Prelibatezze: The Muffins,
i canterburiani d’America

The Muffins
Baker’s Dozen
Cuneiform Records, 2022
Formazione complessiva:
Dave Newhouse, pianoforte (acustico ed elettrico),
organo, fiati, percussioni, voce;
Tom Scott, sassofoni, clarinetti, flauti, oboe,
tastiere, percussioni, voce;
Billy Swann, basso, pianoforte elettrico, sassofono tenore,
fischietti, percussioni, voce;
Paul Sears, batteria, percussioni, xylofono,
sassofono soprano, voce;
Michael Zentner, chitarra, violino, voce;
Mike Bass, batteria, xylofono, pianoforte;
Stuart Abramowitz, batteria; Robert Wiser, chitarra classica;
Scott Raffell, sassofono contralto, clarinetto basso, kalimba;
Greg Yaskovich, Scott Forrey, Nathan Berry tromba;
Fred Frith, Steve Feigenbaum chitarra;
Doug Elliott, trombone; Mark Gilbert, sassofono tenore;
Ena Scott, Sam Newhouse, sassofono contralto.

The Muffins
Baker’s Dozen
Cuneiform Records, 2022
Formazione complessiva:
Dave Newhouse, pianoforte (acustico ed elettrico),
organo, fiati, percussioni, voce;
Tom Scott, sassofoni, clarinetti, flauti, oboe,
tastiere, percussioni, voce;
Billy Swann, basso, pianoforte elettrico, sassofono tenore,
fischietti, percussioni, voce;
Paul Sears, batteria, percussioni, xylofono,
sassofono soprano, voce;
Michael Zentner, chitarra, violino, voce;
Mike Bass, batteria, xylofono, pianoforte;
Stuart Abramowitz, batteria; Robert Wiser, chitarra classica;
Scott Raffell, sassofono contralto, clarinetto basso, kalimba;
Greg Yaskovich, Scott Forrey, Nathan Berry tromba;
Fred Frith, Steve Feigenbaum chitarra;
Doug Elliott, trombone; Mark Gilbert, sassofono tenore;
Ena Scott, Sam Newhouse, sassofono contralto.


Prima o poi bisognerà analizzare approfonditamente il peso, le modalità e gli approcci all’improvvisazione in ambito rock, pur sapendo che la composizione istantanea certo non è stata territorio assai frequentato presso quei lidi. O meglio; l’aspetto improvvisativo ha spesso assunto le forme del classico assolo, vuoi di chitarra, di tastiere o di batteria, meno frequentemente di fiati o basso. Un approccio certamente mutuato dal blues, soprattutto quello elettrico, e che ha comportato in molti casi una sorta di assolo tematico spesso riprodotto pedissequamente anche dal vivo, con la creazione dei guitar heroes, e il ruolo della ritmica sostanzialmente a supporto delle avventure del solista di turno: insomma, qualcosa di distante da ciò che l’improvvisazione è stata (ed è) nel jazz.
Tuttavia, esempi di vera e proprio composizione istantanea collettiva, dove gli strumenti non hanno un ruolo predefinito e che di volta in volta cambia le sue forme e le sue modalità, è stata presente, pur se limitatamente, anche in ambito rock. Producendo, tra l’altro, prodotti di altissima qualità che hanno segnato la storia di questa musica, dai Velvet Underground ai primi Pink Floyd, al cosiddetto krautrock o ancora alcune pagine dei King Crimson e tanta musica più o meno proveniente dalla cosiddetta scuola di Canterbury. Scuola che, non essendo certo limitata alla provenienza da quella cittadina, ha fatto germogliare progetti che dell’improvvisazione ne hanno fatto uno dei cardini compositivi. Da questo punto di vista gli Henry Cow, partendo proprio da alcune intuizioni canterburiane, rappresentano il più fulgido esempio di efficace commistione tra prassi compositiva rock e improvvisazione libera.

Quattro ragazzi del Maryland
Proprio alla band del calzino spesso sono stati avvicinati i ragazzi americani provenienti dal Maryland che nel 1973 formarono i Muffins, autori di una manciata di ottimi album e assai longevi da rappresentare anche una sorta di anomalia nel panorama rock non solo nordamericano. Formatisi grazie ai multistrumentisti Dave Newhouse, tastiere, sassofoni e clarinetti, Michael Zentner, chitarrista ma anche violinista, e il bassista (pianista e percussionista) Billy Swann, i Muffins, raggiunti nell’autunno del 1974 dal sassofonista, clarinettista e flautista Thomas Scott, hanno rappresentato per molti anni la propaggine americana di quella particolare area del rock alle prese con le suite, i tempi dispari, stacchi improvvisi e temi elaborati, ovviamente le improvvisazioni. Dopo una prima fase caratterizzata dalla successione di diversi batteristi, Mike Appareti, Mike Bass, Stuart Abramovitz, la formazione si stabilizza in quartetto con Newhouse, Swann, Scott, il batterista Paul Sears e l’abbandono di Zentner. Due periodi ben distinti, il primo dal 1973 al 1981, e poi una reunion che parte dal 1993 e arriva fino al 2015, caratterizzata da materiale meno avventuroso e più vicino ad un certo prog raffinato ed elaborato. Ora i Muffins sono tornati a far parlare di sé per via della pubblicazione, da parte della Cuneiform, di un mastodontico cofanetto, Baker’s Dozen, comprendente ben 12 cd e un dvd, con all’interno materiale inedito di gran valore che aiuta a comprendere le dinamiche, gli aspetti compositivi e improvvisativi nonché la storia di questo gruppo assai particolare e significativo.

