Jessica Fletcher,
o della conversazione

Jessica B. Fletcher
Interprete: Angela Lansbury

La signora in giallo
Ideazione: Peter S. Fischer,
Richard Levinson, William Link

1984 – 1996
(dodici stagioni + 4 film tv)

Jessica B. Fletcher
Interprete: Angela Lansbury

La signora in giallo
Ideazione: Peter S. Fischer,
Richard Levinson, William Link

1984 – 1996
(dodici stagioni + 4 film tv)


Sono tempi lontani dal furore delle contestazioni e delle lotte per l’emancipazione femminile: gli anni Ottanta. Un tempo maturo perché una donna occupi da protagonista lo spazio pubblico, anche se solo quello del piccolo schermo, e perché l’industria culturale insieme all’esperienza di consumo televisivo che ne emerge, s’apra a un immaginario altro sulla donna, senza fronzoli né chiacchiere da salotto, e lo coniughi alla pratica investigativa.
Nella casa vittoriana di Cabot Cove vive “la signora in giallo” la cui arguzia e il fine piglio da investigatore ci hanno fatto amare la provincia americana e il brivido, di una pur misurata eccitazione, che dà ogni caso di omicidio da risolvere. Jessica Fletcher (interpretata da Angela Lansbury) ne è la protagonista sui generis cui il pubblico giovane e meno giovane si è appassionato per tante stagioni (12 stagioni per 264 episodi): incarnazione di un modello femminile vincente sebbene legato a un personaggio di mezza età il cui fascino deriva dalle capacità investigative non comuni esibite con garbo e sempre accompagnate da un sorriso positivo. Jessica è un’insegnante d’inglese in pensione e vedova, esperta di criminologia, divenuta famosa come scrittrice di romanzi gialli e a cui capita, puntata per puntata, di risolvere un vero caso di omicidio. Una donna dal garbo e i modi d’altri tempi uniti a uno spirito autonomo e curioso che le consente di indagare oltre l’ovvio e il previsto del mondo, tutto al maschile, che la circonda.
Una serie di successo in tutto il mondo, un caso e un prodotto tutt’ora amato da un pubblico che continua a seguirla anche grazie alle piattaforme televisive digitali, e grazie alla penna di Donald Bain che ha trasferito in forma di romanzi, anche questi di successo, i casi e le intricate storie di Jessica Fletcher. Un personaggio di cui si riconoscono echi con Miss Marple di Agatha Christie e con Ellery Queen, ma che qui proviamo a osservare per farne emergere alcune interessanti peculiarità che qualcosa ricordano di Madame de La Fayette e del suo indipendente, al tempo eroico, coraggio del pensare, messo in parola con La principessa di Clèves (1678).

Ogni tempo ha i suoi costumi e la sua società, insieme agli eroi e alle gesta da raccontare. E allora per cambiare costumi sono necessarie le narrazioni, sembra dire Jessica Fletcher: con la sua aria retrò con cui si fa sorridente portatrice di valori nuovi, necessari a fare nuova la società e le sue donne. Sorridente: a indicare un’apertura e una grande disponibilità, capace di andare oltre l’evidenza dei fatti e fare da motore per penetrarne le loro più nascoste profondità. Il sorriso, come il suo sguardo, sono attenti ai particolari, ai dettagli, proprio di chi a partire da alcuni dettagli è abituato a costruire il tutto di una trama complessa: nella finzione dei suoi romanzi come nella realtà della vita rappresentata. Un sorriso che spesso si muta in risata: sorriso/risata che fa da sottotesto alla narrazione e chiude ogni puntata, come a voler ricordare allo spettatore la possibilità di prendersi gioco del gioco di finzione imbastito sullo schermo, e allo stesso tempo sussurrargli la necessità di scompigliare tutto per comporre un nuovo ordine a partire da quello che sembrava l’unico e solo possibile.

