Armonía Somers nacque quasi per caso sfogliando un elenco telefonico in un bar di Montevideo. Il cognome estratto da quelle pagine apparteneva a un architetto. Armonía invece era un omaggio all’utopia dei falansteri fourieriani, quel sogno anarchico che suo padre aveva condiviso, ma non tutti concordano su questa versione dei fatti. Secondo altri era un rimando alla coppia Floreal e Armonía, personaggi del romanzone Sembrando flores di Federico Urales, lo pseudonimo adottato dall’anarchico Joan Montseny. Fatto sta che prima di allora, si era nel 1950, Armonía Somers non esisteva, ma c’era una donna, Armonía Liropeya Etchepare Locino, nata nel 1914 a Pando, sempre in Uruguay, un paesino vicino la capitale, un’insegnante giudiziosa, che nell’ambito dei suoi vari impegni in attività didattiche e pedagogiche talora preferiva farsi chiamare Armonía Etchepare de Henestrosa. Aveva iniziato a frequentare intellettuali, poeti e fu proprio uno di questi, Carlos Brandy, a darle una mano nell’invenzione di Armonía Somers e nella pubblicazione della sua prima fatica letteraria: La donna nuda, romanzo ora tradotto per la prima volta in italiano e pubblicato da Ventanas Edizioni nella traduzione di Laura Putti, fondatrice della neonata casa editrice indipendente.
Una volta trovato lo pseudonimo, Brandy e il critico cinematografico José Carlos Álvarez si adoperarono per far uscire La donna nuda su Clima, una piccola rivista che vedeva entrambi coinvolti. Così fu: il romanzo venne pubblicato nel numero 2-3 di ottobre-dicembre del 1950, la sua seconda uscita (era nata quell’anno). Vi compariva anche la traduzione del saggio di Henry Miller su Estasi, il film del 1934 di Gustav Machaty, ovvero un autore scandaloso alle prese con un film scandaloso a far da ouverture a un romanzo scandaloso.
Fu così che nacque Armonía Somers e impiegò poco per diventare un nome di culto. Assieme a lei prese vita la protagonista del romanzo: Rebeca Linke, una donna che nel giorno del suo trentesimo compleanno scende da un treno in piena notte, si reca nella casa che ha comprato “per poco più di niente” in una campagna a ridosso di un bosco. Entra, si spoglia e si decapita.
“Una testa, qualcosa di tanto importante su un collo tanto vulnerabile… La lama penetrò senza sforzo, nonostante il braccio morto e la mano senza dita. Si imbatté in innumerevoli cose che si chiamavano forse arterie, vene, cartilagini, ossa con articolazioni, sangue viscoso e caldo […] La testa rotolò pesantemente come un frutto”.
La donna nuda fece scalpore ai tempi, irrompendo in un contesto per certi versi provinciale, sicuramente patriarcale, violandone i costumi e turbandone la tranquillità. Non poteva essere altrimenti: è un romanzo squisitamente surrealista, dove tutto è situato in una zona senza confini netti tra realtà e sogno, priva di separazione tra la sfera del reale e quella del fantastico. Terreno ideale per scorribande dell’inconscio e quello della protagonista turberà un’intera comunità. Onirico, straniante, spiazzante, condito di crudeltà e associazioni d’immagini insolite, come si addice allo spirito surrealista, I benpensanti dell’epoca avevano ben donde di scandalizzarsi e soprattutto di smarrirsi, perché da acefala Rebeca torna in possesso della sua testa così:
“la donna decapitata prese la sua vecchia testa, se la rimise con un colpo deciso, come un casco da combattimento […] era difficile e fastidioso tornare al mondo attraverso gli occhi, una sorta di soffitta dove, per la forza dell’abitudine, le cose e la loro rappresentazione sembravano rivendicare il diritto alla normalità, graffiando spietate l’innocenza dell’aria”.
Ricompostasi (resuscitata? rinata?), Rebeca si avventura all’esterno, di notte, vagando nel bosco incontrando una serie di uomini: dapprima Nataniel, un taglialegna che vive nella foresta con sua moglie, in seguito due gemelli, un prete e infine Juan, uno degli uomini del paese dove nel frattempo è scattata la caccia alla donna nuda, simbolo del peccato, dei desideri repressi.