I fatti di casa Buba Flirf

“Una cosa di cui volevo parlare era il fatto che tutta questa roba venne fuori alla Muffin House di Gaithersburg, e penso che valga la pena notarlo. Condividevamo uno scopo comune perché vivevamo tutti insieme e suonavamo musica insieme, registravamo insieme e praticamente ci autogestivamo. Tutto questo era come una sorta di – odio usare la parola – “comune”, ma era uno spirito molto comunitario che ci faceva andare avanti”
(Billy Swann).

Le parole di Swann illustrano in modo chiaro le dinamiche e l’ambito nel quale i musicisti si trovarono a creare la loro musica: il fatto di vivere tutti all’interno di questa vecchia casa Vittoriana a due piani ribattezzata Buba Flirf (sembra che Swann avesse trovato delle lettere di un tendone dismesso che aveva inchiodato al portico e una delle uniche cose che si potevano scrivere con esse era Buba Flirf) segnò di certo l’approccio generale alla musica del gruppo. Non fu solo questo primo periodo ad essere caratterizzato da questo approccio comunitario, che ricorda tantissime esperienze degli anni Settanta, da Sun Ra ai Gong, solo per fare due nomi, ma fu praticamente una costante della vita dei Muffins. Prove notturne quattro o cinque volte alla settimana, registrazioni casalinghe, concerti liberi nel giardino della loro abitazione, vita quotidiana in comune, insomma una vera e propria immersione che ha di fatto segnato tutta l’esperienza Muffins. E che ha compensato, in parte, la penuria di concerti, soprattutto nella prima fase, per un gruppo che delle improvvisazioni live ne faceva una costante e un punto di forza. Prima fase caratterizzata da cambi di batteristi, come si diceva, dal primo, Michael Appareti, con il quale registreranno i primi due tape album (cassette che giravano tra i loro fan e tra gli ascoltatori nei rari concerti), a Mike Bass, che ebbe un ruolo importante nell’espandere la fase improvvisativa e nell’agganciarla a certe atmosfere all’Art Ensemble Of Chicago, e con cui registreranno altri due tape album, a Stuart Abramowitz, certamente più rock e con meno esperienza di Bass, che lascerà il gruppo insieme a Michael Zentner nel 1976, fino all’arrivo, nell’autunno di quello stesso anno, di Paul Sears, a concludere e fissare per sempre la formazione definitiva. Concluso questo periodo, il percorso dei Muffins comincia ad assumere connotati più professionali, con prospettive assai interessanti.

The Muffins in azione nel 1978.

Il passaggio dalla loro vecchia abitazione, Buba Flirf, alla nuova Portree House sempre nel Maryland, avviene più o meno in contemporanea con la fondazione della loro etichetta, la Random Radar Records (insieme, tra gli altri, a Steve Feigenbaum, futuro fondatore della Cuneiform e amico e collaboratore del gruppo), a testimonianza di un’attività veramente autogestita, sulle orme delle esperienze europee del Rock In Opposition. È un periodo questo caratterizzato anche da numerose registrazioni (nel 1975 registreranno ai Paragon Studios, insieme a Stuart Abramovitz, materiale che poi verrà pubblicato successivamente su Chronometers nel 1993 dalla Cuneiform Records), dai rapporti assidui con John Paige, dj della WGTB radio, emittente della Georgetown University, che avrà un ruolo di supporto e favorirà un minimo la conoscenza della musica del gruppo, dai free festival autorganizzati dove saranno presenti anche altre formazioni minori ma attigue all’estetica Muffins, fino al primo disco pubblicato dalla Random Radar Records, A Random Sampler, con all’interno brani del gruppo stesso, di Fred Frith (vero e proprio nume tutelare), Lol Coxhill, Logproof, Mars Everywhere, Steve Feigenbaum, Illegal Aliens. Insomma, il tentativo di costruire, così come era accaduto in Europa, una vera e propria area alternativa, seppur meno politicizzata, ma caratterizzata da una musica complessa, di matrice rock ma fortemente segnata da una pratica costante di improvvisazione libera e sperimentazione.

Da Manna/Mirage al primo scioglimento

Manna/Mirage” è stato un colpo di fulmine per i produttori di musica indipendente e per tutti i gruppi vicini che i Muffins hanno ascoltato e adorato”
(Paul Sears).

