La vita è sogno… al cinema,
parola di Steven Spielberg

Steven Spielberg
Io sogno per vivere
Conversazioni su cinema,
vita e sogni
A cura di Brent Notbohm

e Lester D. Friedman
Traduzione di Yasmine Viola
Wudz, Milano, 2024
pp. 397, € 24,00

Steven Spielberg
Io sogno per vivere
Conversazioni su cinema,
vita e sogni
A cura di Brent Notbohm

e Lester D. Friedman
Traduzione di Yasmine Viola
Wudz, Milano, 2024
pp. 397, € 24,00


Non tutti i registi, anche quelli grandi, hanno avuto la ventura di legare i propri film all’immaginario di un’epoca, o di una o più generazioni. Chi non ricorda il motivo musicale chiave, le cinque note con le quali gli alieni comunicano con gli esseri umani in Incontri ravvicinati del terzo tipo? E come dimenticare quell’autoarticolato che senza apparente motivo insegue/perseguita il tranquillo commesso viaggiatore in Duel? Per non parlare di Lo squalo, il film più difficile realizzato da Steven Spielberg insieme a Salvate il Soldato Ryan e Ready Player One. Lo ammette lo stesso regista in una delle interviste/conversazioni raccolte in Io sogno per vivere recentemente pubblicato dall’editore Wudz. E chi dimenticherà facilmente la ragazza col cappotto rosso in Schindler’s List? O i Tirannosauri e i Triceratopi in Jurassic Park, e la scena iniziale del succitato Salvate il soldato Ryan? E Tom Hanks che interpreta magistralmente Viktor Navorski in The Terminal e l’avvocato James B. Donovan ne Il ponte delle spie? Come ricorda Lester D. Friedman (curatore del volume assieme a Brent Notbohm) nell’introduzione,

“Scrivere su Spielberg è diventato molto in voga con una vasta gamma di studi anche eruditi. Spielberg non è più un tabù per gli studiosi di cinema che in precedenza non riuscivano a conciliare la sua popolarità di pubblico con una maturità tematica in evoluzione. È emerso come un soggetto degno di essere esplorato dagli studiosi, non solo come artista popolare ma anche come regista estremamente abile che non teme di affrontare questioni significative e talvolta controverse”.

Basta dare un occhio alla vasta bibliografia fiorita intorno alla sua opera (cfr. tra gli altri, Gordon, 2014; Lasagna, 2019; Minuz; Morris, 2007; Kendrick, 2014; Kowalski, 2011; Schickel, 2012; Toro, 2024). D’altronde, Spielberg è considerato il più famoso regista del XX secolo. Un fabbricante di immaginario di massa così come in letteratura Stephen King. Nessun cineasta ha lavorato di più alla costruzione del mito cinematografico degli alieni, passando da una visione positiva-ottimistica degli extraterrestri (Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E.T.) a una lettura ben più inquietante per non dire catastrofica, con La guerra dei mondi (2005) ispirato all’omonimo romanzo di H.G. Wells (1898). D’altronde, come racconta lo stesso Spielberg:

“Sono cresciuto con i film di fantascienza degli anni Cinquanta e Sessanta, in cui i dischi volanti attaccano la terra e la gente deve resistere agli alieni con le proprie forze. Così ho pensato: prima di andare in pensione dovrei dirigere un’invasione dallo spazio che sia davvero cattiva”.

Ma sono i pacifici visitatori degli Incontri ravvicinati e l’alieno di E.T. a rimanere nell’immaginario collettivo. Forse anche per le atmosfere di quei film che rimandano all’alone misterioso/favolistico che permea o circonfonde buona parte della produzione filmica spielberghiana, almeno quella più iconica.

“Non credereste mai a quante persone si avvicinano a me per strada e ripetono quasi alla lettera quello che i marziani dicono a Woody Allen in Stardust Memories: «Sai, a noi piacciono i tuoi film precedenti, quelli più spassosi»”.