“Odiavano la sconosciuta, si odiavano e odiavano gli altri. Per colpa della donna ognuno aveva scoperto sé stesso, e la rivelazione era di quelle che non si perdonano, almeno quando c’è sotto qualcosa di misterioso. Lei era libera grazie alla sua nudità, su questo non sarebbero nate discussioni. Ma la libertà individuale dell’atto in sé trascinava ciascuno a pensare all’impossibilità della propria […] Un’unica libertà non poteva esistere senza guerra, forse perché troppo enorme e accecante era lo splendore del suo fanatismo. Come non condannare, allora, quella nudità che esigeva la loro”.
L’ascendenza surrealista nella scena della decapitazione (in seguito anche in descrizioni di ferite e piaghe) è particolarmente evidente, e strizzando l’occhio al bunueliano Un chien andalou (1929) si arriva direttamente alle origini del surrealismo a Isidore Lucien Ducasse meglio noto come Comte de Lautrémont, autore di lingua francese, nato però a Montevideo. Nei suoi Canti di Maldoror (1869) non solo è presente la metafora della decapitazione necessaria per diventare qualcun altro (“con una testa in mano, di cui rodevo il cranio”), ma tra oceani di immagini e metafore figlie del suo inconscio, sono numerose le descrizioni morbose, macabre, putride, tappe di una ricerca d’identità quale sarà quella condotta da Rebeca Linke, che evidenziano le affinità elettive tra Armonía Somers e il suo visionario connazionale:
“Bisogna lasciarsi crescere le unghie per quindici giorni. Oh! come è dolce strappare brutalmente dal suo letto un bambino […] Poi, tutt’a un tratto, nell’istante in cui meno se l’aspetta, affondare le unghie nel suo petto molle, in modo tale che non muoia […] In seguito si beve il sangue leccando le ferite […] Bendagli gli occhi, mentre dilanierai le sue carni palpitanti […]”.
(Lautrémont, 2021)
Rebeca Linke rinasce, dalla donna a una dimensione prendono vita molte donne, si moltiplicano i nomi (come quelli dell’autrice), segnando differenti identità, rivendicando autonomia per il genere femminile. Lo spiega chiaramente Rebeca a Juan, tra reminiscenze bibliche (già evidenti nella testa decapitata che rimanda a quella rotolante di Oloferne) e percorsi freudiani, a riprova dei molteplici piani di lettura predisposti da Somers:
“«Le femmine non devono portare nomi che diventano maschili cambiando una lettera. Quelli veramente femminili, come tutti i miei, non hanno rovescio» disse l’estranea prolungando il caldo sussurro nel suo orecchio […] Eva, Giuditta, Semiramide, Maddalena. E un uomo che sognò il mio piede, più vecchio di secoli, mi chiamò Gradiva, quella che cammina”.
Nudità, peccato, sessualità, morte/rinascita/morte, tra questi punti cardinali Armonía Somers creò un percorso tortuoso, dove anche lo stile appare perennemente in gioco e tutto è insolito, sconcertante, ripugnante e allo stesso tempo incredibilmente affascinante e pieno di enigmi per il lettore. Questi, analogamente a quanto accade con Lautremont, si trova a dover fare della lettura un’opera di invenzione parallela a quella creativa operata dalla scrittura. Un esercizio che nasce per precisa volontà dell’autrice, coinvolgendo il lettore in un ruolo attivo, facendolo partecipare a un gioco squisitamente letterario, pratica di straordinaria modernità. Un testo, quindi, che se da un alto attinge a piene mani al repertorio surrealista, si pensi anche ai dipinti di Paul Delvaux abitati da donne nude a spasso di notte, dall’altro sembra anticipare visioni e misteri del cinema di David Lynch. Strategia narrativa che non rende obsoleto un romanzo, certamente per altri versi non più urticante per la morale corrente.
- Lautrémont, I canti di Maldoror, Feltrinelli, Milano, 2021.