Il 1978 è un anno particolarmente importante per i Muffins. La pubblicazione, finalmente, del loro primo album ufficiale (Manna/Mirage, per la Random Radar Records) è in contemporanea con la partecipazione a Zu, A Nu Music Manifestival, il festival organizzato da Giorgio Gomelsky (produttore, tra gli altri, di Yardbirds, Rolling Stones, Soft Machine, Magma) a New York, con la presenza di Daevid Allen, Fred Frith, Chris Cutler, Peter Blegvad. L’atto decisivo per allacciare finalmente di persona i contatti con i protagonisti di riferimento per la musica dei Muffins, e che porterà ad ulteriori ed importanti collaborazioni: un nuovo concerto, questa volta al Trinity Theatre, vicino al Georgetown University Campus, nel dicembre dello stesso anno con Fred Frith, e la partecipazione alla registrazione del primo album in solo dell’ex chitarrista degli Henry Cow, Gravity, pubblicato nel 1980 dalla Ralph Records. Ma è la pubblicazione di Manna/Mirage che dà uno slancio particolare all’attività del gruppo: il lavoro è una mirabile sintesi di tutta l’attività svolta in questi anni, con un alternarsi di atmosfere canterburiane, sprazzi zappiani, porzioni improvvisative e slanci melodici. Sicuramente un ottimo album, probabilmente il migliore della formazione. Tuttavia, l’affermarsi del punk e della new wave getta un ulteriore ostacolo sulle possibilità di suonare per i Muffins, già non così numerose, e nonostante i contatti e le buone recensioni del primo lp le difficoltà crescono sempre più. A metà del 1979 registrano, in una edizione limitata di mille copie, il loro secondo vinile, Air Fiction, autoprodotto e composto interamente da improvvisazioni, una facciata in studio e un’altra dal vivo. Pubblicato senza nessuna etichetta, soprattutto per permettere al gruppo di organizzare un tour nell’East Cost, l’album non avrà il successo e la funzione auspicati dalla band. Il rapporto di fiducia costruito con Fred Frith porta i Muffins alla pubblicazione del loro, a tutti gli effetti, secondo album ufficiale, 185, sempre per la Random Radar Records, prodotto proprio dall’ex chitarrista degli Henry Cow, e registrato dal 24 al 28 settembre del 1980.

I Muffins ai tempi dell’album Manna/Mirage.

Le circostanze intorno alla lavorazione di questo loro secondo e ultimo lp prima dello scioglimento, non furono delle migliori: tensioni interne, soprattutto difficoltà economiche, organizzative e, al solito, poche possibilità di concerti. Una delle ragioni per la quale chiesero a Frith di produrre il disco fu proprio quella di avere un musicista esperto e capace che potesse prendere decisioni e risolvere i contrasti interni al gruppo. Così 185 suona, in effetti, molto più vicino agli Henry Cow e alle altre esperienze della scena Rock In Opposition probabilmente più di quanto i Muffins avrebbero voluto. Tanto è vero che, successivamente, nel 1996, per la riedizione del lavoro fatta dalla Cuneiform, venne effettuato un nuovo missaggio (solo delle composizioni, le tre improvvisazioni vennero lasciate intatte) da parte del gruppo che teneva al minimo gli overdubs lasciando suonare il disco molto più “live”, così da ricordare il suono potente e graffiante della band. Nonostante la validità del lavoro, caratterizzato da un uso più massiccio dei fiati a scapito delle tastiere, e mantenendo comunque un’alta qualità nelle composizioni così come nelle improvvisazioni, tre mesi dopo la pubblicazione del disco il gruppo si scioglie definitivamente, anche a causa dell’insuccesso dell’album e quindi nella concreta impossibilità di continuare a suonare dal vivo.

Di nuovo insieme
Gli anni Ottanta vedono la pubblicazione di ulteriore materiale registrato precedentemente, nonostante l’avvenuto scioglimento: l’importante Open City, pubblicato dalla Cuneiform nel 1985, con outtakes di Gravity e versioni live di brani che apparvero poi su 185, e uno dei tipici tape album alla Muffins, Secret Signals 1 del 1989 (poi ristampato su cd e Lp dalla New House Music nel 2017), composto da brani live e in studio tra il 1974 e il 1978. Agli inizi degli anni Novanta i membri del gruppo riprendono via email i contatti tra di loro, con la voglia di suonare di nuovo insieme. La pubblicazione di un altro Secret Signals (Secret Signals 2, tape album) ma soprattutto del già citato Chronometers, danno la spinta finale alla reunion su iniziativa di Paul Sears che invita i vecchi amici allo studio Black Room, allestito nella sua nuova abitazione a Washington D.C., in Military Road. In aggiunta all’uscita di Chronometers la Cuneiform pubblica anche una compilation di vari gruppi dell’etichetta, tra i quali i Muffins, che registrano proprio per questo disco una cover dei Forever Einstein, She Wears Her Dead Mother’s Hat, che permette alla band di familiarizzare di nuovo con lo studio di registrazione.

“Ricordo che entrammo dal fondo del locale verso il palco suonando i nostri strumenti a fiato come The Muffin Sax Quartet, un’entrata (o uscita) che avevamo fatto numerose volte in precedenza. Paul al soprano, Tom al contralto, Billy al tenore e io al baritono. Il primo concerto dopo la reunion fu un po’ spaventoso per noi, ma il pubblico fu così comprensivo e solidale che ci tolse l’ansia di dosso”
(Dave Newhouse).

