Differenza, raccontarla
nell’era digitale

La differenza tra rifugiato politico
e migrante economico,
il tema della nostalgia
e l’appartenenza,
la sicurezza
e la valorizzazione
della differenza, sono aspetti
che caratterizzano
il dibattito pubblico
europeo e non solo.

La differenza tra rifugiato politico
e migrante economico,
il tema della nostalgia
e l’appartenenza,
la sicurezza
e la valorizzazione
della differenza, sono aspetti
che caratterizzano
il dibattito pubblico
europeo e non solo.


Nella società complessa ed interconnessa, l’interrogativo da porsi è se i nuovi media servano solo a velocizzare e rinnovare culture, incontri e comportamenti umani già presenti e cosi complessi nell’ambiente offline, o se possano presentarsi come spazi informativi, di confronto e di approfondimento/apprendimento interculturale, o meglio ancora come luoghi di dialogo e di negoziazione con il “diverso”.
Lo sviluppo pervasivo dei media condiziona il nostro contatto con l’Altro e avvicina la nostra esperienza quotidiana al mondo globale, inteso come uno spazio mediato, nuovo, definito dalle relazioni stesse, dove si costruiscono le trame della nostra civiltà. È dunque centrale il ruolo dei mezzi di comunicazione nella costituzione di uno spazio civico, sociale e morale. Al punto che per Roger Silverstone, i media si stanno sempre più definendo come “media ambientali”, “indissolubilmente e dialetticamente legati alla quotidianità” (Silverstone, 2009). A tal proposito il sociologo suggerisce anche di riconoscere la rilevanza di una nuova condizione: quella del “pluralismo mediatico” e la nascita di “culture polifoniche” all’interno della Mediapolis.
L’incontro inter-culturale nella vita online ed offline, in mancanza di educazione e competenze interculturali e mediali, può alimentare però pregiudizi, etnocentrismi, “spersonalizzazioni” del cittadino straniero; c’è un serio rischio che si verifichino veri e propri conflitti sociali tra popoli, che finiscano per acuire le distanze e le possibilità di dialogo (cfr. Giaccardi, 2012).

L’informazione da luogo di scambio e di comunicazione, che consente l’incontro tra diversi, che allarga le reti relazionali e favorisce nuove forma di reciprocità, rischia di perdere la capacità di attribuire senso, di costruire identità, di formare l’opinione pubblica, proprio perché non riesce più a collegare, a mettere in comune, a creare condivisione (cfr. Sorrentino, 2004). Oggi più che mai, l’informazione ha il compito di promuovere le relazioni interculturali che coinvolgono diverse visioni del mondo, spesso opposte tra loro, ma che incoraggiano atteggiamenti di empatia e sensibilità, coinvolgono processi di adattamento e apprendimento, azione e collaborazione e si prefiggono di trovare una soluzione integrata (cfr. Garcea, 1996).
Il giornalismo interculturale, ad esempio, si pone su questa strada e punta a favorire un processo di adattamento culturale fra persone di differente cultura e cioè:

“Un complesso di attività cognitive e comportamentali che influenzano sia la nostra esistenza nella cultura in cui siamo nati, sia occasioni di contatto con altre culture (…). L’adattamento interculturale rappresenta un’acquisizione intellettuale che si completa nel momento in cui registriamo nella nostra mente l’esistenza di mondi diversi dal nostro, e li rispettiamo per mezzo del nostro comportamento”
(Garcea, 1996).

Adattarsi non significa rinunciare ai propri valori e sottomettersi a quelli degli altri, ma riguarda il tentativo di integrazione, di apertura all’Altro, difendendo la propria specificità culturale.
Il giornalismo e lo spazio mediatico tutto, deve quindi essere in grado di sostenere, comunicare ed ospitare questo tentativo di apertura alla diversità, raccontando responsabilmente una società pluralistica attraverso strumenti come lo studio e la formazione, consapevolezza degli stereotipi e dei pregiudizi, apertura alla novità e conoscenza dei meccanismi della comunicazione interpersonale e di massa (cfr. Corte, 2016).
La posizione interculturale non è di accettazione acritica della diversità. A questo proposito, Angelo Portera evidenzia la necessità di iniziare un comune percorso, non tanto improntato all’accettazione e al rispetto di stampo universalistico, bensì sulla possibilità di individuare i reali punti di differenza e di conflitto, imparando a gestire quest’ultimi in maniera non violenta (cfr. Portera 1999). Inoltre il racconto interculturale non dovrebbe limitarsi a registrare la presenza di persone di differente cultura, ma compiere un passo in avanti assumendo un atteggiamento di rispetto, evitando forme di criminalizzazione del diverso: si tratta quindi di riservare uno spazio alle varie “culture”.
L’arena dei media globali, è frammentata, dispotica, iniqua, contestata, ciò nonostante “è il luogo dove qualsiasi struttura che possa essere realizzata per supportare la cultura della globalizzazione, dovrà necessariamente essere formata, e dove si genererà un’infrastruttura etica e morale per la società civile del futuro” (Stevenson, 1999).
La società contemporanea è ancora caratterizzata da confini generatori di conflitto e da una realtà frammentata che ancora ammette ambivalenze, interne ed esterne, ma che allo stesso tempo le rifiuta; l’ammissione della diversità e la capacità di formulare distinzioni sono gli elementi costitutivi di una solida etica globale dei mezzi di comunicazione.

