Grande Mater
e ferita originaria


La donna è da sempre considerata come una forma di vita vicina alla natura nella quale sopravvive una organicità con quest’ultima che la rende ancorata a una dimensione ancestrale primitiva. La capacità di donare la vita, di accoglierla dentro di sé e di regalarla al mondo ne amplifica la caratteristica di motore perpetuo dell’esistenza. Pier Paolo Pasolini esaltava la figura femminile prendendo come epifenomeno della stessa quella di sua madre. Ne evidenziava con afflato le qualità e descriveva il suo rapporto con lei usando parole dolci ma allo stesso tempo pregne di stima e orgoglio:

“Mi raccontava storie, favole, me le leggeva. Mia madre era come Socrate per me. Aveva e ha una visione del mondo certamente idealistica e idealizzata. Lei crede veramente nell’eroismo, nella carità, nella pietà, nella generosità. Io ho assorbito tutto questo in maniera quasi patologica” (Maraini, 1971).

Forse il troppo amore per quella donna lo portò a una beatificazione del sesso femminile. Per lui la madre funge, come direbbe Gilbert Durand, da Grande Madre, nel suo essere luogo della nascita, liquido amniotico che assicura vita, abisso che protegge come simbolo dell’intimità rigeneratrice. Ma Grande Madre anche intesa nel suo senso ctonio, terra fertile che fecondata dona frutto, cibo e permette di vivere. Nel riferimento filosofico di materia prima, nel duplice simbolismo acquatico e tellurico della stessa Grande Madre, l’amore per la vita agricola e rurale e il sentimento intenso del regista per la madre mater si conciliano con le parole di Durand:

“Le acque si troverebbero «all’inizio ed alla fine degli avvenimenti cosmici» mentre la terra sarebbe «all’origine ed alla fine di ogni vita». Le acque precedono ogni creazione ed ogni forma, la terra produce forme viventi. Le acque sarebbero dunque le madri del mondo, mentre la terra sarebbe la madre dei viventi e degli uomini” (Durand, 1972).

Un misticismo materno e un mortale e corporeo amore per la terra.  Louis Aragon affermò che “la donna è il futuro dell’uomo” (Aragon, 1963). È indubbio che si possa definire quello in atto nella società un processo di femminilizzazione. Michel Maffesoli illustra bene le caratteristiche di questo evento. La cultura è da sempre considerata come un elemento maschile, capace di incidere sull’ambiente e sulla natura che invece veniva letta come un ente passivo. Oggi assistiamo a una naturalizzazione della cultura che si evince nell’esaltazione dei valori considerati irrazionali come la religione, l’istinto, l’erotismo, la parte animale e orgiastica dell’umano, la parte del diavolo, come la definisce Michel Maffesoli (2005) richiamando alla mente la parte maledetta che già aveva individuato e analizzato nei suoi scritti Georges Bataille (2003). Tale femminilizzazione della società è visibile anche nelle forme più banali del vissuto quotidiano. Vi sono infatti comportamenti, valori e modi di vita che da sempre considerati come femminili sono oggi presenti anche negli uomini: cura del corpo, attenzione ai propri sentimenti, emotività, predisposizione al ruolo di genitore e alle attività domestiche. Il sociologo Giampaolo Fabris si spinse fino ad affermare che l’androginia pare rappresentare lo scenario per il prossimo futuro della nostra cultura (cfr. Fabris, 2003). In tale visione si concepisce l’esistenza come un moto che tende a riconciliare gli opposti, e non a caso l’androgino veniva considerato già nell’antica Grecia l’essere perfetto seppur immaginifico e inteso come archetipo.

