I Nucleus a Montreux:
1.220 secondi per fare storia

Ian Carr (Dumfries, 21 aprile 1933 – Londra, 25 febbraio 2009) è stato un trombettista, compositore, giornalista e autore di libri sulla musica. Nell’ottobre del 1969 allestì la prima formazione dei Nucleus, che esordì con l’album Elastic Rock.

Ian Carr (Dumfries, 21 aprile 1933 – Londra, 25 febbraio 2009) è stato un trombettista, compositore, giornalista e autore di libri sulla musica. Nell’ottobre del 1969 allestì la prima formazione dei Nucleus, che esordì con l’album Elastic Rock.


Nel pomeriggio del 19 giugno del 1970, un sestetto di musicisti britannici praticamente ignoti al di fuori dei patrii confini saliva su uno dei palchi del Montreux Jazz Festival, ribalta internazionale inventata appena tre anni prima dal poliedrico Claude Nobs, divenuta in brevissimo tempo uno degli appuntamenti musicali più importanti a livello continentale. Vi si esibivano senza soluzione di continuità grandi artisti e gruppi sconosciuti incluse le nuove leve della scena jazz rock americana ed europea. Quell’anno, difatti, erano attesi, tra gli altri, Bill Evans, Santana, Tony Williams Lifetime, Art Farmer, Yusef Latef, Leon Thomas e Gerry Mulligan.
C’erano anche i Nucleus, questo il nome del sestetto, volati da Londra alla cittadina elvetica per partecipare a una competizione musicale, sponsorizzata dall’European Broadcasting Union, che avrebbe dovuto eleggere la “top band of the Festival”. Sfida che li vedeva contrapposti a una band tedesca con, tra gli altri, Wolfgang Dauner, Eberhart Weber, Ack Van Rooyern, e un gruppo svizzero capitanato da George Gruntz (tutti nomi che avrebbero conosciuto negli anni a seguire una certa celebrità anche in Italia). Una delle regole d’ingaggio della gara era che l’esibizione doveva durare esattamente 20 minuti, non un minuto di più o di meno. I Nucleus organizzarono un set al fulmicotone e, grazie anche ai segnali di un loro accompagnatore in platea, tale Ray Harvey, un produttore della BBC, spaccarono il secondo suonando senza soluzione di continuità una serie di brani tratti dal loro primo album, Elastic Rock, il disco pubblicato dall’etichetta Vertigo, nata come marchio satellite del gruppo Philips, nel gennaio di quell’anno.  La performance esattamente durò 20 minuti e 20 secondi. I sei proposero tra gli altri il brano eponimo e Torrid Zone, chiudendo come già sull’album con il brano Persephone’s Jive (cfr. Shipton, 2006). Tornarono sul palco in tarda sera, in pratica già il giorno dopo, a far da band a uno degli ospiti provenienti d’oltreoceano con il quale avevano rodato l’intesa in primavera per due settimane al Ronnie Scott di Londra: il citato Leon Thomas, la cui tecnica vocale a sua volta era decisamente fuori dagli schemi.
Questo mese ricorre il cinquantennale di quel concerto, sicuramente registrato ma, purtroppo andato perduto o sepolto in qualche archivio (ci si accontenti del concerto con Thomas, pubblicato dalla Gearbox in doppio ellepì nel 2014 e nel 2016 anche in cd), che fece per la prima volta conoscere al mondo il jazz elastico di Ian Carr (tromba), Karl Jenkins (oboe e piano elettrico), Brian Smith (sassofoni e flauto), Chris Spedding (chitarra elettrica), Jeff Clyne (basso elettrico) e John Marshall (batteria).

All’epoca i Nucleus vennero subito dipinti come marziani e anche l’ambito trofeo guadagnato con la competizione svizzera, ovvero la trasferta negli Stati Uniti (al Newport Jazz Festival e al Village Gate di New York) non cambiò le cose, perché la loro proposta musicale generò tra il pubblico e la critica più incomprensioni che entusiasmi: una proto-fusion ancora inaudita e non metabolizzata. Trame dilatate, temi accattivanti e melodici aperti alle fughe in avanti di ottimi solisti, abbondanza di materia modale e, soprattutto, i riff della chitarra elettrica che non ti aspetti e una sezione ritmica che avrebbe benissimo potuto fare la sua “sporca” figura in un gruppo rock. E non si trattava solo di elettrificare gli strumenti. Il volume era importante, ma non era tutto. Una sperimentazione iniziata, Quella di Carr e soci era una sperimentazione iniziata ben prima dell’avventura in terra elvetica: nell’ottobre 1969, per essere precisi, e documentata dai concerti al Ronnie Scott e da trasmissioni radiofoniche come Top Gear. Come ricordò lo stesso Carr in un’intervista: “Nel 1969, l’unica altra band simile alla nostra erano i Lifetime di Tony Williams che schieravano nostri amici e colleghi inglesi come John McLaughlin e Jack Bruce…” (Shipton, 2006). Ma, aggiunge, il nostro approccio era comunque differente. Un approccio pluralistico e non dogmatico, quello del trombettista scozzese, che mescola blues (l’ispirazione viene soprattutto dall’album Blues… Now di Howlin’ Wolf), ritmi afro e musica indiana. Una sintesi che ingloba democraticamente idee e spunti da tutti i membri della band. Dall’oboe di Jenkins, novità assoluta per i tempi, ai suoni distorti della chitarra di Spedding fino al drumming sincopato di Marshall, che non faceva mistero di essersi ispirato al groove dei beatlesiani Revolver e di Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band. Una musica libera e, se vogliamo, assolutamente in sintonia con le vibrazioni e il sound di altri conterranei, da Graham Collier a John Surman e Mike Westbrook, che parallelamente tentavano uno sganciamento dai pattern triti e ritriti dell’hard bop o dai manierismi affioranti nel free jazz per formulare una proposta originale ispirandosi, in primis, alla propria identità musicale.

