Un viaggio alla scoperta
della febbre notturna


Night Fever
Designing Club Culture
1960 – Today
una mostra di Vitra Design Museum

e ADAM – Brussels Design Museum
Centro per l’arte contemporanea
Luigi Pecci, Prato
7 giugno – 13 ottobre 2019


Night Fever
Designing Club Culture
1960 – Today
una mostra di Vitra Design Museum

e ADAM – Brussels Design Museum
Centro per l’arte contemporanea
Luigi Pecci, Prato
7 giugno – 13 ottobre 2019


Al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato la mostra Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today, curata dal Vitra Design Museum e dall’ADAM – Brussels Design Museum ha esaminato una storia notturna dalle mille sfaccettature, ramificata nella cultura globale del clubbing dalla metà degli anni Sessanta fino ai giorni nostri. Il percorso multisensoriale di Night Fever si snoda attraverso l’esposizione di insegne al neon, film, fotografie, bozzetti tratti da diari di artisti, progetti per la costruzione di discoteche (alcuni realizzati, altri rimasti solo sulla carta), ma anche di locandine, manifesti, inviti e merchandising d’epoca, con uno speciale focus sulla disco music e sul suo sviluppo nel corso dei decenni. Le letture sono molteplici, ma il filo rosso è sicuramente individuabile nella vivacità della vita notturna che, sotto una coloratissima illuminazione artificiale, ha segnato lo sviluppo di più epoche, tra capitalismo e postmoderno, tra globalismo e nuove tendenze, tra visioni utopiche, battaglie per i diritti sociali e lotta politica.

 L’arte totale delle discoteche italiane
Prima di tutto, la notte si credeva nelle utopie. A partire dalla ricostruzione dell’ingresso del club fiorentino Mach 2, i primi passi dell’esposizione si muovono nel mondo delle più antiche discoteche italiane. Sorte su tutto il territorio dalla seconda metà degli anni Sessanta, esse si sono presto capillarmente affermate come luoghi di incontro della cultura pop e di nuove tendenze artistiche volte alla commistione dei linguaggi, tra Architettura Radicale e design industriale.

Veduta dell’installazione per una sala della mostra del Centro Luigi Pecci di Prato. Fotografia OKNO Studio. Courtesy Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato.

Erano anni frenetici di sperimentazioni e di nuove visioni, mossi da un positivismo dilagante, volto all’ideale costruzione di una nuova società. Le ricerche sinestetiche e le esperienze di arte totale che si svilupparono tra anni Sessanta e Settanta trovarono infatti naturale terreno nei nuovi club di città che si stavano affermando quali poli culturali chiave delle nuove tendenze artistiche del paese. In tutta l’Italia, luoghi di aggregazione come jazz club e sale da ballo si identificarono gradualmente come trampolini di lancio di nuove ricerche d’avanguardia, dimostrando una fertilità che ancora oggi si rivela in gran parte da scoprire. Torino e Roma, nello specifico, furono le due sedi del Piper, club multifunzionale aperto ancora oggi, la cui dimora romana venne progettata nel 1965 dallo Studio Capolei Cavalli Architetti a partire da un vecchio cinema dismesso.
Al suo interno, la struttura rinnovata ha accolto negli anni lavori di artisti di primo piano come Claudio Cintoli, Piero Manzoni e Andy Warhol. La sede torinese fu invece realizzata nel 1966 su progetto di Pietro Derossi, Giorgio Ceretti e Riccardo Rosso, fondatori, solamente un anno dopo, del Gruppo Strum di Architettura Radicale e ideatori nel medesimo anno del progetto del locale riminese L’Altro Mondo (divenuto presto famoso su scala internazionale per l’attenzione suscitata nel campo dell’architettura sperimentale internazionale).

Veduta dell’installazione di ingresso alla mostra del Centro Luigi Pecci di Prato. Fotografia OKNO Studio. Courtesy Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato.