L’eccentrico e l’imprevedibile: le armi vincenti
Il sorriso/risata di Jessica Fletcher sullo schermo sembra suggerire che la trama del delitto non ha una struttura né un’organizzazione da far risalire a una teoria o a una scienza: ogni caso, infatti, chiede alla protagonista di allontanarsi dalla sua scrivania e di andare in discontinuità rispetto alla regolarità e alla linearità suggerita dalle pagine del romanzo giallo cui sta lavorando, per muoversi da esploratrice in mondi altri e a lei lontani o estranei, dai quali però tirar fuori lo straniamento necessario a intercettare altri segni e altri codici come indizi utili a ricostruire la dinamica del delitto, ricostruendo la mappa, sommersa e oscura, del territorio da cui emerge.
A questo proposito, viene in mente ciò che Michel Foucault (1966), in Le parole e le cose, dice a proposito del libro di Jorge Luis Borges, Manuale di zoologia fantastica (1957), e del riso che gli ha provocato la sua lettura. Foucault scrive: “Questo testo mi ha fatto ridere a lungo, non senza un certo malessere difficile da superare. Forse perché sulla sua scia spuntava il sospetto di un disordine peggiore che non l’incongruo e l’accostamento di ciò che non concorda; sarebbe il disordine che fa scintillare i frammenti di un gran numero d’ordini possibili nella dimensione, senza legge e geometria, dell’eteroclito” (Foucault, 2016).
Nel caso de La signora in giallo, il primo e più importante eteroclito della narrazione è proprio lei, la protagonista, un personaggio che, da come veste a come osserva si muove ragiona e parla, aiuta a svelare un’anatomia sociale criminale che segue altri ordini di classificazione, dove l’imperfezione, l’accidente e il caso, ricorrono frequentemente e generano irregolarità imprevedibili, talvolta estreme, il cui esito può essere anche un apparentemente inspiegabile gesto omicida.
Rispetto a queste irregolarità imprevedibili, Jessica Fletcher si pone in sintonia, aiutata dal ‘mezzo’ sorriso/risata che apre, agita e smuove fino al fondo la materia, il caso, di cui le capita di occuparsi. Un eteroclito simpatico, potremmo dire, parlando della nostra Jessica Fletcher. Un personaggio molto amato tutt’ora proprio per la sua eccentricità senza tempo che la rende testimonial di un uso consapevole e chirurgico del ragionamento e delle parole che l’accompagnano, perché quelle che usa Jessica Fletcher sono la sua tecnologia: lo strumento per indagare la realtà. Le parole, in quanto artificio, sono per Jessica un sottile speculum adatto, più di altri, a esplorare le cavità dell’essere umano.

Il personaggio e le vicende di Jessica Fletcher, protagonista della lunga serie televisiva statunitense Murder, She Wrote (per il pubblico italiano La signora in giallo) andata in onda dal 1984 al 1996, ideata da Peter Fischer e affidata all’interpretazione di Angela Lansbury, si muovono tra la sua professione di scrittrice di gialli e la sua natura investigativa. Finzione e realtà, dimensione del racconto e vita reale, si fondono in un tutto per Jessica Fletcher e diventano lo specifico o l’espediente narrativo della serie che strizza l’occhio a tutti quelli che, come lei, attraverso la scrittura, sono in grado di produrre un mondo di cui poter diventare protagonisti.
La scrittura per Jessica Fletcher è esercizio di analisi, di indagine del profondo e del crimine: la stessa che con perizia e acume non comune le consente nella realtà di riuscire a risolvere i casi, in nome della sua amata giustizia. Il ticchettio della macchina da scrivere, una Underwood (sostituita solo a un certo punto della serie da un personal computer), le fa da colonna sonora e scandisce un tempo, quello del racconto televisivo, che rompe con la tranquillità della provincia americana per muoversi secondo una procedura analitica che chiede di andare oltre il procedimento logico lineare, allenare lo spirito di osservazione e soprattutto di utilizzare l’arte oratoria per scavare in profondità nella psicologia degli interlocutori, tutto usato come metodologia per individuare e svelare la dinamica dell’omicidio e il suo colpevole.