Questo il ricordo del concerto, il primo della reunion, che venne effettuato al Chief Ike’s Mambo Room di Washington D.C. il 16 luglio del 1998 e che sugellò la nuova fase del gruppo. Ovviamente la ripresa dell’attività live fu anche il preludio alle registrazioni per un nuovo cd, al solito preceduto però da un altro tape album (Secret Signals 3), e da Loveletter #1, pubblicato dalla CoNtOrTeD e comprendente brani dal vivo registrati negli ultimi concerti (tra cui anche Villa Celimontana a Roma nel 2000 con una stupenda versione di Nan True’s Hole di Phil Miller) oltre a materiale proveniente dalle session di registrazione del futuro nuovo album, che vedrà la luce nel 2002, dal titolo Bandwitdh, sempre edito dalla Cuneiform.
I nuovi Muffins si discostano significativamente dalle precedenti produzioni, con un suono complessivo più elegante, raffinato, un peso maggiore alla composizione rispetto alla fase improvvisativa, con punti di contatto a un certo progressive elaborato ma privo delle pesantezze e delle giustapposizioni delle vecchie e più famose band appartenenti al genere. Tuttavia, non mancano gli episodi ruvidi, avventurosi, lo spazio alle improvvisazioni collettive pur se minore rimane comunque una costante del gruppo, e il multistrumentismo praticato da tutti i membri si arricchisce ulteriormente, con Paul Sears che oltre alla batteria si cimenta anche alla chitarra elettrica.

Da sinistra: Knoel Scott, Paul Sears, Dave Newhouse, Tom Scott, Billy Swan, Marshall Allen (Baltimora, 2004). Foto: Deb Sears.

Questa nuova fase è certamente più ricca di soddisfazioni della precedente, con buone recensioni e un discreto numero di concerti importanti, come alla Knitting Factory di New York, o anche il ProgDay di Carrboro nel Nord Carolina. La consuetudine di lavorare assieme per giorni interi, pur non vivendo ormai nella stessa abitazione, viene ripristinata grazie all’organizzazione dei Summer Camp, sorta di meeting presso una grande struttura ottagonale vicino la casa di Paul Sears, che permette alla band di programmare concerti e registrazioni sull’onda di ciò che accadeva in passato a Buba Flirf e Portree House. Ma l’evento importante dei nuovi Muffins è la collaborazione con Marshall Allen e Knoel Scott della Sun Ra Arkestra, da cui scaturiscono ben due album, Double Negative (Cuneiform, 2004) e Loveletter #2 The Ra Sessions (Hobart Films & Records, 2005).

“Non dimenticherò mai la visione di un settantanovenne Marshall Allen che suona un assolo di sax mentre si piega all’indietro e si abbassa sul pavimento del seminterrato di Paul”
(Carl Merson, tecnico del suono delle Ra Sessions).

Il secondo album della nuova fase dei Muffins, Double Negative, aggiunge ulteriore spessore al percorso artistico della band, con la luccicante presenza dei due membri dell’Arkestra, cesellando all’interno di elaborate composizioni l’estro creativo sia del gruppo che degli ospiti. La presenza, soprattutto di Marshall Allen, non destruttura il nuovo corso, ma lo arricchisce di venature jazz che danno un colore particolare alle composizioni. Le improvvisazioni più o meno libere che scaturiscono fuori dalle prove per Double Negative, editate e lavorate successivamente in studio, finiscono invece su Loveletter #2 The Ra Sessions, un album che riporta i Muffins, in parte, su vecchi sentieri. La buona accoglienza ricevuta da Double Negative e l’eco avuta grazie a Marshall Allen, permettono ai Muffins di partecipare a uno dei grandi festival prog americani, NEARfest, dove si avvalgono anche di una vera e propria sezione fiati. E finalmente, nel settembre 2009, il gruppo partecipa al Festival Rock In Opposition, la seconda edizione, insieme tra gli altri ai Magma e agli Univers Zero. Anche qui, come successe con Fred Frith, il gruppo può finalmente prendere contatto diretto con gruppi e musicisti affini, anche se ormai, per questa area, lo slancio e la freschezza degli anni Settanta sono in parte perduti. È una nicchia sempre più ristretta ma che conserva ancora uno spirito battagliero e la volontà di continuare a sperimentare, a mettersi in discussione, a rifiutare le logiche del mercato.

Palindrome, Mother Tongue e il definitivo scioglimento

 “Per me, Palindrome era una continuazione del processo di creazione dei Muffins fatto per Double Negative. Scrivevamo le composizioni a casa e le portavamo al Summer Band Camp per impararle e poi registrarle. Double Negative era largamente composto, così come lo fu Palindrome; comunque, abbiamo realizzato entrambi i cd nello stesso modo, producendoli e mixandoli per ottenere un flusso di composizioni che tenesse viva l’attenzione dell’ascoltatore”
(Tom Scott).

