Volpi e scarafaggi
tra inquietudine e nostalgia

David Garnett
La signora trasformata in volpe
Traduzione di Silvia Pareschi

Adelphi, Milano, 2020
pp. 109, € 15,00

Ian McEwan,
Lo scarafaggio
Traduzione di Susanna Basso

Einaudi, Torino, 2020
pp. 120, € 16,00

David Garnett
La signora trasformata in volpe
Traduzione di Silvia Pareschi

Adelphi, Milano, 2020
pp. 109, € 15,00

Ian McEwan,
Lo scarafaggio
Traduzione di Susanna Basso

Einaudi, Torino, 2020
pp. 120, € 16,00


“Gli avvenimenti portentosi o soprannaturali non sono particolarmente rari, semmai hanno una cadenza irregolare. Magari nel corso di un secolo non accade neppure un prodigio degno di tal nome, e poi capita che ne arrivino tanti tutti insieme”
(Garnett 2020).

La metamorfosi secondo David Garnett …
Oxfordshire. Fine Ottocento. Mr e Mrs Tebrick vivono un’esistenza ordinata, scandita dal tempo ricorsivo di comuni ritualità: passeggiate, letture, ascolti musicali. Una liturgia secolare rinnova quotidianamente la promessa sacramentale per cui Mr Tebrick ha giurato eterna fedeltà a Miss Silvia Fox. Il matrimonio può dirsi, così, felice: una riuscita condivisione di gesti amorevoli senza sussulti, né variazioni; una sequenza di giorni che trascorre pacifica nella certezza della propria abitudinaria ripetizione. Fino a un pomeriggio del gennaio 1880, quando un evento rivoluzionario fa di quella vita composta un esperimento di scandalo e trasformazione. Camminando lungo la piccola collina boscosa sopra Rylands, i coniugi avvertono l’arrivo di una muta di cani da caccia. Mr Tebrick si affretta sul limitare del bosco, per godersi lo spettacolo più da vicino. La moglie, recalcitrante, arretra; strappa con violenza la propria dalla mano del marito; grida. Gli occhi dello sposo cambiano di scatto direzione e, con raccapricciante stupore, riprendono una scena ben diversa da quella che si preparavano a gustare.

“Dove un istante prima si trovava sua moglie, adesso c’era una piccola volpe di color rosso acceso. Lo guardò implorante, avanzò di un paio di passetti, e lui si rese conto immediatamente che sua moglie lo stava guardando con gli occhi dell’animale”.

La forma di donna si è trasfigurata in forma di volpe. Sbigottimento, incredulità e orrore alterano la linea retta di un’esistenza che sembrava definita e tracciata irrevocabilmente. I coniugi giacciono, di fronte alla nuova realtà, tra pianto e brividi, come in preda a una febbre che mai avevano conosciuto. Giunge il crepuscolo e nulla si risolve. È metamorfosi, perpetua: Silvia è volpe, sì, ora e per sempre. Il ménage familiare deve essere riorganizzato. Come? La questione va gestita anche rispetto agli occhi indiscreti della servitù e dei terzi. Che fare? Gli interrogativi rintoccano il tempo d’angoscia capitato in sorte a Mr Tebrick. Tornato a casa nel nero notturno, così che nessuno possa cogliere la presenza della fulva creatura, egli licenzia pretestuosamente tutto il personale e uccide i due cani, fedeli compagni di una vita, che hanno istintivamente fiutato l’arrivo di un intruso. Liquidazione totale. Lo spazio domestico è liberato da ogni possibile fonte di pericolo. L’uomo e la volpe vivono soli, facendo del matrimonio un’inesplorata simbiosi.