Una lezione di modernità
In questo senso, il tempo del racconto e dell’intrecciarsi degli eventi nei quali si lascia seguire Jessica può essere inteso e consumato come quello di una lezione. Una lezione di modernità che passa attraverso la leggerezza, tanto cara a Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane. La leggerezza di chi non esibisce ruoli né saperi. Di chi non ha gerarchie, né ordini predefiniti a cui rispondere. Di chi rifiuta la violenza e usa con grande maestria e agilità la forza della parola, l’arte del conversare. Nulla di frivolo. Pure se civettuolo talvolta può apparire il personaggio della Fletcher con il suo eccentrico curiosare tra la gente d’ogni età e condizione sociale. Nulla di frivolo e tutto esibito con leggerezza randomica, casuale.
La leggerezza che consente di cambiare schema accusatorio, trama del delitto, appena qualcosa, pur inaspettato, si palesi a disorientare e mutare il verso dell’indagine. La leggerezza del suo abbigliamento usato per distinguersi ma anche per rendersi mimetica e comunque per adattarsi alla situazione e alle necessità del caso. Come la leggerezza del suo incedere talvolta goffo, come le espressioni in cui il suo volto si esibisce. Una lezione dunque, quella di Jessica Fletcher, che, con arguta leggerezza e puntata per puntata, conduce a individuare le “connessioni invisibili”, per dirla con Italo Calvino, attraverso cui risalire e individuare il colpevole.

Una lezione che somiglia a quella di Umberto Eco nella sua Generazione di messaggi estetici per una lingua edenica (apparso nel 1962 in Opera aperta) che ricorda cioè l’ambiguità e la possibilitàcombinatoria propria della parola e di ogni altra forma di linguaggio come del pensiero. Jessica Fletcher e la sua arte oratoria e affabulatrice incarnano, danno corpo cioè, a questa tecnica che muta col mutare del contesto in cui si applica. Esercizio e pratica dunque che fa della parola un’arma più efficace di quella che l’assassino utilizza per il suo gesto omicida. Pratica storicamente connessa al femminile e, in questo caso, a un personaggio, quello di Jessica Fletcher, che è ben lontano dalla chiacchiera fine a sé stessa, dall’effimero uso della conversazione fatto solo per riempire il vuoto della noia dei salotti bene.

La trame delle realzione tra vittima e colpevole
L’uso della parola che si fa arte quando diviene pratica dialogica e quindi incontro, scambio, interazione tra mondi non visibili e i loro manifesti segni, da cui se ne emerge con una sorta di scienza nuova: con le tessere ricomposte di una trama che svela legami e nessi tra vittima e colpevole. Arte della parola che riprende quella del tessere e sottende una sapienza artigiana che è insieme anche affabulatoria perché attraverso di essa, insieme all’osservazione e alla raccolta di altri dati, si possa accedere alle cose e alla verità dei fatti.
Lo specifico narrativo di Jessica Fletcher è che le sue parole, quando non sono scritte per i suoi romanzi, sono quelle che usa nelle conversazioni, utili a dipanare la matassa, a tirar fuori dal groviglio informazioni e dati utili a riorientare la traiettoria dell’indagine. Il pensiero, l’arguzia, l’abilità di Jessica Fletcher non bastano: c’è bisogno degli altri, e per questo le viene in soccorso la sua capacità di innescare rapporti ed entrare nelle vite degli altri, col solo uso della conversazione. La sua eleganza e pacata compostezza da simpatica e rispettabile donna in età, ci offre la civetteria della conversazione al femminile come espediente, per nulla civettuolo, al servizio dell’investigazione e quindi di una raffinata indagine psico-socio-antropologica da cui far emergere la trama del delitto in forma di Commedia umana.
Ecco dunque che un prodotto televisivo pensato per il grande pubblico, a partire dalla metà degli anni Ottanta del XX secolo, fa della sua protagonista femminile l’icona di una generazione di donne, non disposte a seguire le mode del momento, ma autrici loro stesse e interpreti di altri miti d’oggi.


Letture
  • Roland Barthes, Miti d’oggi, Einaudi, Torino, 2016.
  • Italo Calvino, Lezioni americane, Mondadori, Milano, 2016.
  • Umberto Eco, Opera aperta, Bompiani, Milano, 2000.
  • Michel Foucault, Le parole e le cose, BUR, Milano, 2016.
  • Madame de La Fayette, La principessa di Clèves, Mondadori, Milano, 2016.