Le parole di Tom Scott esplicano chiaramente la seconda vita del gruppo, e le incisioni che la caratterizzarono: la prassi compositiva prese sempre più piede emarginando la fase improvvisativa e regalando ai fans dei dischi certo di valore ma privi di quel senso avventuroso e di ricerca che erano caratteristiche importanti della prima fase. A ogni modo sia Palindrome (Musea, 2010, poi ristampato dalla Cuneiform nel 2022) che Mother Tongue (Hobart Films & Records, 2012) mostrano un gruppo maturo, con un senso della forma elaborato, ampie aperture ad un certo jazz rock mai banale, e collegamenti all’estetica progressive. Anche se Mother Tongue, il loro ultimo lavoro ufficiale, contiene un materiale più ruvido, meno imprigionato dalla composizione e per certi versi più libero, frutto di session prima della ritmica e successivamente dell’intera band, il tutto poi editato in studio. Con la registrazione, da parte dei filmaker Adele Schmidt e Josè Zegarra Holder, della serie di documentari Romantic Warriors, sulla scena di Canterbury e sulle sue filiazioni, i Muffins, protagonisti di Romantic Warriors III – Canterbury Tales, si ritrovano per l’ultimo concerto, nel 2015, organizzato per la presentazione del filmato agli Orion Studios di Baltimora, nel Maryland, lì dove tutto era iniziato. Ed è lì che l’avventura Muffins conclude la sua lunga storia, per certi versi esclusiva, minoritaria, ma ricca di suggestioni e pratiche assolutamente originali e utili come fonte d’ispirazione attuale. Un’esperienza che, grazie alla Cuneiform, oggi in parte rivive con la pubblicazione di un’ampia mole di materiale inedito di grande spessore.

Lo scrigno Baker’s Dozen

“Ho scoperto che volevo presentare la musica per lo più in ordine approssimativamente cronologico, perché la loro musica cambiava e si evolveva continuamente e volevo che ogni disco fosse un’esperienza musicale autonoma e piacevole, che avesse senso all’interno del cofanetto, ma anche da solo. Ho ascoltato molti concerti che presentavano set simili e ho deciso che, per quanto possibile, non volevo avere più di un paio di versioni di ogni canzone nella collezione, e che avrei dovuto basare le mie decisioni su quale versione scegliere basandomi prima di tutto sulla performance e poi sul suono. Poiché non volevo avere un’eccessiva abbondanza di riprese degli stessi pezzi, ho deciso di dare maggiore risalto alle improvvisazioni del gruppo, in quanto si trattava di un aspetto molto importante della band, che in precedenza era stato poco rappresentato nei loro dischi, per ovvie ragioni (commerciali). Credo che la qualità di queste loro improvvisazioni giustifichi ampiamente questa inclusione”
(Steve Feigenbaum, Cuneiform Records).

Le parole del fondatore della Cuneiform chiariscono in modo inequivocabile i perché dell’importanza di questo materiale quasi totalmente inedito: la dovuta valorizzazione dell’aspetto improvvisativo di un gruppo che è comunque parte di un genere che spesso ha lasciato ai margini la composizione istantanea collettiva, qual è il rock. Più volte identificata come free form, e praticata molto più assiduamente nella seconda metà degli anni Sessanta, l’improvvisazione in ambito rock ha assunto degli aspetti, nei pochi gruppi e musicisti che l’hanno approcciata, innovativi e forieri di inconsueti sviluppi che in questi anni stiamo ascoltando da più parti. La pubblicazione di questo box ne dà una luce particolare e ci fornisce testimonianza di una musica ancora attuale, fresca e avventurosa.
Si parte dal 1975 con il primo cd, comprendente anche brevi registrazioni di singoli strumenti, prove di gruppo ovviamente, ma già con episodi maturi. Per esempio, ci sono molti accenni alle atmosfere canterburiane, come in Phase 1-Portable Hollow, vagamente alla Matching Mole, oppure la morbida Brix, seppur movimentata nel finale, o anche Three Days That Won’t Soon Fade (presente anche su Chronometers, ma in una versione registrata a novembre del 1975 ai Paragon Studios, qui invece dal vivo al Music Carry-Out di Washington il 25 luglio dello stesso anno), una sorta di outtake dei Soft Machine periodo post Wyatt, con il Fender Rhodes in primo piano a tingere di jazz rock il brano. In questo primo cd c’è ancora la presenza di Mike Bass alla batteria e allo xilofono, e Michael Zentner alla chitarra, al violino e alla voce. Proprio Bass è il responsabile di alcuni esercizi prog assolutamente originali, leggeri, quasi una sorta di divertissement: English, rielaborazione di una composizione di Sergej Prokofiev, e Bartok Stockpot, striato da incursioni free. Il secondo cd, con Stuart Abramowitz alla batteria, contiene alcuni episodi di particolare interesse: la splendida versione live della lunga Chronometers, del 9 luglio del 1976 al College Park dell’Università del Maryland, leggermente differente dalla versione pubblicata sul cd eponimo e registrata a Buba Flirf tra il maggio e il giugno dello stesso anno, un affresco composto da una serie di temi elaborati ma con aperture ed estensioni, giochi circolari e improvvisi stop, una citazione buffa di Over The Rainbow, il tutto con forti richiami ai National Health. Notevole anche la suite Courtesy Of Your Focal Interest Span/Please Do Not Open Mr. Fisher, con un energico riff all’unisono di basso e Fender Rhodes e uno sviluppo jazz rock. Oppure l’altra suite composta da The Manilla Robots/Joe Crop On A Toxic Planet/The Bush, caratterizzata da un inizio buffo, stile marcetta, che poi si evolve in un tema circolare e strappi free, ritmi inusuali (un 10/8 suddiviso in 3 3 2 2) e le consuete aperture morbide stile Canterbury.