Lo sviluppo degli ethnic media
I media stessi sono parte e frammento di tale realtà, cosi come quest’ultima, è parte e frammento dei media; la Mediapolis riflette e insieme genera lo spazio multiculturale, le “voci” di tali culture differenti, si articolano cosi nei mezzi di comunicazione costruendo una “polifonia” (Silverstone, 2009). La polifonia evidenziata da Silverstone non ha senso se le voci che la compongono non vengono ascoltate e comprese. Per questo gli ethnic media (media etnici o multiculturali) avranno un ruolo maggiore nella sfera pubblica mediate (cfr. Husband 2000). Attualmente gli ethnic media sono oltre 100 in Italia, tra radio, giornali e tv.
Il mercato dei media etnici è in continua crescita ed oltre a svolgere un servizio di interesse pubblico fondamentale per le comunità, questi mezzi d’informazione rappresentano un luogo di discussione e scambio tra i migranti, promovendo il pluralismo culturale e informative (cfr. Baraldi, 2003). A partire dal 2006, in Italia, è la stampa (principalmente online) a trainare maggiormente il mercato, con oltre 30 testate segnalate, sono interessate quasi tutte le etnie presenti nel territorio italiano. Le pubblicazioni hanno una diffusione media che varia tra le 10mila e le 20mila copie, alle 5mila per le minoranze etniche. I giornali si occupano principalmente di notizie di cronaca, ma anche approfondimenti su regole, diritti e normative sull’immigrazione, cultura.

Il gruppo editoriale “Stranieri in Italia”, ad esempio, raggiunge ogni mese 600 mila lettori attraverso tredici testate in lingua dedicate agli immigrati, il portale dell’immigrazione www.stranieriinitalia.it e numerosi vademecum legali. Tra le testate etniche a maggiore diffusione sul territorio italiano vi è Gazeta Romanesca (rumeno, 20mila copie), Forum (russo ucraino, 20mila copie) e Nur (in arabo, con circa 20mila copie); altre riviste online come Africa News, African Trumpet International e Bota Shqiptare (albanese, vincitore del Premio Mostafa Souhir 2005).
Considerando il processo migratorio, questo ha accompagnato la storia del genere umano ed è stato sempre caratterizzato da spostamenti di individui, gruppi e culture, innescati da mutamenti di tipo politico-economico, religioso-ambientale. La differenza tra rifugiato politico e migrante economico, il tema della nostalgia e l’appartenenza, la sicurezza e la valorizzazione della differenza, sono aspetti che caratterizzano il dibattito pubblico europeo e non solo. Le conseguenze del fenomeno dell’immigrazione vanno però ben oltre l’agenda politica, in quanto influenza la natura e il carattere di una cultura nazionale, mettendo seriamente in discussione confini e identità. Le politiche di risposta al fenomeno migratorio sono solitamente accompagnate da problemi la cui eziologia varia e vengono affrontati in maniera spesso differente, come già dimostrarono i tragici episodi nelle banlieus parigine del 2005 o l’attacco alla metropolitana di Londra nello stesso anno. I recenti attacchi terroristici di matrice islamica in Europa, non hanno sicuramente aiutato a diminuire le pericolose retoriche di paure e minaccia, comprensibile se si pensa di vivere in un’era di terrore globale, ma controproducente in quanto riproduce la logica della differenza, invece di superarla.
Tali tensioni si osservano proprio nei mezzi di comunicazione:

“Essi mostrano chiaramente il futuro della cultura pubblica e dell’arena civile, una cultura che sarà segnata da diversità e contrasti (..) e il risultato di queste tensioni produrrà effetti morali ed etici determinanti. (..). I mezzi di comunicazione sono lo specchio della diversità connaturata nel tessuto sociale europeo. Essi non si limitano a riprodurre questa diversità, ma contribuiscono attivamente alla sua proliferazione”
(Silverstone, 2009).

La cultura mediatica contemporanea, libera dalla fissità e monotonia dello schermo domestico, si allontana sempre più dal mainstream e ciò che sta emergendo è un’arena altamente differenziata, ma organica.
Le forme di rappresentazione dell’alterità promosse dai media hanno un significato fondamentale non solo per la nostra dimensione morale, ma per il futuro della condizione umana.

Letture
  • Maurizio Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2011.
  • Arjun Appadurai, Modernità in polvere, Raffaello Cortina, Milano, 2012.
  • Claudio Baraldi, Comunicazione interculturale e diversità, Carocci, Roma, 2003.
  • Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2006.
  • Milton J. Bennet, Principi di comunicazione interculturale, Franco Angeli, Milano, 2015.
  • Maurizio Corte, Giornalismo interculturale e comunicazione nell’era digitale, CEDAM. Padova, 2016.
  • Nick Couldry, Sociologia dei nuovi media, Pearson, Milano-Torino, 2015.
  • Alessandro Dal Lago, Non persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano, 2002.
  • Jacques Derrida, On Cosmopolitanism and Forgiveness, Routledge, Londra, 2002.
  • Elena Garcea, La comunicazione interculturale, Armando, Roma, 1996.
  • Chiara Giaccardi, La comunicazione interculturale nell’era digitale, Il Mulino, Bologna, 2012.
  • Charles Husband, Media and the Public Sphere in Multietnics Societies, Open University Press, Buckingham, 2000.
  • Agostino Portera, Educazione umanistica interculturale nella famiglia, in Luigi Secco, Agostino Portera, L’educazione umanistica interculturale nelle agenzie educative, Cedam, Padova, 1999.
  • Roger Silverstone, Mediapolis. La responsabilità dei media nella civiltà globale, Vita e Pensiero, Milano, 2009.
  • Nick Stevenson, The Transformation of the Media: Globalisation, Morality and Ethics, Longman, London, 1999.