Il corpo delle donne e la biopolitica
Il nostro tempo è incardinato su un’affascinante compresenza di elementi ultramoderni e arcaici. Vi è un continuo mescolarsi di visioni futuristiche con dei ritorni a delle sensibilità tradizionali. La Francia rappresenta un caso emblematico a riguardo. Le riflessioni di Michel Maffesoli sul tempo di Dioniso (cfr. Maffesoli, 1990), ispirato dai superbi testi di Durand sull’immaginario collettivo e i suoi miti fondativi, confermano tale analisi. Da tale prospettiva è possibile in maniera chiara comprendere fenomeni come il contrasto di immaginari incarnati dal gruppo delle Antigones, giovani donne riunitesi in nome dell’eroina greca, e dalle Femen, le donne ribelli a seno nudo che irrompono sempre più spesso durante manifestazioni pubbliche per portare avanti alcune specifiche lotte civili. Come la soofoclea Antigone in nome degli affetti familiari sfida l’autorità statale che gli vuole impedire la sepoltura del fratello, cosi le Antigones si ergono a paladine della famiglia contro le retoriche pseudo-femministe delle Femen, scagliandosi contro il matrimonio gay e esaltando i valori della religione. Accusano il femminismo di aver esasperato l’individualismo e aver reso la donna un oggetto consumistico, eterogenesi dei fini. Il loro ideale è quello della madre e della grazia che essa incarna. Il corpo delle Antigones è avvolto in un abito bianco ispirato alla tragedia di Sofocle, simbolo della purezza. Nelle “rivali” Femen, le ribelli dell’est, d’altro lato, l’armonia del corpo femminile si unisce invece alla dissonanza dell’hooligan da piazza, il muto richiamo dei sensi ai sensi viene schiacciato dalle urla e dagli slogan di donne incattivite dal disagio sociale.

Il corpo è il luogo che subisce il potere, lo interpreta, il teatro che mette in scena il nostro soffrire, fisico, così come lo schermo che tradisce anche la nostra malinconia, interiore. Ma costituisce anche il luogo che si ribella istintivamente, poiché si eccita e gode sfuggendo alle costrizioni. Esso è capace di sottrarsi alle convenzioni perché è su di esso spalmato come un invisibile unguento il desiderio latente, che si manifesta incontrollabile quando un contatto lo accende.
Non pare un azzardo affermare che in un’epoca caratterizzata dalla femminilisation, ossia da un crescente ruolo delle donne come motore del mutamento (in senso progressista ma anche nel senso contrario di un ritorno a delle idee tradizionali), per poter meglio interpretare la nostra società è sulle nostre donne che bisogna porre lo sguardo. Nel caso delle Femen e delle Antigones è chiaro che, ancor meglio, è il corpo delle donne il fulcro del discorso pubblico. Ne risulta quindi un chiaro uso biopolitico del corpo femminile.

Il tempo della donna alfa
I media raccontano la donna di oggi sottolineandone la capacità di reinventarsi continuamente. L’essere moglie e madre non la intrappola in un ruolo convenzionale come accadeva in passato. I media esaltano questo tramite l’esaltazione della femminilità nella donna matura, le campagne pubblicitarie con modelle non più giovanissime e con qualche chilo in più, il tutto va a amplificare il fenomeno MILF (Mother I’d Like to Fuck), come volgarmente vengono indicate le donne non più giovanissime ma ancora capaci di sedurre e di ammaliare anche un ragazzo molto più giovane. Vi sono però delle contraddizioni in questa espressione di libertà e nella volontà delle donne di oggi di evidenziare il pieno controllo sul tempo che passa. Oltre alle apparenze e alle celebrazioni mediatiche di una donna capace di conquistare sé stessa, in termini estetici e professionali, fatta coincidere con la maturità dei quarant’anni, vi sono dei segnali che svelano l’incapacità presente in molte donne di essere solo madri, aspetto che della femminilità è forse il fulcro, o di impegnarsi seriamente in una relazione. Questo che era tipico dell’uomo Peter Pan, sembra oggi essere una caratteristica anche di molte donne.
Non è facile stabilire quale sia la vera donna vincente oggi, se colei che occupa i media per le sue conquiste nell’ambito dei settori della quotidianità una volta teatro dell’affermazione maschile, andando quindi contro i luoghi comuni  e riuscendo a costruirsi un’eterna adolescenza, o colei che lontana dalle statistiche e dagli articoli sulle donne “alfa” (declinazione femminile del maschio alfa) si percepisce come donna moderna seppur godendo e conservando forme più tradizionali dell’essere donna, madre, femmina.
 Nel racconto mediatico, questa donna alfa è spesso incarnata da una donna dello spettacolo, da una imprenditrice o da una politica, ossia da  una tipologia di donna che ha la possibilità di conciliare sogni di gloria e durezza della vita quotidiana. Tale dissonanza mette a disagio quelle donne che non riescono a gestire queste dimensioni con altrettanta facilità.
Tali donne alfa tanto esaltate dai media può darsi si rivelino alla fine una oligarchia immaginifica, che tiene sotto scacco le donne comuni che nel desiderio di emularle, e impossibilitate nel farlo, finiscono per non essere né pienamente madri né pienamente donne realizzate professionalmente
. Una delle donne alfa per eccellenza Angelina Jolie, simbolo delle quarantenni di fascino e di potere, delle donne sicure del proprio ruolo, ha effettuato degli interventi preventivi (seppur giustificati da una probabilità genetica molto alta) per tutelarsi da futuri tumori. Tali modus operandi rivelano tracce di una donna forte e pienamente padrona del proprio destino o sono invece spie di un’incapacità di accettare l’insostenibile che fa parte della vita? Non è forse un sacrificio preventivo della propria femminilità in nome del mito dell’eternità e dell’asettico esistere?