Da sinistra: Dave Newhouse, Billy Swam, Tom Scott.

Va notato che questi brani apparvero anche su Chronometers, registrati ai Paragon Studios nel novembre del 1975 mentre queste versioni a forma di suite, collegate una all’altra, provengono sempre dal concerto al College Park del 9 luglio del 1976, arricchite da aspetti improvvisativi, da una spontaneità e da un’energia che erano le caratteristiche principali dei live del gruppo. Il terzo capitolo di questo affascinante box vede la classica formazione Muffins, il quartetto con Paul Sears alla batteria e allo xilofono. Dopo aver lavorato, successivamente all’abbandono di Abramowitz, come trio l’arrivo di Sears produce un intenso lavoro sia sul vecchio materiale che sul nuovo, grazie anche a un fecondo rapporto soprattutto tra il nuovo batterista e Dave Newhouse. Uno dei frutti migliori di questa collaborazione è Amelia Earhart, un cavallo di battaglia del gruppo, pubblicato su Manna/Mirage e qui in una primissima versione registrata a Buba Flirf. Il brano, a doppia firma per l’appunto, è un affastellarsi di diverse atmosfere, con una partenza che ricorda gli Art Ensemble Of Chicago, fatta da suoni esotici, ancestrali, percussivi, per evolversi poi nelle tipiche sonorità canterburiane, un basso distorto alla Hugh Hopper, e momenti ipnotici e minimalisti: l’essenza della musica dei Muffins. Notevole anche l’improvvisazione libera, il dialogo fruttuoso degli strumenti in Prince Albert In The Can, la giocosità di Monkey With The Golden Eyes (anch’essa su Manna/Mirage), il tema angoloso di Expected Freedom e il rumorismo libero di Carbons, dove si apprezza una lunga e composita improvvisazione libera che mostra l’alto grado di interplay tra i membri del gruppo. Interessante è anche sottolineare i diversi approcci sul già precedentemente citato Expected Freedom (presente anche su Open City mixato all’epoca da Steve Feigenbaum): nel quarto cd ce ne sono altre due versioni, una registrata durante i concerti autorganizzati all’aperto di fronte alla loro abitazione il 4 giugno del 1977 e l’altra il 4 aprile dello stesso anno al Pipeline Coffee House di Washington D.C.


I Muffins in concerto con il loro mentore, Fred Frith.

Le due versioni sono caratterizzate da diverse modalità improvvisative, con la prima più misteriosa e minimale, con clarinetto basso in evidenza, mentre la seconda con un’improvvisazione libera iniziale di fiati, basso e batteria abbastanza movimentata. Alla fine, in ambedue i casi, subentra il tema. Rilevante, sempre nel quarto cd, Imprimatur, che mostra ancora una volta l’eccezionale commistione di scrittura e improvvisazione, per un susseguirsi di paesaggi sonori intriganti. Il quinto cd è un piccolo gioiello che da solo varrebbe l’acquisto del cofanetto: la registrazione di un intero concerto tenuto dal gruppo il 21 ottobre del 1977 al W.A.F.U. Coffee House di Wasghington D.C. e comprendente in gran parte il materiale che poi uscirà su Manna/Mirage. Il confronto tra queste versioni live e le altre registrate in studio mostra la grande capacità del gruppo di estendere i brani, arricchirli di momenti improvvisativi e nuove sezioni che danno il senso di un’avventura musicale sempre in movimento: Amelia Earhart, la suite che unisce Monkey With The Golden Eyes a Hobart Get Burned, con un’improvvisazione libera dei fiati a metà dei due brani, i richiami ai Soft Machine e agli Hatfield And The North di Monkey In The Middle, con aree libere che virano il brano in ambito jazz, o anche la suggestione Henry Cow di Lady In A Brown Paper Bag evocata dall’oboe di Tom Scott. Chiusura del concerto affidata, anche qui in una versione più dilatata, alla ricca e affascinante The Adventures Of Captain Boomerang.
Il sesto capitolo anch’esso prezioso, è forse più caratterizzato da elementi di free jazz, a segnalare le continue evoluzioni del gruppo. Un esempio brillante è la lunga improvvisazione To-Ing And Fro-Ing, registrata il 31 dicembre 1977 al DC Space di Washington D.C., con all’interno delicate linee atonali di fiati arricchiti dalla presenza del trombettista Greg Yaskovich e dal sassofonista Scott Raffell, così come le dissonanze, i suoni disarticolati che sfociano in una tipica improvvisazione di stampo free su Children And Art, sempre dallo stesso concerto. Qui la perla è The Grammy Snap, registrata l’8 ottobre 1978 al famoso Zu Manifestival, che vede la presenza, insieme ai Muffins, di Fred Frith, autore in questo brano di uno sfavillante ed ondulato solo di chitarra elettrica.

