Analfabeti sonori
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Carlo Boccadoro, compositore
e direttore d’orchestra,
fondatore di Sentieri selvaggi
(progetto culturale di musica
contemporanea),
è autore del saggio
Analfabeti sonori
(Einaudi, Torino, 2019,
pp. 104, € 12,00).
La foto in home page
è di Giovanni Daniotti.

Carlo Boccadoro, compositore
e direttore d’orchestra,
fondatore di Sentieri selvaggi
(progetto culturale di musica
contemporanea),
è autore del saggio
Analfabeti sonori
(Einaudi, Torino, 2019,
pp. 104, € 12,00).
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è di Giovanni Daniotti.


Il pamphlet di Carlo Boccadoro, Analfabeti sonori, pur nella coscienza della profondità delle radici a cui attingono gli eventi e le riflessioni che vi sono esposte, presenta le sue argomentazioni riferendosi sostanzialmente al presente, e tutt’al più, se si vuole, con uno sguardo rivolto al futuro. Vi è però un’importante esclusione, un breve ma cruciale passaggio. Siamo nella parte conclusiva del testo e Boccadoro, che a questo punto è alla ricerca di risposte, più che di domande, cita un breve ma fondamentale passo di Karl Marx, tratto dai Manoscritti economico filosofici del 1844:

“[…] la più bella musica non ha per un orecchio non musicale nessun senso, [non] rappresenta un oggetto, dal momento che il mio oggetto può essere soltanto la conferma di una mia forza essenziale, e quindi può essere per me soltanto nella misura in cui la mia forza essenziale in quanto facoltà soggettiva è per sé, estendendosi il senso di un oggetto per me quanto si estende il mio senso (e un oggetto ha un senso soltanto per il senso corrispondente) […]”.

Quali domande si è posto Boccadoro, se qui vi sono le risposte? Si è chiesto, nelle righe appena precedenti la citazione, come mai la difficoltà dell’ascoltatore non attrezzato verso l’opera lirica e/o la musica classica contemporanea sia apparentemente così insuperabile, rispetto invece alla semplicità e immediatezza con cui si accosta ad altri generi musicali. È una delle questioni principali che Boccadoro pone in questo testo, e si comprende quindi, vista la centralità del tema, perché cerchi di trovare un fondamento filosofico e (possibilmente) indiscusso alla sua riflessione.
Difatti è l’unico momento del testo dove procede appoggiandosi esplicitamente ad una autorità. Altrimenti è la sua meditazione autonoma a essere centrale nel discorso, ma vedremo come questo passaggio diventerà la chiave attraverso cui interpretare l’intero libro. Se questo passaggio è così cruciale merita quindi un approfondimento. Cosa ci sta dicendo Marx? Il passo è estratto da uno dei capitoli chiave del testo, intitolato Proprietà privata e Comunismo. Qui Marx, in sintesi, dopo aver tracciato nel paragrafo precedente il meccanismo dell’alienazione, mostra come questo processo sia alla base della costituzione dell’oggetto e del conseguente progetto di riappropriazione dell’oggetto stesso, che realizza nella proprietà privata il suo primo (e inevitabile) passaggio. Questa, nel ragionamento marxiano, com’è noto va poi abbandonata, a fronte di una graduale riappropriazione del sé alienato nella collettività, dove si realizza la forma essenziale dell’uomo stesso.
Questi passaggi corrispondono alla realizzazione del comunismo anche sul piano sensoriale e percettivo, nella modalità di fruizione della musica e del suono, per focalizzare sul tema che ci riguarda ora. Ma non è necessario per il nostro obiettivo addentrarci nel ragionamento hegelo-marxiano.
A questo punto dell’argomentazione abbiamo solo bisogno di chiarire almeno approssimativamente questo orizzonte, così da comprendere l’uso che ne fa Boccadoro. Marx parla di musica, ma si riferisce più genericamente ai sensi. Il suo obiettivo in questo contesto è mostrare come nulla dell’agire umano si possa attribuire all’azione dell’individuo come monade. Ogni soggetto, ci dice Marx, si realizza in quanto uomo perché è un uomo sociale.

L’uomo esiste solo in quanto tale, e questo accade anche nelle sue azioni più immediate e semplici, come lo sguardo e l’ascolto. Unicamente come individuo sociale, l’uomo realizza sé stesso, e quindi oggettiva la sua forza essenziale. Solo così l’ascolto (e in generale l’uso dei sensi) si mostra per ciò che è, ovvero un mezzo per ricomporre l’individuo alienato.
Questo sottintende che anche l’ascolto musicale sia un’azione sociale, e quindi che l’uomo alienato della sua socialità non riuscirebbe ad accedere al suo stesso senso in modo completo, rendendo insensato il suo stesso ascolto. Boccadoro difatti, poche righe oltre, dice chiaramente che gli ascoltatori, incapaci di cogliere il senso dell’opera “non vedono più sé stessi in questo tipo di creazione artistica: la musica classico-operistica si trasforma per loro in uno specchio vuoto, la stessa superficie neutra che fa inorridire Dracula quando si accorge di non poter osservare la propria immagine riflessa” (il corsivo è dell’autore).
Il riconoscersi, a cui si affianca il processo dell’immedesimazione, è un elemento essenziale di quella riappropriazione del sé a cui ci invita Marx, ed è un passaggio inevitabile per riconoscere l’umanità contenuta nelle opere umane, che sono tali non solo in quanto artificiali, ma proprio perché sono l’oggetto a cui tende la nostra forza essenziale, la nostra soggettività.
L’ascolto cosciente, quello in cui l’uomo si riconosce nella musica (in generale nell’oggetto del senso), esprime il valore sociale e condiviso della musica stessa. Boccadoro difatti già nelle primissime righe, proprio a sottolineare l’importanza del concetto qui espresso, evidenzia come nel nostro tempo sia estremamente difficile accostare la composizione (ma in generale tutto ciò che riguarda la musica colta) con il fatto che si tratti di un lavoro.