Nuova vita, nuovi giorni, nuovi ruoli, per cui è Richard ad occuparsi di ogni cosa. Per un periodo, nonostante tutto, le abitudini possono essere conservate, perché c’è ancora l’antica Silvia, docile ed educata, nel corpo della volpe. La sua femminilità non cessa di deliziare il malcapitato sposo; sopravvive la figura della moglie, “sepolta, per così dire, dentro la carcassa di una bestia, ma con l’anima di una donna”. Poi, un’alterazione progressiva torna a sconvolgere il recuperato equilibrio, imponendo riallineamenti continui, in un misto, a volte spietato, di dolore e rassegnazione. Silvia non è più né donna, né moglie, ma solo volpe. Esce dal vincolo domestico e conquista una libertà selvaggia nello spazio aperto della campagna inglese. Tradisce per istinto l’amore conservato, per fedele docilità, nella precedente forma: quasi per nemesi esistenziale, partorisce da volpe i figli che non aveva partorito da donna. Una vertigine psicologica consegna Mr Tebrick a una vita che conosce gioia nella disperazione, stabilità nel cambiamento. Una parossistica involuzione evolutiva si impossessa delle due identità, fino a ricongiungerle, sulla soglia del finale, quando il sipario scende sull’ultimo abbraccio tra due corpi incompiuti. Sulla stretta si avventano i cani, di nuovo sguinzagliati per la caccia. Questa volta, però, non è solo trasformazione, ma sangue e morte. Silvia non è più. Giace dilaniata. Nel gesto d’ultima condivisione, anche Mr Tebrick è lacerato, squartato. Eppure vive, ancora oggi, in quella che molti riconoscono come sua costitutiva follia.

…e la risposta di Ian McEwan

“La presente novella è un’opera di finzione. Nomi e personaggi sono il prodotto della fantasia dell’autore, e qualsiasi somiglianza con blatte autentiche, vive o morte che siano, è del tutto accidentale”
(Ian McEwan, 2020).

Londra, ai giorni nostri. “Quella mattina Jim Sams, un tipo perspicace ma niente affatto profondo, si svegliò da sogni inquieti per ritrovarsi trasformato in una creatura immane”. L’esoscheletro dello scarafaggio è divenuto corpo di uomo, dotato di arti, piedi, bocca, lingua, tatto, gusto. Uscito dal sonno, Jim si trova a maneggiare sensazioni inconsuete e ricordi cavernosi; poi, mentre la nuova testa crolla all’indietro, viene a galla la sequenza corretta che spiega l’accaduto. Si è trattato di un percorso compiuto in velocità, sgambettando tra gli spazi in cui si annida il potere cittadino, per giungere alla meta e portare a conclusione una missione cruciale. Abbandonata la decadenza del Palazzo di Westminster, attraversata Parliament Square, guadagnato il lato giusto di Whitehall, Jim scarafaggio entra nell’appartamento appropriato, a partire dal quale riavvolgere il filo della storia britannica.
Nella prima notte della sua permanenza, ecco compiersi la trasformazione: un corpo ingombrante accoglie il nuovo ospite, che perde l’antica livrea, mentre l’originario titolare, sfrattato, abbandona quelle stesse membra arrancando verso l’esterno, con un paio d’antenne in pulsante agitazione che dicono l’incompetenza insicura del principiante di fronte a una rischiosa avventura di apertura e discesa.

Jim Sams anima con spirito di scarafaggio l’involucro fisico destinato ad impersonare il Primo Ministro inglese. Un umano si presenta alla storia con pensiero di insetto. È pronto a presiedere le riunioni del Consiglio dei Ministri, a prendere decisioni, a intrattenere relazioni internazionali. Uno scarafaggio mascherato è catapultato in carne e ossa sul palcoscenico del mondo. C’è chi si inquieta (pur non conoscendo il segreto della mutazione) e chi, per contro, ne avalla le scelte, come il Presidente degli Stati Uniti, forse perché, condividendo la stessa natura metamorfica del Premier britannico, non può che apprezzarne anche le logiche. Il tempo scivola veloce verso l’adozione di una strampalata dottrina politico-economica presentata come vincente: l’inversionismo. Nell’ottica di Jim Sams e del suo Gabinetto solo il prevalere della strategia inversionista sull’antiquata visione cronologista può confermare il ruolo leader del Regno Unito nel planisfero geopolitico. La tensione tra piani, azioni, complotti, alleanze, appaiamenti si risolve nel giorno finale programmato per la discussione in aula. Il 19 dicembre il disegno di legge che introduce l’inversionismo passa con un margine di ventisette voti. L’indomani è concesso l’assenso della Corona. Il piano di Sams è risultato vincente. Cala il sipario narrativo.
Quel che rimaneva in sospeso viene spiegato dalle mosse successive del Primo ministro e dei suoi uomini. Tutti i membri del Consiglio riportano ordinatamente i corpi presi in prestito alle rispettive scrivanie, per restituirli ai legittimi proprietari. Così fa anche Jim Sams. Segue una riunione conclusiva tra i vincenti, per la quale è imposto un rigoroso dress code, fatto di soli esoscheletri. La lingua ufficiale è il feromone, dieci volte più rapido dell’inglese corrente. Nel sottofondo, un mormorio convinto di carapaci e ali vestigiali. Giunge, in chiusura, la spiegazione amara di questo divertissement metamorfico. Si è trattato di un inganno perpetrato da una specie esclusa, in debito con storia e biologia, nei confronti dell’umano, proclamato sapiens sapiens solo in nome di una astratta tassonomia.
Così, soddisfatto, conclude Jim Sams:

“[…] Abbiamo saputo reagire. E attualmente, io spero e credo che abbiamo gettato le basi per l’avvento di una rinascita. Quando questa particolare follia dell’Inversionismo avrà reso la gente più povera, come è destino che accada, noi non potremo che prosperare. Se persone semplici e di cuore sono state irretite e si sono votate alla sofferenza, sarà per loro un grande conforto sapere che altre creature semplici e di buon cuore come noi hanno tratto dalla situazione maggiore felicità e possibilità di moltiplicarsi. Il bilancio netto del benessere universale non subirà riduzioni. La giustizia rimarrà costante”.
(ibidem).

Gli scarafaggi, artefici del cambiamento, si allineano, pronti a tornare alla casa madre. Tornano, perché la storia è già cambiata.

Questione di forme e sensi. Ontologie in dissoluzione
Una fortunata coincidenza editoriale ha accomunato le sorti di due eleganti e provocatorie storie di mutazione. La nuova traduzione dell’incantevole racconto di David Garnett, La signora trasformata in volpe, ha incrociato la forza satirica dell’agile romanzo di Ian McEwan, Lo scarafaggio. Da un lato, una donna si fa volpe; dall’altro, uno scarafaggio diviene uomo. Torna l’irresistibile attrazione del gioco metamorfico, che interroga ontologie e materialità; indetermina continuità e interruzione; è osmosi tra scioglimenti e reincarnazioni. Le strutture entrano in dissolvenza nella notte di una sublime malinconia, che consegna all’anfibio il primato dell’autenticità. La lettura incrociata dei testi permette di cogliere le possibili varianti di un comune paradigma trasformativo e trasgressivo (cfr. Allegra, 2010). L’oltrepassamento si misura in ragione della sua definitività o reversibilità, così come della direzione ascendente o discendente che lo marca nel connettere stadi evolutivi differenti, o, ancora, si qualifica in funzione del grado di consapevolezza o di totale remissività che esso, per attuarsi, richiede.
È scacco matto per unicità e irripetibilità.

Silvia Fox porta a compimento il destino custodito nelle pieghe del proprio nome, abbandonandosi a una trasfigurazione permanente e risolutiva, una sorta di miracolo storico, inspiegabile – dice Garnett – alla luce dei dettami della filosofia naturale, semmai diversamente giustificabile in una economia teologica di rivelazione. Tutto si è compiuto in modo istantaneo, senza progressione o passaggi intermedi: da pelle a pelo con coda. L’anatomia ha fatto esperienza della magia portata da ogni rivoluzione. L’adattamento dell’antica indole al nuovo corpo, per contro, è oggetto di una graduale conquista, che occupa l’intero spazio del tempo narrativo.
Jim Sams è l’erede contemporaneo del moderno Gregor Samsa: i punti di origine e di approdo dell’evento dirompente sono i medesimi, seppure invertiti. McEwan rovescia la prospettiva di Franz Kafka, da scarafaggio a uomo (non più da uomo a scarafaggio) e rende temporaneo il cambiamento di forma. La metamorfosi è, infatti, sottoposta a una precisa condizione risolutiva: si conclude, con ripristino della primitiva biologia, quando la missione per cui la trasformazione è avvenuta può dirsi compiuta. Come per Silvia Fox, anche per Jim Sams il passaggio da un sembiante a un altro è immediato. Il risveglio (come già in Kafka) segna la linea divisiva non solo tra sonno e veglia, ma anche tra l’antica e la nuova consistenza somatica. Differente è la venatura psicologica che accompagna l’apparizione della forma inattesa. La volpe, che nell’intimo è ancora donna e moglie gentile, accorda la linea del fisico alla nota interiore dell’implorazione, fino a chiedere perdono, stringendosi al petto dello sposo, rannicchiandosi e leccando il viso di chi aveva amato, occhi negli occhi, per poi scoppiare in un pianto silenzioso. Tale è l’umanità che ancora resiste sotto il manto fulvo, da rendere non solo possibile, bensì naturale il bacio doloroso, seppur consolatorio, dato da Mr Tebrick al muso di una bestia.
L’uomo nato dallo scarafaggio prova una nostalgia solo sensoriale, non intimistica e sentimentale, per il proprio trascorso sembiante biologico. Prevale, perciò, un registro ironico e satirico, che mette in comparazione arti e organi del prima e del dopo, misurandone utilità e praticità. Dopo il sonno, la creatura si scopre enorme, con piedi lontanissimi e appena quattro arti pressoché inamovibili, un potenziale regresso rispetto a quella meraviglia di zampette che si sarebbero agitate disinvoltamente in aria. Una sensazione di scivoloso disgusto, ai limiti della ripugnanza e del ribrezzo, accompagna la scoperta di un nuovo pezzo di carne, che giace acquattato nell’antro cavernoso della bocca e, muovendosi anche di moto proprio, scorre su una infinità di denti. Che dire, poi, del nuovo colore delle membra, un ceruleo smorto, venato da una serie di tubature di nuance più scura e da una compagine di bottoni bianchi che compongono una linea verticale lungo un addome non segmentato?

