Se non ci resta che piangere,
è meglio prenderla a ridere

David Le Breton
Ridere
Antropologia
dell’homo ridens
Raffaello Cortina, Milano, 2019

pp. 254, € 23,00

David Le Breton
Ridere
Antropologia
dell’homo ridens
Raffaello Cortina, Milano, 2019

pp. 254, € 23,00


In Totò sceicco (1950) diretto da Mario Mattoli, il principe de Curtis appare nei panni di Antonio Sapone, maggiordomo della anziana e obesa marchesa di San Frustone (un’impareggiabile Ada Dondini). Nobile e sofferente, invierà in missione il solerte servitore in Arabia per salvare l’erede dal cuore in preda a pene d’amore: il marchesino Gastone (uno splendido Aroldo Tieri). Gli capiteranno rocambolesche avventure nelle terre d’Oriente. In una scena esilarante tra le altre, Antonio Sapone, passatosi per Omar il figlio dello sceicco, intona in un batter d’occhio la celeberrima canzone napoletana Torna a Surriento, cantando: “guarda ‘o mare quant’è bello”. Il film, come altri del principe della risata, fece scompisciare dal ridere in Italia, ma andò malissimo in Francia per via di un doppiaggio a dir poco inadeguato. La scena a cui si è accennato, infatti, suonò letterale al pubblico francese, che di fronte a un “regard la mer que c’est jolìe!”, non capì, non apprezzò, rimase indifferente, insomma, non rise.

Risate e freddure d’Oltralpe
Una reazione comprensibile, perché il riso “è un effetto di senso, non un’irruzione biologica”, per dirla proprio con un francese, David Le Breton, che torna nelle librerie italiane dopo gli studi sulle Esperienze del dolore e quello Sul silenzio, e altri ancora, con una nuova sistematica esplorazione dell’umano sentire, occupandosi dell’homo ridens nel suo più recente lavoro (uscito in Francia nel 2018): Ridere. Un’indagine che si colloca nel solco delle precedenti ricerche “sull’antropologia del corpo, anche se non riguarda unicamente il corpo” perché “il riso è eminentemente sociale, non esiste senza il significato da cui trae origine”. Tant’è che Totò continua a non essere capito in Francia, fornendo invece dal punto di vista italiano una nuova occasione per strappare se non una risata almeno un sorriso, perché, ricorrendo sempre a Le Breton, “l’umorismo e le situazioni comiche sono sempre inseriti nelle maglie della storia e di una cultura o, piuttosto, in una trama comune di significato e di valore”.

L’incomprensione perdura, prova ne sia questo stesso studio, che ne fa a meno tra i vari esempi presentati e altrettanto ignora altri grandi comici del cinema italiano (e internazionale), Alberto Sordi in primis. Qui si impone una breve digressione per sottolinearne la punta di sciovinismo assai francese rilevabile nel testo. Difatti, l’unica citazione di un comico italiano è riferita a La vita è bella (1997) di Roberto Benigni, film tirato in ballo (opportunamente) come esempio non riuscito (almeno in parte) di quanto ci sia concesso ridere (sdrammatizzando) di enormi tragedie.

Molteplici sfumature in rassegna
Ciò detto, Le Breton in questo saggio è ancora una volta esaustivo, disegnando una mappa del ridere e dell’umorismo, segnalandone per ogni aspetto il suo rovescio, annotando per qualsiasi sfumatura quella opposta, rilevando per tutte le circostanze l’esatto contrario, senza tralasciare l’evoluzione storica delle modalità del ridere e dei fattori che suscitano/scatenano e segnano il riso: le battute, le barzellette, i lapsus, la derisione, l’ironia, l’ilarità, le prese in giro, il gioco, l’apprezzamento, i comportamenti goffi, le malformazioni fisiche, e via di questo passo. Inoltre, Le Breton sottolinea la possibilità che ci viene offerta, grazie all’umorismo, di saper ridere di noi stessi, creando le distanze opportune con la seriosità del nostro personaggio pubblico nella trama del sociale. Non solo, ma: “l’umorismo è irruzione del gioco all’interno del legame sociale: la serietà del mondo circostante svanisce, un fugace momento di evasione porta chi ride lontano dalle preoccupazioni, dai dolori, dagli insuccessi, avendo la meglio sulla pesantezza del mondo”.

Ogni manifestazione del ridere e dell’umorismo passa sotto la lente d’osservazione di Le Breton, tra citazioni filosofiche, storiche, letterarie e cinematografiche assortite, a partire da testi di studio della materia imprescindibili: Il riso (1900) di Henry Bergson, per esempio, così come gli studi di Michail Bachtin su Rabelais e il carnevale (1965), o L’uomo che ride (1869) di Victor Hugo e le comiche di Charlie Chaplin.
Se però tutto è descritto e analizzato in modo ammirevole nel suo svolgersi storico, qualcosa resta solo accennato, riguardo ai nostri giorni, al riso digitale, come anche si intitola l’ultimo paragrafo del quarto capitolo, Risa adolescenti. È il momento in cui Le Breton si sposta con più decisione nel presente.

Il limite del ridere senza limiti
Dopo aver passato in rassegna una serie di forme del ridere dall’infanzia all’adolescenza, agitate soprattutto dall’oscenità e dalla provocazione nei confronti degli adulti, dalle primordiali cacca e pipì alle più consistenti allusioni e non solo a troie, cazzoni e quant’altro, Le Breton si sofferma sul riso come umiliazione dell’altro (le pratiche di happy slapping) e sullo spostamento progressivo della soglia della crudeltà e del dileggio come fonti di divertimento (dunque capaci di far ridere), fino ai format costruiti sulle performance estreme dei partecipanti.