Anche il Piper di Torino fu un centro culturale, con un fitto programma di sfilate di moda, concerti jazz, happenings, performance e installazioni di numerosi artisti legati al movimento d’avanguardia dell’Arte Povera, come, tra gli altri, Michelangelo Pistoletto, Mario e Marisa Merz, Piero Gilardi.
In Toscana, la fama del Piper giunse grazie a Leonardo Salivoli, al tempo docente all’Università di Architettura di Firenze, che identificò la discoteca come caso studio per nuovi spazi multifunzionali per svaghi e spettacoli, ispirando molti di coloro che presto avrebbero giocato un ruolo chiave nell’architettura radicale: Adolfo Natalini, Paolo Deganello, Alberto Breschi, Fabrizio Fiumi e Paolo Galli.
Ciò che era in incubazione in quegli anni e che avrebbe stravolto non solo il campo dell’architettura, ma in generale tutto il mondo culturale, era una nuova concezione di spazio come “opera aperta”. Ed è proprio sotto questo segno che la mostra propone disegni, foto e articoli in riviste di locali progettati dai gruppi di ricerca sperimentale come il Gruppo UFO Studio 65 e il Gruppo 999, ideatori, rispettivamente, del Bamba Issa di Forte dei Marmi e del fiorentino Space Electronic (1969), quest’ultimo esplicitamente ispirato dalle teorie sui media di Marshall McLuhan e concepito per ospitare performance multimediali altamente tecnologiche, come già l’Electric Circus di New York (1967).

La club culture di New York: diritti, droghe e graffiti
Dopo un viaggio tra i club notturni delle capitali europee Londra, Parigi e Berlino, è dunque alla New York degli anni Settanta e Ottanta che guarda la mostra, dove dire club culture significava immergersi non solo in un bagno febbrile di luci e suoni, ma anche in profonde dinamiche di lotta sociale e politica che sono state in grado di modificare radicalmente la storia.
Così, è inizialmente la moda scintillante da dancefloor di Stephen Burrows e Halston a trasportare il visitatore verso l’universo di suoni e colori degli anni d’oro della “febbre del sabato sera”, in un viaggio attraverso documenti sonori, video e attrezzature tecnologiche dell’epoca, come gli Astroraggi Disco Lighting Ball o l’Astrodisco del 1982 di Clay Paky, ma anche tramite fotografie che permettono di fare un tuffo nelle serate scintillanti di celebrità e idoli.

Veduta della prima sala della mostra. Fotografia OKNO Studio. Courtesy Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato.

Anche grazie a quest’ultimi, i club di New York sono stati soprattutto luoghi di incontro di comunità socialmente emarginate come quella latino-americana, la nera e la LGBTQ+, presto identificatesi come fenomeno underground fortemente politicizzato. Ma è una protesta fatta di serate ed eventi che hanno fatto della fusione di musica, arte e ribellione un proprio segno identificativo, come mostrano i numerosi ingrandimenti fotografici che ritraggono euforici artisti, travestiti danzanti, musicisti scatenati in spumeggianti serate, a dimostrazione che la libertà notturna (e non) non è solo un piacere, ma soprattutto un diritto da affermare e diffondere. Ed è infatti sulla diffusione degli eventi dei vari club che Night Fever indirizza a questo punto il suo sguardo.
Locandine di serate, inviti a party, spille, giacche e t-shirt si rivelano non solo mezzi pubblicitari e perfetti espedienti di diffusione del pensiero politico e sociale, ma anche occasioni per permettere agli artisti di giocare liberamente con la creatività. È ad esempio realizzato sotto forma di piccolo puzzle l’invito ideato nel 1985 da Keith Haring per il secondo Party of Life del Palladium di New York, dove si affastellano innumerevoli omini stilizzati in bianco e nero, gli stessi che sarebbero poi comparsi più e più volte nelle opere dell’artista di maggiori dimensioni. Proprio il Palladium, infatti, ospitò sin dalla sua apertura un murale di Haring esteso dal pavimento al soffitto nella parte retrostante la pista da ballo, ma anche lavori di Kenny Scharf, Jean-Michel Basquiat e dell’italiano Francesco Clemente, identificandosi ben presto come una delle prime vetrine affacciate sulla mondanità per giovani artisti emergenti.
Non è dunque un caso che alla cultura del club americana fossero legati anche spazi culturali come la storica Factory di Andy Warhol, non solo suo personale studio, ma anche e soprattutto fucina di artisti, luogo di incontro e di commistione delle arti, dove era possibile incontrare musicisti come Lou Reed e Bob Dylan, ma anche celebri personaggi del panorama gay e transgender come Candy Darling e Holly Woodlawn.

Particolare della sala con luci da discoteca Regno Quattro Luci, Astroraggi Disco Lighting Ball, Astrodisco (Clay Paky, 1982) e manichini con abiti d’epoca (Stephen Burrows e Halston).