Il campo visivo, ancora, risulta integralmente depotenziato e irriducibilmente ridotto. Il gusto del fiato, uno sgradevole olezzo di cibo in decomposizione misto al sapore di alcol etilico, è parimenti ributtante e stomachevole. Un complesso di dati percettivi rende manifesto il grottesco fenomeno di inversione di cui Jim Sams è protagonista. Il climax è raggiunto quando la consapevolezza fisica dice della retroversione delle carni, ora collocate, in modo inaudito, all’esterno dello scheletro divenuto completamente invisibile.
Eppure, nonostante tutto, oltre la spiacevole constatazione di aver perduto gran parte delle originarie potenzialità, così da definire al ribasso il cambio di livrea intervenuto, lo scarafaggio fattosi uomo non piange, né si addolora; si adatta. Non di cambiamento miracoloso o prodigioso si tratta, ma di performance strategica: il corpo è veste e armatura, dispositivo di mediazione necessario per combattere nel mondo e condurre in porto un mandato cruciale. Per questo, se nella volpe le due istanze, di controllo e istinto, duettano fino alla sopraffazione dell’una a carico dell’altra, nell’uomo senza carapace si attua immediata la scissione tra libero arbitrio e necessità, per consentire a una forza superiore di modificare il corso della storia collettiva.
In entrambi i casi la metamorfosi ripete in vita il mistero inscritto nell’atto della nascita: si fa soglia osmotica in cui scivolano oblio e memoria, sé e altro da sé (cfr. Coccia, 2020). Sorprendente e sardonico scoprire come, in definitiva, l’io si dia, dall’origine, corrotto, o altrimenti perfetto nella sua ontologica trasfigurabilità, punto irresoluto nel passaggio tra il senza forma e la forma altra.
La traduzione esistenziale da uno stato a un altro si accompagna a una dislocazione, a un trasferimento, così da saldare il ritmo della metamorfosi a una compiuta ridefinizione della morfologia spaziale. L’ambiente occupato dalla originaria presenza viene abbandonato, sostituito da un habitat più funzionale all’espletamento delle rinnovate funzionalità. Vi è dissoluzione di confini, oltre che di strutture.

Forme di vita. Metamorfosi del desiderio e antinomie sociali
Volpe e uomo-scarafaggio entrano nella storia per dare consistenza di corpo a torsioni, deviazioni, fraintendimenti. Due forme di vita si occhieggiano a distanza, sospese tra nostalgia e ironia, nel comune intento di dissacrare la linea piana della norma, il sedimento duro della certezza, l’imperativo stonato prodotto da comando e conformismo.
Garnett precipita nel rinnovamento etico ed estetico tracciato dal Gruppo di Bloomsbury (cfr. Knights, 2015) la patina di rassicurante immobilità e di opaca devozione che corrode l’amore coniugale. Un miracolo si compie per dire della donna e delle sue sopite pulsioni. Una fuga, brutale e improvvisa, riporta Silvia al proprio destino incompiuto, stravolgendo verso l’origine l’ordinario corso del tempo e degli eventi. È, così, celebrato il ritorno a una condizione perduta di ferina libertà; è messo in atto il recupero di quell’indole vivace e parzialmente selvaggia che era stata ingabbiata entro le maglie di una severa educazione. Il rimosso bussa contro l’epidermide e spaventa: si appropria di membra e volontà. Se la metamorfosi fisica è istantanea, la conversione a un nuovo modo di vivere impulsi e quotidianità è lenta e graduale.

