Un racconto intramontabile,
sempre contemporaneo

Lucia Fiaschi (a cura di)
Enigma Pinocchio
Da Giacometti a LaChapelle
Villa Bardini, Firenze

22 ottobre 2019 ­– 22 marzo 2020
Catalogo Mostra:
Giunti, Firenze, 2019
pp. 144, € 20,00

Lucia Fiaschi (a cura di)
Enigma Pinocchio
Da Giacometti a LaChapelle
Villa Bardini, Firenze

22 ottobre 2019 ­– 22 marzo 2020
Catalogo Mostra:
Giunti, Firenze, 2019
pp. 144, € 20,00


Nel luglio del 1881, sul Giornale dei bambini, Carlo Collodi vedeva pubblicata la prima puntata della storia di Pinocchio, dal titolo La storia di un burattino e, nel 1883, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino diveniva un romanzo per ragazzi. Contemporaneo, profondamente complesso pur nella sua semplicità, Pinocchio, burattino animato, si è dimostrato da subito un personaggio universale. Specchio dell’uomo, esso (egli?) non può essere considerato solamente una marionetta, un bambino, una maschera, e certo non può essere relegato al suo tempo.
Creatura in continua crescita fatta di sogni e contraddizioni, in più di un secolo Pinocchio ha affascinato generazioni di poeti, scrittori, musicisti, registi, attori, artisti, e i nomi rammentabili sono molti: Giulio Antamoro e Polidor (nome d’arte dell’attore Ferdinand Guillame), Federico Fellini, Walt Disney, David Bowie, Buster Keaton, Carmelo Bene, Enrico Baj, solo per fare qualche esempio.
In terra toscana, in particolare, l’artista Venturino Venturi ha fatto del burattino di legno elemento fondamentale del suo immaginario, ritraendolo costantemente nel corso della sua carriera artistica (suo è per esempio il monumento a Pinocchio nel Parco di Collodi e sue sono le illustrazioni delle edizioni del 1981 e del 1988 delle Avventure di Pinocchio). E oggi?
Oggi Pinocchio non cessa di suscitare attenzioni. Risale allo scorso dicembre l’uscita nelle sale del Pinocchio di Matteo Garrone, che ha impegnato il regista in anni di lavoro e che si avvale della recitazione di Roberto Benigni per la figura di Geppetto (dopo aver già interpretato Pinocchio, nell’omonima pellicola del 2002). Ma fuori dallo schermo, sotto le luci del palcoscenico e tra le righe di uno spartito Pinocchio è anche jazz, grazie all’inedita interpretazione musicale di Giancarlo Schiaffini in Pinocchio Parade, mentre tra le pagine di un nuovo libro pubblicato da il Palindromo, Pinocchio, riproposto nella sua prima stesura del 1881, si fa pretesto per riscoprire l’originaria essenza cupa e oscura del racconto collodiano, troppo spesso messa da parte da un immaginario giocoso e spensierato.

Vista di una delle sale della mostra con l’opera di Sergio Traquandi, Pinocchio roller, 2012. Foto di Michele Monasta.