Viene sottolineato piuttosto il carattere di passione soggettiva, il trasporto che contraddistingue il singolo che si dedica (pagando di persona) a una forma d’arte, la partecipazione emotiva che attanaglia romanticamente l’autore e l’esecutore, in una sorta di partecipazione inevitabile a cui sarebbero legati da un comune destino.
Queste sono tutte forme di falsificazione, maschere stratificate che nascondono un meccanismo di mercificazione disumanizzante. In questo modo viene totalmente eliminato il processo per cui il singolo e il prodotto della sua attività (il lavoro) sono contemporaneamente elementi della stessa dialettica, e che questa può avvenire solo in un contesto collettivo in cui si determina il valore della creazione stessa.
Difatti Boccadoro evidenzia come alcune delle false cause normalmente individuate per la difficile accettazione della musica colta derivano esplicitamente dal non riconosciuto contesto sociale in cui la stessa prende origine. È grazie a questo cappello teorico che si spiega l’idea (falsa, per l’appunto) per cui la musica dovrebbe avere un riscontro immediato, essere apprezzata o meno senza una particolare riflessione, ma in modo solamente empatico, e lo stesso va detto dell’ipotesi per cui la musica classica contemporanea sarebbe solamente dodecafonica o basata sulle dissonanze, come se l’abitudine e l’educazione all’ascolto non fossero in ogni caso centrali per apprezzarla.

È in questo orizzonte interpretativo che Boccadoro dipana il suo ragionamento, un pensiero che si situa nel presente e che storicizza il gusto e l’ascolto, avendo ben chiaro che affrontare un tema analogo anche solo cinquant’anni or sono avrebbe comportato una trattazione assolutamente differente. Mezzo secolo fa la fruizione della musica avveniva ancora ampiamente in modo immediato nei concerti, e solo in seconda battuta la ricezione individuale sull’impianto casalingo aveva aperto le porte a una riflessione individuale e non dialettica.
Il processo che dalle prime registrazioni della fine dell’Ottocento porterà al vinile, e nell’arco di alcuni decenni allo streaming dei grossi gestori di musica online, ha apparentemente ridotto ai minimi storici la collettivizzazione dell’evento musicale, e quindi allontanato come non mai la soggettività individuale dal mondo in cui l’evento musicale accade (con l’esclusione, a cui deve essere dedicato un capitolo a parte, di quella particolare modalità che sono i grandi raduni di massa tipici della pop music). È questo il processo che interessa Boccadoro, e per cui si chiede cosa dobbiamo aspettarci dalla musica nell’era di internet.
Le cosiddette nuove tecnologie hanno cambiato il paradigma alla base dell’ascolto e della fruizione musicale? No, non secondo Boccadoro, ma lo hanno accelerato di un ordine logaritmico. Trasformare il semplice in banale, travisare il senso della leggerezza e della brevità contrapponendoli alla complessità e alla durata, piuttosto che alla goffaggine e all’eccesso, è tipico di un meccanismo massmediologico, e quindi non proprio solo dell’era internet, che non si pone come obiettivo la crescita e l’educazione dei suoi fruitori, ma piuttosto, banalmente, di raggiungere il maggior numero possibile di utenti, senza alcuna considerazione per la qualità del servizio. È perciò che Boccadoro ha nel mirino della sua polemica tutti coloro che sono in qualche misura responsabile di questo, a partire dai membri della classe politica, per passare poi ai direttori dei festival o i responsabili (a tutti i livelli) dei cartelloni nei teatri, e per concludere con l’intero mondo mediatico, dove salvo le dovute ma rare eccezioni, questo processo di frammentazione si realizza.

Sarebbe però profondamente ingiusto incasellare Boccadoro nella colonna degli Apocalittici, per dirla con Umberto Eco. Certamente nel saggio vi è una pars destruens delineata con dovizia di argomenti, ma vi è anche una poderosa proiezione verso il futuro grazie alle possibilità date dalla rete, per cui il compositore ha ben presente, e sono dettagliatamente esposte in questa sede, le opportunità e le aperture permesse da internet, sia per quanto concerne, come si è detto, la possibilità di fruizione, ma soprattutto per il melting pot culturale a cui ci ha obbligato la rete, rimescolando i linguaggi e creando fusioni prima impensabili.
Per concludere va ribadito con forza e decisione come per Boccadoro non vi sia un “problema” internet, mentre esiste piuttosto un problema politico e mediatico, dove la remuneratività della proposta scavalca troppo spesso il valore e la profondità dell’opera. Il nostro tempo è al centro di un guado, di un convergere di correnti che rendono difficile comprendere verso quale direzione la nostra percezione dell’oggetto musica sia rivolta e ci spinge, o anche ipotizzare un problema specifico per la tipologia musicale in questione. Ma questo non è vero, poiché le stesse problematiche esistono anche all’interno della cosiddetta musica popolare e in ogni genere, dove tutto ciò che non è frammentato e condivisibile nell’immediato viene di fatto censurato da una politica culturale che mira a isolare il fruitore, e per tornare a Marx, ad annullare la funzione di catalizzatore di masse propria della musica, che nasce nel mondo, nella comunione, nella collettività e che solo li può continuare a esistere.