Sulla scena della pagina si compie delicatamente una spoliazione progressiva verso una soglia di impensata animalità. Dapprima la volpe conserva pudicizia e dignità; cerca una veste per coprirsi e la indossa; mangia composta quanto Mr Tebrick, prolungando in volontario servizio il proprio atto di amore, le serve a tavola; acconsente a farsi lavare e spazzolare; conserva i gusti (alimentari, musicali, conviviali) della vita precedente. Anche se non ha più voce, la nuova creatura prosegue l’intesa con il marito e affida la comunicazione dei nuovi sensi, modulati sugli antichi, a muti sguardi e gesti.
Il contatto tra i due corpi è preservato: la volpe posa la zampa sulla mano dell’uomo, guardandolo con occhi che luccicano di gioia mista a gratitudine, e gli lecca il viso; l’uomo la bacia, anche se le labbra non si posano su un volto, ma su un muso. Questa ritualità condivisa dei primi tempi annega nella comprensione lo scrupolo di Mr Tebrick, il pensiero di essere stato l’attivatore di un processo irreversibile di trasformazione nel portare la propria consorte verso la battuta di caccia, vincendone la ritrosia. Un punto di equilibrio pare raggiunto e con l’equilibrio sembra che anche il fondamento dell’unione sia sacramentalmente rinnovato.

“Lui le giurava spesso che neppure il diavolo, se fosse stato capace di fare miracoli, avrebbe potuto cambiare il suo amore per lei”
(Garnett, 2020).

Questo non basta. L’immaginazione di Garnett intende dimostrare qualcosa di più e di diverso. C’è una spia che lo comprova, quell’odore selvatico, ai limiti dello sgradevole, naturalmente associato al pelo fulvo. Silvia, in vero, non può più essere Silvia. È solo un inganno pensare che tutto sia confermato pur in altra forma. Inizia un secondo processo evolutivo, a tappe ravvicinate: la volpe si fa bestia, puramente e semplicemente. Cammina a quattro zampe, senza più vergognarsene; è attratta da anatre e colombe, potenziali prede; diventa irrequieta; abbandona il letto coniugale; vuole uscire all’aperto, oltre i confini di una vita domestica che le è stretta e non più le appartiene; sgranocchia orrendamente e poi divora. Fino a quel macabro esperimento del coniglio vivo portato in dono da Mr Tebrick per misurare il grado di aggressività dell’irrequieto canino. Il quadro è occupato da uno scenario raccappricciante: suoni ringhiosi, resti azzannati e sangue ovunque. Il disgusto accompagna il massacro. Scende il rintocco gotico: Silvia è nuda, una sorte di nuova Eva dopo il peccato. La veste di gloria che nasconde impurità e peribilità è caduta (cfr. Agamben, 2009). Un parossismo di dolore investe Mr Tebrick, che, per sopravvivere, deve promuovere la propria metamorfosi, parallela a quella già compiuta dalla propria consorte: si abbandona a una grottesca misantropia; non si rade né si lava; trae dal disordine una sorta di piacere maligno.
Garnett suona note funebri: scocca l’ora della fine per un perbenismo ipocrita e per un moralismo asfissiante, poli fissi conficcati in un emisfero condannato all’infelicità. Il giudizio è sospeso. È forse una menzogna della storia, del progresso e della fede occidentale credere che vi sia regressività nella spontaneità anomica. Per sentirsi bene Mr Tebrick deve fare affondare ogni tentativo di addomesticamento antropologico. Deve consegnare il sé che resiste a un surplus primordiale; deve decolonizzarsi. Cala la maschera delle identità, fisiche, spaziali, sociali. Mr Tebrick vive in posti diversi, sempre più aperti e liberi per seguire la volpe che, vagando per terre e campagne, si accoppia, partorisce cuccioli. Fino alla fine, che è estinzione di vita, ma principio di ritrovato amore, più puro ed autentico, cresciuto nella dissoluzione di onore, dovere, gelosie. La storia termina così come era iniziata: un uomo giace con una volpe ripiegata in braccio. Morta. S’è sentito, prima dell’epilogo, un grido di disperazione, dall’intonazione più femminile. La volpe, forse, all’esito delle due metamorfosi incrociate, ha trovato una propria voce, nuova, piena, vera.