Un movimento che nonostante l’overdose di creatività e fantasia ebbe poca fortuna tra i media e i cultori del jazz, per non parlare della scarsità delle entrate economiche. I Nucleus, in particolare, furono tra i più sfortunati. Forse perché troppo sbilanciati sul versante rock o forse perché troppo ingombranti visto che contemporaneamente alla loro rapida ascesa (e altrettanto veloce caduta), oltreoceano, Miles Davis dava vita alla svolta elettrica con i capisaldi di In A Silent Way nel 1969 e di Bitches Brew nel 1970. Carr e soci vennero quasi completamente risucchiati dall’onda rivoluzionaria scatenata da Davis e ridotti, da alcuni critici, al ruolo di maldestri imitatori. Occorre però ricordare che Bitches Brew venne pubblicato nel marzo del 1970, quando i Nucleus avevano già creato il loro repertorio, esordito con l’album Elastic Rock (registrato e pubblicato nel gennaio del 1970, come si è detto) ed erano quasi pronti per staccare il biglietto aereo per la Svizzera. Sarebbe quindi più corretto parlare di vibrazioni che correvano nell’aria e che diverse menti illuminate colsero in contemporanea. Oggi, a cinquant’anni da quel concerto, è possibile quindi celebrarne finalmente i meriti senza pregiudizi o stereotipi. E il miglior modo è andare a riascoltarli.
L’anno scorso, provvidenzialmente, la Esoteric ha dato alle stampe un box battezzato Torride Zone The Vertigo Recordings 1970 1975 che raccoglie i nove album del gruppo usciti per l’etichetta del “vortice” (Elastic Rock, We’ll Talk About It Later, Solar Plexus, Belladonna, Labyrinth, Roots, Under The Sun, Snakehips Etcetera e Alleycat). Un ottimo punto di partenza per andare alla loro ri/scoperta.

Inediti freschi di stampa e all’orrizonte
Invece per chi li conosce già, sono raccomandabili fortemente due pubblicazioni di registrazioni provenienti dal loro periodo migliore, gli anni tra il 1970 e il 1974.
La prima, Exit 1971, è già disponibile ed è stato pubblicata solo su vinile dall’etichetta olandese 678: si tratta della registrazione di un concerto tenuto l’11 giugno del 1971 all’Exit, piccolo club underground di Rotterdam dove suonarono anche i Whole World di Kevin Ayers, gli Hatfield and The North, gli XTC e molti altri, con una formazione eterodossa che include oltre a Carr, Jenkins, Smith e Marshall, Hyvel Thomas al piano elettrico, Roy Babbington al basso e Vic Higgins alle percussioni. Un settetto quindi, ripreso in azione a un anno di distanza dai concerti in Svizzera, che faceva a meno della chitarra elettrica, schierando invece ben due piani elettrici.
La seconda è stata per ora solo annunciata da Jazz in Britain, etichetta no profit che sta riportando alla luce una quantità notevole di rarità e nastri inediti di musicisti e gruppi del British Jazz. Si tratterebbe di una session dei Nucleus, sempre del 1971, con altro assetto che prevedeva ben tre piani elettrici.

Ascolti
  • Ian Carr’s Nucleus, Exit 1971, 678 Records, 2020.
  • Nucleus & Ian Carr, Torrid Zone The Vertigo Recordings 1970 1975, Esoteric Recordings, 2019.
  • Nucleus with Leon Thomas, Live 1970, Gearbox, 2016.
Letture
  • Claudio Bonomi, Gennaro Fucile, Elastic Jazz, Auditorium Edizioni, Milano, 2005.
  • Ian Carr, Music Outside – Contemporary Jazz in Britain, Northway Publications, Londra, 2008.
  • Roger A. Farbey, Elastic Dream – The Music of Ian Carr: A Critical Discography, autoprodotto, 2015.
  • Duncan Heining, Trad Dads, Dirty Boppers and Free Fusioneers – British Jazz 1960 – 1975, Equinox Publishing, Sheffield, 2012.
  • Brian Morton, Torrid Zone – The Vertigo Recordings 1970 – 1975, in Jazz Journal, 12 luglio 2019.
  • Alyn Shipton, Out of the Long Dark – The Life of Ian Carr, Equinox Publishing, Sheffield, 2006.
  • Alyn Shipton, Nuova storia del jazz, Einaudi, Torino, 2014.