La donna ne I Sopranos: sacrificio e rifugi
La nostra fenomenologia delle donne di oggi non può che declinarsi come una analisi della rappresentazione mediatica delle stesse. Il luogo dove si crea il nuovo immaginario sociale è quello dei media ma un ruolo determinante lo hanno le serie televisive, vero habitat naturale dove si inscenano le forme cristallizate del presente.
Una delle serie televisive di maggior successo degli ultimi anni è quella de I Sopranos che a dispetto delle tematiche predominanti e tipicamente maschili, mafia e malaffare, possono esserci molto utili nel ragionare su come la donna venga incardinata nella realtà quotidiana. Il rapporto del boss Tony Soprano con le donne si snoda, all’interno della serie I Sopranos, nei percorsi incrociati fra la moglie Carmela e la psicanalista Jennifer Melfi, la madre e le amanti. Con ognuna di loro Tony sembra non riuscire a essere pienamente sé stesso, conseguenza forse della frattura originaria fra essere e dover essere, che lo rende ambiguo in ogni aspetto della propria esistenza. La moglie è l’angelo del focolare, archetipo della mamma-moglie italiana, che tutto fa e nulla domanda, matriarcale nella gestione del domus, disinteressata a tutto ciò che riguarda affari e mondo esterno (cfr. La Rocca, Malagamba, Susca, 2010).
 Uno dei momenti più interessanti della serie è stato il temporaneo allontanamento di Carmela da Tony, punito per i suoi continui tradimenti, che la porterà fra le braccia di un professore del figlio Anthony, ricreando l’antico conflitto natura/cultura, istinto/razionalità, forza/intelligenza. I due archetipi incarnati da Tony e dal Professore, mettono Carmela dinanzi una scelta esistenziale. Accorgendosi di essere stata plagiata dal professore con promesse e romanticismi degni di romanzo feuilleton, capirà l’immoralità insita anche nell’apparente verità della cultura e del sapere. Allo stesso modo è ambiguo il rapporto fra Tony e la sua psicanalista, il vero nodo del serial.