Ancora a Warhol è legata l’attività del nightclub newyorkese Area, fondato da Christopher e Eric Goode, Shawn Hausman e Darius Azari e aperto dal 1983 al 1987. Delle sue serate, la mostra del Vitra Design Museum e dell’ADAM – Brussels Design Museum ci racconta attraverso merchandising, originali inviti e manifesti, ideati da uno specifico gruppo di lavoro del club stesso. Così, pillole blu custodite in cofanetti di velluto si rivelano inviti dal sapore ludico, come anche uova, sproporzionate fette di formaggio o trappole per topi. Cita invece in maniera ironica e dissacratoria la figura del presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan un manifesto per una festa di Halloween, presentato in bianco e nero ma con gli occhi rosa fluo, nel preciso intento di puntare il dito su un sentiero politico da contestare anche in occasioni di divertimento.

Dalla Silent Disco di Kostantin Grcic e Matthias Singer agli anni Duemila
Night Fever è anche e soprattutto musica e, per questo, i curatori dell’exhibition design e del lighting della mostra hanno realizzato in una delle sale del Centro Pecci un’installazione musicale e luminosa ‘silenziosa’ pensata appositamente per trasportare in pochi minuti il visitatore in diversi decenni della club culture. La struttura prende la forma di una piccola pista da ballo, arricchita da una vivace illuminazione e da molteplici specchi capaci di creare suggestivi giochi di luci, dove grazie a una serie di cuffie è possibile ascoltare brani di pre-disco music, disco music e house music e, perché no, anche lasciarsi andare brevemente al ballo.
L’evoluzione della dance music così proposta, mostrata materialmente anche attraverso una selezione di sintetizzatori (dal Minimoog synthesiser, al Roland TR-808, al TR-909), traghetta fluidamente il visitatore fino allo sviluppo più strettamente contemporaneo della club culture.

Installazione Silent Disco di Kostantin Grcic e Matthias Singer per il Centro Luigi Pecci.

La parte conclusiva della mostra è infatti dedicata al clubbing del XXI secolo, letto come un complesso fenomeno globale caratterizzato da novità tecnologiche e cocenti contraddizioni. Se da una parte molti storici club tanto europei quanto americani hanno attraversato un’inesorabile crisi che li ha condotti a una stentata sopravvivenza o, in certi casi, alla chiusura, dall’altra lo sviluppo tecnologico ha permesso la nascita di nuove modalità di fruizione collettiva capaci di trasformare radicalmente la cultura nella vita notturna. Protagoniste in tal senso sono le nuove piattaforme digitali, che negli ultimi decenni hanno modificato irreversibilmente il concetto di aggregazione notturna e facilitato la mobilitazione di grandi masse tramite sempre più vasti festival di musica elettronica.
Caso emblematico dell’evoluzione dell’esperienza dei locali notturni è quello della Mothership di Detroit, postazione mobile da DJ progettata nel 2015 dallo studio di architettura e design Akoaki. Mothership è completamente smontabile, composta da pannelli di alluminio e gambe di metallo ed è stata realizzata per promuovere il vasto patrimonio musicale afroamericano di Detroit. Ma se i materiali e la tecnologia che compongono la postazione guardano con un occhio al futuro, con l’altro lo sguardo si volge agli anni Settanta, quando Oakland Avenue era popolata da musicisti e la città non aveva ancora subito un declino economico che avrebbe colpito sensibilmente anche i locali notturni. E la tendenza è riscontrabile in tutto il mondo; a Parigi, per esempio, sono le grandi case di moda a strizzare l’occhio del presente agli anni delle utopie, gli stessi con i quali il percorso espositivo si è aperto.
È il caso, per esempio, della maison Miu Miu e del suo Miu Miu Club, organizzato con la collaborazione di AMO per una singola notte allo scopo di lanciare la collezione moda 2016 Cruise e il primo profumo del brand, e concepito come locale pop-up all’interno del Palais d’Iéna. Tornano così alla ribalta insegne al neon, le strutture mobili e gli arredamenti studiati dai designers per l’occasione, alla ricerca, ancora una volta, dell’opera d’arte totale.

Letture
  • Germano Celant, Ida Giannelli (a cura di), Keith Haring, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Edizioni Charta, Milano, 1994.
  • Pino Brugellis, Gianni Pettena, Alberto Salvadori (a cura di), Utopie radicali: Archizoom, Remo Buti, 9999, Gianni Pettena, Superstudio, UFO, Zziggurat, Quodlibet, Macerata 2017.
  • Kenneth King, Orbiting Andy Warhol’s Silver Factory, PAJ: a Journal of Performance and Art, vol. 36 n. 3, The MIT Press, settembre 2014.
  • Mateo Kries, Jochen Eisenbrand, Catharine Rossi (a cura di), Night Fever: designing club culture, 1960 – Today, Vitra Design Museum, Vitra Design Stiftung, Weil am Rhein, 2018.