Garnett risolve in questi termini il bisticcio tra le due istanze volpine che albergano nel testo, altrettanto dirompente e geniale, di D.H. Lawrence, non a caso intitolato La volpe (Lawrence, 2017). Là l’inclinazione fulva è giocata in associazione a due diversi caratteri, un uomo e una donna, Henry e March, per dire, in positivo e in negativo, della virile aggressività che può trovarsi in ogni natura, fino alla sua effettiva e compiuta manifestazione (come in Henry) o alla sua problematica repressione (come in March). Nella trama favolosa in cui si compie la nuova metamorfosi, l’essere volpino diviene possibilità concreta del femminile, baluardo di resistenza contro i contorni stretti delle maschere che l’avevano imbrigliato.
In entrambi i casi, la volpe si fa dispositivo destabilizzante; in Garnett, ben oltre a quanto accade in Lawrence, riporta la natura alla natura, restituendo all’aperto quanto era stato domato entro lo spazio chiuso di una ideologica domesticità.
Di forme di vita e critica sociale è imbevuta anche la pagina di McEwan. In questo caso, lo sguardo sardonico è puntato contro una politica scellerata e una consuetudine di inganno perpetrata a danno di una folla acriticamente inconsapevole. Ancora una volta, il mutante è strumento di ingresso dello scandalo sul palco del mondo. La voce umana è il ripetitore meccanico di un programma concepito ai piani più bassi dell’evoluzione per far saltare l’ordine e, forse, un intero ecosistema. A essere proclamato è un disegno intelligentemente scellerato che si attua come contraccolpo del destino contro la linearità della storia. Dal basso viene l’inversione di ogni senso e scopo. Non è un caso che la dottrina propagandata sia proprio definita “inversionismo” e si affermi, con una dose di metamorfica inesorabilità, sul proprio opposto, sul credo di sempre, il “cronologismo”. Le logiche che governano il mercato sono rovesciate, come partorite da un istinto sensoriale di sopravvivenza nato tra tubi e fognature: per lavorare occorre pagare, così come si è pagati per fare shopping. Se in Garnett è una istintualità umana repressa a trovare sfogo nel corpo dell’animale, in McEwan è una pulsione insettoide a servirsi del sembiante umano per giocare un azzardo geopolitico, al ritmo parossistico di incontri, discorsi, sedute e votazioni. In entrambi i casi c’è una rivincita della natura, liberatoria o tragicamente beffarda, nei confronti di una specie che non pare sempre in grado di governarsi, tanto come individuo, quanto come collettività. Garnett rimane dietro quinta, spettatore incantato del proprio racconto.

McEwan esce dal confine della trama e parla, alla fine, con voce propria. L’accusa è puntata contro quell’assurdità autolesionistica che scorre sotto l’etichetta Brexit, “il più insulso, masochistico e inconcepibile proposito della storia di queste isole”. Un qualcosa di orrendo si è insinuato nei meandri vitali del Regno Unito, così ripugnante e detestabile quanto uno scarafaggio: si tratta di un parto infelice di una ideologia populista, ignara della sua stessa ignoranza, in grado di autoreplicarsi in ulteriori mostri tra farfugliamenti di sangue e suolo.
Tra Garnett e McEwan si apre la soglia di metamorfosi, dove il cambiamento riguarda non solo la forma del soma, ma anche, ultimamente, la forma stessa della vita, privata e pubblica. In un rimando tra l’implicito e l’esplicito, che congiunge Ovidio a Kafka e Kafka a Jonathan Swift, lo sguardo osserva le piccole astruserie e le ostinate insensatezze di chi si crede arbitro onnisciente e baluardo dei tempi.

“Frattanto, se la ragione non apre gli occhi e non si decide a riprendere il sopravvento, potremmo doverci affidare al conforto della risata”
(McEwan, 2020).

Letture
  • Giorgio Agamben, Nudità, Nottetempo, Roma, 2009.
  • Antonio Allegra, Metamorfosi. Enigmi filosofici del cambiamento, Mimesis, Milano, 2010.
  • Emanuele Coccia, Métamorphoses, Bibliothèque Rivages, Parigi, 2020.
  • Sarah Knights, Bloomsbury’s Outsider. A Life of David Garnett, Bloomsbury Publishing, Londra, 2015.
  • David Herbert Lawrence, La volpe, Marsilio, Venezia, 2017.