Immagini di un enigma: Pinocchio negato, Pinocchio affermato
Pinocchio è immagine e immaginario e a Villa Bardini Lucia Fiaschi esplora l’enigmatica figura del burattino di legno attraverso lo sguardo di una nutrita selezione di artisti contemporanei. Così, la creatura metamorfica collodiana si fa movimento, avanguardia, tradizione, simbolo, maschera e, in generale, pretesto per raccontare luci e ombre della società contemporanea, in una narrazione internazionale che procede per negazioni corrispondenti a sette sezioni: Pinocchio (non) è un Re, Pinocchio (non) è un burattino, Pinocchio (non) è un uomo, Pinocchio (non) è morto, Pinocchio (non) è Pinocchio, Pinocchio (non) è una maschera, Pinocchio (non) è un bambino. 
Per cominciare Pinocchio (non) è un Re. Seguendo questo primo principio, così come nella favola ottocentesca, nella mostra Pinocchio è prima di tutto un tronco di legno, come lo hanno rappresentato gli statunitensi Tim Rollins & K.O.S. nel 1992.
Solido, statico, riverso sul pavimento, con due minuscoli occhietti quasi invisibili, la creatura ancora informe introduce in questo modo il visitatore e lo invita a una lenta osservazione, attraverso uno sguardo che richiede minuziosa attenzione e ricerca del particolare. Poi, grazie all’immaginazione di Venturino Venturi, artista presente con il maggior numero di opere in mostra, la piccola creatura emerge dal legno sia attraverso la carta, il pastello e la cera nel 1958, sia per mezzo della scultura nel 1983. Così Pinocchio può acquistare il moto e da quel primo, vitalistico slancio, iniziare a correre tramite l’occhio di Oliviero Toscani, che con i suoi Pinocchi del 1991 invita il visitatore a spiccare il balzo all’inseguimento della creatura di legno e la sua corsa attraverso e oltre le avanguardie.
Nel Novecento il burattino (che forse non è neanche tale) si trasforma fino all’astrazione e, leggiadro, si fa forma e movimento, come nel caso delle macchine inutili in corda e legno di Bruno Munari, qui proposte con un esemplare degli anni Trenta proveniente dalla GNAM di Roma, oppure attraverso il Disco rosso, punti bianco su nero (Red Disc, White Dots in Black), di Alexander Calder, del 1960, in lamiera di metallo e acciaio.

Oliviero Toscani, Pinocchi, 1991. Stampa digitale, 45 x 70 cm. Collezione Oliviero Toscani© Oliviero Toscani by SIAE 2019.

Il buratttino trans-umano del XXI secolo
Nel nuovo millennio Pinocchio assume però nuovamente figura umana, come nell’immaginario di Sergio Traquandi, che nel 2012 ha assemblato un Pinocchio “trans-umano” (Marcheschi, 2019) mezzo ragazzo e mezzo macchina, ma anche figlio della società consumistica contemporanea, con ai piedi un paio di pattini in pelle, perché il burattino fila veloce, né macchina né uomo e, tuttavia, si fa pretesto per raccontare una storia di umanità.
Nella terza sala di Villa Bardini Pinocchio (non) è infatti un uomo, eppure per il Venturino Venturi degli anni Cinquanta è proprio forma prediletta per rappresentare un’umanità senza tempo e senza un volto preciso, ma anche per farne una maschera nel 1981, all’interno dell’opera 18 maschere, esposta poche sale più avanti. Però forse, in effetti, Pinocchio una maschera proprio non è. Per Venturi infatti il personaggio si fa pretesto per rappresentare tutte le maschere possibili della quotidianità, alla ricerca dell’“uomo dietro il ruolo che ciascuno di noi si assume nella vita” (Fiaschi, 2019).
Dall’universale al particolare, in maniera differente ha invece operato Luigi Ontani che, attraverso la sua stessa immagine, in una fotografia del 1972 restituisce un Pinocchio emblema del legame indissolubile tra arte e vita. Come l’arte stessa per l’artista, il burattino è dunque vita, gioco, eternità, e attraverso la sua maschera, realizzata giocosamente con la semplice carta bianca, egli vi si immerge personalmente.
Pinocchio come arte, come vita, ma anche come morte. Nella narrazione di Collodi, ad un tratto, la creatura di legno viene impiccata ma, “perché c’è sempre un ma” (Collodi, 1991), egli non può morire e dunque, pur incontrando la morte non la subisce. Così, la sua figura diviene emblema di un tema che ha sempre affascinato gli artisti, alla ricerca di una fusione tra fiaba e immagine mortuaria.

Alexander Calder, Disco rosso, punti bianchi su nero (Red Disc, White Dots in Black), 1960. Lamiera dipinta, aste metalliche e filo di acciaio, 88,9x101x99 cm, Venezia, Fondazione Solomon R. Guggenheim, Collezione Hannelore B. e Rudolph B. Schulhof, lascito Hannelore B. Schulhof, 2012. Crediti fotografici: David Heald© Calder Foundation, New York, by SIAE 2019.