Sensibili differenze con i brani pubblicati sugli album storici
Continuando nell’analisi del box è assai utile confrontare, nel settimo cd, le diverse versioni di Horsebones, brano composto da Tom Scott, e presente sia su 185 che nella ristampa Cuneiform in cd del 1994 di Open City: qui abbiamo invece due registrazioni dello stesso brano registrate a gennaio del 1979 durante le prove del gruppo a Rockville, nella loro seconda abitazione, mentre la versione presente su Open City è del 21 febbraio del 1980 e quella su 185 è, come detto in precedenza, tra il 24 e il 28 settembre del 1980. Come sottolineato da Feigelbaum, le pubblicazioni discografiche dei Muffins tendevano a tagliare, in parte, le improvvisazioni a favore del brano più o meno organizzato. Ed è quello che possiamo notare dall’analisi di questo scoppiettante e furioso Horsebones, con il sax baritono di Newhouse e il sax alto di Scott a enunciare linee tematiche contorte, inframezzate da momenti solisti, soprattutto del baritono, abrasivi, rumoristici, graffianti. Le due versioni qui raccolte, rispetto a quelle precedentemente pubblicate, aggiungono delle introduzioni fatte da dialoghi tra i due fiati che poi sfociano in una serrata rincorsa punteggiata da basso e batteria. Solo in parte vale lo stesso discorso per Zoom Resume, anch’essa presente su questo cd in due versioni e pubblicata sia su 185 che su Open City. Su quest’ultimo lp il brano è stringato, essenziale, privo di molte elaborazioni che invece sono presenti sia su 185 che nel box. Qui la prima versione è leggermente meno parossistica ma più estesa, comunque abbastanza simile a quella su 185, nella seconda è presente invece un inizio dissonante e rumoristico che precede la parte tematica ridotta all’essenziale, non lontana da quella su Open City e con la voce di Swann che grida, quasi a sostituire i fiati. Uno dei brani molto vicini all’estetica Rock In Opposition ma anche ai Residents, con continue variazioni tematiche, angolose, per certi versi esasperate.

L’ottavo cd fa ancora parte della prima fase del gruppo, e contiene registrazioni effettuate poco prima dello scioglimento, con segnalazioni particolari su un ulteriore versione di Zoom Resume ed un’altra di Under Dali’s Wing, brano già approcciato in questo box. Ma è World Maps che merita attenzione particolare: il brano venne pubblicato ufficialmente nel 2002 su Bandwidth, il loro primo album dopo la reunion, in una versione molto differente da quella presente su questo cd. Grazie a questo brano si possono notare con evidenza i grandi cambiamenti avvenuti nell’estetica del gruppo. Nella versione ufficiale World Maps è una sorta di funky stralunato, con accenni zappiani, introdotto da accordi di chitarra e tema ondulato suonato dai sassofoni. Pur contenendo molte caratteristiche alla Muffins, con un solo di baritono graffiante nel finale, il brano è pulito ed elegante, privo di grosse asperità. Tutt’altra cosa è la versione registrata nel 1981, per certi versi radicalmente differente, sporca, acida, con un inizio immediato alla James Chance And The Contortions, ricca di elementi noisy e dissonanze varie sparse su tutto il pezzo, molto più esteso rispetto alla versione ufficiale. Insomma, una carica di energia davvero potente, per una versione di grande impatto e che mostra la parziale mutazione tra il primo e il secondo periodo dei Muffins. Ma è una mutazione presente in gran parte solo nelle pubblicazioni ufficiali, perché dal vivo il gruppo mantiene intatta l’energia e la corrosività dei primi tempi. Basta ascoltare, sul nono cd, la versione di Hobart Got Burned, da Manna/Mirage, registrata il primo settembre 2001 al ProgDay di Chapel Hill in North Carolina, per apprezzarne la grande carica, il virtuosismo, gli aspetti improvvisativi, molto simile alla versione del primo lp del gruppo.
Altro confronto interessante è sul brano The Highlands, pubblicato su Double Negative nel 2004, mentre qui è presente una registrazione live agli Orion Studios di Baltimora del 2002: versione non lontana da quella ufficiale ma più ricca di dissonanze e meno ingessata. Nel decimo cd si segnala la stupenda suite comprendente World Maps/Down From The Suntower/Impossible John/Military Road: qui World Maps assume i connotati della versione ufficiale, pulita ed elegante, all’interno comunque di un susseguirsi di diverse atmosfere al solito compenetrate da momenti improvvisativi e grande virtuosismo.

