La realtà è sopravvalutata,
parola di Jacques Bergier

Jacques Bergier
Io non sono leggenda
Traduzione di Andrea Scarabelli

Bietti, Milano, 2019
pp. 343, € 20,00

Jacques Bergier
Io non sono leggenda
Traduzione di Andrea Scarabelli

Bietti, Milano, 2019
pp. 343, € 20,00


Per capire chi fosse Jacques Bergier, basta selezionare due episodi emblematici della sua vorticosa autobiografia Je ne suis pas une légende, pubblicata per la prima volta nel 1977. Nel primo, siamo nel 1943, nel covo che ospita la cellula della resistenza a cui appartiene Bergier, giunge un telegramma con una sola riga: Tu non mi conosci. Bergier dà subito libero sfogo alla sua fantasia: “Si potrebbe immaginare…” comincia, ma è prontamente zittito dal suo compagno: “Fosse per te, si potrebbe immaginare qualsiasi cosa!”.
Nel secondo, siamo nel campo di concentramento di Mauthausen, dove Bergier è stato rinchiuso a partire dall’aprile 1944, dopo essere finito nelle mani della Gestapo. Un nuovo internato gli rivela di essere “una vera SS”, mentre quelli lì fuori che comandano “sono degli impostori”. Nella testa di Bergier “cominciarono a vorticare visioni terrificanti, degne di Lovecraft”, immaginando “mostri, vampiri o extraterrestri che avevano divorato le SS, prendendone il posto”. Quando lo rivela a un altro suo compagno di sventura, questi lo liquida sprezzante: “Sempre agitato, sempre nervoso il nostro Jacques!” e gli rivela che l’uomo fa parte del Fronte Nero di Otto Strasser, cellula deviata che aveva cercato di uccidere Hitler rivendicando di rappresentare l’autentico nazionalsocialismo. Non si fatica, già da questi due episodi, a intuire chi fosse Jacques Bergier e cosa significasse per lui il concetto di realismo fantastico.

“E la verità? Quanto è importante?”
Io non sono leggenda, finalmente portato in Italia da Bietti grazie all’infaticabile opera di Andrea Scarabelli, già curatore dell’edizione italiana del fondamentale Elogio del fantastico, con tanto di materiali inediti (un capitolo eliminato dal testo originale, che racconta le vicissitudini della fortunata rivista Planète; lo schema di un progetto editoriale irrealizzato da scrivere con Louis Pauwels, intitolato L’uomo infinito; un corposo apparato di note e un imprescindibile saggio finale dello stesso Scarabelli), è destinato a deludere il lettore che voglia sapere chi fosse davvero Jacques Bergier, l’autore di quel best-seller da dieci milioni di copie che fu Il mattino dei maghi (1960).

Come avrebbe potuto, quest’uomo che visse un’esistenza intera a metà strada tra la realtà e la fantasia, scrivere qualcosa di attendibile? Eppure, se fosse qui insieme a noi giurerebbe, come fa in questo libro parlando del Mattino dei maghi, che “il 92% di quello che è scritto è vero” e che potrebbe (ma non lo fa mai) portare prove a sostegno di tutto quel che dice. Servirebbe a qualcosa? La risposta ve la fornirebbe sempre lui: “«E la verità?» potrebbe domandarmi a questo punto il lettore. «Quanto è importante?»”.
Il primo episodio è già nelle righe iniziali del libro. Bergier, nato a Odessa nel 1912, ha quattro anni e incontra un generale russo, al quale spiega tutti gli errori compiuti nella Prussia orientale in quei drammatici mesi della Grande Guerra. La madre lo rimprovera per le sue bugie, ma poi il generale viene a trovarli il giorno dopo e si congratula per le sue acute osservazioni. È un divoratore di libri e impara nuove lingue per aumentare le letture, soprattutto nei diversi paesi dove si trova a risiedere, perché la famiglia ebrea cerca di scampare alla rivoluzione bolscevica. Sono letture che gli lasceranno il segno: la fantascienza, sua grande passione; la convinzione di poter svelare i segreti alchemici con la chimica atomica, appresa nel libro L’interpretazione del radio di Frederick Soddy; dai giornali che legge si va convincendo che esistano forze segrete che dominano il mondo, quella criptocrazia che teorizzerà nei suoi libri e di cui, non contento di teorizzarla, cercherà per tutta la vita di far parte. A Parigi studia al liceo Saint-Louis, dove la sua megalomania è la disperazione dei professori, e poi chimica all’università.