L’espediente nei casi di China Marks e Miquel Barcelò è l’innesto del famoso naso ligneo del burattino in un corpo deforme e macilento, oppure nella cavità nasale di un teschio, mentre per l’Alberto Giacometti del 1938 e per Annette Messager, che esplicitamente rende omaggio al maestro nel 2016, il lungo naso del burattino bugiardo diviene simbolo di sberleffo all’ineluttabilità della morte, perché è lì che risiede “il segreto della vita” (Fiaschi, 2019). 
Seguendo tutt’altra suggestione, Guillaume Paris preleva e riutilizza ripetutamente l’immagine disneyana degli anni Quaranta del burattino riverso in acqua e apparentemente privo di vita, ed è proprio questo prelievo figurativo che apre il discorso a nuove riflessioni sulla vera identità del personaggio, perché per certi versi, forse, Pinocchio (non) è Pinocchio.

Il segno dell’immaginario disneyano
Dando sostanzialmente nuova immagine alla creatura collodiana, nel 1940 Walt Disney apre le porte a una sua più libera rivisitazione, rendendo così legittimo un generale abbandono dell’essenza toscana e provinciale di fine Ottocento. Ecco che allora, per gli artisti che si sono rifatti all’estetica americana, Pinocchio può vestire i panni di Stalin, come nella scultura polimaterica del 2016 Stalin with Nose of Pinocchio di Sam Havadtoy, oppure di Hitler nel caso italiano dello scultore Francesco De Molfetta, che nel 2013 ha realizzato l’opera Bird Reich innestando sul corpo del burattino il volto del dittatore con il lungo naso e un uccellino appollaiatovi sopra, in una riflessione storica dalle tinte ludiche.
Più duramente rivolto a un profondo attacco alla società contemporanea è invece l’uso dell’immagine di Pinocchio fatto da Paul McCarthy nella performance del 1994 Pinocchio Pipenose Household Dilemma, presente in mostra nella versione video. In questo caso, sfruttando l’immaginario infantile ormai radicato nella società, l’artista americano compie una serie di azioni disturbanti volte a mostrare in modo sensorialmente traumatico pratiche della contemporaneità come la repressione degli istinti, la violenza di una società improntata sull’autorialità maschile, i traumi derivati dai condizionamenti culturali e gli effetti negativi del consumismo.
 Ma Pinocchio può ancora essere considerato un bambino? Se nell’originario racconto, alla fine, il burattino di legno diviene “un ragazzo come tutti gli altri” (Collodi, 1991), per la curatrice della mostra fiorentina Pinocchio (non) è un bambino. Questo perché, in verità, agli artisti che hanno dato nuova vita al personaggio non interessa tanto il lieto fine della favola, quanto l’intrinseca capacità metamorfica del protagonista.

Alberto Giacometti, Le Nez dans Peintures romanes des églises de France, 1938. Matita su carta, 32,2×24,4×2 cm, Fondation Giacometti, Paris© Alberto Giacometti Estate/ by SIAE in Italy 2019.

Volgendo ancora l’occhio all’iconografia Disney, per Sam Havadtoy Pinocchio diviene pretesto per creare opere scintillanti e preziose, attraverso le quali poter ammirare la fine maestria artigianale dell’artista nell’uso del pizzo, della resina e della foglia d’oro. Per l’artista italiano Mario Ceroli, invece, che lavora sul personaggio collodiano sin dal 2001, sondare la figura del burattino significa sia esplorare la materia primaria del fare artistico, sia specchiarvisi in prima persona in un continuo corpo a corpo tra materia e umanità. 
Il Pinocchio del 2001 esposto in mostra siede su un piccolo panchetto e abbandona la grande testa tra le mani e, forse, proprio quando la materia lignea si fa più rude e presente, ecco che maggiormente affiora l’acerba umanità di un bambino timoroso delle mutazioni che ancora lo attendono nel suo percorso formativo che, un giorno, lo porterà a essere finalmente uomo.

Letture

Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio: storia di un burattino, C’era una volta…, Pordenone, 1991.

Visioni

Roberto Benigni, Pinocchio, The Walt Disney Company Italia, 2003 (home video).
Matteo Garrone, Pinocchio, 01 Distribution, 2019.