Tutto il concerto alla Knitting Factory, presente su questo cd, è di altissimo livello, a dimostrazione di una dimensione live per nulla ammorbidita o fiaccata dagli anni, bensì incrementata da esperienza e grande capacità tecnica oltreché creativa. Altro gioiello del box è l’undicesimo cd comprendente l’intero concerto svolto il 10 luglio del 2005 al NEARFest di Bethlehem in Pennsylvania, con una Walking the Duck (presente anche su Loveletter #1 e registrata dal vivo alla WFMU Radio del New Jersey il 15 luglio del 2000, cinque anni prima di questa versione) caratterizzata da un furioso assolo di basso distorto, mentre sempre Billy Swann si fa notare, questa volta con il wha wha, sull’aliena These Castle Children (altro brano presente su Loveletter #1, leggermente differente). Anche questo concerto è appassionante nel suo susseguirsi di temi contorti, maggiori aperture consonanti rispetto al passato, ma con intatto furore e slancio improvvisativo, unito ad una maggiore maestria nell’organizzare il live. Il dvd del cofanetto contiene le riprese dello stesso concerto, ed è ovviamente uno spettacolo poter vedere questa straordinaria esibizione dei Muffins. Il dodicesimo e conclusivo cd contiene, invece, tra gli altri brani il concerto (uno degli ultimi) svoltosi il 5 settembre del 2010 sempre al ProgDay di Chapel Hill, e nulla aggiunge al valore, altissimo, del gruppo, che ancora, in questa veste live, appare decisamente più ruvido ed energico rispetto alle ultime uscite discografiche.

Considerazioni, riflessioni, note finali
Alla disamina di questo preziosissimo cofanetto vanno aggiunte alcune considerazioni generali, per dare una lettura complessiva dell’esperienza musicale (e non solo) di questo gruppo, autore di musiche certamente non convenzionali ma di grande attualità. Il primo aspetto da sottolineare è l’importanza dell’approccio improvvisativo che trasforma in maniera incessante il repertorio, sia live che in studio, permettendo ai Muffins di risultare sempre diversi, pur nella continuità, e di fornire all’ascoltatore atmosfere e suoni cangianti, mai fini a sé stessi ma mutevoli nella forma e nei contenuti. L’esperienza canterburiana viene declinata con originalità, e il gruppo, nel corso della sua lunga storia, appare influenzato da molteplici stimoli e suggestioni: dalle sonorità contemporanee, vicine all’area dell’improvvisazione libera inglese, agli Henry Cow, al free jazz di marca Art Ensemble Of Chicago e Sun Ra Arkestra, a venature jazz rock, momenti minimalisti e ipnotici, Zappa e No New York, più un tocco di Residents, a costruzione di un universo musicale originale e multiforme. Altro elemento, forse sottovalutato, è l’ironia, che traspare spesso dai titoli dei brani e nelle sortite parossistiche e caricaturali presenti soprattutto nei live; in questo la vicinanza a Canterbury è palpabile. Fondamentale risulta l’aspetto comunitario, l’autogestione e la condivisione non solo dei momenti artistici ma anche della vita quotidiana, la ricerca, la sperimentazione, la necessità di costruire un’area alternativa che potesse permettere a chiunque condivideva quell’estetica di emergere ma soprattutto di scambiarsi idee, riflessioni oltreché sensibilità artistiche e politiche, in senso largo ovviamente. Da questo punto di vista va sottolineata la volontà e l’esplicarsi di un’idea di gruppo, e non di musicisti che suonano semplicemente insieme.

Nessuno di loro ha avuto, nei fatti, un’esposizione pubblica individuale, ma sempre all’interno dell’esperienza collettiva, denominata Muffins. In ultimo, la capacità di portare la pratica improvvisativa all’interno di una musica e di un suono fondamentalmente rock, e di inserirla con modalità originali ed equilibrate. Di esperienze così non ce ne sono state molte, ma se andiamo ad ascoltare alcune musiche attuali che fanno della commistione tra improvvisazione libera o di matrice più prettamente jazzistica e sonorità rock, possiamo certo trovare i germi di ciò che i Muffins hanno suonato per tutta la loro vita.  Tutto sommato, le parole di Chris Cutler, il batterista degli Henry Cow, il gruppo certo più affine ai Muffins, nonché loro fonte principale di ispirazione, possono benissimo essere adottate per spiegare in maniera semplice la musica del gruppo:

“Gli Henry Cow non sono altro che un gruppo che cerca di superare le linee di demarcazione tra jazz, musica contemporanea, rock, e così via”
(Cutler in Piekut, 2019).

Esattamente ciò che troviamo in questo cofanetto.

Ascolti
  • The Muffins, Manna/Mirage, Cuneiform, 1993.
  • The Muffins, Chronometers, Cuneiform ,1993.
  • The Muffins, Open City, Cuneiform, 1985, 1994.
  • The Muffins, 185, Cuneiform, 1996.
  • The Muffins, Loveletter #1, CoNtOrTeD, 2001.
  • The Muffins, Bandwidth, Cuneiform, 2002.
  • The Muffins, Double Negative, Cuneiform, 2004.
  • The Muffins, Loveletter #2 The Ra Sessions, Hobart Films & Records, 2005.
  • The Muffins, Mother Tongue, Hobart Films & Records, 2012.
  • The Muffins, Secret Signals 1, New House Music, 2017.
  • The Muffins, Secret Signals 2, New House Music ,2018.
  • The Muffins, Secret Signals 3, New House Music, 2019.
  • The Muffins, Palindrome, Musea 2010, Cuneiform, 2022.

 

Letture
  • Benjamin Piekut, Henry Cow. The world is a problem, Duke University Press, Durham and London, 2019.