Chi abbia già letto la raccolta di racconti intitolata Dialoghi in cielo (2023) e il romanzo La strada di fango giallo (2024), pubblicati entrambi dalla casa editrice milanese Utopia, non faticherà di certo a riconoscere nel recentissimo La città del fumo le tematiche e le atmosfere caratteristiche della narrativa di Deng Xiaohua (Changsha, 1953), scrittrice meglio nota con lo pseudonimo Can Xue. Già sarta, operaia, “medica scalza” e insegnante di scuola, Can Xue è oggi spesso descritta come una delle più importanti autrici dell’avanguardia cinese dell’ultimo quarto del Ventesimo secolo, capace (insieme ad altri) di smuovere la sua letteratura nazionale con le armi del fantastico e dell’introspezione, entrambi elementi decisamente invisi, seppure per diverse ragioni, al mainstream cinese del secondo Novecento, diretto per superiore volontà politica verso il realismo e il rifiuto dell’io. Avendo conseguito ormai da diverso tempo un grande seguito internazionale (talvolta è stata addirittura evocata come possibile vincitrice del premio Nobel per la letteratura), solo da un paio d’anni a questa parte, e grazie all’opera di traduzione di Maria Rita Masci, l’autrice sta ritrovando un giusto spazio di riconoscimento anche qui da noi, dopo essere comparsa e subito sparita dai radar editoriali attorno ai primi anni Novanta del secolo scorso, nel catalogo della romana Theoria. Tredici racconti molto godibili e assai omogenei tra loro, quelli inclusi ne La città del fumo, in cui ritorna con una certa puntualità l’usuale e garbata misura narrativa grazie alla quale Can Xue racconta le storie generalmente fuori sesto che coinvolgono i suoi protagonisti: esseri umani piuttosto bizzarri che sono costretti a vivere in una realtà spossante e faticosa, spesso distorta e piuttosto grottesca. Evidentemente spaesati, irragionevoli, sovente intrappolati nelle spire di una certa solitudine di fondamento, tali personaggi si muovono nei loro mondi senza avere una rotta definitiva o semplicemente definita da seguire, e, in quanto orfani di una strada segnata, restano sospesi galleggiando in un limbo a metà tra il sogno e la veglia, un limbo in cui le regole della razionalità che usualmente dirigono il nostro quotidiano e il nostro modo di intendere e di rivolgerci alle cose sembrano dissolversi in favore di una coerenza aliena, o meglio di una totale incoerenza, di un’atmosfera apparentemente interrotta, nebulare, priva di concreti obiettivi collettivi, sfuggente e irriconoscibile, se non nell’ineffabile incoscienza che regola, appunto, il sogno: una realtà in cui la pianificazione sociale e i progetti di collettivizzazione sembrano aver perso qualsiasi presa, lasciando gli individui a una sorta di morbida deriva soggettiva.

Quelli di Can Xue, che non a caso è studiosa di Jorge Luis Borges, di Franz Kafka e del nostro Dante Alighieri, sono infatti mondi totalmente a sé, mondi parziali, labirintici e indipendenti dal nostro che però dal nostro provengono, mondi mai del tutto aperti e generalmente asfittici nei quali rintracciare e perseguire le nostre usuali modalità di ragionamento risulta spesso, se non sempre, un’opera fallimentare. Contesti che per questo stesso motivo appaiono preferibilmente marginali (mai l’autrice racconta dal “centro”, per quanto i suoi racconti siano ambientati in scenari tanto rurali quanto urbani) e sempre in un modo o nell’altro popolari e arcaici, esibendo lungo questa marginalità una sorta di precipizio esistenziale su cui gli stessi personaggi, di per sé ovviamente contraddittori come i contesti entro cui vivono, si muovono cercando un proprio equilibrio, e mostrando a loro volta una strana accettazione delle cose (una resa che non è resa ma che prima o poi comunque arriva). Come a dire che la vita cui appartengono è così, e così sia.
Perché i contesti in cui Can Xue mette in scena le sue storie, forse più importanti, ai fini della lettura, rispetto ai personaggi che vi si muovono all’interno, vedono lo svolgersi della vita, impresa complessa e faticosa (talvolta quasi appiattita sul reiterato manierismo del reggersi ancora in piedi), costretta in genere a un continuo affrontamento contro bizzarre costrizioni ambientali più o meno marcate che non danno mai tregua e che anzi sembrano essere le vere padrone della situazione: un fumo perpetuo che impedisce agli abitanti di una città di vedere chiaramente quanto nel frattempo gli accade attorno, per esempio (come avviene nel racconto che dà il titolo alla raccolta, La città del fumo), oppure un’inspiegabile emersione continua di pietre e sassi dal sottosuolo che sottrae spazio a un altro insediamento umano (Il villaggio delle pietre), o ancora la furia durevole di incessanti tempeste di sabbia che funestano un’altra città ancora, opacizzando la realtà narrativa come il fumo di sopra e rendendola straniante tanto per chi la popola quanto per noi che la leggiamo (Il mio fratello minore).
Stante l’insita difficoltà di situarsi in questi ambienti brumosi e pervasi da una natura che non ci piace definire ostile ma che tale appare a tutti gli effetti, le donne e gli uomini raccontati da Can Xue, per cercare di darsi un senso, spesso si perdono allora in imprese che, in ossequio allo smarrimento della coerenza di cui si è ampiamente detto, non hanno nulla di logico, come per esempio il tentativo di raggiungere il pianeta Venere con una mongolfiera (Venere), oppure erigere strane muraglie di terra lunghe trenta chilometri che si cicatrizzano da sole a difesa di città che non esistono (Il giardino sotto il cielo azzurro), o ancora edificare case di legno talmente alte da finire con il tetto ben oltre le nuvole (La strana casa di tavole di legno). Insomma: imprese a loro modo bizzarre e spesso inconcludenti (volendo potremmo anche dire wilcockiane) che non hanno niente a che fare con il realismo ma che forse hanno tutto a che fare con la fuga e l’esigenza di isolamento, imprese che di certo non intendono seguire le riconoscibili traiettorie contemporaneamente querule e consolatorie cui sottostanno le nostre biografie di gente che vive ancora nel realismo.
- Can Xue, Dialoghi in cielo, Utopia, Milano 2023.
- Can Xue, La strada di fango giallo, Utopia, Milano 2024.

