, idea questa che aveva già esplorato in passato Stanislaw Lem (cfr. Lem, 2014). La stessa cosa si può dire dei futuri tecnologici profetizzati dalla narrativa di Neal Stephenson. La concentrazione della ricchezza e della tecnologia nelle mani di poche persone può generare enormi distorsioni, come avviene in Snow Crash, in L’era del diamante, ma anche in Termination Shock (2021), l’ultimo romanzo – ancora inedito in Italia – di Stephenson, che esplora lo scenario della geoingegneria come soluzione al cambiamento climatico a partire dall’improvvida decisione di un miliardario del Texas di sparare anidride solforosa nell’atmosfera. Un’idea che Stephenson non appoggia, perché le conseguenze impreviste sul clima planetario possono essere disastrose, come mostra il romanzo; ma che, data la capacità delle sue idee di trovare terreno fertile negli ambienti tecno-soluzionisti americani, potrebbe presto diventare realtà. Ecco perché la fantascienza di Neal Stephenson, pur non avendo la portata politica di quella di un autore a cui spesso viene accostato come Kim Stanley Robinson, merita di essere approfondita, nonostante l’innegabile prolissità dell’autore e la sua propensione a perdersi in digressioni: perché tra le sue pagine vediamo in trasparenza il presente diseguale in cui viviamo, l’avveramento della celebre frase di William Gibson – “il futuro è già qui, solo che non è equamente distribuito” – e il rischio che il rimedio a quella fame d’innovazione di cui scriveva all’inizio del decennio scorso risulti, infine, peggiore del male.

Letture
  • Stewart Brand, Il lungo presente. Tempo e responsabilità, Mattioli 1885, Fidenza, 2008.
  • Milan Ćirković, The Great Silence: Science and Philosophy of Fermi’s Paradox, Oxford University Press, Oxford-Londra, 2018.
  • Erik Davis, Techgnosis. Miti, magia e misticismo nell’era dell’informazione, Ipermedium libri, Napoli, 2001.
  • Richard Dawkins, Il gene egoista, Mondadori, Milano, 2022.
  • Ed Finn, Kathryn Kramer (a cura di), Hieroglyph: Stories and Visions for a Better Future, William Morrow & Co., New York, 2014.
  • Nick Land, CCRU, Writings 1997-2003, Time Spiral Press, 2015.
  • Stanislaw Lem, Summa Technologiae, MIT University Press, Cambridge (Mass.), 2014.
  • Neal Stephenson, In the beginning… was the command line, William Morrow & Co., New York, 1999.
  • Neal Stephenson, Anathem vol 1. Il pellegrino, Rizzoli, Milano, 2010.
  • Neal Stephenson, Anathem vol. 2. Il nuovo cielo, Rizzoli, Milano, 2010.
  • Neal Stephenson, Innovation Starvation, World Policy Journal, vol. 28, n. 11, 2011.
  • Neal Stephenson, Gioco mortale, vol. 1, Fanucci, Roma, 2012.
  • Neal Stephenson, Gioco mortale – Guerra assoluta, vol. 2, Fanucci, Roma, 2013.
  • Neal Stephenson, Cryptomicon, Rizzoli, Milano, 2000.
  • Neal Stephenson, La caduta all’inferno, Fanucci, Roma, 2020.
  • Neal Stephenson, Termination Shock, The Borough Press, Londra, 2021.
  • 
Peter Thiel, The End of the Future, National Interest, 3 ottobre 2011.
  • Peter Thiel, Da zero a uno, Rizzoli, Milano, 2015.
  • The Week Staff, Peter Thiel’s 6 favorite books that predict the future, The Week, 2 maggio 2016.