Show come lo statunitense Jackass (che vede Spike Jonze tra i co-creatori e produttori, e qui siamo al confine tra il ridere e il piangere!), o il britannico Dirty Sanchez, che hanno fatto da apripista, nel corso dei quali “il giudizio svalutativo e il fastidio degli altri sono ricercati come incitazione a spingersi ancora più oltre”. In contesti del genere:

“L’altro è un bersaglio, una vittima o un testimone sgomento della scena. Ecco un elenco delle violazioni, compiute in queste trasmissioni […]: urinare o defecare davanti a degli automobilisti fermi a uno stop o a un semaforo rosso; ingoiare il proprio vomito; mangiare lo sterco di una vacca; sniffare curry fino a vomitare; leccare le ascelle di un lottatore sudato; spillare i testicoli alle cosce; […] fare un concorso di masturbazione; sorprendere un amico addormentato pisciandogli sul viso o defecandogli sopra, tagliandogli i capelli o tingendoglieli con una vernice a spray, mettendogli degli insetti in bocca o della salsa piccante negli occhi […] ecc.”.

È un lato della medaglia d’oggi, il versante decisamente fisico, perché se da un lato il corpo è sollecitato ed esposto al massimo, dall’altro è smaterializzato, puro codice binario che ricorre al riso a distanza, quello simulato, segnalato, evidenziato su blog e social network tramite emoticon e smiley. Tutto qui. In realtà, da questo punto in avanti l’analisi di Le Breton prosegue coerentemente nella sua minuziosa tassonomia, chiarendo il carattere universale del ridere da un lato e la specificità storica e culturale delle sue ragioni dall’altro, mostrando le forme di sopraffazione rese possibili del riso (ir/ridere come momento grottesco d’umiliazione dell’avversario) passando alla sua funzione opposta d’opposizione e di resistenza del riso in condizioni di difficoltà anche estreme (i lager, ed è qui che compare Benigni) e alle proprietà terapeutiche del ridere. In conclusione molte domande si affacciano nella mente del lettore e di questo Le Breton è ben cosciente, tant’è che nella Ouverture posta in conclusione precisa:

“Le domande sono infinitamente più preziose delle risposte. Da tempo preferisco terminare i miei libri con un’«ouverture», anziché con una conclusione: il mondo va avanti per la sua strada […]. Una curiosità ne richiama sempre un’altra, ma è necessario sapersi fermare. Per quanto se ne scriva, il riso continua a sfuggirci”.

Proviamo ad avanzarne almeno una delle domande che come ponti si protendono dalle pagine del libro verso un’altra sponda che non si intravede. Posto che siano ancora numerose le occasioni per ridere, molteplici le situazioni umoristiche e le atmosfere adeguate per farsi da soli o in compagnia grasse risate in un mondo che pare andare a pezzi da qualsiasi dei suoi quattro angoli lo si osservi, chiediamoci che cosa significhi oggi ridere in un tessuto di relazioni che è sempre più mediato da dispositivi regolati da algoritmi che ci assistono ventiquattro ore su ventiquattro.

Un linguaggio universale
Oggi che le faccine non corrispondono più al codice binario messo a nudo (0 e 1, triste e sorridente), ma si declinano in una ricca varietà di umori e aggirando definitivamente le barriere linguistiche si strutturano come un linguaggio tanto essenziale quanto universale, la domanda più precisamente diviene: siamo ancora in grado di ridere di fronte all’altro, al singolo o a un gruppo, oppure la forma migliore per manifestare il riso, la condizione più opportuna consiste nell’affidarlo a un’icona? Soprattutto tenuto conto che questo ridere a distanza, mediato, è autentico: è la forma del ridere tramite device che connettono comunità di dimensioni variabili. È in realtà un fiume di emozioni che oramai transitano su Emoji ed emoticon, ma restiamo solo sulle espressioni del ridere.

A dare una mano ci sono anche i selfie che dispensano sorrisi (non solo, certo), perché il riso è molteplice. Ridiamo in modalità diretta con l’ausilio di un medium tecnologico, oppure, per parafrasare Jean Baudrillard, la risata “naturale” è oramai un alibi di realtà per sostanziare l’autentica risata digitale? Qualcosa allora non torna se, come sostiene Le Breton, “il riso è l’improvvisa comparsa del corpo”. Ci soccorre come spesso capita la fantascienza più visionaria per capirci qualcosa, o almeno per intuire come d’istinto il pericolo che c’è nell’aria.
Il racconto originale si intitola The Intensive Care Unit e da noi è noto come Riunione di famiglia. Lo scrisse e lo pubblicò James Ballard nel 1982, all’alba della civiltà digitale. Racconta di un incontro di persona, il primo, tra i membri di una felice famigliola, felice perché fino ad allora in contatto solo tramite schermi. Mediati. Finirà malissimo. Qui si può elargire un sorriso per gli eccessivi timori distopici raccolti in seno al racconto, oppure si può ridere della grottesca vicenda, o si può sorridere meditando sul dove potrebbe condurci l’aver omologato nel codice binario sensazioni ed emozioni, o farci una risata per il clamoroso capitombolo della Storia, in virtù del quale non sarà più la fantasia a distruggere il Potere mentre una valanga di smiley ci seppellirà e sarà tempo di chiedersi come e se ridono i postumani.

Letture
  • James Ballard, Riunione di famiglia in Tutti i racconti volume 1: 1956 – 1962, Feltrinelli, Milano 2015.
Visioni
  • Mario Mattoli, Totò sceicco, Ripley’s Home Video, 2016 (home video).