È la risposta di Spielberg a una domanda su La guerra dei mondi e Munich, due film “piuttosto cupi” del regista nato a Cincinnati nel 1946. Le interviste raccolte nel libro accompagnano il lettore attraverso la biografia di Steven Spielberg e la sua attività di regista e produttore. Dal fulminante esordio con Duel (1971) a Il ponte delle spie (2005). Una filmografia molto varia, che si può classificare in quattro filoni: film di fantascienza/futuristici (A.I, Minority Report, La guerra dei mondi, e Ready Player One), film di guerra (War Horse, Lincoln e in parte Il ponte delle spie), film a sfondo sociale (The Terminal, Munich e The Post), e commedie di azioni e avventura come Prova a prendermi, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, e Le avventure di Tintin.
Film imperdibili come Lo squalo, Incontri ravvicinati del terzo tipo, I predatori dell’arca perduta, E.T., Jurassic park, Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan, non solo hanno fatto grandi numeri ai botteghini, ma hanno anche contribuito a definire uno Zeitgeist che travalica i confini del cinema. Con Schindler’s List Spielberg vince nel 1993 l’Oscar per la miglior regia e il miglior film. Nel 1998 Spielberg riottiene la statuetta per la miglior regia con Salvate il soldato Ryan. E nel 2011 la conquista (miglior film) con War Horse. Della personalità e la visione della settima arte, raccontano bene la lavorazione e le scelte narrative de Lo squalo (Jaws, 1975). Terzo film di Steven Spielberg, dopo l’esordio di Duel e The Sugarland Express (1974), Lo squalo è tratto dal romanzo di Peter Benchley, scrittore che collaborò con il regista anche nella sceneggiatura. Lo stesso Spielberg spiega, soprattutto nella prima intervista, le grandi differenze tra il film e il libro. Il regista dovette cambiare parecchie cose, togliendo anche parti che riteneva inessenziali, come la relazione tra il biologo marino Hooper e la moglie del capo della polizia Brody.

“In realtà, ciò che mi ha veramente attratto dello squalo è stato il romanzo: le ultime 120 pagine, quando si va a caccia, una caccia in mare al grande squalo bianco, e tutto il dramma che viene dopo. Il dramma infinito tra queste tre persone che sono l’una contro l’altra, e che alla fine uniscono le forze per combattere lo squalo. […] ho odiato le prime due parti, le prime duecento e passa pagine del romanzo, e ho detto a Zanuck (Richard Zanuck, uno dei produttori, ndr) che mi sarei offerto volontario per fare il film. Ho detto che mi sarebbe piaciuto fare il film se avessi potuto cambiare le prime due parti e basarle su materiale di sceneggiatura originale per poi essere fedele al libro per l’ultima parte”.

Sebbene sia una delle prime pellicole di Spielberg e non la più matura sul piano dell’estetica filmica (come lui stesso ammette in un’intervista qui raccolta), Lo squalo è una prova straordinaria per il sovra-discorso simbolico e politico cui rimanda continuamente. E non solo nella seconda parte che tanto piacque a Spielberg. E cioè la caccia alla mostruosa creatura marina, una caccia che ricorda schiettamente Moby Dick. Ma qui Lo squalo, oltre a rivelarsi imprendibile, diventa lui stesso cacciatore. Nell’inseguimento dello squalo bianco, che aveva seminato morte nei giorni precedenti sulle spiagge di Amity, l’azione si focalizza sui tre personaggi chiave: il rude Quint (interpretato da Robert Shaw), esperto pescatore d’alto bordo, proprietario e padre-padrone della barca a motore sulla quale inseguiranno il mostruoso squalo bianco; il capo della Polizia Brody (Roy Scheider) e il biologo marino Hooper interpretato da Richard Dreyfuss, un attore particolarmente amato da Spielberg (“È l’attore più vicino a Spencer Tracy che esista oggi. Penso anche che rappresenti il perdente che c’è in noi” si legge in Incontro ravvicinato con Steven Spielberg, 1978). Gli attriti tra Hooper e Quint non sono solo riflesso simbolico di un conflitto di classe (Hooper è un giovane scienziato di famiglia ricca, Quint potrebbe rappresentare il ceto più popolare), ma un contrasto quasi inconciliabile tra la razionalità scientifica e tecnologica (Hooper) e l’ostinazione quasi monomaniacale di chi (Quint), forte della propria esperienza, non vuole accettare i limiti di fronte alla crudele potenza della natura.

Come ammette Spielberg, in una delle interviste, però, anche Hooper sbaglia: verso la fine, Quint deve arrendersi e passare la palla al biologo che si era portato dietro (tra gli sfottò di Quint) attrezzatura, bombole, siringhe, liquidi compresi. Calano la gabbia metallica in mare: con dentro Hooper che cercherà di sparare un potente sedativo (o veleno?) contro quel bestione lungo almeno dieci metri. Il tentativo andrà a vuoto: l’enorme pescecane (di fronte al quale la protezione metallica di Hooper sembra una gabbietta per canarini) sfascerà tutto. Hooper si salva per un pelo. Lo squalo prosegue la sua opera di distruzione della barca, divorandosi pure Quint. La fine è nota. Brody si arrampica in cima all’albero che si piega sempre più orizzontalmente alla superficie del mare, dopo alcuni tentativi andati a vuoto, centrerà con un colpo di fucile una bombola dell’ossigeno che lo squalo teneva fra le mascelle sporgendo dall’enorme forno boccale. A vincere non è quindi né la scienza né la determinazione ostinata e arrogante dell’esperienza e della bravura, ma la fortuna aiutata da un’intuizione più disperata e causale che geniale, quella di Brody di lanciare tra le fauci dello Squalo la salvifica bombola. Dice Spielberg:

“Fondamentalmente, si tratta di dare una lezione a Hooper, perché Quint ha ragione. Hooper si sbagliava. Il più grande prodotto della tecnologia umana non è riuscito a uccidere lo squalo. A uccidere lo squalo sono state l’astuzia e l’intraprendenza del meno qualificato di quei tre”.