Tony è in cura presso la psicanalista, Jennifer Melfi, per guarire dalle sue crisi e dai suoi attacchi di panico. Il rapporto fiduciario è minato dall’amore che progressivamente Tony si accorge di provare per la donna, sentimento che è mentale ma soprattutto fisico, quasi fosse un tentativo immaginario di piegare il raziocinio di lei agli istinti primordiali che fin dalla sua struttura fisica, Tony trasfigura. La psicologa in modo speculare al Boss si troverà, a dover scegliere tra l’istinto e la ragione. In seguito allo stupro subìto all’uscita del suo studio, constatata l’inefficienza e l’inutilità delle istituzioni nel difenderla inizialmente e nel punire il colpevole, sarà tentata a farsi vendetta tramite il suo corteggiatore/paziente Tony. Tale richiesta di aiuto, si sublimerà solo in un sogno, dove Tony rappresentato come un cane di grossa taglia punirà lo stupratore sbranandolo. Jennifer resisterà alla tentazione reale di giustizia privata, salvata dalle sue convinzioni, seppur temporaneamente traballanti.
In entrambi i casi le donne si ritrovano ad accordarsi a un ruolo antropologicamente convenzionale. Poco importa ci siano delle differenze culturali e lavorative. Entrambe “rimangono” o “ritornano” al loro posto. L’una, la moglie, nonostante la momentanea ribellione ai tradimenti continui del marito, sacrifica la possibilità di una vita diversa perché è cosciente di quanto Tony abbia bisogno di lei: la forza brutale del marito trova in lei compensazione e ragione vitale. Il compito della moglie di Tony è dare equilibrio al suo uomo. L’altra, la psicanalista, riesce a ingabbiare l’istinto e a uniformarsi a ciò che la società le chiede, il rispetto del matrimonio e il rispetto della legge e delle regole condivise del vivere civile.

Uterodicea e ferita originaria
In un altro episodio de I Sopranos, gli psicofarmaci che è costretto ad assumere, procurano al boss l’allucinazione protratta di una donna (Maria Grazia Cucinotta) che gli racconta di essersi trasferita per qualche giorno nella casa confinante quella di Tony. Il Boss la invita a cena, e ascolta sognante i racconti sulle bellezze della lontana terra campana d’origine, Avellino, da cui lei dice di provenire.
Il ruolo di tale donna è quello di una Penelope moderna che narra dell’Itaca all’eroe triste Tony, che in un trionfo dell’elemento ctonio, prende coscienza del profondo e inconscio divario nato in lui fra radici spirituali e radici familiari, enfatizzando le prime a discapito delle ultime (Mater Terra vs Mater Familae). Qui la donna assurge al ruolo di casa, di rifugio, di radice.
Come bene illustra Peter Sloterdijk nelle sue riflessioni tutta la storia della tecnica e della cultura si può considerare un’uterodicea (cfr. Lucci, 2010), ossia un tentativo di ricreare artificialmente il perduto stadio uterino originario. La donna è l’origine del mondo nel suo essere fonte di vita così come rappresentato dal geniale dipinto di Courbet, ma essa nella complessità che rappresenta e nella tragedia che innesca, ossia l’impossibilità di riaccogliere l’uomo estromesso dal liquido amniotico, incarna altresì la ferita originaria, alludendo al taglio dei dipinti di Lucio Fontana, zona liminoide immaginaria dalla quale tutto passa e per la quale tutto inesorabilmente muta, costringendo l’essere umano a interpretare l’insensatezza di una entità gettata nello spettacolo del mondo.


Letture
  • Louis Aragon, Le fou d’Elsa, Gallimard, Parigi, 1963.
  • Georges Bataille, La parte maledetta preceduto da La nozione di dépense, Bollati Boringhieri, Torino, 2003.
  • Gilbert Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario, Dedalo, Bari, 1972
  • Giampaolo Fabris, Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco Angeli, Roma, 2003.
  • Fabio la Rocca, Andrea Malagamba, Vincenzo Susca (a cura di), Gli Eroi del quotidiano. Figure della serialità televisiva, Bevivino Editore, Milano/Roma, 2010.
  • Antonio Lucci, Peter Sloterdijk, La decostruzione mediologica della filosofia del linguaggio, Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia, Vol. 1, n. 1-2, Mimesis Milano, 2010.
  • Michel Maffesoli, L’ombra di Dioniso, Garzanti, Milano, 1990.
  • Michel Maffesoli, Note sulla postmodernità, Lupetti, Milano, 2005.
  • Dacia Maraini, Intervista a Pier Paolo Pasolini, Vogue Italia, maggio 1971, Condé Nast, Milano.