Nel suo curriculum (che arricchisce le appendici dell’edizione italiana) Bergier dichiara che l’Accademia delle Scienze gli abbia riconosciuto la priorità nella scoperta degli “effetti dell’acqua pesante nella tecnica dei reattori” e nella “sintesi del polonio a partire dal bismuto e dall’idrogeno pesante”. È ossessionato dall’energia atomica, la cui scoperta e le successive applicazioni lo convincono che gli alchimisti avevano ragione e che esistevano conoscenze antiche da tempo perdute sui poteri dell’atomo, forse responsabili della distruzione di antiche civiltà (leit-motiv della sua produzione successiva e alla base di molte teorie dell’archeologia fantastica).

Nome in codice: Le Sorcier
Sia come sia, si guadagna in realtà da vivere con traduzioni editoriali e commerciali, analisi di urina nei laboratori clinici, fabbricante di colla “e molto altro”. Eppure, già si vede “tra i padroni del mondo” con le sue idee sull’energia atomica: lo scollamento tra immaginazione e realtà è totale, ma non impedisce a Bergier di vivere le sue mille vite da romanzo.
Non può che finire nel controspionaggio, nome in codice Le Sorcier (“il mago”). È a Lione dal 1940 al 1943 durante i duri anni della Resistenza, consapevole che in quanto ebreo la sua cattura non lo farebbe finire bene. Fabbrica bombe, cerbottane per dardi avvelenati, sistemi d’ascolto telefonico (a suo dire ancora utilizzati dal governo francese nel momento in cui scrive), inventa, immagina, persino una bomba anti-computer, prevedendo correttamente che “se io avevo deciso di ardere i documenti cartacei, una Resistenza futura dovrà attaccare i computer”.

Si attribuisce (anche nel curriculum) un ruolo determinante nel bombardamento inglese delle basi V2 tedesche propedeutiche allo sbarco in Normandia. Non gli basta contribuire, nel suo piccolo, a fare la storia, vuole di più: nel tempo libero, parla agli altri (che “non capiscono una parola” di quello che dice) del suo progetto di un governo occulto, una sinarchia, sperando forse di attirare l’attenzione delle società segrete che immagina controllino il mondo. Ma nessuno dei famosi Nove Ignoti di cui favoleggia nel Mattino dei maghi si fanno vivi, e anche Charles De Gaulle non è interessato ai suoi discorsi di una rete di intelligence pervasiva come quella americana o sovietica (sarà per questo che a più riprese lamenta di essersi pentito di non essersi trasferito in questi due Paesi dopo la fine della guerra, giudicando la Francia troppo provinciale per la sua smodata fantasia).
Seguono gli anni terribili dell’internamento a Mauthausen. Si salva per miracolo, grazie a una ferrea volontà e alla convinzione di possedere poteri psi con i quali è in grado di distorcere lo spaziotempo. Il passo più realistico del libro è quando cerca di descrivere l’odore indescrivibile del campo di concentramento, tentando come Howard P. Lovecraft di rendere con parole ciò che non si può raccontare: un misto di paura e morte. La liberazione non coincide con le sue aspirazioni a un ruolo di primo piano nella nuova Francia. De Gaulle non vuole saperne di nucleare finché non vede la bomba e allora comunque decide di fare da solo, scelta che Bergier non gli perdonerà mai (nel manoscritto originale lo designerà con l’epiteto “imbecille gallonato”: solo l’insistenza dell’editore lo convince a rimuoverlo). Comunque mette su una società “Ricerca e Industria”, copertura per operazioni di intelligence. Una visita negli Stati Uniti gli fa girare letteralmente la testa:

“(…) la fantascienza era diventata realtà. L’energia nucleare, la televisione, razzi e robot erano entrati nel mondo concreto: insomma, l’universo che ci attendeva non era quello descritto nelle grandi utopie, ma quello della fantascienza, tanto entusiasmante quanto fragile, che avrebbe potuto collassare e inabissarsi come Atlantide”.

“Svelare misteri, aprire le porte, cambiare il mondo”
Fa ritorno in Francia praticamente disoccupato e si butta nel giornalismo e nell’editoria, quel che poi farà la sua fortuna, benché, è evidente, Bergier avrebbe voluto essere ricordato per ben altro. Ma per uno che aveva sognato di diventare il padrone del mondo con le sue fantasticherie, dare voce alle fantasticherie altrui non poteva che essere l’inevitabile sbocco.
Inizia a lavorare per Constellation, rivista di divulgazione scientifica sui generis, che fungerà da modello per Planète. Risolleva le vendite della rivista con speciali su Nostradamus e rimedi per l’eiaculazione precoce a base di diluizioni omeopatiche di ginseng. Poi, nel 1959, incontra Louis Pauwels, che dirige una collana per Gallimard. È l’occasione per fare il salto nell’editoria seria: nasce così, in cinque anni di conversazioni accuratamente dattilografate dalla loro segretaria, Il mattino dei maghi, “summa” del pensiero bergieriano, dove scienza, fantascienza, mistero e complottismo si fondono senza soluzione di continuità.
Il modello, rivela Bergier, è quello dei testi di scienza popolare di Camille Flammarion, a metà tra realtà e immaginazione: è il realismo fantastico. Nondimeno, Bergier difende a spada tratta le conclusioni de Il mattino dei maghi: il novantadue per cento di quel che è scritto è senz’altro vero, afferma, cosa che non si può dire di tutti gli altri libri di scienza, prontamente smentiti qualche anno o decennio dopo da nuove evidenze. Bergier si interroga sul successo inaspettato di quell’opera e vi scorge l’affermazione di un nuovo genere, quello delle “leggende scientifiche” (l’espressione è di Pauwels); è, soprattutto, l’avveramento del suo credo personale secondo cui “la scienza non è una sequela di libri da gettare dopo aver dato un esame universitario, ma una potente forza d’importanza capitale, capace di svelare misteri, aprire le porte, cambiare il mondo”.

L’ultimo Bergier che traspare da quest’opera (che vede la luce un anno prima della sua morte) è insomma un uomo che, come il tardo Philip K. Dick, finisce per credere di vivere in una delle sue storie. Il vero Bergier che traspare dietro le tante fantasticherie è forse il conservatore disilluso che vorrebbe prendere a manganellate i giovani del maggio francese, o il vecchio rancoroso che nel capitolo tagliato nell’originale riguardo la rivista Planète insulta i suoi lettori, responsabili del fallimento della sua impresa editoriale, e si rammarica di non essere riuscito a farsi un nome come scrittore di spionaggio, quasi a prendere le distanze dalle opere che ne hanno consacrato il successo. Ma ha poco o nulla a che vedere con quel Bergier, il vero Bergier, conosciuto da Umberto Eco nel 1965, che ne lodò la sconfinata conoscenza della “letteratura d’appendice”, la curiosità e la temerarietà intellettuale, definendolo (ricorda Scarabelli nella sua postfazione) “un piccolo uomo assolutamente affascinante”.

Letture
  • Jacques Bergier, Louis Pauwels, Il mattino dei maghi, Mondadori, Milano, 2013.
  • Jacques Bergier, Elogio del fantastico, Il Palindromo, Palermo, 2018.