Alla domanda “Consideri Sugarland un film politico” Spielberg risponde: “Sì, molto politico. È, prima di tutto, una terribile accusa ai media. Si era creato un circo ambulante intorno al quel caso” (in Al mare con Steven Spielberg, 2024). The Sugarland Express precede di un anno Lo squalo che, seppure in modo assai meno esplicito, è anch’esso un film politico. Nel senso che la scoperta del primo cadavere – anzi, dei miseri e pochi resti della prima vittima della furia dello squalo – innesca un dibattito prima tra il capo della polizia (Martin Brody) e il Sindaco di Amity, Larry Vaughn e poi con una parte della comunità, quella rappresentata dai proprietari e gestori di alberghi e stabilimenti balneari, terrorizzati dall’idea di perdere turisti.
Avviene uno scambio di battute eloquente:

Brody: «Dobbiamo chiuder le spiagge: laggiù gira uno squalo bianco con una bocca grossa così che ha scelto la nostra isola come trattoria».
Il sindaco di Amity: «Senti, capisco, ma ragiona: noi viviamo di turismo, se chiudiamo le spiagge moriamo. Ti rendi conto? Voglio dire, andiamoci piano: se dici ‘barracuda’ la gente si volta e fa «beh?». Se dici ‘squalo’ è il deserto».
Brody: «E allora cosa dovremmo fare? Far finta di niente e lasciare che tutti sguazzino tranquilli nell’acqua come se là sotto ci fossero solo Meduse?»”.

Se non è un dialogo politico questo… Ma tornando al lato metaforico-simbolico, lo stesso Spielberg avverte una certa somiglianza tra Duel e Lo squalo

“Ecco perché alcune parti di Duel mi piacciono molto di più di quelle dello Squalo, perché Duel era più audace. Era un evento molto innaturale, mentre lo Squalo è naturale come l’evoluzione dell’umanità. Duel è stata una sfida molto più ardua, perché cercare di creare quel tipo di paura a partire da un camion è molto più difficile rispetto a lavorare sulla paura consolidata di un pesce mangiauomini sott’acqua. Ma Duel aveva una serie di regole completamente nuove”.

Nell’occasione fu complice un grande scrittore come Richard Matheson, un incontro straordinario che diede il via alla carriera di un fabbricante di sogni insuperabile.

Letture
  • Andrew Gordon, Empire of Dreams, Roman and Littlefield, Lanham, USA, 2008.
  • James Kendrick, Darkness in the Bliss Out: A Reconsideration of the Films of Steven Spielberg, Bloomsbury Publishing, Londra, UK, 2014.
  • Dean Kowalski, Steven Spielberg and Philosophy, The University Press of Kentucky, USA, 2011.
  • Roberto Lasagna, Steven Spielberg, tutto il grande cinema, Weird Book, Roma, 2022.
  • Andrea Minuz, Steven Spielberg, Marsilio, Venezia, 2019.
  • Nigel Morris, The cinema of Steven Spielberg: Empire of Light, Columbia University Press, USA, 2007.
  • Richard Schickel, Steven Spielberg: A Retrospective, Sterling, New York, USA, 2012.
  • Giovanni Toro, Steven Spielberg, mondi e visione del re dei blockbuster, Edizioni NPE, Salerno, 2024.
Visioni
  • Steven Spielberg, Munich, Universal Pictures, 2006 (home video).
  • Steven Spielberg, Salvate il soldato Ryan, Paramount, 2010 (home video).
  • Steven Spielberg, Jurassic Park, Universal Pictures, 2013 (home video).
  • Steven Spielberg, The Terminal, Universal Pictures, 2014 (home video).
  • Steven Spielberg, Duel, Universal Pictures, 2015 (home video).
  • Steven Spielberg, The Sugarland Express, Universal Pictures, 2015 (home video).
  • Steven Spielberg, Il ponte delle spie, Fox, 2016 (home video).
  • Steven Spielberg, Ready Player One, Warner Bros., 2018 (home video).
  • Steven Spielberg, Lo squalo, Universal Pictures, 2021 (home video).
  • Steven Spielberg, La guerra dei mondi, Paramount, 2021 (home video).
  • Steven Spielberg, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Eagle Pictures, 2022 (home video).
  • Steven Spielberg, Schindler’s List, Universal Pictures, 2023 (home video).
  • Steven Spielberg, E.T. L’extraterrestre Universal Pictures, 2023 (home video).